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Autore: HeavenIsInYourEyes    18/06/2016    6 recensioni
Così la strinse piano, trattenendola un po’ di più a sé, sussurrandole a fior di labbra un debole –Resti qui?- che era un po’ come dirle "Ho bisogno di te".
-Quanto vuoi.- la sentì bisbigliare dopo quella che gli parve un’eternità.
E si fece bastare quel "Quanto vuoi", che era un periodo di tempo ragionevolmente lungo visto che spettava a lui decidere quando mandarla via.
Già.
Peccato che in un momento di completo blackout mentale, si disse che nemmeno tutto il tempo del mondo gli sarebbe bastato.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, T.O.P.
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 35
Capitolo 35
Everybody’s gotta learn sometime

“So give me strength to face this test tonight.
If only I could turn back time,
If only I had said what I still hide,
If only I could turn back time, I would stay for the night.”

-Turn back time, Aqua-






«Credi che faranno pace?» Ginko smise di inseguire con lo sguardo le gocce che gareggiavano sulla finestra, sormontando quel silenzio spezzato dallo scrosciare della pioggia.

«Forse. Se America non rovina tutto.»

Non seppe spiegarsi cosa ci fosse di strano in tutto quello, se la figura di Ji Yong stesa nel futon affianco a lei, quella conversazione cominciata più per riempitivo nel buio della sua stanza o il fatto che si fosse presentato a casa sua con in mano il suo libro dei Ponti di Madison County dicendole qualcosa come «Fossi in te farei attenzione: secondo me America ha usato il proprio sputo come segnalibro.», con conseguente crisi isterica e vano tentativo di cacciarlo, per poi arrendersi alla prima evidenza: Ji Yong sarebbe comunque entrato in casa, che lo volesse o meno. E lei non avrebbe opposto resistenza, che lo volesse o meno. Non lo fece per stupidità o ingenuità, semplicemente quando la gente la guardava con certi occhi pieni di un mucchio di cose, lei non riusciva a voltar loro le spalle. 

E quelli di Ji Yong, oltre la soglia, erano gli occhi più tristi che avesse mai visto.

«Perché dai per scontato che sarà colpa sua?!»

«Hai presente Sid e Nancy? Ecco, lei in questo momento è Sid Vicious

Anzi, decisamente più strano era che Ji Yong fosse ancora vestito, senza intentare nessuna avance o chiederle chissà quale performance tra le lenzuola. Stava sdraiato, una mano dietro la testa e l’altra sull’addome, immobile, con lo sguardo rivolto al soffitto su cui pendevano piccole lanterne dagli svariati colori –che lui ovviamente aveva criticato-.

Ginko, d’altro canto, gli dava la schiena standosene rannicchiata sul fianco, evitando qualsiasi movimento che avrebbe potuto farli avvicinare ulteriormente. E sì che avrebbe voluto dormire in soggiorno ma lui le aveva detto «Tanto non ho sonno.» e lei non aveva capito più nulla, perché quello era stato un chiaro invito a restare –chiaro per gli standard di GD, ovvio-.

Si accovacciò di più, come ogni notte che c’era la pioggia «Ti sei divertito almeno?» glielo chiese con una punta di fastidio, non capacitandosi di come qualcuno potesse giocare coi sentimenti dei propri amici incurante di poterli calpestare.

«All’inizio. Poi non più. Quei due sono così imprevedibili…» mormorò apatico, stiracchiandosi «Prendi America, che se ne va alla Columbia.»

Sembrava una di quelle sere cariche di aspettative, quando nell’aria si potevano respirare tutte quelle domande scomode che di solito si mettono da parte per non creare situazioni imbarazzanti ma che ora, se pronunciate nel momento esatto, avrebbero schiuso una miriade di portoni. Aveva però imparato a mettersi da parte, quando di mezzo c’erano Lindsay e Seung-Hyun; del resto se uno di quei ragazzi che aveva sempre creduto di poter sfiorare solo in sogno si trovava lì, non era di certo grazie a sé stessa.

«Sta facendo la cosa giusta.» puntualizzò celere, avvertendo lo stomaco attorcigliarsi. Si sentiva così in colpa per averla trattata male da sentirsi in dovere di difenderla.

«Dillo a Seung-Hyun… Quando crescerà e si accorgerà di quanto tempo ha sprecato, se ne pentirà.» sbottò caustico, massaggiandosi le labbra su cui svettava un cerotto delle Super chicche –perché Ginko aveva solo quelli e Dio solo sapeva quanto tempo le fosse costato perché quell’idiota non se lo togliesse, manco avesse i paparazzi in casa-.

«È per questo che vi siete picchiati?» quando non udì risposta, proseguì «Siete due bambini. La violenza non risolve le cose.»

«Grazie Gandhi, lo terrò a mente per la prossima volta.»

«Sono seria, Ji Yong…» sbuffò stanca, voltandosi verso di lui, scontrandosi con il suo profilo delicato.

«Una scazzottata ogni tanto fa bene. Tra noi uomini funziona così… E poi America non c’entrava più da un po’.» confessò, sorprendendola. Fu come se GD le stesse permettendo di soggiornare nel suo cervello, a patto che si togliesse le scarpe e non mettesse troppo in disordine.

Ginko si contenne, morse un dito pur di trattenere i suoi isterismi da ragazzina, ricordandosi che per quella notte stava avendo a che fare con Kwon Ji Yong e non G-Dragon e avvenimenti di tale portata, andavano preservati con cura quasi maniacale «Che intendi?».

«Le cose non andavano bene già da un po’, ma abbiamo preferito far finta di nulla. Sostiene che sono cambiato e la sai una cosa?» rise un poco, coprendosi gli occhi con il braccio «Seung-Hyun ha ragione, forse non mi dispiace essere diventato così. La sofferenza, il dolore… Sembrano sfiorarti meno, se non li lasci avvicinare.»

«Spesso mi chiedo se ti ascolti quando parli. Non potrai schivarli per sempre, prima o poi ne verrai sommerso e a quel punto che farai?»

«Annegherò.»

Sbuffò «Sono seria.»

Un movimento le fece comprendere che si era voltato verso di lei, poteva sentire il suo sguardo carezzarle minuziosamente ogni vertebra esposta «Credo sia già successo, a dire il vero… Le parole di Seung-Hyun mi hanno colpito più di quanto avrei potuto immaginare. È convinto che mi sia intromesso solo per i miei interessi e per quanto sia vero che ho iniziato tutto per noia, la verità è che davvero quei due stanno bene assieme, io l’ho solo aiutato a capirlo. Ma le cose mi sono sfuggite di mano, sono sfuggite a tutti…» Ginko non seppe se quel "tutti" fosse riferito anche al loro stupido triangolo da film di serie Z, fatto stava che non riuscì a proferire parole, ancora sorpresa da quel fiume che Ji Yong sembrava non voler arginare «Non mi fa piacere vederlo ridotto così, che idiota.»

«Dovresti dirglielo. Che tieni a lui e a tutti gli altri… Gli farebbe piacere.»

«Questo non risolverebbe le cose.»

