Per
istinto e pensiero
di ellephedre
Settembre/ottobre 1997 - Separazione
e...
I primi giorni di settembre ricominciò
l'università. Ami andò a ogni
lezione e si buttò con voracità nella lettura dei
nuovi testi d'esame.
Aveva del tempo da far passare, il più fretta in possibile.
Si sentiva... leggera. Qualcosa aveva stretto in una morsa il
suo petto
per l'ultimo periodo della permanenza di Alexander in Giappone. Era
stato l'errore fatale che lei aveva quasi commesso.
Forse lui sarebbe tornato comunque, forse sarebbe stato
paziente.
Magari per due mesi avrebbe solo atteso di risentirla di nuovo, ma...
Come ho potuto?
Per poco non lo aveva lasciato andare via con l'onere di
dimostrarle...
che cosa? Che l'amava davvero?
Evidentemente non le bastava un ragazzo che, senza alcuna
incertezza,
le diceva da mesi di voler passare mille anni con lei. Per la sua
insicurezza lo aveva caricato della responsabilità di farle
cambiare
idea sulle relazioni, quando unicamente da sola poteva fare una cosa
del
genere, armandosi di quel pizzico di coraggio che lui si meritava.
Alexander già le mancava. Avrebbe voluto tenerlo
tra le
braccia e passare il
tempo a farsi perdonare.
Due mesi di silenzio le servivano proprio, alla fine. Gli
avrebbe
dimostrato che i suoi sentimenti non sarebbero cambiati in quelle
settimane. Quando si fossero risentiti, Alexander avrebbe trovato una
Ami nuova, più matura, più degna.
Mancavano solo cinquantuno giorni.
«Stai contando quanto tempo manca, vero?»
«Hm?» Ami sollevò lo sguardo
verso
Usagi.
Lei la osservava e capiva tutto quello che provava.
«Quando Mamoru è
andato via, io non avevo idea di quanti giorni mi mancavano per
rivederlo. Non sapevo con precisione quando sarebbe tornato. Per questo
contavo i giorni in cui eravamo stati lontani, per farmi forza. Mi
dicevo, 'Un giorno in meno, Usagi. Un giorno in meno di
lontananza.»
Ami capì di essere stata cieca. Tre anni addietro
aveva attribuito i
silenzi di Usagi alla mera nostalgia. «Scusami.
Quando Mamoru è andato via,
sapevo che ti mancava, ma pensavo
che, siccome eravate destinati a stare insieme, tu dovevi per forza
essere sicura di quello che provava lui.» Invece,
più l'amore era
intenso, più i timori erano in agguato. Usagi era stata
così forte...
Mamoru non le aveva scritto una sola lettera di risposta. Senza saperne
la ragione, lei aveva continuato a credere al loro amore, crollando
solo
dopo mesi di silenzio. Anche allora non aveva mai rinunciato a lui, pur
iniziando a dubitare.
Per Usagi erano ricordi tristi, ma passati. «Se ami
qualcuno, è normale
avere paura. Ma tu ne hai avuta troppa, Ami-chan.»
Già. Se n'era resa conto in tempo.
«Quel ragazzo è un santo, ma non capisco:
se vi siete chiariti prima
della sua partenza, perché evitare di sentirvi per due
mesi?»
Non avevano avuto il tempo di parlarne, ma non era stato
necessario. «A
questo punto sono io a dovergli dimostrare che la distanza non mi fa
paura. Voglio che condivida il suo futuro con me, perciò
devo
dimostrarmi degna di fiducia.»
Sentì due mani sulle spalle, vicino al collo.
«Per fortuna parli così, o la dea
dell'amore avrebbe dovuto punirti!»
Ami si voltò. «Minako!»
Lei esplose in un sorriso, splendida come non l'aveva mai
vista. Ami non si
era ancora abituata a vedere i capelli biondi di Minako tagliati appena
sopra le spalle, ma il nuovo taglio la faceva sembrare più
matura. Forse
erano i vestiti, il modo in cui si muoveva - più lentamente,
con più
grazia - ma ogni volta che la rivedevano, Minako appariva un poco
più
diversa - più simile alla ragazza che mostrava sicura la
propria
immagine in televisione.
Minako portò un dito alla bocca. «Shh, o
attirerai i miei fan!»
Usagi non ci cascò. «Presuntuosa, non ti
riconosce nessuno!»
Minako scompose un poco l'espressione, rilasciando una smorfia
comica
che Ami riconobbe come quella della sua amica. Era tornata.
«Dici così, ma non sai che faticaccia ho
fatto per arrivare in
incognito fino a qui!» Minako levò un cappellino.
Sotto aveva nascosto
degli occhiali da sole, che probabilmente aveva indossato per tutto il
tragitto. «La mia faccia ormai è nota in tutto il
Giappone!»
«Se gridi in questo modo...»
ridacchiò Usagi. Era stata superlativa nel
riportare indietro la Minako del passato, in un momento.
«Rei e Makoto sono in ritardo?»
«Makoto aspetta la pausa pranzo per uscire dalla
pasticceria, mentre
Rei aveva un'ultima lezione stamattina.»
«Meglio così.» Ami si
ritrovò fulminata da due affilati occhi azzurri.
«Altrimenti eviterebbero che te le canti come meriti. Come
hai potuto,
Ami-chan? Usagi mi ha raccontato tutto.»
«Ho dovuto sfogarmi» spiegò
Usagi, senza essere davvero pentita.
Minako levò la giacchetta leggera che aveva
indossato e incrociò le
braccia. «Era quello che dovevi fare tu, Ami! A cosa servono
le amiche
se poi ti tieni tutto dentro nel momento del bisogno?»
Ami si sentì in colpa.
«Come faccio ad andarmene da Tokyo se poi non ve la
cavate senza di
me?»
Le sfuggì una risatina. «Scusa. Ho
imparato la lezione.» Era arrivata a
tante conclusioni il giorno in cui Alexander era partito - su se
stessa,
sul loro rapporto e sul modo in cui si relazionava agli altri.
«Davvero hai imparato?» Minako era
sospettosa. «Secondo me devi passare
prima una bella prova orale!»
«Eh?»
«Un esame, no? Chi meglio di Venere per
questo?»
Ami lanciò un'occhiata a Usagi, cercando di capire.
Minako si sfregò le mani. «Senti
qua.» Disegnò in aria un ipotetico
striscione. «Scena uno: il tuo Alexander sta studiando in
biblioteca. Si
avvicina a lui una ragazza in minigonna, con maglietta scollata. Lo ha
puntato da lontano e si è data una passata di lucidalabbra
prima di
avvicinarsi. È sicura della sua strategia, nessun ragazzo
l'ha mai
rifiutata. Lui come si comporta?»
Ami sbatté le palpebre. Immaginò alla
lontana la scena, senza dare
troppo peso all'aspetto della sconosciuta. «Dipende da
cosa gli
chiede lei. Ma se lui è occupato a studiare...»
Minako saltò in piedi, chinandosi in avanti sul
tavolo. «Lei si
avvicina così, mettendo in mostra il petto seminudo. Gli
domanda,
'Scusa, sai dov'è il reparto dei libri di
astrofisica?'»
Ami fu interdetta. «Come fa a sapere quale argomento
gli
interessa?»
«È furba, ha dato un'occhiata al titolo
dei volumi che lui ha sul
tavolo. Rispondi alla domanda.»
Per farlo, Ami dovette raffigurarsi in testa la situazione.
Minako era
stata brava a dare un'identità alla ragazza, soprattutto
quando aveva
imitato la voce suadente che lei avrebbe adoperato. «Ehm...
Alexander
alzerebbe il braccio e le indicherebbe dove si trovano gli scaffali che
cerca.»
