Capitolo
4
Se
prima il Cavaliere era stato una leggenda senza volto, nei giorni
successivi divenne per Stuart una specie di ossessione.
Compariva
ogni volta che lui andava in volo. Sembrava quasi che lo aspettasse,
dalla puntualità con cui regolarmente piombava addosso al suo
Squadron.
Arrivava
all'improvviso, colpiva e se ne andava.
Qualche
volta Stuart aveva provato ad inseguirlo, ma il Messerschmitt era più
veloce del suo Hurricane, inoltre sembrava che un destino beffardo
volesse impedirgli a tutti i costi di misurarsi con lui: le poche
volte che si era trovato tatticamente in vantaggio si era accorto di
avere le armi scariche, aveva avuto un'avaria al motore o aveva
dovuto interrompere l'inseguimento per correre in soccorso di un
pilota del suo Squadron in difficoltà.
E il
Cavaliere era sempre lassù, come se volesse sfidarlo.
Per
togliergli un po' della sua aura mitologica lo chiamava Muso
Rosso, e
pretendeva che anche i suoi piloti lo facessero.
Se
qualcuno si riferiva a lui chiamandolo nel modo solito, cinicamente
faceva notare che nessuna nazione intenzionata a vincere una guerra
può permettersi di ospitare cavalieri tra le proprie fila.
Col
passare del tempo la questione finì però per scivolare sul piano
personale. Tutti sapevano che quando andava in volo cercava il
Cavaliere di Valsgärde, e anche la faccenda della mappa con i
puntini rossi chissà come era trapelata.
Stuart
si era persino accorto con disappunto che qualcuno l'aveva
soprannominato Capitano Brown, come il pilota
canadese cui era
attribuito l’abbattimento del Barone Rosso. Era perlopiù gente di
altri Squadron, i suoi ragazzi sapevano che lui non amava scherzare
sull’argomento, eppure il nomignolo si stava diffondendo.
Così
come si stava diffondendo una sorta di nascosta ma accanita
competizione fra tutti coloro che erano intenzionati a conquistare
come trofeo il celebre muso rosso dell'inafferrabile aereo tedesco.
Ad ogni
missione si scatenavano le telefonate e le comunicazioni radio fra i
vari Squadron:
“Chapman
del 12° ci è andato vicino.”
“Vaughan
del 15° l'ha inseguito per un po' ma gli è scappato.”
“Murphy,
quello del 3°, non quello del 12°, gli è andato troppo sotto e ci
è rimasto secco.”
“Sembra
che stavolta uno del 7° gli abbia bucato un'ala.”
E cose
del genere. Ad ogni uscita dei vari stormi c'era sempre qualcuno che
aveva da riferire un aneddoto sul Cavaliere di Valsgärde.
Di pari
passo spuntavano qua e là personalizzazioni degli aerei che
ricordavano, più in piccolo ovviamente, quelle degli Assi della
Grande Guerra: c'era chi si faceva dipingere di un determinato colore
l'ogiva, chi le estremità delle ali, chi ancora si faceva fare delle
fasce sulla fusoliera. Alcuni disegnavano sul muso simboli o stemmi.
Uno
particolarmente aggressivo aveva fatto dipingere una mano colorata
come l'Union Jack che stritolava un Messerschmitt dal muso rosso.
“Venga
a vedere, signor maggiore!”
“Cosa
c'è?”
Stuart
seguiva un po' perplesso gli avieri che lo stavano conducendo
nell'hangar principale.
“Vedrà,
signore! È una sorpresa.”
“Non
è che avete combinato qualcosa al mio aereo, vero?”
Gli
uomini si guardarono l'un l'altro, fecero qualche risatina soffocata
ma non risposero nulla di intelligibile.
Alla
fine fu proprio dal suo aereo che lo condussero. Lo Hurricane era
stato coperto con un telo mimetico dal quale spuntavano solo l'elica
e le estremità alari. Tutt'intorno c'erano i meccanici dello
Squadron, alcuni armati di macchina fotografica. Nell'aria aleggiava
un odore sospetto di pittura ad olio.
“Abbiamo
pensato di farle un regalo, signore,” disse il caporale Hall, “non
ci piace l'idea che vada lassù da quel crauto senza neanche due
pennellate di colore.”
“Così
almeno il bastardo saprà chi è stato a spedirlo all'inferno,
signore,” intervenne un aviere.
“Ma
chi vi ha dato il permesso?” chiese Stuart, già immaginando una
specie di congiura dei suoi piloti.
Il
caporale si strinse nelle spalle. “Veramente nessuno, signore.
Gliel'ho detto, sarebbe una specie di sorpresa per lei da parte dei
ragazzi.”
