Note dell'autore:
Scusatemi tanto per il ritardo, come ho anticipato oggi sulla pagina FB
ero convinta di aver pubblicato l'ultimo capitolo il 27/28 Aprile non
il 16 dello stesso mese, e quindi mi sono messa a scrivere questo con
molto ritardo. E questi sono i risultati, ammetto che non ho riletto
nulla, quindi siate clementi se trovate qualcosa che non va segnalate
che la correggo. Prossimi giorni pubblicherò una
one-shot a quattro mani scritta in collaborazione con il mio ragazzo. E
ci terrei a ricevere un parere anche li. Non la pubblico su questo
account ma su un altro: Arwen297_Matath .
Vi segnalo
inoltre la mia pagina FB: Arwen297 EFP
Il gruppo
FB di questo fandom: ~ Noi, del Fandom Sailor Moon su EFP ~
20^Capitolo:
Midnight Moon.
Sua
madre aveva insistito e
alla fine sia lei che Mamoru avevano acconsentito a telefonare al
prontosoccorso per richiedere
l'ambulanza. Aveva ritenuto opportuno chiamare anche il capo della
polizia che stava indagando sull'incidente e le cause. Era infatti
sicura che l'aggressione avrebbe aiutato le indagini.
Mamoru
aveva acconsentito ad
accompagnarla in ospedale, in modo da stare vicini ad Usagi
fino a quando ce ne sarebbe stato bisogno. Sua madre lo aveva seguito
a ruota perché era ben decisa a far accompagnare la figlia
nell'ospedale in cui ella stessa lavorava.
Lei
invece era rimasta a
casa ad aspettare la polizia per esporre la sua versione dei fatti,
in seguito avrebbero chiesto la propria a tutti gli interessati.
Mamoru compreso.
Inizialmente
si era
arrabbiata notevolmente con il moro, in parte era anche colpa sua se
la sorella era stata aggredita: averla lasciata lontana da casa a
causa dei posteggi dell'auto era stata un'idea avventata.
Poi
però la rabbia aveva
lasciato spazio alla consapevolezza che sarebbe potuta andare molto
peggio, e non se lo sarebbe mai perdonata. Iniziava a pensare di
essere portatrice di una maledizione, tutte le persone che amava
venivano messe in grave pericolo di vita o la perdavano direttamente
senza possibilità di scampo.
L'esposizione
della sua
versione dei fatti era durata circa un'ora, durante la quale altri
poliziotti avevano setacciato accuratamente il giardino del palazzo
alla ricerca di qualche indizio. Il suo avvocato lo avrebbe messo al
corrente il mattino seguente, non le sembrava opportuno disturbarlo a
quell'ora della notte; e poi non vedeva l'ora di sapere come stava
Usagi. Da li a momenti sarebbero tornati sicuramente a casa: il fatto
che la madre fosse andata con lei aveva aiutato a saltare la fila al
pronto-soccorso.
Per
ammazzare il tempo che
sembrava aver deciso di rallentare, decise di scrivere a Setsuna, per
aggiornarla su ciò che era successo. Doveva avvertire tutte
le sue
amiche di stare attente: se erano arrivati a sua sorella pur di farla
desistere dalle indagini potevano arrivare a loro solo per il gusto
di ferirla in un batter di ciglia.
"Sets
sei sveglia?"
Scelse
di scrivere su Whatsapp, l'ultimo accesso dell'amica era
relativamente recente e questo la fece sperare che la bruna fosse
ancora sveglia. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, Michiru
sarebbe stata la cosa migliore ma la situazione non lo permetteva.
Eppoi, per quanto poteva saperne, lei magari era a conoscenza di
cosa stavano facendo i suoi genitori ed era anche d'accordo. Ecco
spiegato perché non si era fatta sentire ne niente...molto
probabilmente non era interessata a chiarire. Dopo tutto a una
ragazza come la violinista cosa poteva fregargliene di chiarire con una
proveniente dal ceto medio basso? Praticamente zero. Era stata una
sciocca a credere in chissà che cosa, in chissà
quale romanzo a
lieto fine. Tra di loro fin dall'inizio non sarebbe potuto esserci
niente, le sue amiche avevano avuto ragione a dirle di lasciare
perdere la Kaioh. Ma lei con la sua solita testa di cazzo si era
rifiutata categoricamente di dare loro retta. E quelli erano i
risultati.
Che
testa di cazzo che sono, non è una novità ma non
pensavo di esserlo
così tanto.
