Capitolo 35
Capitolo
35
Everybody’s gotta learn
sometime
“So
give me strength to face this test tonight.
If only I
could turn back time,
If only I
had said what I still hide,
If only I
could turn back time, I would stay for the night.”
-Turn
back time, Aqua-
«Credi
che
faranno pace?» Ginko smise di inseguire con lo sguardo le
gocce
che gareggiavano sulla finestra, sormontando quel silenzio spezzato
dallo scrosciare della pioggia.
«Forse.
Se America non rovina tutto.»
Non
seppe spiegarsi
cosa ci fosse di strano in tutto quello, se la figura di Ji Yong stesa
nel futon affianco a lei, quella conversazione cominciata
più
per riempitivo nel buio della sua stanza o il fatto che si fosse
presentato a casa sua con in mano il suo libro dei Ponti di Madison
County dicendole qualcosa come «Fossi in te farei
attenzione:
secondo me America ha usato il proprio sputo come segnalibro.»,
con conseguente crisi isterica e vano tentativo di cacciarlo, per poi
arrendersi alla prima evidenza: Ji Yong sarebbe comunque entrato in
casa, che lo volesse o meno. E lei non avrebbe opposto resistenza, che
lo
volesse o meno. Non lo fece per
stupidità o ingenuità, semplicemente quando la
gente la guardava con certi
occhi pieni di un mucchio di cose, lei non riusciva a voltar loro
le spalle.
E
quelli di Ji Yong, oltre la soglia, erano gli occhi
più tristi che avesse mai visto.
«Perché
dai per scontato che sarà colpa sua?!»
«Hai
presente Sid e
Nancy?
Ecco, lei in questo momento è Sid Vicious.»
Anzi,
decisamente
più strano era che Ji Yong fosse ancora vestito, senza
intentare
nessuna avance o chiederle chissà quale performance tra le
lenzuola. Stava sdraiato, una mano dietro la testa e l’altra
sull’addome, immobile, con lo sguardo rivolto al soffitto su
cui
pendevano piccole lanterne dagli svariati colori –che lui
ovviamente aveva
criticato-.
Ginko,
d’altro
canto, gli dava la schiena standosene rannicchiata sul fianco, evitando
qualsiasi movimento che avrebbe potuto farli avvicinare ulteriormente.
E sì che avrebbe voluto dormire in soggiorno ma lui le aveva
detto «Tanto
non ho sonno.» e lei non aveva capito
più nulla, perché quello era stato un chiaro
invito a
restare –chiaro per gli standard di GD, ovvio-.
Si
accovacciò
di più, come ogni notte che c’era la pioggia
«Ti sei
divertito almeno?» glielo chiese con una punta di fastidio,
non
capacitandosi di come qualcuno potesse giocare coi sentimenti dei
propri amici incurante di poterli calpestare.
«All’inizio.
Poi non più. Quei due sono così
imprevedibili…» mormorò apatico,
stiracchiandosi
«Prendi America, che se ne va alla Columbia.»
Sembrava
una di quelle
sere cariche di aspettative, quando nell’aria si potevano
respirare tutte quelle domande scomode che di solito si mettono da
parte per non creare situazioni imbarazzanti ma che ora, se pronunciate
nel momento esatto, avrebbero schiuso una miriade di portoni. Aveva
però imparato a mettersi da parte, quando di mezzo
c’erano
Lindsay e Seung-Hyun; del resto se uno di quei ragazzi che aveva sempre
creduto di poter sfiorare solo in sogno si trovava lì, non
era
di certo grazie a sé stessa.
«Sta
facendo la
cosa giusta.» puntualizzò celere, avvertendo lo
stomaco
attorcigliarsi. Si sentiva così in colpa per averla trattata
male da sentirsi in dovere di difenderla.
«Dillo
a
Seung-Hyun… Quando crescerà e si
accorgerà di
quanto tempo ha sprecato, se ne pentirà.»
sbottò
caustico, massaggiandosi le labbra su cui svettava un cerotto delle
Super chicche
–perché Ginko aveva solo quelli e Dio solo
sapeva quanto tempo le fosse costato perché
quell’idiota
non se lo togliesse, manco avesse i paparazzi in casa-.
«È
per
questo che vi siete picchiati?» quando non udì
risposta,
proseguì «Siete due bambini. La violenza non
risolve le
cose.»
«Grazie
Gandhi, lo
terrò a mente per la prossima volta.»
«Sono
seria, Ji
Yong…» sbuffò stanca, voltandosi verso
di lui,
scontrandosi con il suo profilo delicato.
«Una
scazzottata
ogni tanto fa bene. Tra noi uomini funziona così…
E poi
America non c’entrava più da un
po’.»
confessò, sorprendendola. Fu come se GD le stesse
permettendo di
soggiornare nel suo cervello, a patto che si togliesse le scarpe e non
mettesse troppo in disordine.
Ginko
si contenne,
morse un dito pur di trattenere i suoi isterismi da ragazzina,
ricordandosi che per quella notte stava avendo a che fare con Kwon Ji
Yong e non G-Dragon e avvenimenti di tale portata, andavano preservati
con cura quasi maniacale «Che intendi?».
«Le
cose non
andavano bene già da un po’, ma abbiamo preferito
far
finta di nulla. Sostiene che sono cambiato e la sai una
cosa?»
rise un poco, coprendosi gli occhi con il braccio «Seung-Hyun
ha
ragione, forse non mi dispiace essere diventato così. La
sofferenza, il dolore… Sembrano sfiorarti meno, se non li
lasci
avvicinare.»
«Spesso
mi
chiedo se ti ascolti quando parli. Non potrai schivarli per sempre,
prima o poi ne verrai sommerso e a quel punto che farai?»
«Annegherò.»
Sbuffò
«Sono seria.»
Un
movimento le fece
comprendere che si era voltato verso di lei, poteva sentire il suo
sguardo carezzarle minuziosamente ogni vertebra esposta
«Credo
sia già successo, a dire il vero… Le parole di
Seung-Hyun
mi hanno colpito più di quanto avrei potuto immaginare.
È
convinto che mi sia intromesso solo per i miei interessi e per quanto
sia vero che ho iniziato tutto per noia, la verità
è che
davvero quei due stanno bene assieme, io l’ho solo
aiutato a capirlo. Ma le cose mi sono sfuggite di mano, sono sfuggite a
tutti…»
Ginko non seppe se quel "tutti" fosse riferito anche
al loro stupido triangolo da film di serie Z, fatto stava che non
riuscì a proferire parole, ancora sorpresa da quel fiume che
Ji
Yong sembrava non voler arginare «Non mi fa piacere vederlo
ridotto così, che idiota.»
«Dovresti
dirglielo. Che tieni a lui e a tutti gli altri… Gli farebbe
piacere.»
«Questo
non risolverebbe le cose.»
«Ma
sarebbe un
inizio. Ji Yong--» lo chiamò piano, facendosi
forza per
non sprofondare nel mondo dei sogni «Non puoi farcela da
solo,
devi lasciare che qualcuno ti aiuti. Siamo—Sono tuoi amici,
quando non ce la fai, puoi appoggiarti a loro.»
ingoiò
quel a me
che avrebbe solo rovinato tutto o peggio, avrebbe dato il via
a uno dei suoi stupidi giochetti. Perché per quanto si
sforzasse
di stargli alla larga, per quanto avesse deciso di farsi da
parte… Non poteva negare che in fondo, quel ragazzo,
continuava
ad esserle caro. Ed era un sentimento che non se n’era andato
via
nemmeno dopo aver visto quanto a pezzi fosse ridotto il suo animo.
