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Autore: Old Fashioned    13/07/2016    16 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 4

Se prima il Cavaliere era stato una leggenda senza volto, nei giorni successivi divenne per Stuart una specie di ossessione.
Compariva ogni volta che lui andava in volo. Sembrava quasi che lo aspettasse, dalla puntualità con cui regolarmente piombava addosso al suo Squadron.
Arrivava all'improvviso, colpiva e se ne andava.
Qualche volta Stuart aveva provato ad inseguirlo, ma il Messerschmitt era più veloce del suo Hurricane, inoltre sembrava che un destino beffardo volesse impedirgli a tutti i costi di misurarsi con lui: le poche volte che si era trovato tatticamente in vantaggio si era accorto di avere le armi scariche, aveva avuto un'avaria al motore o aveva dovuto interrompere l'inseguimento per correre in soccorso di un pilota del suo Squadron in difficoltà.
E il Cavaliere era sempre lassù, come se volesse sfidarlo.
Per togliergli un po' della sua aura mitologica lo chiamava Muso Rosso, e pretendeva che anche i suoi piloti lo facessero.
Se qualcuno si riferiva a lui chiamandolo nel modo solito, cinicamente faceva notare che nessuna nazione intenzionata a vincere una guerra può permettersi di ospitare cavalieri tra le proprie fila.

Col passare del tempo la questione finì però per scivolare sul piano personale. Tutti sapevano che quando andava in volo cercava il Cavaliere di Valsgärde, e anche la faccenda della mappa con i puntini rossi chissà come era trapelata.
Stuart si era persino accorto con disappunto che qualcuno l'aveva soprannominato Capitano Brown, come il pilota canadese cui era attribuito l’abbattimento del Barone Rosso. Era perlopiù gente di altri Squadron, i suoi ragazzi sapevano che lui non amava scherzare sull’argomento, eppure il nomignolo si stava diffondendo.
Così come si stava diffondendo una sorta di nascosta ma accanita competizione fra tutti coloro che erano intenzionati a conquistare come trofeo il celebre muso rosso dell'inafferrabile aereo tedesco.
Ad ogni missione si scatenavano le telefonate e le comunicazioni radio fra i vari Squadron:
Chapman del 12° ci è andato vicino.”
Vaughan del 15° l'ha inseguito per un po' ma gli è scappato.”
Murphy, quello del 3°, non quello del 12°, gli è andato troppo sotto e ci è rimasto secco.”
Sembra che stavolta uno del 7° gli abbia bucato un'ala.”
E cose del genere. Ad ogni uscita dei vari stormi c'era sempre qualcuno che aveva da riferire un aneddoto sul Cavaliere di Valsgärde.
Di pari passo spuntavano qua e là personalizzazioni degli aerei che ricordavano, più in piccolo ovviamente, quelle degli Assi della Grande Guerra: c'era chi si faceva dipingere di un determinato colore l'ogiva, chi le estremità delle ali, chi ancora si faceva fare delle fasce sulla fusoliera. Alcuni disegnavano sul muso simboli o stemmi.
Uno particolarmente aggressivo aveva fatto dipingere una mano colorata come l'Union Jack che stritolava un Messerschmitt dal muso rosso.