«Ma sarebbe un inizio. Ji Yong--» lo chiamò piano, facendosi forza per non sprofondare nel mondo dei sogni «Non puoi farcela da solo, devi lasciare che qualcuno ti aiuti. Siamo—Sono tuoi amici, quando non ce la fai, puoi appoggiarti a loro.» ingoiò quel a me che avrebbe solo rovinato tutto o peggio, avrebbe dato il via a uno dei suoi stupidi giochetti. Perché per quanto si sforzasse di stargli alla larga, per quanto avesse deciso di farsi da parte… Non poteva negare che in fondo, quel ragazzo, continuava ad esserle caro. Ed era un sentimento che non se n’era andato via nemmeno dopo aver visto quanto a pezzi fosse ridotto il suo animo.

Ji Yong però non sembrava in vena di maratone sfracella neuroni «Non credo lo siano ancora.»

Ginko si arrese alla seconda evidenza di quella notte, e forse anche la più difficile da affrontare: il momento delle confessioni era arrivato anche per lei. Ji Yong si stava aprendo, impacciatamente e mantenendo sempre una buona dose di cripticità che vorrebbe fargli ingoiare, ma almeno ci stava provando. E se voleva aiutarlo, doveva essere completamente sincera.

Prese un respiro e gettò all’aria qualsiasi remora.

«Tu mi piacevi sul serio» calcò con forza su quel passato, cercando di mantenere le distanze «C’era qualcosa in te, un carisma che gli altri—Non lo so, eri come una calamita. Il modo in cui parlavi, il tuo modo di porti, il tuo atteggiamento discreto e mai sopra le righe... Era impossibile restare indifferenti» arricciò i piedi nella coperta sentendosi tremendamente stupida «Durante le interviste guardavo solo te, quello che facevi mentre gli altri parlavano--»

«È inquietante, lo sai?» la punzecchiò «È ancora più inquietante dell’altarino nell’armadio.»

Ridacchiò scioccamente «Lo so. Ero una fan devota, che vuoi farci?»

«Eri?»

«Lo sono ancora, solo--» osservò due gocce scivolare e quando quella che aveva puntato perse miseramente, si decise a parlare «Conoscervi mi ha fatto capire che c’è molto altro, dietro quello che date a vedere e non riesco più a guardarvi con gli stessi occhi di prima. Prendi te, ad esempio… Sei carismatico e-E tutto, però…»

«Però?» giunse dopo qualche istante, quasi gli costasse fatica sapere la risposta.

«Hai paura» sfiatò piano, stringendo le mani «Hai così tanta paura che metti un muro tra te e tutti gli altri e non appena qualcuno prova a passare oltre, lo respingi e lo fai con una tale cattiveria da non renderti conto che così finisci col ferire anche te stesso. Il fatto è che poi noi ci riprendiamo ma tu… Tu te ne resti lì, diffidente, e sprechi un mucchio di energie a non farci entrare di nuovo perché se ce l’abbiamo fatta una volta, potrebbe essercene pure una seconda. E la cosa ti spaventa, ti spaventa a morte--»

«Tu e Seung-Hyun vi siete messi d’accordo?» il suo tono di voce non sembrava stizzito, né infastidito… Pareva più quello di un bullo che prendeva coscienza delle proprie infamie, facendo i conti con il senso di colpa.

«Avanti, negalo» sfruttò questa sua docilità, alzò la voce di qualche ottava e quando tutto ciò che udì fu lo struscio dei piedi sulle lenzuola, continuò «Sei rimasto scottato una volta e credi che se lasci avvicinare qualcun altro, finirai col soffrire ancora e--»

«Non è stata una volta.»

«Una, cento, non cambia nulla! Il punto è che la tua stessa paura, ce l’hanno anche gli altri e—Aaaah, certe volte sei identico a Lindsay!» le era uscito col cuore e un pizzico di frustrazione, memore di tutti quei pomeriggi trascorsi a inculcare all’amica quanto l’amore fosse cosa buona e giusta «Vi siete aggrappati così tanto al vostro dolore da non accorgervi che c’è gente disposta a starvi accanto, a volervi bene e che farebbe di tutto per non farvi del male. Il fatto è che però vi fa comodo starvene lì a vittimizzarvi, perché così se dovesse succedere qualcosa sarebbero gli altri a sentirsi in colpa--»

«Quindi stai dando ragione a Seung-Hyun.»

Sospirò, decisa a non lasciarsi fregare dai suoi soliti trip «Ji Yong, io non lo so se ha ragione Seung-Hyun o se ce l’hai tu, forse non ce l’ha nessuno o forse entrambi. Forse è vero che sei cambiato e che non ti dispiace essere così, quello che voglio dire è: se continui ad allontanarci, resterai solo e la solitudine fa più male della sofferenza che portano gli altri. Ricordati che nessun uomo è un isola.»

«Questa l’hai rubata a Bon Jovi» c’era una punta di colore nella sua voce fino ad ora strascicata e Ginko non poté che bearcisi. Fu come balsano per le orecchie che non ne potevano più della pioggia picchiettante sui vetri o dei piedi che strusciavano sulle coperte… A quel punto giunse la sua voce, mite «Lasciarsi aiutare… Come se fosse facile.» soffocò uno sbadiglio.

Ginko si mise supina, guardando il soffitto, le mani a torturarsi sul ventre «Guarda che non lo è per nessuno» come non lo era stato per lei farlo entrare in casa e stare a vedere come sarebbe andate le cose «Domani torni a casa e gli chiedi scusa.»

«Mica c’è solo lui.»

«Un passo alla volta» sospirò, chiudendo gli occhi «Se fossimo stati tutti più sinceri, questo casino non sarebbe mai successo.» il pensiero volò inevitabilmente a Lindsay e Seung-Hyun, con la speranza che non si fossero uccisi senza almeno prima chiarirsi; e a Seung-Ri, soprattutto a lui. Se solo fosse stata sincera fin dall’inizio, se solo non si fosse lasciata trascinare dagli eventi, dai sentimenti o da quel senso di rivalsa perché “Morto un Ji Yong, posso farmene un altro”, si sarebbe potuta evitare un sacco di sofferenza. Il fatto era che venir desiderata da qualcuno che aveva sempre immaginato irraggiungibile, l'aveva completamente stravolta, facendole scollegare la ragione.

Aveva agito di impulsi e cuore, era inevitabile che presto o tardi sarebbero giunti a una catastrofe... 

E Ji Yong sembrò leggerle nel pensiero perché dal nulla, quando credette che si fosse finalmente appisolato, la sua voce serpeggiò nel silenzio «Non volevo rovinare le cose tra te e Ri» lo guardò di sottecchi «Quando ti ho rifiutata, ero convinto che non avresti desistito. Nessuna lo fa mai. Tornano sempre, tutte. Ma tu no. Tu hai seguito il mio consiglio e—E avevano ragione, anche se non volevo ammetterlo: è stato come se un giocattolo mi fosse stato strappato di mano e quando l’ho capito, era ormai troppo tardi.»

«Capito cosa?»

«Che non sei come le altre.» le parve sul punto di dirle altro ma le sua confessione si interruppe con un mugugno incomprensibile.