Ji
Yong però non sembrava in vena di maratone sfracella neuroni
«Non credo lo siano ancora.»
Ginko
si arrese alla
seconda evidenza di quella notte, e forse anche la più
difficile
da affrontare: il momento delle confessioni era arrivato anche per lei.
Ji Yong si stava aprendo, impacciatamente e mantenendo sempre una buona
dose di cripticità che vorrebbe fargli ingoiare, ma almeno
ci
stava provando. E se voleva aiutarlo, doveva essere completamente
sincera.
Prese
un respiro e gettò all’aria qualsiasi remora.
«Tu
mi piacevi sul
serio» calcò con forza su quel passato, cercando
di
mantenere le distanze «C’era qualcosa in te, un
carisma che
gli altri—Non lo so, eri come una calamita. Il modo in cui
parlavi, il tuo modo di porti, il tuo atteggiamento discreto e mai
sopra le righe... Era impossibile restare indifferenti»
arricciò
i piedi nella coperta sentendosi tremendamente stupida
«Durante
le interviste guardavo solo te, quello che facevi mentre gli altri
parlavano--»
«È
inquietante, lo sai?» la punzecchiò
«È ancora
più inquietante dell’altarino
nell’armadio.»
Ridacchiò
scioccamente «Lo so. Ero una fan devota, che vuoi
farci?»
«Eri?»
«Lo
sono ancora,
solo--» osservò due gocce scivolare e quando
quella che
aveva puntato perse miseramente, si decise a parlare
«Conoscervi
mi ha fatto capire che c’è molto altro, dietro
quello che
date a vedere e non riesco più a guardarvi con gli stessi
occhi
di prima. Prendi te, ad esempio… Sei carismatico e-E tutto,
però…»
«Però?»
giunse dopo qualche istante, quasi gli costasse fatica sapere la
risposta.
«Hai
paura» sfiatò piano, stringendo le mani
«Hai
così tanta paura che metti un muro tra te e tutti gli altri
e
non appena qualcuno prova a passare oltre, lo respingi e lo fai con una
tale cattiveria da non renderti conto che così finisci col
ferire anche te stesso. Il fatto è che poi noi ci
riprendiamo ma
tu… Tu te ne resti lì, diffidente, e sprechi un
mucchio
di energie a non farci entrare di nuovo perché se ce
l’abbiamo fatta una volta, potrebbe essercene pure una
seconda. E
la cosa ti spaventa, ti spaventa a morte--»
«Tu
e Seung-Hyun
vi siete messi d’accordo?» il suo tono di voce non
sembrava
stizzito, né infastidito… Pareva più
quello di un
bullo che prendeva coscienza delle proprie infamie, facendo i conti con
il senso di colpa.
«Avanti,
negalo» sfruttò questa sua docilità,
alzò la
voce di qualche ottava e quando tutto ciò che udì
fu lo
struscio dei piedi sulle lenzuola, continuò «Sei
rimasto
scottato una volta e credi che se lasci avvicinare qualcun altro,
finirai
col soffrire ancora e--»
«Non
è stata una volta.»
«Una,
cento, non
cambia nulla! Il punto è che la tua stessa paura, ce
l’hanno anche gli altri e—Aaaah, certe volte sei
identico a
Lindsay!» le era uscito col cuore e un pizzico di
frustrazione,
memore di tutti quei pomeriggi trascorsi a inculcare
all’amica
quanto l’amore fosse cosa buona e giusta «Vi siete
aggrappati così tanto al vostro dolore da non accorgervi che
c’è gente disposta a starvi accanto, a volervi
bene e che
farebbe di tutto per non farvi del male. Il fatto è che
però vi fa comodo starvene lì a vittimizzarvi,
perché così se dovesse succedere qualcosa
sarebbero gli
altri a sentirsi in colpa--»
«Quindi
stai dando ragione a Seung-Hyun.»
Sospirò,
decisa
a non lasciarsi fregare dai suoi soliti trip «Ji Yong, io non
lo
so se ha ragione Seung-Hyun o se ce l’hai tu, forse non ce
l’ha nessuno o forse entrambi. Forse è vero che
sei
cambiato e che non ti dispiace essere così, quello che
voglio
dire è: se continui ad allontanarci, resterai solo e la
solitudine fa più male della sofferenza che portano gli
altri.
Ricordati che nessun uomo è un isola.»
«Questa
l’hai rubata a Bon
Jovi» c’era una punta di colore
nella sua voce fino ad ora strascicata e Ginko non poté che
bearcisi. Fu come balsano per le orecchie che non ne potevano
più della pioggia picchiettante sui vetri o dei piedi che
strusciavano sulle coperte… A quel punto giunse la sua voce,
mite «Lasciarsi aiutare… Come se fosse
facile.»
soffocò uno sbadiglio.
Ginko
si mise supina,
guardando il soffitto, le mani a torturarsi sul ventre
«Guarda
che non lo è per nessuno» come non lo era stato
per lei
farlo entrare in casa e stare a vedere come sarebbe andate le cose
«Domani torni a casa e gli chiedi scusa.»
«Mica
c’è solo lui.»
«Un
passo alla
volta» sospirò, chiudendo gli occhi «Se
fossimo
stati tutti più sinceri, questo casino non sarebbe mai
successo.» il pensiero volò inevitabilmente a
Lindsay e
Seung-Hyun, con la speranza che non si fossero uccisi senza almeno
prima chiarirsi; e a Seung-Ri, soprattutto a lui. Se solo fosse stata
sincera fin dall’inizio, se solo non si fosse lasciata
trascinare
dagli eventi, dai sentimenti o da quel senso di rivalsa
perché
“Morto un Ji
Yong, posso farmene un altro”, si sarebbe
potuta evitare un sacco di sofferenza. Il fatto era che venir
desiderata da qualcuno che aveva sempre immaginato irraggiungibile,
l'aveva completamente stravolta, facendole scollegare la ragione.
Aveva
agito di impulsi e cuore, era inevitabile che presto o tardi sarebbero
giunti a una catastrofe...
E
Ji Yong
sembrò leggerle nel pensiero perché dal nulla,
quando
credette che si fosse finalmente appisolato, la sua voce
serpeggiò nel silenzio «Non volevo rovinare le
cose tra te
e Ri» lo guardò di sottecchi «Quando ti
ho
rifiutata, ero convinto che non avresti desistito. Nessuna lo fa mai.
Tornano sempre, tutte. Ma tu no. Tu hai seguito il mio consiglio
e—E avevano ragione, anche se non volevo ammetterlo:
è stato come se un giocattolo mi fosse stato strappato di
mano e quando l’ho capito, era ormai troppo tardi.»
«Capito
cosa?»
«Che
non sei
come le altre.» le parve sul punto di dirle altro ma le sua
confessione si interruppe con un mugugno incomprensibile.
Ginko
però era
stanca delle fughe e dei sotterfugi, di questo costante rincorrersi
senza mai fermarsi per vedere quanta distanza avevano lasciato
l’uno dall’altra. Per questo si voltò,
guardandolo
finalmente in volto e vi lesse un mucchio di cose in quegli occhi
adombrati, simili a quelli di un gatto che era appena stato preso a
calci.
«Ji
Yong…
Perché sei venuto qui?» la domanda
solcò il lampo
appena caduto, sfumando nel silenziò che seguì.
«Per
portarti il libro, te l’ho già detto.»
«E
che altro?»