Minako sollevò un sopracciglio. «Ma
un'occhiata alla sua scollatura la
lancerebbe, no?»
Usagi si scandalizzò. «Minako!»
Lei scrollò le spalle. «È un
uomo.»
Ami era piccata. «Le direbbe comunque di andare
via.»
«Facciamo che la ragazza è insistente. Si
siede nella sedia vuota
accanto a lui e comincia a fare la simpatica.»
Irritata, Ami strinse gli occhi. «Non c'è
niente che Alexander detesti
di più di una persona affettata. Le direbbe chiaro e tondo
che è
occupato e che non vuole essere disturbato.»
Minako ci pensò su. «Hai ragione. Hmm...
Questa era una prova
spicciola, solo una domanda di riscaldamento.»
Aprì le mani in aria,
teatralmente. «Scena due.»
«Perché la stai torturando?»
intervenne Usagi.
«Perché lei ha torturato lui. E visto che
si farà venire questi dubbi
tra qualche tempo, quando sarà sola, preferisco sapere
adesso cosa
pensa. Così estirpiamo alla radice il problema.»
«Sei tu che le stai facendo venire brutti
pensieri!»
Ma Ami era d'accordo. «Ci sto. Continua.»
Era pronta alla sfida. Non
temeva nulla.
«Perfetto.» Minako era soddisfatta.
«Dicevo, scena seconda. Gruppo di
studio: ci sono il tuo Alex e un paio di ragazzi e ragazze. Tutta gente
preparata, intelligente. Una delle ragazze è stata appena
mollata dal
suo fidanzato. È triste. Non ha mire su Alexander - non
ancora. Lui la
tratta come tutti gli altri, ma... il tempo passa. Lei vede quanto lui
è
geniale, gentile quando vuole. Questi gruppi di studio si protraggono
fino a tarda sera. Un paio di volte capita che Alexander la accompagni
al dormitorio, loro due soli. Parlano. A lui lei ricorda te.»
Il cuore di Ami mancò un battito.
«La ragazza finisce col parlargli della sua storia
d'amore finita male.
Lui prova empatia, perché è fatto
così. La consola a parole. Lei ormai è
mezza cotta. Inizia a cercare contatti fisici casuali...»
Usagi scuoteva la testa, in pena.
«Minako...»
Minako sollevò un dito: voleva terminare.
«Lui non ricambia i tocchi,
ma si sente in colpa. Ha iniziato a farsi delle domande,
perché lei è
dolce, intelligente, e lui prova... qualcosa. Ti ama ancora, eppure gli
è stato possibile sentire una sorta d'interesse per un'altra
persona.
Forse, anche se ci credeva, è stato avventato nelle promesse
che ti ha
fatto. Magari al ritorno deve riflettere bene sui progetti che voi due
avete in mente.»
Era uno scenario così plausibile da risultare
terrificante. Ami prese
un bel respiro, concentrandosi. Aveva una voglia matta di rincorrere i
propri timori, crogiolandosi nella possibilità che
accadessero, ma forzò
un ricordo: l'ultimo abbraccio di Alexander all'aeroporto.
“You are my heart, Ami.”
Era il suo cuore, aveva detto lui, stringendola forte. E
glielo
dimostrava ogni volta che le parlava, che la guardava, toccandola a
volte con reverenza e di recente sempre più con una passione
che non
riusciva a controllare.
Si immedesimò nei suoi panni, ribaltando la
situazione ipotizzata da
Minako. Come si sarebbe comportata con un ragazzo che le avesse
ricordato lui?
Ebbe solo certezze. «Non può succedere.
Alex non si farebbe queste
domande. Proverebbe empatia per la situazione della ragazza, ma la
tratterebbe come un'estranea, al massimo come un'amica.»
Anche se
persino quello era improbabile: lui tendeva a mantenere gli estranei a
distanza. Non lasciava avvicinare facilmente le persone. «Non
si
renderebbe nemmeno conto che lei è interessata, almeno fino
alla
faccenda dei tocchi casuali.» Immaginando quelli e la ragazza
della
precedente scena, che esibiva davanti a lui il proprio fisico, vide un
po' rosso. Ma era una gelosia sana. «A quel punto Alex
troverebbe il
modo di mettere in chiaro che non può esserci nulla tra
loro. Forse non
mi menzionerebbe nemmeno, perché il punto non è
che è fidanzato:
semplicemente, non la ricambia e gli dispiace di essere stato
frainteso.»
Minako la fissava. «Però!»
Scrisse velocemente su un foglio
immaginario. «100 e lode, Ami-chan!» Le
passò il suo premio ed Ami lo
accolse con sollievo.
«Grazie.»
Usagi le squadrava. «Voi due siete
masochiste.»
«Zitta» disse Minako. «Tu hai le
sue stesse sicurezze su Mamoru, ma non
avresti retto la prova. Sei troppo gelosa.»
«Certo! Una che si mette a far vedere la scollatura
a Mamo-chan sta
cercando la morte!»
Minako esplose in una risata.
Usagi continuò. «E lui avrebbe pensieri
romantici su un'altra donna
solo con me morta!»
«Che tragica!»
«Per dire quanto mi ama!»
Ami si stava divertendo. «Comunque ti ringrazio,
Minako, hai ragione.
Forse mi aiuta riflettere adesso su questi scenari.»
Minako tornò a dedicarle attenzione. «Non
prendiamoci in giro, Ami. Ci
rifletterai ancora, soprattutto verso la fine dei due mesi. Basta che
ricordi come hai risposto ora, quando hai ancora la memoria fresca su
di
lui.»
«Ormai sono sicura.»
«Ti conosco abbastanza. Per te è un hobby
ragionare su possibilità
disastrose. Prevengo anche le tue possibili obiezioni future: abbiamo
parlato di situazioni che possono coinvolgere un ragazzo qualunque,
no?»
Dove voleva arrivare? «Sì.»
«Un ragazzo in una relazione normale, anche quando
è innamorato, può
avere momenti di cedimento. Ma questo ipotetico ragazzo comune non ti
sarebbe rimasto accanto già due anni fa. Uno,
perché agli uomini non
piace essere mollati.»
Ami si ritrovò con un dito in faccia. Minako ne
sollevò un altro. «Due,
se scoprono che la loro ragazza ha poteri sovrannaturali, scappano a
gambe levate. Tre, alla possibilità che lei sia incinta, la
lasciano
parlare con una segreteria telefonica per i successivi cento anni. E
quattro... Anzi, era il punto due e ce ne sarebbe pure un quinto, ma
non
esiste un ragazzo che accetti un anno di astinenza senza essere
irrimediabilmente e assolutamente convinto che lo sta facendo per la
persona giusta. Ancora mi chiedo come abbia fatto lui.»
Usagi scrollò le spalle. «Mamo-chan
almeno aspettava perché io ero
piccola.»
Ami frenò a stento le risate. «Qual era
il quinto punto?»
«Cinque, Ami, è che dopo tutto questo, un
ragazzo comune ti avrebbe
mandato al diavolo alla richiesta di provarti che il vostro amore
è
forte con quattro mesi di silenzio. Non avrebbe accettato manco una
settimana, altro che due mesi.»
Ami sospirò, ennesimamente pentita.
Minako le strofinò forte la testa. «Per
favore, applica tutta la tua
considerevole intelligenza a questi fatti nelle prossime settimane,
okay?» Picchiettò sulla sua nuca, per far entrare
meglio il concetto.
«Non immaginare il tuo ragazzo in scenari in cui altri
fallirebbero,
perché lui non
è un ragazzo
comune con riguardo a te.»
Ami annuì. Avrebbe avuto bisogno di un discorso
forte come quello già
settimane addietro.
«Che facce!»
Si voltarono. Al Crown era arrivata anche Rei.
«Ciao!»
«Di cosa stavate parlando?»