Ginko però era stanca delle fughe e dei sotterfugi, di questo costante rincorrersi senza mai fermarsi per vedere quanta distanza avevano lasciato l’uno dall’altra. Per questo si voltò, guardandolo finalmente in volto e vi lesse un mucchio di cose in quegli occhi adombrati, simili a quelli di un gatto che era appena stato preso a calci.

«Ji Yong… Perché sei venuto qui?» la domanda solcò il lampo appena caduto, sfumando nel silenziò che seguì.

«Per portarti il libro, te l’ho già detto.»

«E che altro?»

Avvertì i suoi piedi strisciare e immediatamente si arrese alla terza evidenza: presto o tardi, le avrebbe chiesto qualcosa che andava al di là del semplice “Non è che mi faresti una tazza di the?” perché per quanto stesse da cani, tipi come lui erano abituati a soffocare tutto con una bella scopata.

Si nascondevano i problemi tra i vestiti e ce li si rimetteva addosso una volta finito.

Ji Yong però le aveva sfiorato la mano. Impercettibilmente, per un secondo talmente veloce che quasi le parve di esserselo immaginato. Allora gliel’aveva stretta lei, perché se aspettava quello probabilmente le cose non si sarebbero mai smosse. Ed effettivamente non si smossero, perché si limitò a guardarla con occhi pesti di sonno.

Va bene così, lo pensò piano, attenta a non farsi leggere un’altra volta. Probabilmente certe cose erano destinate a non cambiare mai: nonostante le parole sprecate, i consigli dati, le confessioni sussurrate in una stanza circondata dalla pioggia, quei due avrebbero finito col commettere un’irreparabile sciocchezza.

Ma le parole di Ji Yong giunsero lente «Ricordi quando ti ho detto che non dovevi perdere il tuo tempo con me?» le aveva a un certo punto chiesto, rapendola dal flusso di pensieri che non l’aveva abbandonata un attimo.

«Mh?»

Ji Yong chiuse gli occhi, sul punto di addormentarsi «Beh, ho cambiato idea. Se vuoi puoi perderlo…»


***********


Seung-Hyun aveva sempre pensato che avrebbe incontrato la donna della sua vita in un locale. 

Uno di quelli chic che si vedevano nei telefilm alla Gossip Girl, con tutto quello sfarzo e quel lusso che dopo un po' dava la nausea. Sarebbe stato lì con i suoi amici più intimi a sorseggiare vino, birra, cocktail dal dubbio gusto e lei sarebbe stata a pochi passi, con le labbra pitturate di rosso impegnate a lasciarsi bagnare da un Cosmopolitan. Gli sguardi si sarebbero incrociati e lei si sarebbe arresa per prima, imbarazzata, sorridendo però alla cannuccia che lenta avrebbe fatto girare nel bicchiere.

Sarebbe stato un tipico incontro tra due sconosciuti e gli sarebbe venuto tutto facile e anche dovuto, solo perché Choi Seung-Hyun.

Ci aveva creduto per un bel po’, cullato dal fatto che la sua vita ruotava intorno a certi ambienti e tipologie di donne, quelle che sapevano come muoversi e che avevano a disposizione un arsenale di armi di seduzione capaci di stendere anche il playboy più impenitente.

Fino a che non era arrivata Lindsay Moore.

Al Tribeca -che non era esattamente il Pour Vous di Los Angeles-, vestita da poliziotta porno, un trucco da Carnevale di Rio e con l’aria di poter far esplodere l’intero locale con una sola parola o addirittura di essere capitata lì per sbaglio. Ed era sì a pochi passi ma il Cosmopolitan non c’era, così come non c’era stato alcun gioco di sguardi o sorrisi imbarazzati.

Lei nemmeno li aveva notati.

Era stato tutto così naturale e improvviso, che solo adesso si stava rendendo conto di quanto l’incontro con Lindsay fosse stato assolutamente perfetto: si erano mostrati per gli idioti che erano, stressando i loro difetti pur di tenersi a debita distanza e inevitabilmente avevano finito con l’amarsi. E se avesse saputo che tutto quello sarebbe finito prima ancora di averci capito qualcosa, Seung-Hyun avrebbe fatto più attenzione a tutti quei particolari che si tendevano a dare per scontati: il modo in cui Lindsay attorcigliava le coperte fra le gambe mentre dormiva, il suono della sua risata, il luccichio nei suoi occhi quando beveva troppo, il suo proteggersi con qualsiasi cosa le capitasse sotto mano quando parlava di sé, i suoi sorrisi appena accennati quando gli sguardi si incrociavano, il suo starsene in silenzio in auto durante un lungo viaggio, il suo tentare in tutti i modi di rendersi invisibile seppur così appariscente, la sua sfrontatezza e l’ironia con cui infarciva ogni discorso, tutti quei meccanismi di difesa che aveva faticosamente tentato di abbattere, divertendocisi e frustrandosi…

Gli sarebbe mancato tutto quello, proprio come gli sarebbe mancata la sua scontrosità che faceva da scorza a quella bellezza che aveva regalato solo a lui e non parlava della sola bellezza fisica, di quella ce n’era in abbondanza pure a Seul, era proprio lei ad esserlo. Le sue fragilità, le sue paure e lo sforzo con cui cercava di soffocarle indossando una maschera di menefreghismo che, lo sperò con tutto sé stesso, avrebbe finalmente chiuso in un cassetto.

Un moto di gelosia lo pervase al pensiero che qualcun altro prima o poi avrebbe goduto di tutto quello senza doverci impiegare le nove camicie che ci aveva messo lui, ma il pensiero che lui fosse stato il primo in assoluto, in un certo senso lo tranquillizzò o quantomeno risanò il suo ego un po’ abbattuto.

Si domandò se anche lei stesse facendo gli stessi pensieri, seduta sul balcone a fumare, chiedendosi magari in quanto tempo sarebbe stata sostituita.

La schiena di Lindsay sarebbe stato uno dei primi ricordi che lo avrebbe svegliato la mattina, quando lei non ci sarebbe stata più. Stretta, distante, appoggiata contro la vetrata, con indosso una delle sue tante felpe impregnate del suo profumo. Sarebbe stato un pensiero fra i tanti che avrebbe popolato la mente non appena questa avesse iniziato a carburare e lo avrebbe accompagnato per tutta la giornata, standosene silenzioso in un angolo e poi, prepotente, sarebbe tornato a fargli compagnia prima di addormentarsi o quando qualcosa gliel’avrebbe ricordata perché non c’era posto a Seul che non gliela facesse tornare in mente.

La vide stiracchiarsi, tornando a giocherellare con i capelli. Aveva pianto quasi tutta la notte e lui si era chiesto se fosse dovuto a loro due o ai suoi o all’imminente partenza o a tutto. Aveva però taciuto, tenendola stretta a sé, per nulla infastidito da quello sfogo che sembrava non placarsi mai. Fino a che non si era addormentata e lui si era detto che quest’immagine, ancora marchiata nella mente, poteva cancellare quelle settimane di sofferenza. Non del tutto certo, ma un po’… Quel tanto che bastava per continuare ad amarla, nonostante tutto.

Si era poi chiesto quanto ci avrebbe messo a dimenticarsela e al pensiero che nemmeno tutta una vita gli sarebbe bastata, si mise a sedere. Adagiò tutti i pensieri fra le lenzuola, deciso per una volta a godersi quel poco di buono che gli era stato concesso: Lindsay lo amava e avrebbe continuato a farlo fino al giorno della partenza.