Avvertì
i suoi
piedi strisciare e immediatamente si arrese alla terza evidenza: presto
o tardi, le avrebbe chiesto qualcosa che andava al di là del
semplice “Non
è che mi faresti una tazza di the?”
perché per quanto stesse da cani, tipi come lui
erano abituati a
soffocare tutto con una bella scopata.
Si
nascondevano i problemi tra i vestiti e ce li si rimetteva addosso una
volta finito.
Ji
Yong però le
aveva sfiorato la mano. Impercettibilmente, per un secondo talmente
veloce che quasi le parve di esserselo immaginato. Allora
gliel’aveva stretta lei, perché se aspettava
quello
probabilmente le cose non si sarebbero mai smosse. Ed effettivamente
non si smossero, perché si limitò a guardarla con
occhi
pesti di sonno.
Va bene così,
lo pensò piano, attenta a non farsi leggere
un’altra
volta. Probabilmente certe cose erano destinate a non cambiare mai:
nonostante le parole sprecate, i consigli dati, le confessioni
sussurrate in una stanza circondata dalla pioggia, quei due avrebbero
finito col commettere un’irreparabile sciocchezza.
Ma
le parole di Ji
Yong giunsero lente
«Ricordi quando ti ho detto che non dovevi perdere il tuo
tempo
con me?» le aveva a un certo punto chiesto, rapendola dal
flusso
di pensieri che non l’aveva abbandonata un attimo.
«Mh?»
Ji
Yong chiuse gli occhi, sul punto di addormentarsi «Beh, ho
cambiato idea. Se vuoi puoi perderlo…»
***********
Seung-Hyun
aveva sempre
pensato che avrebbe incontrato la donna della sua vita in un
locale.
Uno
di quelli chic che si vedevano nei telefilm alla Gossip Girl, con tutto
quello sfarzo e quel lusso che dopo un po' dava la nausea. Sarebbe
stato lì con i suoi amici più intimi a
sorseggiare vino, birra, cocktail dal dubbio gusto e lei sarebbe stata
a pochi passi, con le labbra pitturate di rosso impegnate a lasciarsi
bagnare da un Cosmopolitan.
Gli sguardi si sarebbero incrociati e lei
si sarebbe arresa per prima, imbarazzata, sorridendo però
alla
cannuccia che lenta avrebbe fatto girare nel bicchiere.
Sarebbe
stato un
tipico incontro tra due sconosciuti e gli sarebbe venuto tutto facile e
anche dovuto, solo perché Choi Seung-Hyun.
Ci
aveva creduto per
un bel po’, cullato dal fatto che la sua vita ruotava intorno
a
certi ambienti e tipologie di donne, quelle che sapevano come muoversi
e che avevano a disposizione un arsenale di armi di seduzione capaci di
stendere anche il playboy più impenitente.
Fino
a che non era arrivata Lindsay Moore.
Al
Tribeca -che non
era esattamente il Pour
Vous di Los Angeles-, vestita da poliziotta
porno, un trucco da Carnevale di Rio e con l’aria di poter
far
esplodere l’intero locale con una sola parola o addirittura
di
essere capitata lì per sbaglio. Ed era sì a pochi
passi
ma il Cosmopolitan non c’era, così come non
c’era
stato alcun gioco di sguardi o sorrisi imbarazzati.
Lei
nemmeno li aveva notati.
Era
stato tutto
così naturale e improvviso, che solo adesso si stava
rendendo
conto di quanto l’incontro con Lindsay fosse stato
assolutamente
perfetto: si erano mostrati per gli idioti che erano, stressando i loro
difetti pur di tenersi a debita distanza e inevitabilmente avevano
finito con l’amarsi. E se avesse saputo che tutto quello
sarebbe
finito prima ancora di averci capito qualcosa, Seung-Hyun avrebbe fatto
più attenzione a tutti quei particolari che si tendevano a
dare
per scontati: il modo in cui Lindsay attorcigliava le coperte fra le
gambe mentre dormiva, il suono della sua risata, il luccichio nei suoi
occhi quando beveva troppo, il suo proteggersi con qualsiasi cosa le
capitasse sotto mano quando parlava di sé, i suoi sorrisi
appena
accennati quando gli sguardi si incrociavano, il suo starsene in
silenzio in auto durante un lungo viaggio, il suo tentare in tutti i
modi di rendersi invisibile seppur così appariscente, la sua
sfrontatezza e l’ironia con cui infarciva ogni discorso,
tutti
quei meccanismi di difesa che aveva faticosamente tentato di abbattere,
divertendocisi e frustrandosi…
Gli
sarebbe mancato
tutto quello, proprio come gli sarebbe mancata la sua
scontrosità che faceva da scorza a quella bellezza che aveva
regalato solo a lui e non parlava della sola bellezza fisica, di quella
ce n’era in abbondanza pure a Seul, era proprio lei ad
esserlo.
Le sue fragilità, le sue paure e lo sforzo con cui cercava
di
soffocarle indossando una maschera di menefreghismo che, lo
sperò con tutto sé stesso, avrebbe finalmente
chiuso in
un cassetto.
Un
moto di gelosia lo
pervase al pensiero che qualcun altro prima o poi avrebbe goduto di
tutto quello senza doverci impiegare le nove camicie che
ci aveva messo lui, ma il pensiero che lui fosse stato il primo in
assoluto, in un certo senso lo tranquillizzò o quantomeno
risanò il suo ego un po’ abbattuto.
Si
domandò se
anche lei stesse facendo gli stessi pensieri, seduta sul balcone a
fumare, chiedendosi magari in quanto tempo sarebbe stata sostituita.
La
schiena di Lindsay
sarebbe stato uno dei primi ricordi che lo avrebbe svegliato la
mattina, quando lei non ci sarebbe stata più. Stretta,
distante,
appoggiata contro la vetrata, con indosso una delle sue tante felpe
impregnate del suo profumo. Sarebbe stato un pensiero fra i tanti che
avrebbe popolato la mente non appena questa avesse iniziato a carburare
e lo avrebbe accompagnato per tutta la giornata, standosene silenzioso
in un angolo e poi, prepotente, sarebbe tornato a fargli compagnia
prima di addormentarsi o quando qualcosa gliel’avrebbe
ricordata
perché non c’era posto a Seul che non gliela
facesse
tornare in mente.
La
vide stiracchiarsi,
tornando a giocherellare con i capelli. Aveva pianto quasi tutta la
notte e lui si era chiesto se fosse dovuto a loro due o ai suoi o
all’imminente partenza o a tutto. Aveva però
taciuto,
tenendola stretta a sé, per nulla infastidito da quello
sfogo
che sembrava non placarsi mai. Fino a che non si era addormentata e lui
si era detto che quest’immagine, ancora marchiata nella
mente,
poteva cancellare quelle settimane di sofferenza. Non del tutto certo,
ma un po’… Quel tanto che bastava per continuare
ad
amarla, nonostante tutto.
Si
era poi chiesto
quanto ci avrebbe messo a dimenticarsela e al pensiero che nemmeno
tutta una vita gli sarebbe bastata, si mise a sedere. Adagiò
tutti i pensieri fra le lenzuola, deciso per una volta a godersi quel
poco di buono che gli era stato concesso: Lindsay lo amava e avrebbe
continuato a farlo fino al giorno della partenza.
Al
dopo, ci avrebbe pensato poi.
«Come
va?»
La
vide sobbalzare
mentre i suoi occhi si riempivano di sorpresa «Nh, ho mal di
testa.» sfiatò, tornando a guardare davanti a
sé.