«Strigliavo Ami.» Minako
ricambiò un suo abbraccio, sentito e caloroso.
«Come stai?» le domandò Rei.
Minako ignorò la domanda.
«Perché non sei intervenuta con più
forza in
questa situazione? Non mi posso più fidare di
nessuno!»
Il sorriso di Rei era segreto. «Non eri presente.
Avendo sentito
l'altra parte in causa, ho ritenuto fosse più saggio non
intromettermi.
E visto che parliamo di questo...»
Rei tirò fuori dalla borsa un pacchettino squadrato
ben incartato, con
fiocco.
Il suo regalo, pensò Ami, contenta. «Per
me?»
«Sì, per il tuo compleanno. Ma non da
parte mia.»
Ami notò la carta da regalo blu, il particolare del
materiale con cui
era stato creato il fiocco - tela bianca, forse seta. In un attimo,
seppe di chi era quello stile. Incredula, si sporse a prendere il
pacchetto. Ricevendolo, lo strinse al petto.
«Lui è passato da casa mia per darmelo,
qualche giorno prima della sua
partenza.»
Usagi era commossa. «Cosa sarà?»
«Non c'è un biglietto?»
domandò Minako, occhieggiando il regalo.
Ami conosceva la risposta senza bisogno di guardare.
«Ci siamo promessi
silenzio.» E lei non si era aspettata nessun dono,
perciò stava tremando
di gioia. Quasi non le importava cosa fosse: era un modo per Alexander
di comunicarle che aveva pensato a come si sarebbe sentita in quel
giorno speciale, in sua assenza. Tanto bastava, era già
qualcosa di
prezioso. E se pensava che lui aveva comprato quel regalo quando ancora
lei aveva eretto una distanza tra loro...
Sentì gli occhi umidi. Si lasciò
invadere da un sorriso.
Rei era felice. «Ho voluto dartelo adesso,
così potrai aprirlo a
mezzanotte, prima di passare la giornata di domani a dispiacerti
perché
lui non è qui con te. Ma ti vedo meglio di quanto mi
aspettassi.»
Be', tra quella sorpresa e la lezione di Minako, il suo umore
non era
mai stato tanto alto in quei giorni, da quando Alexander era partito.
Lisciò la carta del pacchetto, rimirandolo.
Usagi moriva di curiosità. «Sembra un
libro.»
«Se lo è, passerò la notte a
leggerlo.»
«Ohh, come mi piace vederti romantica!»
Lei adorava esserlo. Perché aveva rifuggito la
felicità?
Rei le sfiorò una spalla. «Dici che
domani riesci lo stesso a uscire
con noi la sera, per festeggiare?»
«Certo.» Loro erano le sue care amiche.
Incontrò l'occhiata benevola di Minako.
Arrossì. «Cosa c'è?»
«È questa la Ami che mi piace
vedere!»
Quella sera Ami non resistette alla curiosità:
aprì il suo regalo che era
ancora il 9 settembre. Risultò essere davvero un
libro.
Lei non volle nemmeno leggerne l'introduzione. Si
sdraiò sul letto e si
immerse nel volume, capitolo dopo capitolo.
Trecentosettanta pagine dopo, la mezzanotte era passata da
quindici
minuti, lei aveva appena compiuto diciannove anni e aveva terminato di
leggere una storia intensa, commovente.
Guerre, privazioni, un oceano di distanza e anni di lontananza
- nulla
aveva scalfito l'intensità del sentimento dei due
protagonisti. Si erano
ritrovati nonostante le avversità e avevano combattuto per
tornare
insieme.
Le erano rimaste impresse delle frasi.
“E quando la rivide, dieci anni sparirono in un
secondo. Tornò a essere
un ragazzo, col petto che batteva e le gambe che smaniavano di correre,
per raggiungerla.”
“In tutto questo tempo ho creduto di averti
dimenticato” aveva detto la
protagonista all'uomo che aveva segnato la sua
gioventù. “Ho
vissuto un'intera vita senza di te, ma vivevo a metà, senza
saperlo.”
Il libro non era una classica storia d'amore. Ami lo avrebbe
classificato più come narrativa generale, ma lo amava per
questo. Nella
ricchezza della trama vi erano scampoli di sentimento strategicamente
posizionati, che le avevano sempre fatto tenere a mente la sofferenza
della coppia divisa dalle circostanze, dal tempo, da tutto. A volte era
stata solo una malinconia senza nome, la sensazione di aver perso
qualcosa di importante che non sarebbe mai più tornata.
Aveva capito cosa provavano quei due - in quei giorni
più che mai.
Nel finale non era stato descritto nemmeno un abbraccio, ma lo
sguardo
che l'uomo e la donna si erano scambiati, pronti a muoversi l'uno verso
l'altra, finalmente liberi di stare insieme, era stato
sufficiente. La speranza a un passo dall'essere concretizzata
era la
migliore
conclusione che Ami riuscisse a immaginare.
Appoggiò il libro aperto sul viso.
Quando hai
avuto il tempo di
trovarlo?
Accarezzò la copertina, a occhi chiusi, in testa la
sensazione delle
mani di Alexander. Voleva sfiorarle, toccarle, dirgli...
Quando pensava di aver trovato un limite all'amore che
provava, lo
sentiva crescere ancora.
Settembre diventò autunno.
Un giorno il cielo si riempì di nuvole e
iniziò a piovere. Il sole non
riapparve per una settimana.
Ami non si lasciò intristire dal tempo: era carica.
Usciva con le
ragazze, studiava, leggeva, ma alla fine le sue giornate erano
più
libere del solito. Non aveva più un ragazzo con cui dividere
i momenti
di svago.
Cosa starai
facendo?
Hai conosciuto
i professori che
ammiravi?
Hai trovato
compagni di corso
interessanti?
.... Ti manco?
Pensava ad Alexander talmente tante volte al giorno che in un
paio di
occasioni si era ritrovata con la cornetta in mano, sul punto di
chiamarlo, come se non si fossero mai scambiati una promessa diversa.
Una sera aveva persino preso il suo minicomputer e lo aveva
geolocalizzato negli Stati Uniti, dove si trovava. Era stata invasa
dall'idea che qualcosa potesse essere andato storto nel viaggio di lui
ed era riuscita a calmarsi solo quando aveva visto che stava bene.
Aveva
verificato la sua temperatura corporea, il suo stato di salute
generale.
L'immagine del cuore di lui che batteva le aveva strappato un sospiro
di
sollievo, felicità mista a tristezza.
Era impazzita, o pazza.
Per non crogiolarsi in quella tortura, il giorno seguente
aveva deciso
di concentrarsi su un gioco che non metteva in pratica da tempo:
avrebbe
esaurito l'argomento di un testo d'esame in meno di sette giorni. La
sfida era assimilare il contenuto del libro nella sua testa in maniera
chiara e completa, in modo da rendersi capace di spiegarlo ad ipotetici
altri come se le fosse toccato insegnare in maniera basilare la materia.
Iniziò una mattina, afferrando il libro scelto,
sentendo l'entusiasmo
che cresceva sotto pelle.
Cominciò a leggere le prime pagine a colazione, con
una matita in mano
per sottolineare i concetti e scrivere appunti. Mentre si vestiva per
la
giornata, ripeté le poche nozioni apprese.
Uscì di casa portando il libro sotto braccio, per
leggerlo mentre si
muoveva in metropolitana.
Niente doveva distrarla. Era una sfida di concentrazione, a
molteplici
livelli: a lezione doveva spostare la propria attenzione sull'argomento
di cui parlava il professore, e solo poi poteva tornare al testo che
voleva scandagliare fin nella più piccola nota.
La prima sera crollò a dormire come un sasso,
stanca e appagata.