 Al dopo, ci avrebbe pensato poi.

«Come va?»

La vide sobbalzare mentre i suoi occhi si riempivano di sorpresa «Nh, ho mal di testa.» sfiatò, tornando a guardare davanti a sé.

«E allora non dovresti fumare.» ma quella sollevò le spalle, continuando come se non avesse detto nulla.

Le si sedette affianco, rimirando lo spettacolo di grattacieli che si potevano scorgere da quel punto «Dovresti metterci qualcosa.» mormorò sfiorandogli l’occhio su cui svettava un bel livido, a monito che presto o tardi avrebbe dovuto affrontare quel demente di Ji Yong.

Cristo, Ji Yong.

Preso com’era dai suoi problemi con Lindsay, aveva accartocciato la lite con l’amico in un angolo, magari con la speranza che tutto si risolvesse con un’alzata di spalle e una bella bevuta o con un gelato perché loro, le faccende spinose, le gestivano così, come due mocciosi che non comprendevano appieno il dolore che recavano agli altri coi propri gesti ed erano convinti che scambiarsi qualcosa in segno di pace bastasse.

Ma ormai erano cresciuti e certe frasi pronunciate con cattiveria, certi colpi assestati con reale intento di far del male, non si potevano più superare con un regalo.

«Certo che glielo hai spaccato proprio bene il labbro» le parole di Lindsay lo riportarono alla realtà, scatenando in lui un senso di colpa che raramente lo aveva pervaso: se Lindsay era lì, con lui, a mettersi in gioco, lo doveva solo a Ji Yong. Che aveva bisogno del suo aiuto per uscire da tutto quel macello in cui si era infilato da solo, troppo preoccupato a non soffrire e che lui aveva allontanato perché incazzato col mondo e, a dirla tutta, anche un po’ stufo di fare da fratello maggiore, padre e zio «Ma la prossima volta, accanisciti un po’ di più.» concluse, facendolo scoppiare a ridere.

«Lo odi proprio, eh?»

Scosse la nuca «Mi da solo fastidio che riesca a capire tutto quello che penso e che tenti in tutti i modi di aiutarci, anche se i suoi modi fanno schifo» lo guardò seria, doveva aver preso una tegola in testa se si ostinava a fargli vedere quanto buono fosse Gd «Seung-Hyun, dovresti chiedergli scusa» grugnì e lei arcuò un sopracciglio «Se non fosse stato per lui, non sarei qui.» tagliò corto, mettendosi a braccia conserte.

Seung-Hyun la scrutò, studiò le sue mani intente a torturarsi e capitolò.  Forse le cose non sarebbero cambiate: lei avrebbe sempre mantenuto quel velo di diffidenza che lo avrebbe tenuto a debita distanza, costringendolo a frenare i propri impulsi. Cose banali come: prenderla per mano in pubblico, baciarla quando più gli andava, dirle frasi sdolcinate senza timore che gli vomitasse sulle scarpe. Niente di tutto quello. 

Lin però gli aveva preso la mano, posandosela sul ventre, giocherellando con le sue dita e in quel momento lui avrebbe dovuto concentrarsi sul fatto che, per la prima volta dacché avevano cominciato tutto, fosse stata lei a fare un passo verso di lui; una sciocchezza, certo, ma lo aveva fatto. Sarebbe anche dovuto restare senza fiato di fronte ai suoi occhi traboccanti di affetto o il sorriso imbarazzato o le guance bordeaux…

«Ma che cazzo ti prende?!»

E invece scoppiò a ridere. Rise talmente tanto che si ritrovò a tenersi lo stomaco per il dolore mentre Lin lo fissava come se fosse scemo.

«No scusa è che… Mi fai tenerezza.»

«E tu sei un cretino.»

«Intendevo in senso buono.  Sei tutta… Imbarazzata, ecco.»

Lin agitò le mani, nervosa «Per me è tutto nuovo, che ti credi? Non ci sono mica abituata a ‘ste cose qui.»

«’Ste cose qui…» si sistemò, riprendendole la mano «Certe cose vengono spontanee» ora fu lei a grugnire e Seung-Hyun si ritrovò a sorriderle, sincero «Ma a me vai bene così.» perché non gli interessava prenderla per mano mentre passeggiavano o baciarla in pubblico o abbracciarla quando più gli andava… Erano tutte cose che non aveva avuto fino ad ora e aveva vissuto bene lo stesso. Con Lin si stava bene proprio perché poteva essere sé stesso senza timore di venire etichettato in qualche maniera e certe persone, per quanto ne fosse pieno il mondo, erano difficili da trovare e ancora più complicato era tenersele strette. 

Tutto questo però non glielo disse, anche perché Lin lo stava baciando piano…

«Aw, che teneri! Questa foto la incornicerò!»

… Ma avrebbe dovuto saperlo che certe bellezze erano destinate a non durare quando Dong-Wook si comportava da stronzo, facendo il paparazzo della situazione.

«Che ci fai qui?» domandò Seung-Hyun rifilandogli un’occhiata al vetriolo.

«Ci abito.»

Roteò gli occhi «No, intendo—Qui, sul balcone.»

«C’era la porta aperta e volevo assicurarmi che non vi foste uccisi» Lindsay ghignò, Seung-Hyun voleva buttarsi dal balcone «Volete che vi lasci un po’ soli?» si tolse gli occhiali da sole e il suo sorriso sghembo si ampliò, mentre faceva dondolare un sacchetto di brioche «E io che pensavo di mangiare tutti assieme mentre mi raccontate tutto. E voglio i particolari, mi raccomando!» aggiunse come una scolaretta affamata di gossip.

Lindsay storse il naso «Io me ne torno a casa.»

«E la brioche?»

«La mangio mentre me ne torno a casa.»

Dong-Wook scoppiò a ridere «Scherzavo, scherzavo, non voglio sapere nulla» sventolò una mano «Ci limiteremo a guardare per l’ultima volta l’album di foto con tutte le tue cadute» gli fece un occhiolino e Seung-Hyun non ebbe nemmeno il tempo di rifilargli un bel medio o un «’Fanculo.» perché quell’idiota, si stava già allontanando «Vi aspetto di là, vado a preparare i fiori d’arancio.»

«Dong-Wook!»

«La marmellata d’arancia, la marmellata!»

«Spero ci si strozzi con la marmellata» borbottò caustico mentre si trascinava in camera, raccattando i vestiti «Senti, ti va di fare qualcosa oggi?» ma Lindsay rimase lì, immobile, guardandolo come se fosse scemo «Beh, che c’è?»

Gli disse solo «E' meglio se torni a casa.» e lui comprese che quel pomeriggio lo avrebbero passato a comprare birre e a trovare un paio di scuse decenti per farsi perdonare.


****************


Era la prima volta che si svegliava nel letto di una ragazza senza farci alcunché. Niente sesso, niente baci, niente abbracci. Si erano stretti la mano, come due mocciosi dell’asilo nido -tanto che una volta sveglio si era chiesto se quel leggero tocco non fosse stato frutto della propria immaginazione- e aveva dormito come non gli succedeva da tempo.