«E
allora non dovresti fumare.» ma quella sollevò le
spalle, continuando come se non avesse detto nulla.
Le
si sedette
affianco, rimirando lo spettacolo di grattacieli che si
potevano scorgere da quel punto «Dovresti metterci
qualcosa.» mormorò sfiorandogli l’occhio
su cui
svettava un bel livido, a monito che presto o tardi avrebbe dovuto
affrontare quel demente di Ji Yong.
Cristo, Ji Yong.
Preso
com’era
dai suoi problemi con Lindsay, aveva accartocciato la lite con
l’amico in un angolo, magari con la speranza che tutto si
risolvesse con un’alzata di spalle e una bella bevuta o con
un gelato perché loro, le faccende spinose, le gestivano
così, come due mocciosi che non comprendevano appieno il
dolore
che recavano agli altri coi propri gesti ed erano convinti che
scambiarsi qualcosa in segno di pace bastasse.
Ma
ormai erano
cresciuti e certe frasi pronunciate con cattiveria, certi colpi
assestati con reale intento di far del male, non si potevano
più
superare con un regalo.
«Certo
che
glielo hai spaccato proprio bene il labbro» le parole di
Lindsay
lo riportarono alla realtà, scatenando in lui un senso di
colpa
che raramente lo aveva pervaso: se Lindsay era lì, con lui,
a
mettersi in gioco, lo doveva solo a Ji Yong. Che aveva bisogno del suo
aiuto per uscire da tutto quel macello in cui si era infilato da solo,
troppo preoccupato a non soffrire e che lui aveva allontanato
perché incazzato col mondo e, a dirla tutta, anche un
po’
stufo di fare da fratello maggiore, padre e zio «Ma la
prossima
volta, accanisciti un po’ di più.»
concluse,
facendolo scoppiare a ridere.
«Lo
odi proprio, eh?»
Scosse
la nuca
«Mi da solo fastidio che riesca a capire tutto quello che
penso e
che tenti in tutti i modi di aiutarci, anche se i suoi modi fanno
schifo» lo guardò seria, doveva aver preso una
tegola in
testa se si ostinava a fargli vedere quanto buono fosse Gd
«Seung-Hyun, dovresti chiedergli scusa»
grugnì e lei
arcuò un sopracciglio «Se non fosse stato per lui,
non
sarei qui.» tagliò corto, mettendosi a braccia
conserte.
Seung-Hyun
la
scrutò, studiò le sue mani intente a torturarsi e
capitolò. Forse le cose non sarebbero cambiate:
lei
avrebbe sempre mantenuto quel velo di diffidenza che lo avrebbe tenuto
a debita distanza, costringendolo a frenare i propri impulsi. Cose
banali come: prenderla per mano in pubblico, baciarla quando
più
gli andava, dirle frasi sdolcinate senza timore che gli vomitasse sulle
scarpe. Niente di tutto quello.
Lin
però gli aveva preso la
mano, posandosela sul ventre, giocherellando con le sue dita e in quel
momento lui avrebbe dovuto concentrarsi sul fatto che, per la prima
volta dacché avevano cominciato tutto, fosse stata lei a
fare un
passo verso di lui; una sciocchezza, certo, ma lo aveva fatto. Sarebbe
anche dovuto restare senza fiato di fronte ai suoi occhi traboccanti di
affetto o il sorriso imbarazzato o le guance bordeaux…
«Ma
che cazzo ti prende?!»
E
invece
scoppiò a ridere. Rise talmente tanto che si
ritrovò a
tenersi lo stomaco per il dolore mentre Lin lo fissava come se fosse
scemo.
«No
scusa è che… Mi fai tenerezza.»
«E
tu sei un cretino.»
«Intendevo
in senso buono. Sei tutta… Imbarazzata,
ecco.»
Lin
agitò le
mani, nervosa «Per me è tutto nuovo, che ti credi?
Non ci
sono mica abituata a ‘ste cose qui.»
«’Ste
cose
qui…» si sistemò, riprendendole la mano
«Certe cose vengono spontanee» ora fu lei a
grugnire e
Seung-Hyun si ritrovò a sorriderle, sincero «Ma a
me vai
bene così.» perché non gli interessava
prenderla
per mano mentre passeggiavano o baciarla in pubblico o abbracciarla
quando più gli andava… Erano tutte cose che non
aveva
avuto fino ad ora e aveva vissuto bene lo stesso. Con Lin si stava bene
proprio perché poteva essere sé stesso senza
timore di venire etichettato in qualche maniera e certe persone, per
quanto ne fosse pieno il mondo, erano difficili da trovare e ancora
più complicato era tenersele strette.
Tutto
questo
però non glielo disse, anche perché Lin lo stava
baciando
piano…
«Aw,
che teneri! Questa foto la incornicerò!»
…
Ma avrebbe
dovuto saperlo che certe bellezze erano destinate a non durare quando
Dong-Wook si comportava da stronzo, facendo il paparazzo della
situazione.
«Che
ci fai qui?» domandò Seung-Hyun rifilandogli
un’occhiata al vetriolo.
«Ci
abito.»
Roteò
gli occhi «No, intendo—Qui, sul balcone.»
«C’era
la
porta aperta e volevo assicurarmi che non vi foste uccisi»
Lindsay ghignò, Seung-Hyun voleva buttarsi dal balcone
«Volete che vi lasci un po’ soli?» si
tolse gli
occhiali da sole e il suo sorriso sghembo si ampliò, mentre
faceva dondolare un sacchetto di brioche «E io che pensavo di
mangiare tutti assieme mentre mi raccontate tutto. E voglio i
particolari, mi raccomando!» aggiunse come
una scolaretta affamata di gossip.
Lindsay
storse il naso «Io me ne torno a casa.»
«E
la brioche?»
«La
mangio mentre me ne torno a casa.»
Dong-Wook
scoppiò a ridere «Scherzavo, scherzavo, non voglio
sapere
nulla» sventolò una mano «Ci limiteremo
a guardare
per l’ultima volta l’album di foto con tutte le tue
cadute» gli fece un occhiolino e Seung-Hyun non ebbe nemmeno
il
tempo di rifilargli un bel medio o un «’Fanculo.»
perché quell’idiota, si stava
già allontanando
«Vi aspetto di là, vado a preparare i fiori
d’arancio.»
«Dong-Wook!»
«La
marmellata d’arancia, la marmellata!»
«Spero
ci si
strozzi con la marmellata» borbottò caustico
mentre si
trascinava in camera, raccattando i vestiti «Senti, ti va di
fare qualcosa oggi?»
ma Lindsay rimase lì, immobile, guardandolo come se fosse
scemo
«Beh, che c’è?»
Gli
disse solo
«E' meglio se torni a casa.» e lui comprese che
quel
pomeriggio lo avrebbero passato a comprare birre e a trovare un paio di
scuse decenti per farsi perdonare.
****************
Era la prima
volta che si
svegliava nel letto di una ragazza senza farci alcunché.
Niente
sesso, niente baci, niente abbracci. Si erano stretti la mano, come due
mocciosi dell’asilo nido -tanto che una volta sveglio si era
chiesto se quel leggero tocco non fosse stato frutto della propria
immaginazione- e aveva dormito come non gli succedeva da tempo.
In
pace. Con sé
stesso, col mondo, perfino con la pioggia che fastidiosamente aveva
picchiettato incessante sulla finestra tutta notte e che, solitamente,
lo teneva sveglio coi propri pensieri e mostri, quelli che non riusciva
a lasciar liberi di scorrazzare nemmeno quando toglieva loro il
guinzaglio.
