capitolo 6
Note della traduttrice:
Ed eccoci al penultimo capitolo! Che emozione <3 Prima di
lasciarvi alla lettura mi prendo due righe per avvisare che la
traduzione è già finita e sto dando un'occhiata
in giro per vedere se trovo qualcosa di carino da tradurre (pensavo
a april
23rd ma mi frena molto il fatto che sia ancora in corso ;_;).
Ho anche chiesto il permesso per After the
story Era ma non ho molte speranze dato che l'autrice sembra
sparita (ed è un peccato perché la storia merita
verament tanto). Se qualcuno avesse qualche consiglio (su Durarara!!,
ma anche Haikyuu!!, Free!! o Shingeki no Kyojin sono bene accetti XD)
sono aperta ai suggerimenti <3
Capitolo 9
Izaya
si
stava recando in ospedale alla solita ora, ancora sotto shock per come
la sua
segretaria l’aveva fregato. Namie sospettava qualcosa
già prima di parlare con
lui, e si era assicurata di scoprire se le sue teorie fossero fondate o
meno.
Il ragazzo sapeva di non correre rischi, perché la donna non
era stupida (era
lui a essere in vantaggio, se si parlava di informazioni
compromettenti), ma lo
infastidiva non essersi accorto di quello che Namie aveva cercato di
fare.
Aveva sviluppato quello che a tutti gli effetti poteva definirsi un
punto
debole – un punto debole dagli occhi ambrati e alto un metro
e ottanta, per
essere precisi. Non appena Shizuo arrivò tra i suoi
pensieri, tuttavia, Izaya
si dimenticò completamente di essere irritato e
cominciò a chiedersi se andare
a trovarlo di nuovo fosse una buona idea. In fondo c’era
già stato quella
mattina, e forse una seconda visita era un po’
troppo… però ormai la decisione
era stata presa, dato che stava già scalando il muro
dell’ospedale.
La
prima
cosa che notò quando raggiunse il settimo piano fu che la
finestra era chiusa.
Era la prima volta che non la trovava aperta, da quando era arrivato
con un
taglio da ricucire sul fianco, e quel particolare gli
provocò una strana
sensazione allo stomaco, come se fosse stato riempito d’acqua
gelida. Anche le
tende erano tirate, quindi non poté controllare se il biondo
fosse ancora nella
stanza. Fece scivolare il coltello lungo la fessura, e quando la lama
urtò
contro un lucchetto Izaya sentì un’inspiegabile
stretta al petto; in quel
momento fu tentato di rompere il vetro e passare da lì, ma
si calmò abbastanza
da arrivare alla conclusione che squarciarsi una mano e farsi arrestare
non erano
idee poi così geniali. Si guardò intorno, alla
ricerca di un’entrata
alternativa, e allo stesso tempo cercò di stabilizzare il
proprio respiro. Una
finestra a pochi metri di distanza era aperta, e quando se ne accorse
vi si
diresse subito, sperando che la stanza fosse vuota; sentì
una fitta al cuore
quando sbirciò dal cornicione e vide una bambina, al massimo
di dodici anni,
stesa sul letto. Dato che non si muoveva, immaginò che fosse
addormentata, o in
coma, o magari morta, ma sinceramente non gli interessava:
finché era
incosciente, non si sarebbe accorta di lui.
Izaya
si
mosse velocemente, senza dare al suo buon senso l’occasione
di rimproverarlo, e
abbastanza in fratta da evitare che qualcuno entrasse mentre era ancora
lì
dentro. La porta era leggermente aperta e controllò da uno
spiraglio che in
giro non ci fosse nessuno, prima di dirigersi verso la stanza di
Shizuo. Fu
sollevato dallo scoprire che c’era ancora il suo nome
stampato sull’etichetta della
porta, e l’aprì senza darsi il tempo di chiedersi
perché, se il biondo era lì,
la finestra era chiusa a chiave con un lucchetto. Quando
entrò la risposta
giunse da sola.