In pace. Con sé stesso, col mondo, perfino con la pioggia che fastidiosamente aveva picchiettato incessante sulla finestra tutta notte e che, solitamente, lo teneva sveglio coi propri pensieri e mostri, quelli che non riusciva a lasciar liberi di scorrazzare nemmeno quando toglieva loro il guinzaglio.

Ora che era sveglio in un futon dalle coperte sfatte, fissando quella serie di orripilanti lanterne colorante legate ad un filo in un susseguirsi di onde, con la mano adagiata sull’altra porzione vuota e fredda, tutto ciò che era stato detto e fatto tornò con prepotenza inaudita…

«Ricordi quando ti ho detto che non dovevi perdere il tuo tempo con me?

Beh, ho cambiato idea. Se vuoi puoi perderlo…»


Ancora stentava a credere di averlo detto sul serio.

Con sincerità, per di più. E non sapeva nemmeno se lei gli avesse risposto perché era crollato come una pera cotta.

Che. Colossale. Idiota.

Si era infilato in un bel guaio perché quando certe frasi venivano pronunciate, non ce le si poteva rimangiare tantomeno si poteva far finta di niente. Avrebbe dovuto chiarire la propria posizione perché, insomma, non era mica arrivato al punto di volersi fidanzare con Ginko o volerla sposare o volere dei bambini con lei, certe decisioni non si prendevano nell'arco di una notte, solo ai ragazzini in preda alla prima cotta succedeva.

Però… Permetterle di entrare nei suoi spazi, anche solo come amica… Quello glielo avrebbe concesso.

Vederla sistemarsi fra i propri casini, magari vederla riordinare conscio che gli avrebbe sempre chiesto «Questo dove va messo?», perché era troppo buona per permettersi di scombussolarlo con la propria euforia, non sarebbe stato poi così male.

Perché era buona, di quel buono che non dava fastidio e non faceva venire la nausea proprio perché genuino. Il suo prodigarsi per gli altri con fare da crocerossina, senza chiedere alcunché in cambio… Quella notte, ad esempio, avrebbe potuto chiedergli una scopata con gli interessi solo per avergli concesso di starsene lì, da lei, infestando la sua privacy e invece niente, si era accontentata di una chiacchierata cuore a cuore.

Perché Ginko sapeva preservare certi momenti, ne coglieva la bellezza nella loro semplicità e se li faceva bastare.

Il fatto era che Gd era sempre stato convinto di essere un’isola, tipo Ibizia o Formentera, un posto in cui sollazzarsi e divertirsi. Un’isola figa, insomma. Poi qualcosa si era spezzato e, rendendosene conto ma senza far nulla per evitarlo, si era trasformato in Round Island. Avete presente, no? Quell’isoletta nascosta nella parte nord della mappa di Final Fantasy VII che si poteva raggiungere solo con un Chocobo d’oro, praticamente un’impresa ostica e da rottura di coglioni che lui, quando era avvezzo ai videogames, aveva gettato alle ortiche dando forfait ed era un po’ quello che era successo nella realtà: chi mai avrebbe sprecato energie, tempo e voglia per un’isoletta del cazzo? Nei videogiochi potevi usare i trucchi, fregare il sistema ma nella realtà le cose erano decisamente più complicate e se decidevi di lasciar perdere, non ci saresti potuto tornare su quando la voglia fosse ripassata a trovarti.

Così si era abituato alla solitudine. Ji Yong ci si era crogiolato, aveva imparato a conviverci e quando accadeva che questa lo sopraffacesse, si ricordava del perché si fosse barricato lì e tutto passava. Che senso aveva circondarsi di gente? Prima o poi tutti lo avrebbero abbandonato perché le persone facevano così: ti rendevano felice ma proprio perché essere umani, erano anche capaci di renderti infelice.

Tipo Seung-Hyun.

Quello che gli aveva detto in un impeto d’ira che mai aveva usato con lui, lo aveva investito in pieno. Era stato come fare un frontale con la realtà, uscirne indenni e starsene lì a rimpiangere di non essere morti. Aveva realizzato che essere un’isola, non era poi così esaltante: se si era da soli e ci si lasciava andare, si rischiava di uscirne pazzi e perdere le redini della propria vita.

Motivo per cui nemmeno essere in due sarebbe servito e lo realizzò quando piombò in cucina, osservando la schiena stretta di Ginko, intenta a farsi del the. Se le avesse permesso di entrare e per qualsiasi ragione lei fosse crollata, sarebbero stati punto a capo. Sarebbe rimasto solo di nuovo e, anzi, avrebbe dovuto sobbarcarsi anche dei suoi problemi e ciò richiedeva una buona dose d’impegno, coraggio e buona volontà e lui non era così sicura di potercela fare…

«Ben svegliato!»

… Non fino a che non avrebbe imparato a prendersi cura di sé.

«Ti va un po’ di the?»

«No…» si sedette al bancone, guardandola trafficare con le bustine come un’ape impazzita. Quella pure di prima mattina sprizzava gioia da tutti i pori, in netto contrasto con lui che di solito si limitava a grugnire ed emanava sonno a catinelle.

«Dormito bene?» annuì «Ottimo! E quindi? Ora che hai intenzione di fare?» glielo chiese a bruciapelo, senza un minimo di preparazione o anche solo introducendo l’argomento a piccoli passi. Se ne stava lì, ad immergere la bustina nell’acqua bollente, allungandogli confezioni di biscotti e brioche che lui rifiutava con una stortura di naso, e lo guardava con quel suo sorriso delicato, invogliandolo a parlare.

A Ji Yong parve subito chiaro che quella sarebbe stata la maratona ad ostacoli più difficile della sua vita semplicemente perché, per una volta, stava facendo i conti con sé stesso. Si sarebbe dovuto aprire completamente, lasciarla entrare e vedere se avrebbe comunque soggiornato in mezzo a tutto quel casino senza lamentarsene.

Poggiò il mento sulla mano, guardandola annoiata «Mettiamo le cose in chiaro: io non ti amo, tantomeno mi piaci. Non in quel senso, almeno…» aveva esordito così, senza tanti giri di parole o calibrando la delicatezza. E infatti eccoli lì, gli occhi scuri di Ginko farsi larghi per la sorpresa mentre il biscotto inzuppato colava a picco nel the.

«Ji Yong, ma io--»

«No, fammi finire...» la interruppe brusco, inumidendosi le labbra «Ora come ora non ho il tempo per occuparmi di qualcuno, prima devo sbrigare delle cose...»

«Delle cose.»

«Sì, cose. Cose mie, per me... Se devo stare con qualcuno, voglio prima sistemare tutti i casini che mi sto trascinando dietro» sollevò il capo, cercando i suoi occhi scuri che lo scrutavano confusi «Il fatto è che--Non lo so, c’è qualcosa in te… Come se valessi la pena, capisci che intendo?»

«Veramente no.»

Sospirò «Sto cercando di dire che ieri sera ero sincero, ma non mi sono ancora rincoglionito come Seung-Hyun, ok?» sciorinò senza nemmeno pensarci su, arcuando un sopracciglio di fronte alle sue labbra tremolanti «Con te sto bene ma ho bisogno di capire un po’ di cose—Che ti prende?!»