Il secondo giorno sentì di aver preso il ritmo
giusto. Cento pagine in
quarantotto ore. Si prese un'ora o due per ripassare nella testa le
nozioni, esponendole a se stessa come se le stesse spiegando davanti a
un pubblico. Da sempre, per lei era un esercizio per vincere la
timidezza.
Cinque giorni dopo, nella sala mensa
dell'università, si concesse un
buon pranzo: aveva vinto la sua sfida.
«Mizuno-san!»
Una sua compagna di corso, Ritsuko Horie, l'aveva puntata.
Stava
lanciando un'occhiata al libro poggiato sul suo tavolo. Vedeva i
segnalibri colorati che spuntavano dalle pagine.
«Non ci credo, lo hai già studiato
tutto?»
Ami si strinse nelle spalle. «È un buon
testo. Il professore ha fatto
bene a sceglierlo.»
Incoraggiata, Horie-san si sedette accanto a lei.
«Anche tu non vedi
l'ora che inizi il prossimo anno? Io sono così stufa di
studiare queste
materie generali!»
Ami in verità si era già portata avanti
da mesi con quelle.
Ad Horie brillavano gli occhi. «Poi finalmente ci
faranno fare qualcosa
di pratico. Ho sentito che per gli studenti migliori è
previsto uno
stage in un ospedale privato, come semplici osservatori, durante le
vacanze. Tu ci sarai di sicuro, Mizuno-san.»
Durante le vacanze? «Nell'estate del prossimo
anno?»
Horie-san annuì. «Oh, mi stanno
chiamando. Ci vediamo!»
«Ciao» la salutò Ami,
deconcentrata.
Prese tra le mani il libro su cui aveva studiato.
Mentre ne imparava il contenuto non aveva perso tempo a
domandarsi
quando avrebbe potuto applicare quei concetti. Per lei il solo
apprendere era una gioia.
Ma il sogno nascosto di sempre, il motivo per cui aveva scelto
di
studiare medicina, stava in ciò che aveva detto Horie-san:
avere un
giorno l'opportunità di praticare la professione.
Nella prossima estate sarebbe stata ancora libera, a meno
che...
Si guardò intorno.
Le piaceva l'università. Le piaceva frequentarla.
Era l'ambiente in cui
si era immaginata sin da quando era stata bambina. Era appagante stare
lì, ma ricordarsi che stava studiando senza un fine... Non
era la prima
volta che sceglieva di non esplorare le conseguenze di una
possibilità
che lei stessa aveva messo in campo.
Ovviamente i fatti erano noti. Meno chiaro era come si
sentisse lei a
riguardo.
Era qualcosa di molto importante.
Come aveva detto ad Alexander, quello era il periodo in cui
potevano
ancora cambiare idea sulle loro scelte, se non erano sicuri di quello
che volevano fare.
Per una volta, non si permise di mettere l'amore sopra ogni
altra cosa.
Lo doveva a se stessa e a lui: aveva bisogno di essere completamente
sincera.
Terminò di mangiare e mise in pausa la questione.
Aveva ancora una
lezione da frequentare e un intero weekend per riflettere sulla
faccenda.
Non
è obbligatorio avere un bambino.
Era il nodo centrale della questione su cui doveva dibattere.
Certo, non era una costrizione diventare madre. Se avesse
scelto di non
esserlo, sarebbe stata libera di continuare la vita che stava
conducendo
ora - un'esistenza in cui si sentiva già felice e
realizzata.
Tuttavia...
Sdraiata sul suo letto, accarezzò la testolina di
Ale-chan, che si
stava strofinando contro la sua mano. Era un gattino affettuoso, che
amava riposare sopra il suo petto.
«Ti voglio bene» gli disse, avvicinando il
viso al suo muso.
Più pensava a cosa voleva davvero, più
era semplice decifrarlo.
La prospettiva di non poter dedicare tutto il tempo che le
rimaneva
allo studio non era gradevole. Ma l'idea di non poter mai avere un
bambino con Alexander era... devastante.
Tutta una vita senza un bambino loro?
No.
Voleva i momenti che aveva vissuto con lui l'inverno scorso.
Anzi, li
rivoleva, questa volta legittimamente.
Come poteva trascorrere tutta una esistenza col ragazzo che
amava senza
sentirlo di nuovo toccare il suo ventre con reverenza, per lo stupore
di
quello che avevano creato insieme? Un nuovo essere umano.
Con i tuoi
occhi, forse, e la mia
timidezza.
Voleva conoscere quella persona. Voleva vederla nascere,
voleva
crescerla. Non voleva farlo da sola.
Se tra un anno fosse diventata una madre, non ci sarebbe stato
un
momento in cui avrebbe desiderato tornare indietro. Perché
il bambino sarà nostro e tu sarai con me. In
ogni passaggio.
Avrebbero scelto in due il nome - se fosse stata femmina,
perché se era
maschio era certa che fossero già d'accordo. Avrebbero
atteso con
impazienza il suo arrivo. Lo avrebbero consolato nei suoi pianti, si
sarebbero riempiti dei suoi primi sorrisi.
Sarà
possibile?
Forse erano solo sogni.
In un mondo crudele, lei e Alexander erano già
troppo geneticamente
differenti per avere la possibilità di concepire insieme.
Sarebbero
potuti diventare genitori anche di un figlio che non fosse
biologicamente loro, in futuro, ma... Se Adam fosse esistito, sarebbe
stato... Il più bel dono che la vita poteva fare a
entrambi.
Ale-chan iniziò a fare le fusa contro il suo collo.
Ami lo grattò sotto
il mento.
«Vuoi un fratellino umano?»
Le fusa aumentarono di volume.
«Gli insegnerò a trattarti
bene.»
Oh, sì. Si sentiva capace di far scoprire il mondo
a un bambino pieno di curiosità ed entusiasmo, che
da lei avrebbe voluto
principalmente una
cosa: amore.
E io ti amo
ancora prima di
conoscerti, sai?
Era diventata una persona... completa, unica, amata. Era una
Ami Mizuno
che non vedeva l'ora di espandersi, di fare.
Sorrise e passò la mano lungo tutta la schiena di
Ale-chan, facendogli
alzare la coda. «Nel frattempo, studierò medicina.
Un giorno diventerò
un grande dottore, nessun dubbio.» Sentì il petto
che si distendeva,
libero. «Ma non c'è fretta.»
Primo ottobre.
Erano passati trenta giorni da quando Alexander se n'era
andato. Ne
mancavano ancora trenta prima di risentirlo.
Il periodo di silenzio era ormai a metà del suo
percorso.
Nella sua felicità per il tempo di separazione che
si riduceva, Ami
ogni tanto si ritrovava a guardare l'immensità del cielo.
Il loro era un mondo vasto.
Nella sua mente era vivido il ricordo di ogni respiro che
aveva
condiviso con Alexander, tanto quanto era grande la sua immaginazione
su
tutto ciò che lui stava vivendo da solo, in un altro
continente. Era
quasi come se fosse... un'altra vita.
Era
l'esperienza che volevo che
avessi.
Vivi e sogna,
aveva pensato.
Sogna senza limiti e costrizioni, anche senza di me.
Guardava fuori dalla finestra e vedeva così
tante speranze e obiettivi, gente che passava e se ne andava.
A volte osservava con indolenza, altre volte con la sensazione
di non
poter fermare ciò che stava accadendo.
Il mondo avrebbe continuato a girare anche se loro due si
fossero
allontanati.
Si poneva domande come quelle, senza trovare risposta.
Perché continuava a
pensare che lui potesse dimenticarla?
Sono una debole.
Quando sentì forte il desiderio di una consolazione
illogica, prese una
decisione. Caricò Ale-chan nel trasportino.
«Facciamo una gita.»