L’espressione
di Shizuo era molto simile a quelle che gli rivolgeva una volta, piene
di furia
e di violenza, ma stavolta c’era qualcosa di più,
che Izaya giudicò essere
dolore. Sul suo volto era impressa la sofferenza del tradimento.
L’informatore
fu tentato di andarsene di nuovo, eppure non riuscì a
costringere il suo corpo
a muoversi. Sapeva che stava per succedere, era inevitabile, ma era a
malapena
in grado di pensare. Sapeva solo che avrebbe dovuto dire qualcosa,
rompere quel
disgustoso silenzio che continuava ad allargarsi attorno a loro.
«Shizu-»
«Il
messaggio non era abbastanza chiaro?» lo interruppe il
biondo. Sembrava
tranquillo e la sua voce era impassibile, ma Izaya intuì che
si trattava solo
di una messinscena. Avrebbe di gran lunga preferito che gli avesse
urlato
contro.
«Vattene,
Izaya.»
«Aspetta,
lascia che-» il ragazzo non aveva idea di come continuare, ma
aveva bisogno di
dire qualcosa, qualsiasi cosa. Una
voce nella sua testa stava ridendo di lui.
Beh,
immagino che tu abbia ottenuto quello
che volevi. Adesso sì che ti odia.
Shizuo
lo
interruppe di nuovo.
«Preferisci
spiegarti?» domandò, sprezzante. Ora si era alzato
in piedi e avanzava verso di
lui in un modo fin troppo familiare, urtandogli la fronte con la sua
come una
sorta di avvertimento. Lo stomaco di Izaya si contorse dolorosamente;
stava
diventando impossibile per lui ricomporsi, e quando cercò di
nuovo di muovere
le labbra non uscì alcun suono. Gli angoli dei suoi occhi
cominciarono a
bruciare.
«Non
puoi?»
chiese il biondo, con una nota d’isteria nella voce che Izaya
non gli aveva mai
sentito «Non sai spiegare perché mi hai
mentito?»
Shizuo
stava
perdendo il controllo: non riusciva a tenersi dentro il dolore che lo
stava
facendo a pezzi. Da quando aveva dimenticato il suo passato aveva avuto
solo una
certezza nella vita, solo una persona che riusciva a renderlo felice, a
fargli
dimenticare quello che aveva perso, e ora scopriva che non aveva fatto
altro
che mentire. Ringhiò, colpendo il muro vicino a loro con un
pugno, e una
pioggia di detriti coprì di polvere i loro piedi. Dentro di
lui combattevano
due istinti, uno che voleva fargli gettare Izaya fuori dalla finestra,
e un
altro che non sarebbe mai riuscito a ferire la persona che per lui
contava di
più. Non importava che i sentimenti di Izaya non fossero
reali: i suoi lo erano
ancora.
«Puoi
smetterla con la tua messinscena, perciò dimmi quello che
vuoi e vattene. Avanti,
gongola pure… non era questo il tuo obiettivo? Mi odi, vuoi
farmi soffrire, no?
Beh, buon per te, ce l’hai fatta. Congratulazioni. Ora
vattene di qui» sibilò,
spingendo Izaya verso la finestra «Sparisci
dalla mia vista, maledetto bugiardo.»
L’informatore
obbedì, tornando verso la finestra. Le mani gli tremavano
mentre tirava le
tende, e non riusciva nemmeno a vedere il lucchetto tra le lacrime che
gli
sgorgavano dagli occhi e gli rigavano le guance. Lui non piangeva mai, cazzo, perché gli importava
così tanto
di quello che pensava Shizuo? Si arrampicò, pronto ad
andarsene, ma prima si
girò di nuovo verso il biondo; lo vide che tremava da capo a
piedi, con la
mascella così contratta da far risaltare i tendini del
collo. Piangeva,
asciugandosi rabbiosamente gli occhi arrossati.
«È
stupido,
vero?» gracchiò, e l’amarezza della sua
voce non era niente in confronto al
dolore che la permeava, mentre camminava verso di lui «Dopo
tutto quello che mi
hai fatto…» i suoi occhi ambrati incontrarono
quelli di Izaya e all’informatore
si bloccò il fiato in gola; era ancora chinato in avanti,
già mezzo fuori dalla
finestra, e le dita grattavano sull’orlo del cornicione
«… mi mancherai lo
stesso.»