Il
telefono vibrò sul divano. L'anteprima rivelava che era
proprio
Setsuna ad averle scritto.
"Ciao
Ruka, successo qualcosa?"
"
Si, Usagi è in ospedale, i soliti hanno mandato qualcuno
appositamente per farle del male come atto intimidatorio. Sono nera,
ho bisogno di parlarne con qualcuno scusa se ti scrivo a quest'ora
della notte. Ho una rabbia cazzo, che non puoi capire. Quei
maledetti!"
"Cosa???
Ma come è stato possibile? Come sta ora? Vuoi che vengo da
te?"
"
E' in ospedale con Mamoru e mia madre, io sono rimasta
perché ho
chiamato la polizia e ho dovuto esporre la mia versione dei fatti. Io
sono a casa di mia madre ora, ho cenato da lei stasera. Dio Sets, se
le succedeva qualcosa li avrei ammazzati con le mie stesse mani"
Le
mani le tremarono per la rabbia, al solo pensiero. Una lacrima le
rigò la guancia.
Cazzo,
piangere ora no!! Non serve a un cazzo piangere come le bambine di
cinque anni Haruka. Smettila immediatamente.
La
mano destra si avvicinò al viso per asciugarlo, in un gesto
carico
di nervosismo e tensione.
"Calmati
adesso, sei arrabbiata è normale che dici così,
come hai intenzione
di agire ora? Non sarebbe il caso di piantare li tutto? Non vorrei
che diventasse troppo pericolosa la faccenda"
"Domani
mattina chiamo il mio avvocato, e intanto chiedo a quello che sai tu
di farmi sapere qualcosa, poi decido come agire. Grazie Sets, sono
arrivati ci sentiamo domani buona notte"
La
chiave girò nella serratura, e dopo qualche istante vide la
porta di
casa aprirsi per fare spazio a sua madre seguita dai due ragazzi.
Scattò immediatamente in piedi, cercando di nascondere le
lacrime di
pochissimi istanti prima.
«Come
stai Usa-chan?». Chiese. Spostando lo sguardo sulla ragazzina.
«Non
ha nulla di rotto, la caviglia è solamente slogata e hanno
dovuto
mettere una fasciatura per farla andare a posto bene. Per il resto
sono solo tanti lividi che passeranno con il tempo ma nel frattempo
deve rimanere a casa. Altrimenti i professori chissà che
idee mal
sane si fanno, e far sapere in giro la verità credo che sia poco
opportuno». Fu la donna a risponderle. «Mamoru per
stanotte dorme
qua per far compagnia a tua sorella, quindi apri pure il divano letto
che tu dormi li».
«Bene,
sono più sollevata...per il dormire non c'è alcun
problema, e
nemmeno per la scuola credo».
«La
polizia cosa ha detto a proposito? Sono riusciti a scoprire
qualcosa?». Chiese a quel punto Mamoru.
«No
non ancora, quei vigliacchi non hanno lasciato indizi, nei prossimi
giorni torneranno per sentire la vostra versione dei fatti. E mi
hanno chiesto di dirti...». Si rivolse alla sorella.
«Di far mente
locale su quanto accaduto e pensare a un qualsiasi particolare che
può essere di aiuto alle indagini per bloccare questi
folli».
«Ho
notato solamente un tatuaggio che spuntava sul collo di uno dei due
però non so dire con certezza che forma avesse».
Rispose triste.
«Non so quanto possa essere utile tutto
ciò».
«Può
essere utilissimo credimi Usako, ne so qualcosa. Basta un minimo
particolare per incolpare o scagionare una persona dalle accuse
quindi tutto ciò che ti ricordi di aver notato dillo.
Saranno poi le
forze dell'ordine a scegliere le più importanti»,
le spiegò
gentilmente Mamoru.
«
Coloro che ti hanno ridotta così devono solamente pregare di
non
trovarsi mai sui miei passi, altrimenti sarà l'ultima alba
che
vedono». Il suo tono era arrabbiato, non avrebbe mai permesso
a
quella feccia di rimanere sulla faccia della Terra se ne avesse avuto
l'occasione.
«Haruka,
non dire ste sciocchezze credo che hai già combinato
abbastanza guai
non credi??». La riprese la madre, fulminandola con gli
occhi.
«Credo che sia già abbastanza quello che stiamo
subendo a causa di
questa storia senza aggiungere legna da ardere. Tua sorella non c'entra assolutamente nulla.