Ora
che era sveglio in
un futon dalle coperte sfatte, fissando quella serie di orripilanti
lanterne colorante legate ad un filo in un susseguirsi di onde, con la
mano adagiata sull’altra porzione vuota e fredda, tutto
ciò che era stato detto e fatto tornò con
prepotenza
inaudita…
«Ricordi
quando ti ho detto che non dovevi perdere il tuo tempo con me?
Beh, ho cambiato
idea. Se vuoi puoi perderlo…»
Ancora
stentava a credere di averlo detto sul serio.
Con
sincerità,
per di più. E non sapeva nemmeno se lei gli avesse risposto
perché era crollato come una pera cotta.
Che.
Colossale. Idiota.
Si
era infilato in un bel guaio perché quando certe frasi
venivano pronunciate, non ce le si poteva rimangiare tantomeno si
poteva far finta di niente. Avrebbe dovuto chiarire la propria
posizione perché, insomma, non era mica arrivato al punto di
volersi
fidanzare con Ginko o volerla sposare o volere dei bambini con lei,
certe decisioni non si prendevano nell'arco di una notte, solo ai
ragazzini in preda alla prima cotta succedeva.
Però…
Permetterle di entrare nei suoi spazi, anche solo
come amica… Quello glielo avrebbe concesso.
Vederla
sistemarsi fra
i propri casini, magari vederla riordinare conscio che gli avrebbe
sempre chiesto «Questo
dove va messo?», perché era
troppo buona per permettersi di scombussolarlo con la propria euforia,
non sarebbe stato poi così male.
Perché
era
buona, di quel buono che non dava fastidio e non faceva venire la
nausea proprio perché genuino. Il suo prodigarsi per gli
altri con fare
da crocerossina, senza chiedere alcunché in
cambio…
Quella notte, ad esempio, avrebbe potuto chiedergli una scopata con gli
interessi solo per avergli concesso di starsene lì, da lei,
infestando la sua privacy e invece niente, si era accontentata di una
chiacchierata cuore a cuore.
Perché
Ginko
sapeva preservare certi momenti, ne coglieva la bellezza nella loro
semplicità e se li faceva bastare.
Il
fatto era che Gd
era sempre stato convinto di essere un’isola, tipo
Ibizia o Formentera, un posto in cui sollazzarsi e divertirsi.
Un’isola figa, insomma. Poi qualcosa si era spezzato e,
rendendosene conto ma senza far nulla per evitarlo, si era trasformato
in Round Island.
Avete presente, no? Quell’isoletta nascosta
nella parte nord della mappa di Final
Fantasy VII che si poteva
raggiungere solo con un Chocobo
d’oro, praticamente
un’impresa ostica e da rottura di coglioni che lui, quando
era
avvezzo ai videogames, aveva gettato alle ortiche dando forfait ed era
un po’ quello che era successo nella realtà: chi
mai
avrebbe sprecato energie, tempo e voglia per un’isoletta del
cazzo? Nei videogiochi potevi usare i trucchi, fregare il sistema ma
nella realtà le cose erano decisamente più
complicate e
se decidevi di lasciar perdere, non ci saresti potuto tornare su quando
la voglia fosse ripassata a trovarti.
Così
si era
abituato alla solitudine. Ji Yong ci si era crogiolato, aveva imparato
a conviverci e quando accadeva che questa lo sopraffacesse, si
ricordava del perché si fosse barricato lì e
tutto
passava. Che senso aveva circondarsi di gente? Prima o poi tutti lo
avrebbero abbandonato perché le persone facevano
così: ti
rendevano felice ma proprio perché essere umani, erano anche
capaci di renderti infelice.
Tipo
Seung-Hyun.
Quello
che gli aveva
detto in un impeto d’ira che mai aveva usato con lui, lo
aveva
investito in pieno. Era stato come fare un frontale con la
realtà, uscirne indenni e starsene lì a
rimpiangere di
non essere morti. Aveva realizzato che essere un’isola, non
era
poi così esaltante: se si era da soli e ci si lasciava
andare,
si rischiava di uscirne pazzi e perdere le redini della propria vita.
Motivo
per cui nemmeno
essere in due sarebbe servito e lo realizzò quando
piombò
in cucina, osservando la schiena stretta di Ginko, intenta a farsi del
the. Se le avesse permesso di entrare e per qualsiasi ragione lei fosse
crollata, sarebbero stati punto a capo. Sarebbe rimasto solo di nuovo
e,
anzi, avrebbe dovuto sobbarcarsi anche dei suoi problemi e
ciò
richiedeva una buona dose d’impegno, coraggio e buona
volontà e lui non era così sicura di potercela
fare…
«Ben
svegliato!»
…
Non fino a che non avrebbe imparato a prendersi cura di sé.
«Ti
va un po’ di the?»
«No…»
si sedette al bancone, guardandola trafficare con le bustine come
un’ape impazzita. Quella pure di prima mattina sprizzava
gioia da
tutti i pori, in netto contrasto con lui che di solito si limitava a
grugnire ed emanava sonno a catinelle.
«Dormito
bene?» annuì «Ottimo! E quindi? Ora che
hai
intenzione di fare?» glielo chiese a bruciapelo, senza un
minimo
di preparazione o anche solo introducendo l’argomento a
piccoli
passi. Se ne stava lì, ad immergere la bustina
nell’acqua
bollente, allungandogli confezioni di biscotti e brioche che lui
rifiutava con una stortura di naso, e lo guardava con quel suo sorriso
delicato, invogliandolo a
parlare.
A
Ji Yong parve subito
chiaro che quella sarebbe stata la maratona ad ostacoli più
difficile della sua vita semplicemente perché, per una
volta,
stava facendo i conti con sé stesso. Si sarebbe dovuto
aprire
completamente, lasciarla entrare e vedere se avrebbe comunque
soggiornato in mezzo a tutto quel casino senza lamentarsene.
Poggiò
il mento sulla mano, guardandola annoiata «Mettiamo le cose
in
chiaro: io non ti amo, tantomeno mi piaci. Non in quel senso,
almeno…» aveva esordito così, senza
tanti giri di
parole o calibrando la delicatezza. E infatti eccoli lì,
gli occhi scuri di Ginko farsi larghi per la sorpresa mentre il
biscotto inzuppato colava a picco nel the.
«Ji
Yong, ma io--»
«No,
fammi finire...» la
interruppe brusco, inumidendosi le labbra «Ora come ora non ho
il tempo per occuparmi di qualcuno, prima devo sbrigare delle cose...»
«Delle cose.»
«Sì,
cose. Cose mie, per me... Se devo stare con qualcuno, voglio prima
sistemare tutti i casini che mi sto trascinando dietro» sollevò
il capo, cercando i suoi occhi scuri che lo scrutavano confusi «Il fatto
è che--Non lo so, c’è qualcosa in
te… Come se valessi la pena, capisci che intendo?»
«Veramente
no.»
Sospirò
«Sto cercando di dire che ieri sera ero sincero, ma non mi
sono
ancora rincoglionito come Seung-Hyun, ok?»
sciorinò senza
nemmeno pensarci su, arcuando un sopracciglio di fronte alle sue labbra
tremolanti «Con te sto bene ma ho bisogno di capire un
po’
di cose—Che ti prende?!»
Ginko
scoppiò a
ridere, nascondendo il volto fra le mani mentre si piegava sul tavolo
«Sei tutto Lindsay, lo sai?» ammise fra le lacrime,
cercando di darsi un contegno «Comunque ho capito. Ma io
intendevo: cos’hai intenzione di fare con
Seung-Hyun?»