Appena entrò nell'appartamento di Alexander, si
sentì meno sola. Lasciò
libero il gattino e si guardò intorno.
Uscì a comprare qualcosa per fare colazione la
mattina successiva.
Servivano anche delle scatolette di cibo e una lettiera per Ale-chan.
Mentre la preparava in bagno, parlò al gatto che
esplorava la stanza.
«Così avrai un posto per le tue esigenze anche
qui.» In fondo, sarebbe
stato necessario, se quella sistemazione fosse diventata permanente per
entrambi, un giorno.
... stava correndo troppo?
Detestò quel pizzico di insicurezza e la sensazione
di prendere
decisioni che non sarebbero state gradite.
Era stato Alexander a dirle che poteva venire a dormire in
quella casa, da sola o
con Ale-chan. Non gli sarebbe dispiaciuta la lettiera per il gatto.
Non gli
dispiacerebbe nemmeno se
stessi qui per tutto il tempo che lui non c'è.
“Ami love.”
Rivisse un ricordo. Loro due sdraiati, di notte, abbracciati.
“Non te ne andrai domattina, vero?”
“Dobbiamo studiare. Siamo stati insieme per due
giorni.”
Lo aveva fatto ridere. “Non te ne andare
domattina.”
La sua voce. Il tono morbido, basso.
“Hai studiato?” L'avevano preoccupata i
suoi voti.
“Me lo chiedi sempre. Ma quando mai ho preso meno di
90 da quando
stiamo insieme?”
L'obiezione era stata sensata. “Hai
ragione.”
“Certo.”
La sua arroganza continuava a sembrarle tenera. Aveva avvolto
la sua
spalla col braccio. “Allora rimango.”
Lui aveva fatto silenzio.
“Non vuoi più?”
“Tu hai studiato abbastanza, vero?”
Le era uscita una risata, dal cuore. “Altrimenti non
ti avrei promesso
di restare.”
“Hm. Anche se mi hai messo dopo lo studio, non
importa.” Le aveva dato
un bacio sulla fronte. “Tu devi avere tutti i 100 che
meriti.”
“Durante le vacanze vorrò solo
te.”
“Ouch.”
Lei si era messa a ridere più forte. Quanta
allegria e leggerezza aveva
provato nello stare con lui.
“Anche adesso voglio solo te” aveva
precisato. “Ma mi sento più
rilassata quando non ho qualcosa da studiare.”
Lui aveva fatto scorrere un dito sulla sua nuca. “Un
giorno gli esami
finiranno.”
Lei si era goduta il tocco, a occhi chiusi.
“Già.”
“Quel giorno non te ne andrai più
domattina.”
Lei aveva percepito una domanda, incredula.
“Mai” aveva detto.
Avevano aumentato la forza dell'abbraccio, di pochissimo.
Erano già le
loro anime a essere intrecciate.
Quella notte, anche nel presente, Ami riposò nel
letto
di lui.
«Ami?»
Quattro ottobre. Era seduta in un tavolino della pasticceria
di Makoto,
insieme alle ragazze. A una certa ora del pomeriggio c'era sempre
scarsa
affluenza e Makoto poteva respirare.
Ami guardò Rei. «Cosa
c'è?»
«Sei strana oggi. Distratta.»
... aveva fatto un brutto sogno. «Non è
niente.»
Makoto arrivò al loro tavolino con un vassoio di
pasticcini. «Ecco qui
le mie nuove creazioni. Provatele tutte e ditemi quali sono le
migliori.»
Usagi si stava leccando le labbra. «Uno per ognuna,
di ogni tipo. Ti
adoro, Mako-chan!»
Rei aveva l'acquolina in bocca. «Vedo un chilo
intero su quel vassoio,
solo per me. Lo prenderò sui fianchi con gioia.»
Makoto selezionò un pasticcino con una rosellina
sopra. «Devi
cominciare da questo, Ami. Ma prima dicci perché sei in
pensiero.»
Non poteva nascondere loro nulla. «Ho fatto un
incubo.»
«Un sogno premonitore?» si
preoccupò Rei.
Ami scosse la testa. La sola idea la faceva sudare freddo.
«Era un
incubo normale. Mi sono addormentata con la televisione accesa. Il
suono
delle voci mi ha disturbato.»
Usagi smise di dedicarsi ai dolci. «Che cosa hai
sognato?»
Non ricordava come era iniziata. A un certo punto rammentava
di
essersi ritrovata col mini-computer di Mercurio in mano. In
quell'universo onirico aveva messo in atto ciò che non si
era permessa
di fare nella realtà: si era messa a cercare di nuovo
Alexander. Quando
lo aveva localizzato, aveva scoperto che lui si trovava in una stanza,
con
un'altra persona - una ragazza. Lo schema di linee azzurre sullo
schermo
le aveva restituito l'immagine di due corpi che si avvicinavano.
Aveva assistito a un bacio. Si era svegliata di colpo.
Terminò di raccontare il suo incubo alle ragazze.
«Ma va'!» proruppe Makoto. «Una
cosa del genere succederà solo quando i
nemici ci batteranno!»
«Esatto» le fece eco Usagi.
«Quindi mai!»
«So che è stato solo un brutto
sogno...»
«Ma certo.» Rei pativa con lei.
«Però quando si fanno incubi di questo
tipo viene sempre voglia di verificare subito la realtà,
giusto? Il
problema è solo che Alexander ti manca.»
Usagi riprese a mangiare. «Fossi in te, lo chiamerei
subito.»
Makoto non era d'accordo. «Ami non ha mica paura che
sia vero!»
«Che c'entra? Non contano le ragioni, ha voglia di
risentirlo. Quando
lui ascolterà la voce di lei al telefono,
scoppierà di gioia e non
gliene importerà nulla del loro accordo.»
Ami si sentì immensamente bene nel sentirlo.
Esatto, Alexander avrebbe
reagito in quel modo.
“You are my heart, Ami.”
E lui era il suo. Lei non riusciva a pensare ad altro.
Si sentì forte. «Mancano solo ventisette
giorni. Devo dimostrargli che
posso essere sicura dei nostri sentimenti, anche senza
rassicurazioni.»
Makoto stava rivedendo la propria posizione. «Hai
già aspettato un
mese, però.»
Sì, ma quello che ora le stava facendo paura era
esattamente la ragione
per cui aveva deciso di lasciargli del tempo per stare da solo.
«Alexander sta vivendo un'esperienza fondamentale in America.
Ogni
giorno che si concentra solo su quella, è un giorno in
più in cui
acquisisce certezze su cosa lo renderà felice in
futuro.».
Quella separazione stava avendo la stessa utilità
per lei: più stava
lontana da lui, più sapeva di essere stata una sciocca a
pensare che il
suo avvenire potesse non includerlo. Lui e una loro famiglia,
nonché
tutta una vita - mille anni interi - da passare l'uno accanto all'altra.
Finalmente era sicura. Finalmente non si sentiva
più in colpa per i
propri desideri.
Non era egoista, era solo... innamorata.
Rei la osservava, con uno scherno gentile in volto.
«Sai, Ami, a volte
mi chiedo se per te sarebbe un colpo tremendo ammettere di essere
inferiore in qualcosa.»
«Eh?»
«È chiaro che questo periodo di
separazione ti sta
servendo per
rimettere ordine nelle tue priorità. Ma sono convinta che a
lui non
servisse affatto. Mi sembra un tipo davvero semplice da questo punto di
vista: se c'è una cosa che lo soddisfa, non la molla
più. Tu invece ne
fai una faccenda complicata e non riesci a concepire che per Alexander
possa essere stata molto... be', lineare.»
Usagi stava facendo una smorfia. «Ami sa ammettere i
propri difetti.»