Eppure sono arrivati anche a lei, io spero vivamente che sporrai
denuncia contro i Kaioh».
«Mamma
devo sentire l'avvocato prima di muovermi e non mi sembra il caso di
chiamarlo a quest'ora della notte, domani sarà la prima cosa
che
avrò premura di fare. E credo in ogni caso che tu stia
esagerando».
Si buona parte della colpa era sua, ma non poteva sapere che quella
sera di qualche settimana prima sarebbe finita con l'incidente. I suoi
piani erano totalmente diversi e decisamente migliori, per entrambe.
Sopratutto non ci sarebbero stati tutti quei problemi, Michiru non
sarebbe stata scoperta, e probabilmente sarebbero riuscite ancora a
frequentarsi di nascosto.
«Esagerando??
Ti rendi conto che tua sorella poteva non esserci più
stanotte?
Poteva finire malissimo, e tutto per cosa? Perché ti sei
innamorata
di Michiru, di tutte le ragazze che potevi trovare proprio di lei
». Tornò all'attacco sua madre.
«Al
cuore non si comanda!! Dovresti saperlo, tu papà lo amavi
non lo hai
sicuramente scelto al mercato». Possibile che doveva essere
colpa
sua di tutto?
«Al
cuore si comanda si, non sei una bestia. Sai cosa puoi fare e cosa
non puoi fare, ora anche Usagi a causa tua poteva perdere la vita. E'
già morto tuo fratello perché ti sei inzuccata a
fare una cosa.
Credo sia già abbastanza». Non sapeva cosa la
spingeva a parlare in
quel modo, forse la paura provata; forse il brutto presentimento che
le aveva atanagliato le viscere quando il cellulare poche ore prima
era suonato. Oppure l'istinto materno, quello di una donna che ha
già
sofferto troppo per le perdite di suo marito e di un figlio. O
semplicemente stava scaricando l'ansia accumolata da quando tutta
quella storia era iniziata.
Haruka
rimase qualche istante in silenzio, le accuse di sua madre l'avevano
colpita nel profondo, un nodo le si era formato in gola. Harumoto non
era morto per colpa sua, no che non lo era.
«Tuo
figlio non è morto per colpa mia, è morto
perché ha voluto
fermarsi ancora dopo la mia decisione di tornare!!! Cazzo non ti
permettere di dire che lui non è qui stasera a causa mia,
non
inventarti stronzate!! Ho cambiato la mia vita e ho soffocato i miei
sogni per cercare di portare avanti questa merda di famiglia. E
questo è il ringraziamento per fare i salti mortali per
piazzarmi
sempre al meglio nelle gare?? ». Le urlò in
faccia, e non gliene
fregava un cazzo se sua madre si fosse offesa a quelle parole. Tanto
meno se l'avrebbe fatta sentire in colpa.
«Haru...
Mamma... non litigate dobbiamo stare uniti, non è colpa di
nessuno
se lui non c'è più è il
destino». Si intromise Usagi mortificata
da ciò che stava succedendo. Non aveva mai sopportato le
liti in
famiglia, fin da quando era più piccola. Vedere le persone
che amava
non andare d'accordo tra loro la torturava. Era per lei logorante.
«Vai
a fan culo Usagi!! Andate a fan culo tutti». Urlò
nuovamente la
motociclista, poi prese la giacca e uscì dall'appartamento
sbattendo
la porta appositamente: sapeva che sua madre odiava quel gesto.
Doveva andarsene via da quella casa, si sentiva soffocare, non aveva
voglia di andare a casa sua. Le rimaneva quindi solo un opzione da
vagliare.
Prese
il cellulare dalla tasca dei jeans, compose il numero che sapeva a
memoria cercando di calmare il ritmo del respiro. La sua speranza e
che non si fosse ancora addormentata e che potesse ospitarla anche
solo sul divano.
«Pronto,
dimmi Ruka ». La voce della bruna interruppe il silenzio.
«Scusami
Sets, spero tu non stia dormendo, posso venire da te a dormire? Ho
bisogno di passare del tempo con qualcuno che non mi giudichi. Non
voglio tornare a casa stasera e ho litigato con mia madre».
Le
disse, mentre raggiungeva la sua moto per aprire la sella all'interno
del quale erano custoditi due caschi.