“Ah…”
«Ah,
lui…» si massaggiò il collo
«Dovresti mettere dei soggetti nelle domande.»
«E
tu dovresti
essere un po’ più delicato» lo
rimbeccò,
anche se il sorriso persisteva «Allora, che farai?»
Sollevò
le spalle «Gli comprerò un gelato.»
«Un—Ma
quanti anni avete?!»
«Noi
le
risolviamo così le cose.» ed era vero, era
l’unico
modo che conoscevano per non sembrare due perfetti idioti. Una pacca
sulla spalla, une bevuta da sfracella neuroni e tutto come prima.
«Io
e Lindsay ci
facevamo il the» ammise candida, grattandosi il naso per
l’imbarazzo «Veramente glielo facevo io, per farmi
perdonare. Lei però si confidava…» si
strinse nelle
spalle «Stare con lei mi faceva sentire importante, sai?
Insomma,
quando una ragazza come lei decide di farti entrare nella propria vita
significa che in fondo qualcosa vali, no? Un po’ come con
te…» gli sorrise fioca «Ji
Yong… Non dobbiamo
per forza correre, mh? Se io decidessi di aiutarti, non sarebbe di
sicuro per diventare la tua fidanzata. Oddio sarebbe una figata assurda
però--» quella attaccò a parlare e lui,
un
po’ per farla tacere e un po’ perché si
divertiva un
mondo a farle rischiare la morte, posò la propria mano sulla
sua
«Va bene essere amici.» concluse con voce
cavernosa,
sbiancando.
«Amici?»
«Certo,
amici!» arcuò un sopracciglio «Non
crederai mica che
io sia come una delle tante sgallettate che ti porti a letto»
proruppe secca, agitando l’indice «E comunque
abbiamo tempo
per parlarne, ora dobbiamo occuparci di Seung-Hyun»
batté
le mani «Allora, gelato, giusto?» e prima che
fluttuasse
via, udì il suo sognante «Kwon Ji Yong che dice
che valgo
qualcosa, incredibile!» che un po’ lo fece
sorridere.
Perché
era vero, Ginko non era come le altre e il fatto che si accontentasse
di restargli amica, era una prova più che sufficiente.
Sospirò
e comprese che
quel pomeriggio lo avrebbero passato a comprare gelato e a trovare un
paio di scuse decenti per farsi perdonare.
*******************
«A
che
pensi?» Lin guardò la schiena ricurva di Seung-Hyun
mentre
si apprestava a salire le scale che lo avrebbero condotto
all’Inferno,
come lo aveva amorevolmente rinominato per tutto il
viaggio in auto.
Stretto
nel giaccone,
col borsone in spalla e l’aria incerta, Seung-Hyun sembrava
aver
perso il mordente con cui l’aveva affrontata quella notte e
lo
sguardo che le rivolse, la fece fermare a pochi gradini
dall’inizio della seconda rampa.
Fu
un «Credi che
durerebbe tra noi, nonostante la distanza?» che la indusse a
ingoiare quella risata sguaiata che stava per soffocarla
perché
quella era la domanda più stupida e al contempo complicata
che
qualcuno le avesse mai posto. Se gliela faceva con quegli occhi, poi,
diventava ancora tutto più ostico.
Lindsay
non rispose,
guardandolo assorta. Sollevò le spalle e scosse la nuca,
come a
dirgli che non aveva pensato a tale eventualità
né voleva
farlo ora, sulle scale della sua palazzina. Seung-Hyun se lo fece
andare bene, forse perché nemmeno lui voleva sapere quali
fossero i suoi reali pensieri: se gli avesse detto sì, ci
sarebbe stata la sofferenza derivante dalla lontananza e quella
costante sensazione di incertezza scaturita dal fatto che,
inevitabilmente, avrebbero finito col costruirsi una vita di cui non
avrebbero più potuto far parte; d’altro canto, un
secco no
avrebbe indotto a pensare che non reputasse il loro
rapporto così
sincero o meritevole da concedersi almeno una possibilità.
La
verità era che certi amori, andavano lasciati lì
dov’erano.
Lindsay
ammise a
sé stessa, non senza fatica, che se mai avessero
deciso di trascinarsi dietro la loro storia, non sarebbe durata
perché
avrebbero finito con il logorarsi: quel che di bello avevano costruito,
quel che di buono si erano fatti, avrebbe perso di significato e a
lungo andare, con gli impegni che si intensificavano, con le amicizie
che si allargavano, con la vita che semplicemente prendeva una piega
nuova bisognosa di cure e attenzioni, avrebbero finito con
l’odiarsi, col rinfacciarsi qualsiasi cosa, magari perfino
maledicendo il giorno in cui avevano deciso di provarci, giungendo ad
un’ineluttabile rottura.
Forse
era
catastrofica, forse era pessimista ma al pensiero di finire col
detestare quell’unico che tra tutti si era dimostrato
meritevole,
avvertiva le viscere contorcersi.
Preferiva
andarsene
con un buon ricordo di lui, custodirlo gelosamente e far fronte alle
difficoltà con quella consapevolezza che le aveva fatto
nascere
piano piano: che ci sarebbe stata gente disposta a tenerla con
sé e addirittura ci avrebbe lottato, pessimo carattere o
meno,
perché in fondo qualcosa aveva da darlo anche lei e qualcuno
disposto ad accettare quel poco, ci sarebbe stato.
O,
più semplicemente ancora, la gente se ne andava ma ce n'era
tanta che restava.
Forse
avrebbe dovuto
dirgli tutto quello, certa che gli avrebbe fatto piacere sapere quanto
importante fosse ma Seung-Hyun aveva già suonato il
campanello e il viso scazzato di Ji Yong, apparso oltre la soglia, le
ricordò che in quel
momento c’erano cose più importanti da sistemare:
la loro
amicizia, ad esempio, pendente su di un filo ormai liso.
Perché
lei se ne sarebbe andata, ma Ji Yong sarebbe rimasto.
Per
poco non rise di
fronte al cerotto delle Super
Chicche e se non lo fece, fu solo
perché Ginko oltre le sue spalle si agitava come una molla
impazzata mimando un «Ti
prego no!» con le labbra;
sospirò sollevata nel ritrovarsela di fronte, ciò
significava che le cose tra lei e quel demente si erano
finalmente sistemate.
Rimasero
a
fissarsi per un po’, studiandosi e Lindsay ebbe
l’impressione che presto si sarebbero ripresi a pugni ma
Daesung
dal salotto aveva urlato un esasperato «Abbracciatevi e
fatela
finita!» che distese un po’ la tensione. Gd aveva
eseguito
il suo ordine per primo…
«Non
me, lui, idiota!»
…
Fiondandosi sulla persona sbagliata, ovvio.
Ji
Yong aveva pensato
bene di avviluppare le sue gracili zampacce intorno a Lindsay che,
rigida peggio di una mummia, si limitava a incenerire tutti con lo
sguardo e stringere i pugni mentre quei beoti di Ginko e Seung-Hyun
ridevano. Ridevano come pazzi, seguiti a ruota da quell’altro
trio di deficienti impegnati a scommettere su quale arto Lindsay gli
avrebbe strappato per primo.
«Non
ti dispiace vero se mi spupazzo un po’ la tua fidanzata,
hyung?»
«Accomodati
pure.»
«Non
sono la fidanzata di nessuno!»
«Vedo
che sulla parte dello spupazzamento non ti fai problemi, mh?»