Detto
questo afferrò un lembo del telo mimetico e lo tirò giù: sul muso
dello Hurricane era stato mirabilmente dipinto, da una mano che non
poteva essere quella di un dilettante, un leone incoronato che
azzannava un'aquila dalla testa rossa.
“Quello
sarebbe lei, signore,” spiegò Hall di fronte all'imbarazzato
silenzio dell'ufficiale, “dovrebbe essere una specie di allegoria o
qualcosa del genere. Abbiamo fatto venire Richards del Terzo
Squadron, quello che ha fatto la scuola d'arte. Ha lavorato tutta la
notte. Non è una meraviglia?”
Il
maggiore Stuart fece girare lo sguardo sui meccanici che lo fissavano
ansiosi. Nel frattempo era comparso anche qualche pilota, segno che
nonostante quello che aveva detto Hall gli ufficiali non dovevano
essere del tutto estranei alla faccenda.
“È
molto bello,” si risolse a dire infine, “è una vera opera
d'arte, ma voi sapete come la penso su certe cose.”
Il
generale clima di entusiasmo fu brutalmente sostituito da qualcosa di
molto simile alla costernazione. Tutti sapevano come la pensava il
maggiore Stuart su certe cose: il 19° Squadron era l'unico in tutta
la zona che non aveva nessun aereo personalizzato.
Niente
ogive, estremità alari o fusoliere colorate.
Nemmeno
un misero stemma sulla capottatura del motore.
“Non
vorrà mica che lo cancelliamo, vero, signore?” domandò un aviere
di nome O'Malley, facendosi portavoce dell'inespresso timore che
serpeggiava fra i meccanici.
“Non
ce n'è bisogno,” rispose il maggiore, “basterà sostituire il
pezzo. Questo lo metteremo nella mensa del circolo ufficiali, sono
certo che farà una magnifica figura.”
Tutti
lo guardarono avviliti.
“È
bellissimo, davvero,” ripeté il maggiore, “è un magnifico
regalo, vi sono molto grato.”
Ma più
insisteva, più i meccanici apparivano demoralizzati.
“Quello
si vanta perché ha il muso tutto rosso, signore,” disse un altro
aviere. “Si farà l'idea che gli inglesi sono un branco di
cacasotto, con rispetto parlando, che non hanno il coraggio di
pitturare i loro aerei come fanno i tedeschi.”
A
Stuart sfuggiva la logica di quel ragionamento, che tuttavia
nell'officina sembrava ampiamente condiviso.
“Basta,
non stiamo andando a fare il carnevale,” tagliò corto alla fine,
anche solo per togliersi di dosso quegli sguardi a metà tra lo
scoramento e il muto rimprovero. “Quel dipinto va nel circolo
ufficiali e il mio aereo lo voglio pulito come se fosse appena uscito
dalla fabbrica.”
Entrando
nel circolo ufficiali alla ricerca di un posto dove collocare il
dipinto, Stuart trovò John Poynter nella sua solita poltrona.
Il
capitano vi sedeva con l’aria di un gatto davanti al focolare e
sorseggiava distrattamente la sua bevanda preferita, ovvero un Old
Fashioned
con molta angostura e pochissimo zucchero.
“Salve,
George,” lo accolse, levando il bicchiere verso di lui in un gesto
di saluto. “Che fai di bello da queste parti, sei venuto a bere un
goccetto?”
“No,
magari ne avessi il tempo,” rispose l’altro, “devo solo cercare
un posto per appendere una cosa.”
“Che
cosa?”
“I
ragazzi hanno fatto un dipinto per me.”
“Ma
non te l’avevano fatto sull’aereo? Guarda che la parete non è
abbastanza grande per metterci uno Hurricane.”
“Come
fai a…” cominciò Stuart, poi si interruppe di fronte al
sorrisetto del collega.
“I
ragazzi ci tenevano,” disse Poynter per tutta risposta, lo sguardo
apparentemente perso nella contemplazione dell'Old Fashioned.
Il
maggiore sospirò. “Lo so che ci tenevano, ma voglio che in questo
Squadron si mantenga un certo decoro.”
“A me
non sembrava poi così pacchiano quel disegno.”
“Non
ho detto che lo sia,” replicò asciutto Stuart, “però è una
carnevalata inutile.”
“Sai
quante cose inutili facciamo ogni giorno qui al Diciannovesimo?”
“Con
questo che intendi dire?”
“Oh,
niente. Niente.” rispose Poynter senza alzare gli occhi dal suo
drink. “Penso solo che potresti anche farli contenti, i ragazzi. In
fin dei conti non ti sei mai dovuto lamentare di loro.”
“Certo,
sono tutti buoni elementi,” concesse il maggiore, “ma se comincio
a cedere così sulla disciplina dove andremo a finire?”
“Quante
tragedie per una pittura. Mi sembri un quacchero.”
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