«Beh,
alle quattro di notte credo sia normale, ma comunque non riuscivo a
dormire, ti aspetto quando vuoi vieni». Rispose la ragazza,
in fin
dei conti gli amici servono nel momento del bisogno e non poteva
certamente farla dormire per strada. Cosa che Ten'o non avrebbe mai
avuto problemi a compiere, conoscendola.
«Arrivo
subito, la strada e vuota credo che in una decina di minuti
sarò
li». Rispose prima di chiudere la conversazione. Dopo di che
chiuse
il cellulare nella sella, chiuse la giacca in pelle nera e si
fissò
il casco in testa.
Girò
la chiave del motore e partì con un rombo per allontarsi
sempre di
più dal palazzo tanto odiato.
***
I suoi
genitori avevano accosentito a farla andare in vacanza dai nonni per
farle staccare la spina da tutti gli avvenimenti che l'avevano
colpita nelle settimane precedenti. Avevano però insistito
affinché
Seiya andasse con lei: era una questione di rispetto ed educazione
visto che era loro ospite. Si era immediatamente pricipitata in
camera per preparare le valigie con tutto il necessario per rimanere
li fino all'inizio del nuovo anno scolastico. Così in quel
momento
era in viaggio gia da quasi due ore, diretta alla villa dei suoi
nonni paterni. Tra i nonni erano i suoi preferiti, gli altri erano
lontani e li sentiva solamente per telefono. Eppoi avevano un
maneggio privato nel giardino di loro proprietà, molto
ampio. Che
non aveva niente a vedere con i giardinetti a cui era abituata in
città.
Al
maneggio c'era il suo cavallo, nero come la notte, per questo lo
aveva chiamato Moonless Night, era nato lo stesso anno in cui era
nata lei. Erano cresciuti praticamente insieme, e cinque anni prima i
suoi nonni le avevano detto che era il momento di montarlo senza
alcuna paura. E nonostante il temperamento giovane e focoso,
l'animale non le aveva mai causato cadute o ferite. Erano stati
affiatati fin dal primo momento che era salito in sella per
prepararsi a qualche gara. Per la felicità non aveva
mangiato niente
per l'ennesima volta, ma sperava in un certo senso di recuperare sul
quel fronte una volta arrivata. Sempre che il suo stomaco glielo
avesse permesso. Era sola dietro, e non poteva che essere
più grata
di ciò.
Il
bruno aveva deciso di sedersi davanti per parlare all'occorrenza con
l'autista, gli era sembrata la cosa migliore dopo aver constatato in
casa che la ragazza non aveva voglia di parlare con lui. Affrontare
un viaggio in totale silenzio non faceva per lui.
«Signorina
è sveglia? Siamo quasi arrivati». La voce del loro
autista
interruppe i suoi pensieri, spingendola a incrociare i suoi occhi blu
con quelli del guidatore nello specchietto retrovisore.
«Certo
che lo sono, non mi sono mai addormentata». Rispose, aveva
già
dormito decisamente troppo i giorni scorsi per far si che il tempo
passasse velocemente. Avrebbe dovuto affrontarli i suoi problemi, ma
debole com'era non riusciva. O forse era più comodo
scappare, non
farsi più sentire e sparire totalmente. Come del resto era
abitudine
di chi faceva parte dell'alta società.
Alla
fine si sarebbe comportata proprio come quelle persone che aveva da
sempre odiato, per quanto si sforzasse di essere diversa lei era
esattamente uguale a loro. Per quanto volesse sfuggire al destino che
le era stato donato alla nascita, non poteva cancellare ciò
che era.
Lei era l'ultima discendente dei Kaioh e che le piacesse o no doveva
rispettare tantissime cose. Avvertì la macchina girare
improvvisamente a destra, e il suo campo visivo entrarono le colonne
che sorreggevano i cancelli della tenuta dei suoi nonni. I prati
verdi nonostante l'estate inoltrata erano indice di grande cura da
parte dei giardinieri.
La
villa dove abitavano gli anziani signori era in vecchio stile, quasi
barocco. Vedere tutti i decori presenti sulla facciata l'aveva sempre
affascinata parecchio, fin da piccola.
Guardò
l'edificio avvicinarsi sempre più fino a quando la macchina
si fermò
nello spiazzo antistante all'ingresso, sulla porta di casa
potè
scorgere la figura dei due proprietari sorridenti. Loro si che erano
felici di vederla!
«Lasciate
pure i bagagli in macchina, provvederò io tra un attimo a
portarli
in casa». Esclamò l'autista spegnendo la macchina.