Ginko scoppiò a ridere, nascondendo il volto fra le mani mentre si piegava sul tavolo «Sei tutto Lindsay, lo sai?» ammise fra le lacrime, cercando di darsi un contegno «Comunque ho capito. Ma io intendevo: cos’hai intenzione di fare con Seung-Hyun?»

“Ah…”

«Ah, lui…» si massaggiò il collo «Dovresti mettere dei soggetti nelle domande.»

«E tu dovresti essere un po’ più delicato» lo rimbeccò, anche se il sorriso persisteva «Allora, che farai?»

Sollevò le spalle «Gli comprerò un gelato.»

«Un—Ma quanti anni avete?!»

«Noi le risolviamo così le cose.» ed era vero, era l’unico modo che conoscevano per non sembrare due perfetti idioti. Una pacca sulla spalla, une bevuta da sfracella neuroni e tutto come prima.

«Io e Lindsay ci facevamo il the» ammise candida, grattandosi il naso per l’imbarazzo «Veramente glielo facevo io, per farmi perdonare. Lei però si confidava…» si strinse nelle spalle «Stare con lei mi faceva sentire importante, sai? Insomma, quando una ragazza come lei decide di farti entrare nella propria vita significa che in fondo qualcosa vali, no? Un po’ come con te…» gli sorrise fioca «Ji Yong… Non dobbiamo per forza correre, mh? Se io decidessi di aiutarti, non sarebbe di sicuro per diventare la tua fidanzata. Oddio sarebbe una figata assurda però--» quella attaccò a parlare e lui, un po’ per farla tacere e un po’ perché si divertiva un mondo a farle rischiare la morte, posò la propria mano sulla sua «Va bene essere amici.» concluse con voce cavernosa, sbiancando.

«Amici?»

«Certo, amici!» arcuò un sopracciglio «Non crederai mica che io sia come una delle tante sgallettate che ti porti a letto» proruppe secca, agitando l’indice «E comunque abbiamo tempo per parlarne, ora dobbiamo occuparci di Seung-Hyun» batté le mani «Allora, gelato, giusto?» e prima che fluttuasse via, udì il suo sognante «Kwon Ji Yong che dice che valgo qualcosa, incredibile!» che un po’ lo fece sorridere.

Perché era vero, Ginko non era come le altre e il fatto che si accontentasse di restargli amica, era una prova più che sufficiente.

Sospirò e comprese che quel pomeriggio lo avrebbero passato a comprare gelato e a trovare un paio di scuse decenti per farsi perdonare.

*******************


«A che pensi?» Lin guardò la schiena ricurva di Seung-Hyun mentre si apprestava a salire le scale che lo avrebbero condotto all’Inferno, come lo aveva amorevolmente rinominato per tutto il viaggio in auto.

Stretto nel giaccone, col borsone in spalla e l’aria incerta, Seung-Hyun sembrava aver perso il mordente con cui l’aveva affrontata quella notte e lo sguardo che le rivolse, la fece fermare a pochi gradini dall’inizio della seconda rampa.

Fu un «Credi che durerebbe tra noi, nonostante la distanza?» che la indusse a ingoiare quella risata sguaiata che stava per soffocarla perché quella era la domanda più stupida e al contempo complicata che qualcuno le avesse mai posto. Se gliela faceva con quegli occhi, poi, diventava ancora tutto più ostico.

Lindsay non rispose, guardandolo assorta. Sollevò le spalle e scosse la nuca, come a dirgli che non aveva pensato a tale eventualità né voleva farlo ora, sulle scale della sua palazzina. Seung-Hyun se lo fece andare bene, forse perché nemmeno lui voleva sapere quali fossero i suoi reali pensieri: se gli avesse detto , ci sarebbe stata la sofferenza derivante dalla lontananza e quella costante sensazione di incertezza scaturita dal fatto che, inevitabilmente, avrebbero finito col costruirsi una vita di cui non avrebbero più potuto far parte; d’altro canto, un secco no avrebbe indotto a pensare che non reputasse il loro rapporto così sincero o meritevole da concedersi almeno una possibilità.

La verità era che certi amori, andavano lasciati lì dov’erano.

Lindsay ammise a sé stessa, non senza fatica, che se mai avessero deciso di trascinarsi dietro la loro storia, non sarebbe durata perché avrebbero finito con il logorarsi: quel che di bello avevano costruito, quel che di buono si erano fatti, avrebbe perso di significato e a lungo andare, con gli impegni che si intensificavano, con le amicizie che si allargavano, con la vita che semplicemente prendeva una piega nuova bisognosa di cure e attenzioni, avrebbero finito con l’odiarsi, col rinfacciarsi qualsiasi cosa, magari perfino maledicendo il giorno in cui avevano deciso di provarci, giungendo ad un’ineluttabile rottura.

Forse era catastrofica, forse era pessimista ma al pensiero di finire col detestare quell’unico che tra tutti si era dimostrato meritevole, avvertiva le viscere contorcersi.

Preferiva andarsene con un buon ricordo di lui, custodirlo gelosamente e far fronte alle difficoltà con quella consapevolezza che le aveva fatto nascere piano piano: che ci sarebbe stata gente disposta a tenerla con sé e addirittura ci avrebbe lottato, pessimo carattere o meno, perché in fondo qualcosa aveva da darlo anche lei e qualcuno disposto ad accettare quel poco, ci sarebbe stato.

O, più semplicemente ancora, la gente se ne andava ma ce n'era tanta che restava.

Forse avrebbe dovuto dirgli tutto quello, certa che gli avrebbe fatto piacere sapere quanto importante fosse ma Seung-Hyun aveva già suonato il campanello e il viso scazzato di Ji Yong, apparso oltre la soglia, le ricordò che in quel momento c’erano cose più importanti da sistemare: la loro amicizia, ad esempio, pendente su di un filo ormai liso.

Perché lei se ne sarebbe andata, ma Ji Yong sarebbe rimasto.

Per poco non rise di fronte al cerotto delle Super Chicche e se non lo fece, fu solo perché Ginko oltre le sue spalle si agitava come una molla impazzata mimando un «Ti prego no!» con le labbra; sospirò sollevata nel ritrovarsela di fronte, ciò significava che le cose tra lei e quel demente si erano finalmente sistemate.

Rimasero a fissarsi per un po’, studiandosi e Lindsay ebbe l’impressione che presto si sarebbero ripresi a pugni ma Daesung dal salotto aveva urlato un esasperato «Abbracciatevi e fatela finita!» che distese un po’ la tensione. Gd aveva eseguito il suo ordine per primo…

«Non me, lui, idiota!»

… Fiondandosi sulla persona sbagliata, ovvio.

Ji Yong aveva pensato bene di avviluppare le sue gracili zampacce intorno a Lindsay che, rigida peggio di una mummia, si limitava a incenerire tutti con lo sguardo e stringere i pugni mentre quei beoti di Ginko e Seung-Hyun ridevano. Ridevano come pazzi, seguiti a ruota da quell’altro trio di deficienti impegnati a scommettere su quale arto Lindsay gli avrebbe strappato per primo.

«Non ti dispiace vero se mi spupazzo un po’ la tua fidanzata, hyung?»