«Brutto--»
Ji Yong
continuava
imperterrito a starsene lì, con i suoi tentacoli
contaminandola con la propria idiozia. Se non lo picchiò fu
solo
perché, mentre gli altri cominciavano a fare casino per
dieci,
mormorò un «Oi, grazie…» che
le
ricordò che in fondo, se si trovava in quella casa, con
quegli
amici e con quel ragazzo,
un po’ lo doveva anche a lui. Lin gli
diede una pacca sulla spalla e quello scoppiò a ridere
«Ti
scongiuro, America, non cambiare mai.» aggiunse
prima di
allontanarsi, unendosi agli altri.
Lin
di sicuro non lo avrebbe fatto ma un pensiero la lasciò
lì, immobile...
«Ho
portato le birre.» annunciò Seung-Hyun posando il
sacchetto sul tavolo.
«Noi
abbiamo il gelato!» Ginko saltellò, andando a
prendere i cucchiai.
Semplicemente,
si
chiedeva se ci sarebbe stato un altro Seung-Hyun, a New York.
*****************
I
giorni erano trascorsi talmente veloci che quasi non le era parso di
averli vissuti.
Le
cene in famiglia,
le serate con Seung-Hyun, perfino le uscite con quel babbeo di Ji Yong
che continuava a comportarsi da stronzo decerebrato
–perché certe cose non cambiavano mai- parevano
frammenti
di immaginazione tanto il tempo era scorso inesorabile.
Si
lasciò
illuminare dalle luci colorate del Tribeca e salutò il
barista che, dietro
il bancone, le aveva mandato un orripilante bacio volante in segno di
addio.
Ricordava
ancora la
prima volta che le sue logore converse avevano posato i piedi sul
pavimento lindo del locale. Nessuna ansia, nessun timore, solo tanta
voglia di tornarsene a casa e infilarsi sotto le coperte –e
magari ficcarsi un floppy nel cervello che le facesse imparare
bene il coreano, un po’ come il kung fu in Matrix-;
così
come ricordava di aver adocchiato Ginko in mezzo ad una matassa di
divise scure, colpita dai suoi capelli rosso fuoco e il suo camminare
talmente veloce da sembrare un’ape impazzita.
Era
stata sgarbata e
un po’ nevrotica, non l’aveva fatta parlare nemmeno
per un
secondo e nel giro di un ombretto vistoso e un abito da poliziotta da
film porno, si era ritrovata a dimenarsi sul tavolo attorniata da
ballerine che lanciavano sorrisi e occhiolini –mentre lei
gettava
medi a chiunque tentasse di toccarle le gambe-.
Imbarazzante.
Imbarazzante e assurdo, così descriverebbe la sua prima
serata in un posto in cui, a poco a poco, aveva cominciato a sentirsi a
proprio agio.
E
mentre se ne stava lì, in piedi, ad osservare la
sala che lentamente si gremiva di gente, con le sue logore converse e
la tracolla non poteva fare altro che pensare che in fondo, se la sua
vita era radicalmente cambiata, lo doveva proprio al Tribeca…
«Lin,
sei pronta?»
E
a Ginko.
Era
stato grazie a lei
se tutto quello aveva avuto inizio o, perlomeno, aveva fatto
sì
che le acque cominciassero a smuoversi. Guardando le ballerine sui cubi
e sul bancone, imitando le ragazze del Coyote Ugly,
si chiese dove
sarebbe a quest’ora se non l’avesse
costretta a
salirci e
aprire la serata. E se avesse deciso di cominciare il giorno dopo o
darsi malata o arrivare in ritardo o inventarsi una scusa qualsiasi per
non presentarsi e ciondolare per le vie di Seul, con la serata dedicata
ai Big Bang ormai già passata, cosa sarebbe successo?
Avrebbe
comunque conosciuto Seung-Hyun? Se non avesse ballato e si fosse
limitata a servire cocktail ai clienti -o lanciarglieli dietro- lui
l'avrebbe mai notata?
Lindsay
non aveva mai
creduto nel destino ma cominciava a credere che così come
determinati eventi condizionavano ciascuna esistenza, un po’
come
il divorzio dei suoi l’aveva resa quel macello ambulante che
era,
forse certe cose accadevano perché doveva andare
così.
Era
la vita.
Forse
era vero quel che dicevano: “non tutto il male
viene per nuocere”, pronunciato per
tirare su il morale o perché qualcosa te la dovevano pur
dire.
Il suo lasciarsi divorare dalla sofferenza, era forse servito ad
arrivare a tutto quello? Non lo sapeva, probabilmente non sarebbe mai
arrivata ad una risposta semplicemente perché a volte, non
ce n'erano.
«Ehi,
qualcosa non va?» Ginko la tirò per una manica,
sparpagliando tutti i suoi pensieri.
Scosse
la nuca «Mi mancherà questo posto.»
«Anche
i costumi da film porno?»
«Beh,
non
proprio tutto.» puntualizzò, seguendola. Una volta
fuori
respirò a pieni polmoni e salita in macchina di Ginko, si
voltò a fissare per un’ultima volta
l’insegna
luminosa del Tribeca, avvertendo uno strano nodo incastrarsi in gola.
Ricordava di aver maledetto suo padre per tutto il viaggio a piedi
perché con quel suo serafico «Ti ho trovato un
lavoro!» aveva mandato in
fumo i suoi progetti di fancazzismo totale. Da leggersi anche: sarò una
spina nel fianco così rompicoglioni da costringerti a
rimandarmi a New York a calci.
L’amica
accese
la radio e storse il naso, osservandola «Certo che per
l’ultima sera ti saresti potuta vestire un po’
meglio» e così eccola lì, in procinto
di criticare
i suoi “orribili pantaloni alla turca”, come li
aveva
chiamati la prima volta, le sue vecchie converse azzurrognole che non
c’entravano nulla col resto, il trucco fatto alla bene e
meglio e
i capelli appena passati nella centrifuga «Sei senza
speranza in fatto di moda.»
«Disse
quella che si fidanzò con l’anticristo della
moda.»
«Ji
Yong ed io
non siamo fidanzati» farfugliò «Siamo
solo amici.
Piuttosto…» la guardò di sfuggita,
svoltando a
destra «Come vanno le cose tra te e Seung-Hyun?» le
rifilò un sopracciglio arcuato e lei si premurò a
spiegarsi «In questi giorni te l’ha detto?
Sì,
insomma… Che ti ama.»
“Ah,
quello…”
«No.»
«Come
no?!» Ginko sbatté una mano sul volante
«Che idiota, che--»
«Forse
non ha voglia di dirmelo» alzò le spalle
«Che
c’è?»
Ginko
la guardò
allucinata e dopo aver imprecato contro uno che l’aveva
sorpassata
di colpo mentre tentava di parcheggiare, sbuffò
«Tu non cambierai mai, vero?»
sospirò «Dovresti essere qui a disperarti
perché,
insomma, il ragazzo che ami non te l’ha mica detto e
tu—Tu
niente! Te ne stai lì, tipo bulletto di periferia: “Forse non ha voglia
di dirmelo”—Che hai da
ridere?!» GinKo sbatté la portiera, una volta
fuori.
Lindsay
scosse la nuca
«No è che… Neanche tu cambierai
mai» le sorrise fugace, portando indietro i capelli mentre
vedeva l’insegna del locale farsi sempre più
vicina. Solo
un anno prima i ragazzi l’avevano costretta a sedersi al loro
tavolo, cominciando a sommergerla di domande a cui aveva faticato a
rispondere e ora ci stava andando di propria sponte «Credo
che
Seung-Hyun abbia superato i suoi limiti, capisci che intendo? Ora
è troppo stanco per impegnarsi sul serio.» si
strinse nel giaccone, sollevando le spalle.