«Sì, ma tra loro c'è una certa
competizione sui talenti che hanno in
comune - in questo caso parliamo di perspicacia, e capacità
di
autoanalisi. Gareggiare è una cosa che vi piace, no? Come
col nuoto.
Fatichi ad accettare che Alexander sia arrivato tranquillamente a una
traguardo che tu hai raggiunto con grande sforzo.»
Sentendo il bisogno che aveva di replicare, Ami si
zittì e rifletté
sulle parole di Rei.
«È un modo di rassicurarti, sai? Tu devi
immaginare che
il tuo ragazzo sia
lontano, ma ansioso di risentirti e rivederti. Vedrai che tra un mese
farete festa.»
Usagi batté le mani. «Devi fare come
faccio io quando mi manca
Mamo-chan! Penso ai suoi baci, alle sue carezze...»
Makoto la osservava con un sopracciglio alzato. «Ma
se non
state lontani più
di due giorni.»
«E mi fa bene lo stesso! Dormo come una bambina dopo
essermi concessa
qualche fantasia su di lui. Ah, Ami! Luna vuole sapere dov'è
finito
Ale-chan. Stamattina lo ha cercato a casa tua.»
«Ehm... l'ho portato nell'appartamento di Alexander
con me. Ieri ho
dormito lì.» Per la terza notte consecutiva.
«Ohhh!»
Il coro di sospiri la fece arrossire. «È
stato lui
a darmi il
permesso!»
«Ma allora ti stavi già
consolando!» Usagi era estatica.
Rei sollevò un dito. Aveva un'idea in mente.
«Alexander ha lasciato dei
vestiti, giusto?»
«Hm?»
«Prendi una sua maglietta, o qualcosa che abbia
ancora il suo odore, e
mettila vicino a te quando dormi. Sarà come averlo
accanto.»
Era un trucco geniale, e molto intimo. Ami si
sentì morire
d'imbarazzo.
Il sorriso di Makoto era pronto a rincarare le dose.
«Sappi che se poi
ti vengono certi istinti, mentre sei sola soletta, lui in America
approverà di certo. Specie se poi glielo racconti al
telefono.»
Ami balzò in piedi. «Siete delle
svergognate!»
Venne sommersa dalle risate.
Avvampò fino alla punta dei capelli.
«Vado a casa.»
«Ma no, resta! Devi ancora mangiare i tuoi
dolci!» Makoto sigillò le
labbra. «Non dirò più niente,
giuro.»
Ami si decise a rimanere. Per il resto dell'incontro,
sentì il
divertimento benevolo delle sue amiche su di sé, ma loro
ebbero pietà e
non tirarono più in ballo il discorso.
Sette ottobre. Nove ottobre.
I giorni non passavano mai.
Ami iniziò a trascorrere più notti
nell'appartamento di Alexander.
Una sera sua madre le domandò dove andasse quando
non dormiva in casa.
Ami glielo confessò.
«Non ti sento parlare al telefono con lui.»
Ami scelse di spiegare. «Abbiamo deciso di non
sentirci per un po'. È stata una mia idea.»
Percepì l'approvazione di sua madre, e un pizzico
di incertezza.
«Lui come l'ha presa?»
«Non era molto contento all'inizio. Poi gli ho detto
che secondo me
avevamo bisogno di...»
«Riconsiderare il vostro legame?»
A sua madre poteva spiegarlo in quel modo. «Ho
pensato che questo
viaggio potesse essere un'occasione per stare per conto nostro e
capire... cosa vogliamo in futuro, come coppia.»
Sua madre annuì. «Siete giovani e dovete
prendere decisioni importanti
sul vostro futuro in questi mesi. Lui non deve sentirsi costretto a
rinunciare all'America per te. E tu non devi sentirti costretta a
seguirlo.»
«Ecco...»
«Intendo dire che è importante non
sentirla come una costrizione. Se
dopo un periodo di lontananza sentirete ancora di voler stare insieme,
potrete fare le vostre scelte con maggiore consapevolezza e
maturità.»
Ami si rese conto che sua madre stava pensando a
un'eventualità che lei
non aveva mai preso in considerazione. «Mi lasceresti andare
a studiare
in America?»
«Sì, se è quello che vuoi. Non
ti devi preoccupare dei costi. Se è
quello il posto in cui sarai una persona felice...» La pausa
seppe di
commozione. «Ti appoggerò in ogni tua
scelta.»
Ti
appoggerò.
Ami non sapeva perché, ma aveva sempre sentito di
dover
fare tutto da sola.
Invece aveva così tante persone accanto, che la sostenevano
e la
aiutavano.
«Grazie, mamma.»
Tredici ottobre.
Meno diciotto giorni al primo novembre.
Sarai ancora
convinto di quello che
mi hai promesso?
Le cose saranno
ancora come prima,
tra noi?
Cercava di dimenticare quelle domande.
Le cose non sarebbero state come prima, incerte. Sarebbero
andate
meglio. Lei avrebbe abbandonato ogni ritrosia nel ricambiare l'amore di
lui. E al suo ritorno, a gennaio...
Voglio andare a
vivere con te.
Era un sogno che la imbarazzava per la sua audacia, che la
riempiva.
Si era permessa di andare molto oltre. Qualcosa l'aveva
animata - forse
follia. Un pomeriggio si era ritrovata davanti all'atelier in cui
avevano trovato il vestito da sposa di Usagi. In quel posto aveva
indossato un bellissimo abito ricamato di fiori, che l'aveva fatta
sentire romantica, innamorata, pronta.
Per strada, davanti alla vetrina, si era sentita invadere da
un
brivido. Era corsa a casa e solo lì si era concessa
di singhiozzare.
Ale-chan si era strofinato contro le sue gambe, cercando di
consolarla.
«Scusa.» Lo aveva raccolto da terra,
abbracciandolo. «Ma perché sono
andata in un posto simile? Forse lui non mi vorrà
più come prima.»
Dopotutto lei lo aveva allontanato, ed era passato del tempo. Magari
Alexander aveva scoperto di stare bene anche senza di lei. Forse...
Ma cosa stava pensando?
Lentamente, si era calmata.
Quella notte era ricorsa allo stratagemma di Rei e aveva
recuperato una
maglietta di lui dal guardaroba. Alexander l'aveva usata la notte prima
di partire, una volta sola, per dormire, perciò non
l'avevano lavata.
Sdraiata sul letto, voltata su un fianco, Ami chiuse gli
occhi,
ispirando
il profumo dal tessuto.
A Boston stai
studiando tante cose
che ti piacciono.
Era bello immaginarlo appagato.
Sicuramente,
pensi che io qui ormai
sia tranquilla.
Infatti. Proprio perciò lei doveva stare serena,
anche per lui.
La nostalgia era un sentimento che confondeva.
Prima di dormire, pensò a cose felici.
Immaginò cosa gli avrebbe detto
il giorno in cui lo avesse risentito, e come avrebbe reagito lui.
Andò
più in là nel tempo coi sogni. Era gennaio, erano
all'aeroporto.
Correvano ad abbracciarsi.
Portò la maglietta al naso. Si
addormentò.
La mattina seguente, Ale-chan faceva la pasta sul suo stomaco.
Lei aprì gli occhi, accaldata. Spostò
delicatamente il gatto sul
materasso, per fermare la stimolazione sul ventre.
Aveva confuso il massaggio dei suoi cuscinetti per delle dita.
Appena
prima di svegliarsi, aveva sognato che...
Strinse inconsciamente le gambe, richiamando la sensazione di
piacere
dall'interno del suo corpo.
Perversa,
si redarguì,
mettendosi a sedere. Le venne da ridere.
«Miao!»
«Okay, ti do da mangiare.» Il suo amico
felino se lo meritava proprio.
Diciannove ottobre.
Mancavano pochi giorni al compleanno di Minako.