Lei lo
udì appena, intenta com'era a raggiungere i suoi nonni
preferiti,
udì una velata risposta di Seiya che le sembrò
ringraziare l'uomo
che li aveva accompagnati fin li.
«Nonno,
nonna». Disse, non appena fu vicina ai due anziani, prima di
baciare
le guance di entrambi. Li era come una seconda casa, forse era
addirittura l'unico posto che poteva definire casa.
Be,
forse l'unico esclusa la casa di Haruka. Fu
il suo pensiero improvviso, che scacciò immediatamente: non
poteva
farsi influenzare dalla situazione. Non aveva voglia di nascondere il
magone per evitare le domande che le avrebbero fatto sicuramente.
«Vi
presento Seiya». Disse poi, non appena furono raggiunti dal
moro.
«Piacere
di conoscervi signori, grazie dell'ospitalità».
Disse. Doveva fare
la più buona figura possibile, per non destare sospetti.
«Figurati
caro, gli amici di nostra nipote sono sempre i benvenuti». Fu
la
risposta cordiale della donna.
«Cara,
tu come stai?» chiese dunque Hoshi, suo nonno. Un ometto
basso di
settantanni con gli occhi ancora vivaci di chi si sente giovane
dentro, nonostante gli acciacchi dell'età.
«Abbiamo saputo cosa è
successo a casa, hai fatto bene a venire qui..vedrai che dopo
qualche giorno starai sicuramente meglio».
Adorava
suo nonno.
Adorava
entrambi, fine della storia.
Sorrise
all'anziano in modo sincero, era talmente tanto che non sorrideva
più
che si era quasi dimenticata come farlo. Doveva migliorare su quel
fronte, non poteva permettere alla situazione di strapparle quei
pochi sorrisi che le uscivano spontanei.
«Meglio
nonno, andrà sicuramente a migliorare la situazione
credo..» gli
rispose, più per farlo stare tranquillo che per convinzione
personale.
«Vedrai
tesoro che con i pranzi di tua nonna recupererai tutti i chili
persi». esclamò Yumi, sua nonna, anche lei una
donnina bassa e un
pò grassottella con i capelli bianchi legati in un chignon.
Battè
allegramente le mani davanti al petto, quasi pregustando tutti i
manicaretti che avrebbe potuto realizzare con l'aiuto della
domestica. Si, perché nonostante ne avessero una, lei aveva
sempre
voluto cucinare in sua compagnia e non aveva mai voluto sentire
ragioni sulla questione. Per tanto non condivideva la scelta di suo
figlio di riempire la casa di servitù, totalmente contraria
a come
lo avevano cresciuto.
Michiru
si limitò a sorridere con poca convinzione, non era affatto
sicura
che quei chili sarebbero tornati. Al momento la sua fame non aveva
dato segno di aumentare, ma forse era presto?
«Sai
già dov'è la tua camera, se vuoi andare un
pò a sistemare le tue
cose vai». Le disse suo nonno. «A Seiya ci penso
io». Si rivolse
al bruno «Vieni, ti faccio vedere dov'è la tua
camera». Si avviò
dunque verso il corridoio dove solitamente alloggiavano i loro
ospiti, ben lontano da dove avrebbe alloggiato la violinista.
Avrebbero potuto stare vicini con la camera, ma negli occhi della
nipote era riuscito a scorgere il desiderio di avere più
tranquillità possibile. Suo figlio aveva insistito per far
andare da
loro anche il ragazzo, e inutili erano stati i consigli suoi e della
moglie nel fargli capire che visto ciò che era successo
sarebbe
stato meglio mandare Kou a casa sua: i genitori avrebbero sicuramente
capito le esigenze della figlia.
«Ecco
questa è la tua camera, troverai già le tue
valigie. Spero tu abbia
portato anche il necessario per portare i tuoi studi avanti
perché
vorrei chiederti la cortesia di non disturbare troppo mia nipote, sta
passando un brutto momento ed è bene rispettare i suoi tempi
per non
aggravare ancor di più la situazione». Lo
avvisò, senza paura di
offendere. Michiru prima di tutto, la buona educazione davanti a
problemi di salute passava decisamente in secondo piano.
«Signore,
penso che sua nipote abbia bisogno di qualcuno che la distrae. Anche
se lei si ostina a dire di no credo che non sia una buona idea
lasciarla da sola con questo stato d'animo».