«Accomodati pure.»

«Non sono la fidanzata di nessuno!»

«Vedo che sulla parte dello spupazzamento non ti fai problemi, mh?»

«Brutto--»

Ji Yong continuava imperterrito a starsene lì, con i suoi tentacoli contaminandola con la propria idiozia. Se non lo picchiò fu solo perché, mentre gli altri cominciavano a fare casino per dieci, mormorò un «Oi, grazie…» che le ricordò che in fondo, se si trovava in quella casa, con quegli amici e con quel ragazzo, un po’ lo doveva anche a lui. Lin gli diede una pacca sulla spalla e quello scoppiò a ridere «Ti scongiuro, America, non cambiare mai.» aggiunse prima di allontanarsi, unendosi agli altri.

Lin di sicuro non lo avrebbe fatto ma un pensiero la lasciò lì, immobile...

«Ho portato le birre.» annunciò Seung-Hyun posando il sacchetto sul tavolo.

«Noi abbiamo il gelato!» Ginko saltellò, andando a prendere i cucchiai.

Semplicemente, si chiedeva se ci sarebbe stato un altro Seung-Hyun, a New York.

*****************


I giorni erano trascorsi talmente veloci che quasi non le era parso di averli vissuti.

Le cene in famiglia, le serate con Seung-Hyun, perfino le uscite con quel babbeo di Ji Yong che continuava a comportarsi da stronzo decerebrato –perché certe cose non cambiavano mai- parevano frammenti di immaginazione tanto il tempo era scorso inesorabile.

Si lasciò illuminare dalle luci colorate del Tribeca e salutò il barista che, dietro il bancone, le aveva mandato un orripilante bacio volante in segno di addio.

Ricordava ancora la prima volta che le sue logore converse avevano posato i piedi sul pavimento lindo del locale. Nessuna ansia, nessun timore, solo tanta voglia di tornarsene a casa e infilarsi sotto le coperte –e magari ficcarsi un floppy nel cervello che le facesse imparare bene il coreano, un po’ come il kung fu in Matrix-; così come ricordava di aver adocchiato Ginko in mezzo ad una matassa di divise scure, colpita dai suoi capelli rosso fuoco e il suo camminare talmente veloce da sembrare un’ape impazzita.

Era stata sgarbata e un po’ nevrotica, non l’aveva fatta parlare nemmeno per un secondo e nel giro di un ombretto vistoso e un abito da poliziotta da film porno, si era ritrovata a dimenarsi sul tavolo attorniata da ballerine che lanciavano sorrisi e occhiolini –mentre lei gettava medi a chiunque tentasse di toccarle le gambe-.

Imbarazzante. Imbarazzante e assurdo, così descriverebbe la sua prima serata in un posto in cui, a poco a poco, aveva cominciato a sentirsi a proprio agio. 

E mentre se ne stava lì, in piedi, ad osservare la sala che lentamente si gremiva di gente, con le sue logore converse e la tracolla non poteva fare altro che pensare che in fondo, se la sua vita era radicalmente cambiata, lo doveva proprio al Tribeca…

«Lin, sei pronta?»

E a Ginko.

Era stato grazie a lei se tutto quello aveva avuto inizio o, perlomeno, aveva fatto sì che le acque cominciassero a smuoversi. Guardando le ballerine sui cubi e sul bancone, imitando le ragazze del Coyote Ugly, si chiese dove sarebbe a quest’ora se non l’avesse costretta a salirci e aprire la serata. E se avesse deciso di cominciare il giorno dopo o darsi malata o arrivare in ritardo o inventarsi una scusa qualsiasi per non presentarsi e ciondolare per le vie di Seul, con la serata dedicata ai Big Bang ormai già passata, cosa sarebbe successo? Avrebbe comunque conosciuto Seung-Hyun? Se non avesse ballato e si fosse limitata a servire cocktail ai clienti -o lanciarglieli dietro- lui l'avrebbe mai notata?

Lindsay non aveva mai creduto nel destino ma cominciava a credere che così come determinati eventi condizionavano ciascuna esistenza, un po’ come il divorzio dei suoi l’aveva resa quel macello ambulante che era, forse certe cose accadevano perché doveva andare così. 

Era la vita.

Forse era vero quel che dicevano: “non tutto il male viene per nuocere”, pronunciato per tirare su il morale o perché qualcosa te la dovevano pur dire. Il suo lasciarsi divorare dalla sofferenza, era forse servito ad arrivare a tutto quello? Non lo sapeva, probabilmente non sarebbe mai arrivata ad una risposta semplicemente perché a volte, non ce n'erano.

«Ehi, qualcosa non va?» Ginko la tirò per una manica, sparpagliando tutti i suoi pensieri.

Scosse la nuca «Mi mancherà questo posto.»

«Anche i costumi da film porno?»

«Beh, non proprio tutto.» puntualizzò, seguendola. Una volta fuori respirò a pieni polmoni e salita in macchina di Ginko, si voltò a fissare per un’ultima volta l’insegna luminosa del Tribeca, avvertendo uno strano nodo incastrarsi in gola. Ricordava di aver maledetto suo padre per tutto il viaggio a piedi perché con quel suo serafico «Ti ho trovato un lavoro!» aveva mandato in fumo i suoi progetti di fancazzismo totale. Da leggersi anche: sarò una spina nel fianco così rompicoglioni da costringerti a rimandarmi a New York a calci.

L’amica accese la radio e storse il naso, osservandola «Certo che per l’ultima sera ti saresti potuta vestire un po’ meglio» e così eccola lì, in procinto di criticare i suoi “orribili pantaloni alla turca”, come li aveva chiamati la prima volta, le sue vecchie converse azzurrognole che non c’entravano nulla col resto, il trucco fatto alla bene e meglio e i capelli appena passati nella centrifuga «Sei senza speranza in fatto di moda.»

«Disse quella che si fidanzò con l’anticristo della moda.»

«Ji Yong ed io non siamo fidanzati» farfugliò «Siamo solo amici. Piuttosto…» la guardò di sfuggita, svoltando a destra «Come vanno le cose tra te e Seung-Hyun?» le rifilò un sopracciglio arcuato e lei si premurò a spiegarsi «In questi giorni te l’ha detto? Sì, insomma… Che ti ama.»

“Ah, quello…”

«No.»

«Come no?!» Ginko sbatté una mano sul volante «Che idiota, che--»

«Forse non ha voglia di dirmelo» alzò le spalle «Che c’è?»

Ginko la guardò allucinata e dopo aver imprecato contro uno che l’aveva sorpassata di colpo mentre tentava di parcheggiare, sbuffò «Tu non cambierai mai, vero?» sospirò «Dovresti essere qui a disperarti perché, insomma, il ragazzo che ami non te l’ha mica detto e tu—Tu niente! Te ne stai lì, tipo bulletto di periferia: “Forse non ha voglia di dirmelo”—Che hai da ridere?!» GinKo sbatté la portiera, una volta fuori.