L'organizzazione della
festicciola a sorpresa che avevano in mente per lei dava ad Ami
qualcosa
a cui pensare.
Sulla telefonata fatidica che non vedeva l'ora di fare, aveva
iniziato
a farsi delle domande.
Ma con 'primo
novembre', lui
intendeva secondo il mio fuso orario, o il suo?
Era una differenza di ben quattordici ore -
un'eternità, quando era
così vicina al traguardo.
Se aspettava il fuso orario di Boston, forse Alexander avrebbe
pensato
che lei non aveva alcuna fretta di sentirlo. Sarebbe stato in pena per
tutto il tempo, o deluso.
D'altronde, se lei lo chiamava allo scoccare della mezzanotte,
ora
giapponese, erano le 10 del mattino del giorno precedente in America.
Forse lui avrebbe avuto lezione o sarebbe stato occupato con
qualcos'altro.
Magari non si aspettava di ricevere una chiamata quando il termine non
era ancora passato.
Non se la
prenderà per questo.
Ami riteneva di no, ma aveva paura di provare a chiamare e non
sentire
risposta. Avrebbe avuto la sicurezza che per Alexander qualcosa era
cambiato se lui non avesse avuto la sua stessa ansia di risentirla.
Il 22 ottobre, nel pieno della sua festa di compleanno, Minako
le
lanciò un'occhiata e sentenziò, «Lo
sapevo!»
«Eh?»
Ami si sentì prendere da parte. Minako la
portò in una stanza vuota
della casa di Usagi.
«Ti stai concentrando sulle tue fisime! Coraggio,
mancano pochi giorni!
Se non cambi faccia, sarò costretta a versarti addosso una
delle mie
gocce d'amore!»
«Scusa» sorrise Ami.
«Adesso andiamo là fuori. Voglio sentirti
al karaoke!»
Glielo doveva. «Farò del mio
meglio.»
Minako fece per tornare dalle altre, poi si fermò.
«Come regalo di
compleanno, tra una decina di giorni, voglio essre la prima a cui
racconterai tutto. Dovrai dirmi per filo e per segno quanto
sarà andata
bene la vostra agognata prima telefonata.»
Osservandola, Ami ebbe una curiosità, prettamente
impersonale. «Non hai
mai avuto alcun dubbio su di noi, Minako?»
Cosa la rendeva tanto sicura dell'esito che avrebbe avuto una
relazione
sentimentale che non era la propria?
Davanti ai suoi occhi, Minako si fece saggia.
«Riconosco l'amore quando
lo vedo. Non è uno scherzo, Ami. Non sarei ciò
che sono, se non fossi in
grado di percepire la forza di un sentimento che non fa neanche
respirare quando è sincero.» Le prese le mani.
«Non hai bisogno che sia
io a dirtelo. Credi in voi.»
Ami ricevette un bacio sulla fronte. Si commosse: il gesto era
stato
quasi materno.
«Coraggio, torniamo alla festa.»
23 ottobre.
Ami rilesse da cima a fondo il libro che aveva ricevuto in
regalo per
il suo compleanno.
24 ottobre.
Si ricordò di un compito che doveva consegnare il
giorno seguente in
classe. Completò il lavoro verso mezzanotte, soddisfatta
come non era
mai stata in precedenza di qualcosa che aveva lasciato da fare
all'ultimo momento.
25 ottobre.
Il ruolo che lo studio avrebbe avuto nei successivi mesi della
sua vita
la colpì come un fulmine a ciel sereno. Se voleva avere del
tempo libero
da dedicare alle chiacchierate con Alexander, tanto valeva mettersi a
studiare tutto il possibile mentre ancora non lo stava sentendo.
Passò le ore del 26, 27, 28 e 29 ottobre sui libri,
cercando
disperatamente di concentrarsi solo sulle nozioni.
Con tutto quello che stava studiando, avrebbe potuto passare
una
settimana intera a parlare con lui senza leggere una sola altra pagina.
Sempre che Alex avesse voluto sentirla tanto a lungo.
Il 30 ottobre Usagi le propose un party di Halloween.
«Vieni da me domani, indosseremo dei costumi! Ci
saranno anche Hotaru,
Michiru e Haruka!» Minako non sarebbe riuscita a venire, ma
già lo
sapevano.
«Devo tornare a casa prima di mezzanotte.»
«Come Cenerentola! Oh, giusto, devi sentire Alex! A
mezzanotte
precise?»
«Sì.» Alla fine, aveva deciso
che non avrebbe potuto aspettare un
minuto di più.
Usagi la salutò, dandole appuntamento per la sera
successiva.
31 ottobre 1997.
Nel guardare la data completa, Ami si ricordò che
conosceva Alexander
da quasi due anni.
Lo aveva incontrato in un giorno di novembre.
Lo aveva baciato un pomeriggio di dicembre.
Lo aveva lasciato una settimana prima di Natale.
Cinque giorni dopo lo aveva pregato di perdonarla.
Il 1996 era stato il loro anno più sereno. Il 1997,
quello più intenso.
Non le bastava. Lei voleva un altro anno, un altro decennio.
Un altro
secolo.
Inspirò, scegliendo di ascoltare, per istinto di
sopravvivenza, la
paura che aveva cercato di dimenticare.
Doveva prepararsi ad affrontarla.
Magari stanotte
mi dirai che per te è
cambiato qualcosa di importante.
Non pianse.
Alexander poteva aver deciso che una vita in America era
ciò che voleva
davvero.
‘Ho deciso di rimanere qui. Voglio lavorare alla
Nasa. Voglio fare
ricerca. Mi hanno proposto una specializzazione che non voglio
rifiutare.’
... lei non gliene avebbe fatto una colpa.
‘Ci ho pensato molto, Ami.’
Lo sapeva. Ne era sicura.
I love you. Avrebbe
cercato
di non dirlo. Gli avrebbe detto che capiva.
Se nonostante tutto lui non avesse voluto troncare la loro
relazione...
Sarebbe andata a trovarlo. Avrebbe voluto rivederlo. Al resto avrebbe
pensato in seguito. Il futuro non aveva importanza.
Se invece lui, dopo aver preso quella decisione, avesse anche
voluto
lasciarla...
È probabile.
Sei sempre stato
corretto.
Si appoggiò contro lo schienale della sedia,
svuotata.
No, capì. Non sarebbe riuscita a non dirgli che lo
amava. Ma proprio
per questo gli avrebbe augurato il meglio. Una vita bella, intensa,
piena.
Goodbye.
31 ottobre 1997.
Sbattè le palpebre secche, tornando a vedere il
calendario.
“Ti amerò per sempre” aveva
detto all'aeroporto. “Anche se non torni
indietro.”
Quel giorno più che mai, era consapevole che
sarebbe stato vero fino al
suo ultimo respiro. Qualunque cosa fosse successa.
«Da cosa sei travestita, Ami?»
Il suo costume causava un sorriso in chiunque lo vedeva.
«Sono uno spirito.» Piegò
le braccia a uncino davanti al petto,
incurvando la testa per mettere in risalto i due cartoncini attaccati
alla coroncina in fil di ferro che aveva fabbricato in casa. Sui
cartoncini aveva disegnato delle ondine, come quelle che nei manga si
usavano per rappresentare gli spiriti.
Makoto si fece una risata.
«Non ho avuto modo di andare a comprare un costume
vero.» Si era
distratta facendone uno in casa, con un vecchio lenzuolo e strumenti da
cartoleria. Come per le feste scolastiche, quando era stata una bambina.
«Sei adorabile!»
«Grazie.»
«Devo farti una foto, così anche Alex un
giorno potrà vederti!»
Ami riuscì a non formare alcuna espressione.
Makoto intuì ugualmente il suo stato d'animo.
«Ragazze!»