Ribattè lui: ci
mancava anche il nonnino apprensivo. Non era già abbastanza
delicata
la situazione, doveva stare attento a non compiere passi falsi. E
sopratutto doveva avvisare i suoi genitori del cambiamento delle
cose.
«Mia
nipote non sarà lasciata sola come a Kyoto, qui siamo tutti
in
pensione anche se siamo musicisti e gestiamo un maneggio. Non ti
stare troppo a preoccupare che sicuramente Michiru starà
meglio qui
che a casa». Rispose con tono gelido, per chiudere il
discorso. «A
ogni modo all'una e mezza si pranza, cerca di essere puntuale. La
cucina è esattamente difronte a te quando arrivi
nell'ingresso».
Detto ciò chiuse la porta alle sue spalle.
***
«Mamma
non pensi che tu abbia esagerato ieri sera con mia sorella?».
Furono
le parole di Usagi a interrompere il silenzio della colazione tra le
due. Mamoru era uscito al mattino presto, quando ancora stavano tutti
dormendo per passare da casa a darsi una rinfrescata prima di recarsi
all'Università. L'aveva salutata nel suo dormiveglia con un
bacio
sulle labbra, aveva dunque ritenuto opportuno affrontare in quel
momento il discorso con sua madre. La sera prima tra la presenza di
lui e il devastamento psico-fisico non ne aveva avuto le forze.
«Usagi
non iniziare anche te, tu eri più piccola quando vostro
fratello è
morto. E se loro non uscivano perché tua sorella si era
inzuccata ad
andare a quella festa sarebbero entrambi qua». Rispose
gelidamente
la donna. «Ogni volta che qualcuno si fa male nella nostra
famiglia
c'è di mezzo Haruka».
«Non
è colpa di mia sorella se lui è morto,
è stata una scelta sua
fermarsi di più dopo che lei era rientrata. E non
è nemmeno colpa
sua se papà è morto di cancro. Tanto meno lo
è per ciò che è
successo ieri, all'amore non si comanda mamma. Dovresti saperlo
meglio di tutte noi...ma a quanto pare ti sei dimenticata di quando
tu e papà eravate ragazzini».
«Usagi
per favore non ti ci mettere anche tu va bene? E' causa di sorella se
siamo in questa situazione ora, è inutile che dici di no. E'
così e
se vuole che io la perdoni deve piantarla li con ste stronzate,
altrimenti non otterrà più perdono da me. Tu non
potevi esserci più
oggi!! Potevano ammazzarti!!!» il tono si alterò
leggermente.
«Possibile
che vedi solo i lati negativi? Non siamo tutti perfetti! E Haruka ha
sempre fatto tanto da quando sono morti loro. Ha accettato anche di
sostituire in segreto Harumoto rinunciando ai suoi sogni senza
battere ciglio pur di garantire un buon tenore di vita a entrambe, e
tu cosa fai? L'accusi per ogni cosa, sarà anche la pecora
nera della
famiglia ma ha fatto molto più di te in questi hanni che hai
solo
saputo criticare qualsiasi cosa che la riguarda e mai
apprezzarla».
Gli occhi le bruciavano mentre parlava così a sua madre, ma
era
stanca della situazione che avevano in casa. Era stanca di sentire i
litigi tra di loro, che a seconda del periodo erano più o
meno
frequenti. Era stufa di tutto.
«Non
ti permettere di dirmi queste cose!». Si alterò la
donna.
«Perché
altrimenti cosa mi fai? Mi metti in castigo come quando avevo cinque
anni? Fammi il piacere..lasciami in pace! Non sono più una
bambina».
Tagliò seccamente prima di abbandonare la colazione non
finita sul
tavolo e dirigersi in camera sua sbattendo la porta alle sue spalle.
In
quel momento dovevano stare unite, ma la verità era che da
quando
suo padre se ne era andato in quella casa era sempre tutto uno
schifo. I loro rapporti si erano incrinati per il cancro prima, e per
l'incidente stradale di suo fratello maggiore poi. Erano sempre
riuscite a salvare le apparenze davanti agli altri parenti,
sembravano davvero una delle famiglie felici della televisione. La
realtà era ben diversa però. Il suo rapporto con
la sorella
maggiore era molto migliorato con la crescita di entrambe, assistere
a scene come quella della sera prima la faceva sempre stare male.
Papà
dove sei? Se tu fossi con noi sarebbe tutto più
semplice...tu si che
sapevi tenere unita la famiglia.