“Venga a vedere, signor maggiore!”
“Cosa c'è?”
Stuart seguiva un po' perplesso gli avieri che lo stavano conducendo nell'hangar principale.
“Vedrà, signore! È una sorpresa.”
“Non è che avete combinato qualcosa al mio aereo, vero?”
Gli uomini si guardarono l'un l'altro, fecero qualche risatina soffocata ma non risposero nulla di intelligibile.
Alla fine fu proprio dal suo aereo che lo condussero. Lo Hurricane era stato coperto con un telo mimetico dal quale spuntavano solo l'elica e le estremità alari. Tutt'intorno c'erano i meccanici dello Squadron, alcuni armati di macchina fotografica. Nell'aria aleggiava un odore sospetto di pittura ad olio.
“Abbiamo pensato di farle un regalo, signore,” disse il caporale Hall, “non ci piace l'idea che vada lassù da quel crauto senza neanche due pennellate di colore.”
“Così almeno il bastardo saprà chi è stato a spedirlo all'inferno, signore,” intervenne un aviere.
“Ma chi vi ha dato il permesso?” chiese Stuart, già immaginando una specie di congiura dei suoi piloti.
Il caporale si strinse nelle spalle. “Veramente nessuno, signore. Gliel'ho detto, sarebbe una specie di sorpresa per lei da parte dei ragazzi.”
Detto questo afferrò un lembo del telo mimetico e lo tirò giù: sul muso dello Hurricane era stato mirabilmente dipinto, da una mano che non poteva essere quella di un dilettante, un leone incoronato che azzannava un'aquila dalla testa rossa.
“Quello sarebbe lei, signore,” spiegò Hall di fronte all'imbarazzato silenzio dell'ufficiale, “dovrebbe essere una specie di allegoria o qualcosa del genere. Abbiamo fatto venire Richards del Terzo Squadron, quello che ha fatto la scuola d'arte. Ha lavorato tutta la notte. Non è una meraviglia?”
Il maggiore Stuart fece girare lo sguardo sui meccanici che lo fissavano ansiosi. Nel frattempo era comparso anche qualche pilota, segno che nonostante quello che aveva detto Hall gli ufficiali non dovevano essere del tutto estranei alla faccenda.
“È molto bello,” si risolse a dire infine, “è una vera opera d'arte, ma voi sapete come la penso su certe cose.”
Il generale clima di entusiasmo fu brutalmente sostituito da qualcosa di molto simile alla costernazione. Tutti sapevano come la pensava il maggiore Stuart su certe cose: il 19° Squadron era l'unico in tutta la zona che non aveva nessun aereo personalizzato.
Niente ogive, estremità alari o fusoliere colorate.
Nemmeno un misero stemma sulla capottatura del motore.
“Non vorrà mica che lo cancelliamo, vero, signore?” domandò un aviere di nome O'Malley, facendosi portavoce dell'inespresso timore che serpeggiava fra i meccanici.
“Non ce n'è bisogno,” rispose il maggiore, “basterà sostituire il pezzo. Questo lo metteremo nella mensa del circolo ufficiali, sono certo che farà una magnifica figura.”
Tutti lo guardarono avviliti.
“È bellissimo, davvero,” ripeté il maggiore, “è un magnifico regalo, vi sono molto grato.”
Ma più insisteva, più i meccanici apparivano demoralizzati.
“Quello si vanta perché ha il muso tutto rosso, signore,” disse un altro aviere. “Si farà l'idea che gli inglesi sono un branco di cacasotto, con rispetto parlando, che non hanno il coraggio di pitturare i loro aerei come fanno i tedeschi.”
A Stuart sfuggiva la logica di quel ragionamento, che tuttavia nell'officina sembrava ampiamente condiviso.
“Basta, non stiamo andando a fare il carnevale,” tagliò corto alla fine, anche solo per togliersi di dosso quegli sguardi a metà tra lo scoramento e il muto rimprovero. “Quel dipinto va nel circolo ufficiali e il mio aereo lo voglio pulito come se fosse appena uscito dalla fabbrica.”

Entrando nel circolo ufficiali alla ricerca di un posto dove collocare il dipinto, Stuart trovò John Poynter nella sua solita poltrona.
Il capitano vi sedeva con l’aria di un gatto davanti al focolare e sorseggiava distrattamente la sua bevanda preferita, ovvero un Old Fashioned con molta angostura e pochissimo zucchero.
“Salve, George,” lo accolse, levando il bicchiere verso di lui in un gesto di saluto. “Che fai di bello da queste parti, sei venuto a bere un goccetto?”
“No, magari ne avessi il tempo,” rispose l’altro, “devo solo cercare un posto per appendere una cosa.”
“Che cosa?”
“I ragazzi hanno fatto un dipinto per me.”
“Ma non te l’avevano fatto sull’aereo? Guarda che la parete non è abbastanza grande per metterci uno Hurricane.”
“Come fai a…” cominciò Stuart, poi si interruppe di fronte al sorrisetto del collega.
“I ragazzi ci tenevano,” disse Poynter per tutta risposta, lo sguardo apparentemente perso nella contemplazione dell'Old Fashioned.
Il maggiore sospirò. “Lo so che ci tenevano, ma voglio che in questo Squadron si mantenga un certo decoro.”
“A me non sembrava poi così pacchiano quel disegno.”
“Non ho detto che lo sia,” replicò asciutto Stuart, “però è una carnevalata inutile.”
“Sai quante cose inutili facciamo ogni giorno qui al Diciannovesimo?”
“Con questo che intendi dire?”
“Oh, niente. Niente.” rispose Poynter senza alzare gli occhi dal suo drink. “Penso solo che potresti anche farli contenti, i ragazzi. In fin dei conti non ti sei mai dovuto lamentare di loro.”
“Certo, sono tutti buoni elementi,” concesse il maggiore, “ma se comincio a cedere così sulla disciplina dove andremo a finire?”
“Quante tragedie per una pittura. Mi sembri un quacchero.”

   
 
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