Le raggiunsero Rei e Usagi - rispettivamente una diavolessa e
una
fata.
Haruka, Michiru e Hotaru non erano ancora arrivate.
«Cosa?»
«Formiamo un cerchio attorno a Ami.»
Le sue amiche non chiesero nemmeno il motivo: la circondarono,
le loro
braccia sulle sue spalle.
«Questa notte andrà tutto bene,
Ami-chan» disse Makoto.
Ami non si azzardò a parlare. Le era cresciuto un
magone in gola.
Usagi strofinò la testa contro la sua tempia.
«Lo risenterai e sarà...
bellissimo.»
Ami chiuse gli occhi.
Rei le liberò la fronte dai capelli.
«Svaniranno tutta l'incertezza e
l'attesa di questi due mesi.»
Lei si riempì l'animo delle loro rassicurazioni.
Makoto non resistette più e l'abbracciò
forte. «Non riesco a vederti
triste! Come puoi esserlo?»
«Mi sto solo... Voglio essere preparata se lui mi
dirà che...»
«Non succederà.» Usagi scuoteva
la testa.
Rei incontrò i suoi occhi. La comprese meglio di
tutte quando
disse, «Se per qualunque motivo vorrai parlare con noi, dopo
che lo
avrai sentito, io starò sveglia tutta la notte ad
ascoltarti.»
Ami si sporse verso di lei. Finì racchiusa tra le
sue braccia,
lasciandosi sostenere.
Usagi stava trattenendo le lacrime.
«Perché siamo infelici prima del
tempo?»
Ami sentiva la carezza della mani di Rei sulla nuca. Fu lei a
dare voce
ai suoi pensieri. «Perché nella
realtà una
persona non rinuncia a tutta la vita che
conosce solo perché è innamorata. Il tempo
passa, i sentimenti si
affievoliscono. La lontananza separa. Le persone cambiano.»
Non lei. Quello che provava non sarebbe mai sparito.
Tornò dritta e Rei chinò la
testa, per farsi guardare. «Ma io
sono convinta, con tutto ciò che sono, che la tua
sarà una favola, Ami.
Questa storia finirà in lacrime solo perché
saranno di gioia. Tu meriti
tutto l'amore del mondo.»
Ami sentì una scia umida sulla guancia.
Non importava cosa meritava, contava ciò che aveva:
delle amiche
splendide. Erano sorelle. «Vi voglio bene.»
Le fece commuovere tutte, queste persone che amava e che non
la
lasciavano mai sola.
Amore.
Esisteva in molte forme. Lei voleva aprirsi ad ognuna di esse.
Non
voleva più fuggire, né nascondersi.
Qualunque cosa fosse successa...
Non torno
indietro.
Undici e cinquanta, dieci minuti alla mezzanotte.
Seduta sul suo letto, Ami guardava il foglietto col numero da
chiamare.
Lo aveva imparato a memoria.
Era andata in bagno, aveva bevuto un bicchiere di latte per
calmarsi.
Non si era mai sentita in quel modo in vita sua: man mano che
si
avvicinava il momento, l'ansia cresceva insieme alla sua fervida
attesa.
Voleva risentire la voce di Alexander. Non le importava nemmeno di cosa
lui avrebbe detto, voleva solo risentirlo.
Devi essere a
casa, rispondimi.
I love you.
I love you.
Voglio che
andiamo a vivere insieme.
Voglio avere il nostro bambino. Voglio che ci sposiamo.
Rischiava di dire tutte quelle cose nella prima frase.
Rise, l'istinto di piangere che scappava sempre più
lontano.
Dentro di sé sapeva la verità.
Questo
è il giorno in cui finiranno
le sciocchezze per cui ti ho fatto soffrire.
Chissà come gli era andata a Boston?
Presto avrebbe saputo come si era trovato, che cosa aveva
fatto.
Lo avrebbe risentito.
Sei l'altra
metà di me, per questo mi
sento instabile senza di te. Ma in quei due mesi,
nonostante
tutto, era cresciuta. Ora era la persona che poteva sostenerlo a pieno
titolo, per un altruismo sincero che non derivava da timori nascosti.
Due minuti alla mezzanotte.
Rigirò il cordless tra le mani.
Il suo animo era talmente pieno che elaborò dei
versi.
`E quando lo risentì, sparì l'oceano che
li separava e i mesi in cui
erano stati lontani. Fu come averlo accanto, e avere sulla pelle il suo
respiro.`
Sorrise. Aveva ripreso la struttura della frase dal libro che
lui le
aveva regalato, ma erano parole vibranti che traboccavano da lei. Le
avrebbe recitate al suo unico amore, senza vergognarsene.
Meno trenta secondi.
Tremando, si preparò a comporre il numero con le
dita.
Allora,
prefisso 001, poi 617. Guardò
l'orologio, in attesa, per iniziare a premere i tasti solo quando il
contatore dei secondi fosse arrivato almeno a cinquant-...
Un trillio esplose nella stanza.
Ami guardò incredula il telefono. Il suono dello
squillo si stava perdendo
nell'aria.
Col cuore in gola schiacciò subito il tasto di
risposta, quasi
sbattendo la cornetta contro l'orecchio.
«... pronto?»
«Ami.»
Le uscì un lamento. «Alex!»
Non
riuscì a formare una sola altra parola:
scoppiò a piangere, lacrime su lacrime a inondarle la
faccia.
«Ah,
love, don't cry.»
Provò a rispondergli, ma i singhiozzi glielo
impedivano, per la ragione
migliore che potesse esistere: felicità pura. Mai nella sua
vita si era
sentita così...
«Per me non è cambiato niente, Ami. Dimmi
che per te è la stesso.»
«I love you!» Si costrinse a deglutire.
«Sono stata una stupida! Ogni
giorno ho pensato a te.»
La risposta di lui fu un sospiro. Lei provò la sua
stessa pace.
Rise, ancora pianse, ma era solo per gioia. «Come
stai?»
«Non sai quante cose ho da raccontarti.»
Lei si abbandonò sul cuscino. «Anche
io.»
Lo sentì ridere - una cosa così bella.
«Hai scoperto nuovi
teletrasporti?»
No, aveva scoperto una Ami nuova - grazie a lui, per lui.
«Prima voglio
sentire tutto quello che ti è successo. Non facevo che
immaginarlo.»
«Io non facevo che immaginarti da sola,
love.»
«Non lo ero.» Non lo era mai stata,
comprese. In nessun momento.
Fu come sentire l'ultimissimo tassello di sé che
andava finalmente al
proprio posto. «Eri con me.» Lui l'aveva pensata
per
tutto il tempo.
«Sì. Ma sono riuscito a studiare un
po'.»
Lei sorrise e inspirò a fondo, smettendo di
piangere. «Raccontami.»
Ascoltò, non seppe per quante ore. E
parlò, per buona parte della
notte.
Quel giorno finirono la sua attesa, i suoi incubi, le sue
paure.
Quel giorno cominciò il suo nuovo mondo.
Settembre/ottobre 1997 -
Separazione e...
- FINE
Note: Piango di commozione per essere riuscita a raccontare
questa
lunga vicenda di Ami e Alexander, che finalmente ha avuto fine. Da
questo momento in poi, solo leggerezza in questa raccolta! :) Nel
prossimo capitolo leggerete anche di Shun e Arimi (Alexander li ha
incontrati spesso). Tornerò al punto di vista di lui, dato
che Ami - infine,
di nuovo, clap clap, Ami-chan - ha messo da parte le sue fisime.
Proprio
per questo, la vedrete comportarsi anche in maniera più,
ehm,
disinibita.
Grazie di essere qui a leggere e se vorrete dirmi cosa ne
pensate, sarò
felice come Ami in questo capitolo (quasi :D).
Elle
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dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon,
Verso l'alba e oltre...