Pensò,
mentre stringeva tra le mani una foto presa dalla mensola dove
c'erano tutti e cinque. In quell'occasione si che erano felici. I
suoi codini erano notevolmente più corti perché
era più piccola.
Ma tolto quello era rimasta uguale. Stessi occhi e, all'apparenza,
stesso sorriso.
Portò
il dito alla guancia destra per raccogliere una lacrima che ribelle
era sfuggita all'occhio limpido.
***
Quel
mattino si era svegliata con una forte emicrania, avvolta nelle
coperte della sua migliore amica, completamente abbandonata sul
divano. Indossava ancora i vestiti del giorno prima, un sospiro di
sollievo le uscì dalle labbra: aveva subito pensato al
peggio, visto
che lungo la strada aveva preso qualche bottiglia di vino in un bar
aperto ventiquattro ore. Poca roba. No ok, forse a giudicare il suo
stato aveva un pò esagerato. Ma dopo le parole di sua madre
ne aveva
avuto bisogno, doveva scaricare i nervi in qualche modo e quella era
una delle rare volte in cui era consapevole che una scopata non
avrebbe risolto nulla. Ma anzi, avrebbe aggiunto rimorsi a tutti i
pensieri che già le affollavano la testa.
«Ma
da quando ti svegli così presto?». La voce di
Setsuna le solleticò
l'udito.
Avvertì
i suoi passi sempre più vicini.
«Ho
troppa roba da fare stamattina Sets, devo chiamare l'avvocato per
prendere l'appuntamento e vedermi anche con l'investigatore privato
che sai». Le spiegò. Aveva ingaggiato un
investigatore privato per
vederci più chiaro nella faccenda, perchè
qualcosa continuava a non
quadrarle... non si era più avvicinata a Michiru. Per quale
motivo i
suoi genitori avrebbero dovuto mandare gli agguzzini che avevano
picchiato sua sorella? Era sempre più convinta che sotto
c'era
qualcosa di particolarmente grosso e quella fosse solo la punta
dell'iceberg.
E no,
quel Kou non le piaceva per nulla.
«Che
cosa hai intenzione di fare? Investigatore privato
perché?». Gli
chiese la bruna mentre si alzava per andare in bagno.
«
Perché credo che io sia solo un pretesto e che i motivi per
cui
stanno agendo così in realtà siano altri. E non
voglio rimetterci
per i loro loschi affari, ne voglio che Usagi o mia madre rischino
per cose che a noi non interessano minimamente».
Spiegò prima di
entrare in bagno.
Si
diresse verso il lavandino e aprì l'acqua fredda,
allungò la mano
per saggiare la temperatura dell'acqua, per poi buttarsela
più volte
sul viso nel tentativo di svegliarsi.
«Sets,
mi faccio una doccia». Urlò.
«Fai
come fossi a casa tua, gli asciugamani sono sempre al solito posto, i
bagno schiuma stessa cosa scegli quello che vuoi di
entrambi». Gli
arrivò la risposta, a giudicare dalla voce la bruna era in
cucina a
preparare la colazione per entrambe. A quel pensiero il suo stomaco
brontolò sonoramente.
Credo
di aver un pò di fame, sarà meglio che mi dia una
mossa.
***
L'odore
di fieno le colpì le narici non appena oltrepassò
l'ingresso della
scuderia dei nonni. I vecchi gestori le avevano detto che non c'erano
più, dopo anni di servizio erano andati felicemente in
pensione.
Quella notizia le mise addosso una sorta di dispiacere, il suo
istruttore di equitazione sapeva essere nella vecchia leva e
probabilmente non lo avrebbe più rivisto. Come tutto il
vecchio
personale del resto.
Girò
a sinistra una volta arrivata alla fine del corridoio ed
entrò
nell'ala privata della scuderia dove venivano alloggiati i cavalli
della sua famiglia, sette in tutto tra cui il suo.
Un
magnifico stallone di razza Frisone, nero come la notte. Midnight
Moon aveva deciso di chiamarlo anni addietro quando le era stato
regalato. Era nato li alla scuderia da una giumenta che aveva
all'epoca suo nonno e che purtroppo era deceduta in seguito a una
caduta, nonostante era stato fatto il possibile per lei in risorse
umane e mediche.
Il box
era l'ultimo, e lui non aveva la testa fuori, probabilmente non aveva
ancora avvertito i suoi passi.