Il
cervello
di Izaya si spense del tutto. Nessuno gli aveva mai detto una cosa del
genere,
a parte le persone che aveva manipolato per spingerle ad affezionarsi a
lui,
nemmeno i suoi familiari. Eppure Shizuo, nonostante sapesse cosa aveva
fatto, nonostante
pensasse che fossero state solo bugie, provava ancora qualcosa per lui.
Qualcosa che non era rabbia. Gli era piaciuto passare del tempo con
lui,
avrebbe voluto continuare a vederlo, gli importava
di lui. E Izaya aveva rovinato tutto. Era stata una relazione
fallimentare fin
dal principio, non c’era mai stata nemmeno una singola
possibilità che sarebbe
finita bene, eppure aveva continuato a provarci, aveva sperato…
era stato irrazionale. Quello che provava per Shizuo era
irrazionale, non seguiva ragione o regole, ma questo non
l’aveva fermato.
Le
dita con
cui stringeva il davanzale scivolarono, e quasi non si accorse di star
cadendo
dalla finestra finché non sentì qualcuno chiamare
il suo nome. Guardò in su e
vide di nuovo quegli occhi ambrati.
Shizuo
non
ebbe il tempo di metabolizzare quello che era successo, agì
e basta. Non era
abbastanza vicino a Izaya da impedirgli di cadere, ma dannazione, non
lo
avrebbe lasciato morire; si lanciò fuori dalla finestra,
spingendosi verso il
basso senza nemmeno darsi il tempo di pensare. Izaya aveva meno di un
secondo
di vantaggio, e Shizuo lo raggiunse dandosi una spinta con i piedi,
aumentando
la velocità grazie al calcio che sferrò al
davanzale. Una volta che fu
abbastanza vicino lo abbracciò e se lo strinse
protettivamente al petto. Il
vento li circondò, colpendoli con la forza di una frusta, e
Izaya strinse le
braccia attorno alla sua schiena, mentre Shizuo gli premeva le labbra
contro la
nuca, cercando di sistemarsi in modo da trovarsi sotto di lui al
momento
dell’impatto. I pochi secondi precedenti alla collisione con
il terreno non
rallentarono come nei film, anzi, sembrarono quasi accelerare. Shizuo
sentì le
ossa rompersi e la sua testa sbatté contro il cordolo della
strada. Perse
immediatamente conoscenza.
Eppure
riusciva ancora a sentire qualcuno: era una voce familiare che lo stava
chiamando. All’inizio era scherzosa e aveva un ritmo
cantilenante: “Shizu-chan, Shi
– zu – cha – an!”.
Ben
presto però il tono cambiò; era ancora acuto e
melodioso, ma con una traccia di
insicurezza, magari anche preoccupazione. Una mano si posò
sulla sua spalla.
«Shizu-chan?»
Qualcuno
lo
scosse un po’, prima di spostargli i capelli dal viso. La
voce ora sembrava in
preda al panico.
«Shizuo?
Cazzo. Shizuo? Rispondimi, stupido
scimmione!
Shizuo, per favore?»
Il
ragazzo
si sentì sollevare dal pavimento mentre la persona accanto a
lui avviava una
telefonata.
«Alla
stazione… sì, è stato colpito da un
treno… Mi prende per il culo? Non
c’è tempo, mandatene una prima
–
‘fanculo, ce lo porto io!»
La
sua
coscienza andava e veniva, ma lui si rilassò quando un paio
di braccia si
fecero carico del suo peso. Socchiuse gli occhi e ora la scena era
diversa: era
già in ospedale e qualcuno stava gridando a poca distanza da
lui. Riconobbe la
stessa voce di prima, piena di preoccupazione. Poi le braccia se ne
andarono e
sotto di lui apparve una superficie liscia e morbida. Un pizzicore
acuto sulla
pelle e poi più nulla.
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