Lindsay scosse la nuca «No è che… Neanche tu cambierai mai» le sorrise fugace, portando indietro i capelli mentre vedeva l’insegna del locale farsi sempre più vicina. Solo un anno prima i ragazzi l’avevano costretta a sedersi al loro tavolo, cominciando a sommergerla di domande a cui aveva faticato a rispondere e ora ci stava andando di propria sponte «Credo che Seung-Hyun abbia superato i suoi limiti, capisci che intendo? Ora è troppo stanco per impegnarsi sul serio.» si strinse nel giaccone, sollevando le spalle.

«E questo non ti fa soffrire? Neanche un po’?»

«Lui—È stato buono, mi ha dato tanto, immagino di non poter chiedere di più» la guardò, imbarazzata «E poi dopo domani parto, non avrebbe più senso.» e non ne aveva davvero. Insomma, non sarebbe stato un “ti amo” a cambiare le cose tra loro o salvarle. Anzi, probabilmente sarebbe stato peggio perché le avrebbe ricordato che se solo si fossero svegliati prima, tutto sarebbe andato in un altro modo.

Era sempre questione di tempismo.

Ginko schiuse le labbra ma non disse nulla, limitandosi a scuotere la nuca e sorriderle. Cominciò a zampettare verso il locale e Lindsay la seguì, a passi lenti. Ricordava le birre che scivolavano sul tavolo una dietro l'altra, il loro sommergerla di domande; Seung-Hyun si era comportato da stronzo per tutta la sera, punzecchiandola, istigandola e lei aveva retto alle sue frecciatine con altre battute cariche di acido. Oggi, probabilmente, le avrebbe stretto il ginocchio per tutto il tempo, l’avrebbe guardata in quel modo fantastico che la faceva librare in aria e poi l’avrebbe riaccompagnata a casa.

«Lin? Muoviti! Siamo già in ritardo!» la zazzera rossiccia di Ginko ondeggiò sulle sue spalle mentre si sbracciava, a pochi metri dall’entrata. Sembrò brillare di luce propria mentre le sorrideva e le faceva segno di darsi una mossa.

Lindsay prese un profondo respiro e le sorrise, avvertendo gli occhi riempirsi di pianto.

La sua punizione durata quasi un anno, stava per giungere al termine.



A Vip’s corner:
Che. Parto.
Scusate il ritardo.
In primis il mio hard disk è stato così gentile da implodere quindi bye bye a tutte le mia fanfiction; qualcosa ho per fortuna recuperato ma… Beh, molto l’ho dovuto riscrivere da capo <.<
Poi credo di essere entrata in quella solita mia fase che amo chiamare “la stupidità di Heaven”, ovvero: sono ad un passo dalla fine ma mi faccio prendere da quel senso di “E dopo? Che faccio?” e pianto tutto lì (motivo per cui non ho mai finito Final Fantasy VII, Zelda… Mi odio…).
Quest’inutile introduzione per dirvi che se i tempi di aggiornamento si allungano non è solo per motivazioni strettamente legate alla vita al di là di internet (che son sempre le stesse, ormai sarete pure stufe di rileggerle XD), quanto più una sensazione di vuoto che mi coglie ogni volta che premo su “Aggiungi un nuovo capitolo”.
Ad ogni modo, eccomi qui.
Chiedo venia a chi si aspettava un rappacificamento ben analizzato fra Gd e Top: non era mai stato nei miei piani, non in questo capitolo almeno e siccome le cose sono fresche, avrei rischiato di snaturarli. Preferisco una cosa così, alla “vedo non vedo”.
Poi… So che potrebbe dar fastidio che abbia liquidato tutto con un “I giorni erano trascorsi veloci” –o addirittura che ciò denoti una scarsità di voglia/interesse- ma credetemi, ahimè non c’era davvero più nulla che potessi far dire ai personaggi. Sarebbe stato ricreare scene già viste, con dialoghi già letti… Un allungamento inutile che non voglio io e tantomeno penso vogliate voi.
Il risultato finale non mi dispiace, soprattutto perché ho fatto davvero ma davvero fatica a scriverlo e se determinate scene sono abbozzate, è perché ho preferito soffermarmi sui pensieri anziché le descrizioni. Del resto, il trauma-capitolo c’è già stato, questa è LA scossa d’assestamento ;)
Piccole puntualizzazioni dovute (perché se il capitolo è riuscito, è stato grazie a molte cose che non sono farina del mio sacco):
•    La scena di Ginko e GD (come ambientazione e atmosfera, almeno) è presa da quei capolavori che sono A girl by the Sea e Goodnight, Punpun di Inio Asano, quindi a lui vanno tutte le lodi.
•    Sid Vicious, cantante dei Sex Pistols, venne accusato di aver accoltellato a morte la fidanzata Nancy Spungen. La battuta è presa da quella meraviglia di 500 days of Summer.
•    La frase «Nessun uomo è un’isola» e in realtà tutto quel monologo sull’essere un’isola, è presa da About a boy, anche questa è una piccola perla che vi consiglio di guardare se volete farvi due risate e poi Hugh Grant è sempre tanta roba.
•    Il titolo non c’entra nulla col capitolo ma è una canzone che mi sta a cuore e ci tenevo ad averla da qualche parte, oltre al fatto che mi è stata d’aiuto per stendere le vincede.

Infine… Odio farmi pubblicità ma visto che siamo alle battute finali, concedetemelo: ho pubblicato “100 giorni di Kalya” una nuova fanfiction sul fandom degli SHINee, rigorosamente het e rigorosamente con personaggi complessati e mai felici –perché più li amo più li tormento, ormai l’hanno capito pure i sassi-, piena di pensieri, psicologia dei PG che viene analizzata al microscopio… Alla Heaven, insomma ^^’’
Per me è stata una specie di sfida/esperimento perché la protagonista è l’opposto di Lindsay –il protagonista è scemotto come Seung-Hyun ma va beh- e il tema dell’amore o dell’abbandono è affrontato in maniera completamente diverso rispetto quelli che sono i miei canoni e convinzioni. No, la lentezza nello sradicare le vicende c’è sempre, è un “marchio di fabbrica” che non riesco proprio a togliermi >.<
Non sono solita annunciare la pubblicazione di una nuova storia, se lo faccio è perché ci ho messo un po' di me, proprio come ce l'ho messo in Something.
Quindi niente… Se aveste voglia di stare ancora un po’ in mia compagnia, dato che qui ci avviciniamo alla fine, mi trovate anche lì. Sapervi con me mi farebbe piacere :)

Che note lunghe @.@ Per l’amore del cielo chiudiamola qui.

Ringrazio le cinque squisitezze che hanno commentato il precedente capitolo: a giorgtaker, Rachel_Daae, xxxibgdrgn88, VirginMonkey e lelasph va tutto il mio amore ♥ Ho letto e riletto le vostre recensioni, mi sono state di grande motivazione per la stesura del capitolo e perdonatemi se ancora non vi ho risposto ma quel poco tempo a disposizione che avevo, ho preferito usarlo per stendere il capitolo e non farvi aspettare ere.
Conto di rispondervi in questi giorni ma sarà a rilento, perché sono in procinto di partire per un breve viaggio e ho la testa altrove :/
Ringrazio anche chi ha aggiunto la storia fra le seguite/preferite/ricordate.
Siamo alle battute finali, forza e coraggio!

Alla prossima,
HeavenIsInYourEyes.

   
 
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