Qualche
passo dopo lo vide comparire con la lunga criniera, lo sentì
nitrire
in segno di saluto, proprio come al solito. Non si era affatto
scordato di lei. Era felice di rivederlo, era uno dei pochi esseri
viventi a farla stare bene. Uno dei pochi con cui era riuscita a
stringere un legame così profondo come il loro.
Si
fermò due box prima, dove era presente una porta che sapeva
custodire al suo interno la sella, le redini e la cavezza.
Ciò che
cercava era nello scaffale subito di fronte all'ingresso proprio dove
ricordava di averli lasciati l'ultima volta.
Prese
tutto il necessario e andò dall'animale.
«Ciao
cucciolotto». Gli disse dolcemente entrando nel box.
«Ancora un pò
di pazienza e andiamo a correre come ai vecchi tempi».
L'animale in
segno di assenso gli diede un colpetto alla spalla prima di lasciarsi
mettere cavezza e redini. Subito dopo mise il sottosella e la sella,
per poi stringere le cinghie nel modo più appropriato. Prese
quindi
le redini e lo guidò fuori dall'edificio, una volta fuori
salì a
cavallo e partì al galoppo.
Aveva
voglia di andare in spiaggia, anche se a giudicare dal vento il mare
sarebbe stato tutto tranne che calmo e piatto.
Sarebbe
tornata sicuramente in tempo per pranzo, e anche se non fosse stato
così il non mangiare non la preoccupava eccessivamente.
***
Aveva
fatto i salti mortali per arrivare puntuale all'appuntamento con
l'investigatore, aveva rischiato più volte di perdere
aderenza con
le ruote della moto a causa dell'asfalto bagnato, ma grazie alla sua
esperienza era riuscita a domare la tigre ruggente sulla quale era
seduta.
Per
non dare troppo nell'occhio decise di non togliersi il casco una
volta dentro il locale, ne aveva scelto uno piuttosto anonimo, che
non facesse troppo caso all'etichetta e che non la costringesse a
togliersi il copricapo.
Come
da accordi trovò l'uomo già seduto al tavolo del
locale, era
piuttosto giovane: ad occhio e croce doveva avere una trentina
d'anni, ma aveva già parecchia esperienza nel suo ambito.
«Buongiorno,
mi sono permesso di ordinare due cappuccini se non le
dispiace».
Mormorò l'uomo.
« Ha
fatto bene, è riuscito a scoprire qualcosa?».
Chiese immediatamente
abbandonando le frasi di cortesia.
«
Vuole andare diritto al punto Ten'o». Sorrise, portando le
mani
sotto al mento. « Ebbene si ho scoperto molte cose sulle
persone di
cui stiamo parlando...roba che scotta». Gli spiegò
guardandola
fissa negli occhi verdi.
«Che
tipo di roba?». Era curiosa di sapere tutti i giri che
ruotavano
dietro a una buona famiglia come i Kaioh.
«
Diciamo parentele... troverà comunque tutto nella cartellina
che le
sto per dare». Lo osservò tirare fuori dalla sua
ventiquattro ore
un contenitore in cartoncino rigido e giallo che le fu porso
dall'uomo. Proprio nell'istante in cui il cameriere di sala arrivava
a portare loro le tazze. «La guardi con calma a casa, se non
capisce
qualcosa poi sono a sua completa disposizione per chiarimenti e se
vuole approfondire le indagini potrò farlo senza problemi.
Lo faccia
vedere anche al suo avvocato mi dia retta, prima di decidere di fare
qualsiasi cosa».
«Ottimo,
poi mi sappia dire quanto le devo e provvederò a versare la
cifra
sul suo conto corrente, ovviamente le chiedo se può mandarmi
la
ricevuta via email». Mormorò, dopo un cenno di
saluto al cameriere.
«Certamente».
L'uomo la vide bere in un solo sorso il contenuto della tazzina.
«La
ringrazio molto per il lavoro da lei svolto, che mi sarà
sicuramente
molto utile per questa situazione». Prese dunque il
portafoglio.
«Mi permetta di pagare anche la sua colazione». Si
alzò quasi
senza attendere risposta, e si avviò verso il bancone del
locale
dove la cassa era già libera.
Meno
male, così non devo aspettare più di tanto per
tornare un attimo a
casa prima di incontrare l'avvocato oggi pomeriggio. Ho bisogno di
distendere i nervi e sopratutto sono curiosa di leggere attentamente
il contenuto di questa cartellina.
Una
volta pagato il totale per entrambi, si diresse fuori dal locale.
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