«E
questo non ti fa soffrire? Neanche un po’?»
«Lui—È
stato buono, mi ha dato tanto, immagino di non poter chiedere di
più» la guardò, imbarazzata
«E poi dopo
domani parto, non avrebbe più senso.» e non ne
aveva
davvero. Insomma, non sarebbe stato un “ti amo”
a cambiare
le cose tra loro o salvarle. Anzi, probabilmente sarebbe stato peggio
perché le avrebbe ricordato che se solo si fossero svegliati
prima, tutto sarebbe andato in un altro modo.
Era
sempre questione di tempismo.
Ginko
schiuse le
labbra ma non disse nulla, limitandosi a scuotere la nuca e
sorriderle. Cominciò
a zampettare verso il locale e Lindsay la seguì, a passi
lenti.
Ricordava le birre che scivolavano sul tavolo una dietro l'altra, il
loro sommergerla di domande; Seung-Hyun si era comportato da stronzo
per tutta la sera,
punzecchiandola, istigandola e lei aveva retto alle sue frecciatine con
altre battute cariche di acido. Oggi, probabilmente, le avrebbe stretto
il ginocchio per tutto il tempo, l’avrebbe guardata in quel
modo
fantastico che la faceva librare in aria e poi l’avrebbe
riaccompagnata a casa.
«Lin?
Muoviti!
Siamo già in ritardo!» la zazzera rossiccia di
Ginko
ondeggiò sulle sue spalle mentre si sbracciava, a pochi
metri
dall’entrata. Sembrò brillare di luce propria
mentre le
sorrideva e le faceva segno di darsi una mossa.
Lindsay
prese un profondo respiro e le sorrise, avvertendo gli occhi riempirsi
di pianto.
La
sua punizione
durata quasi un anno, stava per giungere al termine.
A
Vip’s corner:
Che.
Parto.
Scusate
il ritardo.
In
primis il mio
hard disk è stato così gentile da implodere
quindi bye
bye a tutte le mia fanfiction; qualcosa ho per fortuna recuperato
ma… Beh, molto l’ho dovuto riscrivere da capo
<.<
Poi
credo di
essere entrata in quella solita mia fase che amo chiamare “la
stupidità di Heaven”, ovvero: sono ad
un passo dalla fine
ma mi faccio prendere da quel senso di “E dopo? Che
faccio?” e pianto tutto lì (motivo per cui non
ho mai
finito Final Fantasy VII, Zelda… Mi odio…).
Quest’inutile
introduzione per dirvi che se i tempi di aggiornamento si allungano non
è solo per motivazioni strettamente legate alla vita al di
là di internet (che son sempre le stesse, ormai sarete pure
stufe di rileggerle XD), quanto più una sensazione di vuoto
che
mi coglie ogni volta che premo su “Aggiungi un nuovo
capitolo”.
Ad
ogni modo, eccomi qui.
Chiedo
venia a chi
si aspettava un rappacificamento ben analizzato fra Gd e Top: non era
mai stato nei miei piani, non in questo capitolo almeno e siccome le
cose sono fresche,
avrei rischiato di snaturarli. Preferisco una cosa
così, alla “vedo
non vedo”.
Poi…
So che
potrebbe dar fastidio che abbia liquidato tutto con un “I giorni
erano trascorsi veloci” –o
addirittura che ciò
denoti una scarsità di voglia/interesse- ma credetemi,
ahimè non c’era davvero più nulla che
potessi far
dire ai personaggi. Sarebbe stato ricreare scene già viste,
con
dialoghi già letti… Un allungamento inutile che
non
voglio io e tantomeno penso vogliate voi.
Il
risultato
finale non mi dispiace, soprattutto perché ho fatto davvero
ma
davvero fatica a scriverlo e se determinate scene sono abbozzate,
è perché ho preferito soffermarmi sui pensieri
anziché le descrizioni. Del resto, il trauma-capitolo
c’è già stato, questa è LA scossa
d’assestamento ;)
Piccole
puntualizzazioni dovute (perché se il capitolo è
riuscito, è stato grazie a molte cose che non sono farina
del
mio sacco):
•
La scena di Ginko e GD (come ambientazione e atmosfera,
almeno)
è presa da quei capolavori che sono A girl by the Sea e
Goodnight, Punpun di
Inio Asano,
quindi a lui vanno tutte le lodi.
•
Sid Vicious,
cantante dei Sex Pistols,
venne accusato di
aver accoltellato a morte la fidanzata Nancy Spungen. La
battuta
è presa da quella meraviglia di 500 days of Summer.
•
La frase «Nessun
uomo è un’isola» e in
realtà tutto quel monologo sull’essere
un’isola,
è presa da About
a boy, anche questa è una piccola perla
che vi consiglio di guardare se volete farvi due risate e poi Hugh
Grant è sempre tanta roba.
•
Il titolo non c’entra nulla col capitolo ma
è una
canzone che mi sta a cuore e ci tenevo ad averla da qualche parte,
oltre al fatto che mi è stata d’aiuto per stendere
le vincede.
Infine…
Odio farmi pubblicità ma visto che siamo alle battute
finali,
concedetemelo: ho pubblicato “100
giorni di Kalya” una
nuova fanfiction sul fandom degli SHINee, rigorosamente het e
rigorosamente con personaggi complessati e mai felici
–perché più li amo più li
tormento, ormai
l’hanno capito pure i sassi-, piena di pensieri, psicologia
dei
PG che viene analizzata al microscopio… Alla Heaven, insomma
^^’’
Per
me è
stata una specie di sfida/esperimento perché la protagonista
è l’opposto di Lindsay –il protagonista
è
scemotto come Seung-Hyun ma va beh- e il tema dell’amore o
dell’abbandono è affrontato in maniera
completamente
diverso rispetto quelli che sono i miei canoni e convinzioni. No, la
lentezza nello sradicare le
vicende c’è sempre, è un
“marchio di
fabbrica” che non riesco proprio a togliermi >.<
Non sono solita annunciare la pubblicazione di una nuova storia, se lo
faccio
è perché ci ho messo un po' di me, proprio come
ce l'ho messo in
Something.
Quindi
niente… Se aveste voglia di stare ancora un po’ in
mia
compagnia, dato che qui ci avviciniamo alla fine, mi trovate anche
lì. Sapervi con me mi farebbe piacere :)
Che note lunghe @.@ Per l’amore del cielo chiudiamola qui.
Ringrazio
le
cinque squisitezze che hanno commentato il precedente capitolo: a
giorgtaker, Rachel_Daae,
xxxibgdrgn88, VirginMonkey e lelasph va
tutto
il mio amore ♥ Ho letto e riletto le vostre recensioni, mi
sono
state di grande motivazione per la stesura del capitolo e perdonatemi
se ancora non vi ho risposto ma quel poco tempo a disposizione che
avevo, ho preferito usarlo per stendere il capitolo e non farvi
aspettare ere.
Conto
di rispondervi in
questi giorni ma sarà a rilento, perché sono in
procinto
di partire per un breve viaggio e ho la testa altrove :/
Ringrazio
anche chi ha aggiunto la storia fra le seguite/preferite/ricordate.
Siamo
alle battute finali, forza e coraggio!
Alla
prossima,
HeavenIsInYourEyes.
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