L’arma più terribile del diavolo è la verità…
O qualcosa
del genere. Dove aveva letto una frase simile, si chiese Cecile? Ed
esattamente, com’era la frase originale?
Uno stupido
interrogativo, specie dopo la giornata che aveva passato, ma
l’interessarsi di
cose non importanti l’aiutava a ritrovare un equilibrio: a non pensare
a cosa
potesse essere andato storto. Cecile non era sicura di niente: era
impossibile
prevedere le reazioni di una specie aliena che si incontrava per la
prima volta
e i Figli di Kos non le erano parsi particolarmente ricettivi alle sue
informazioni. Forse aveva insistito troppo sull’egemonia del
triumvirato, e
l’Arconte avrebbe condotto il suo popolo alla morte pur di non vederlo
sottomesso ad una dominazione straniera che non era riuscito a capire.
Forse…
forse avrebbe dovuto parlare della musica nella Tearkia,
dell’ingegneria sociale
della devota repubblica di Ydrasilia… o magari dell’ordinamento
politico delle
Repubbliche di Gaia, in modo di far capire come anche una specie non
egemone
potesse prosperare grandemente sotto il triumvirato…
Se: la combinazione più odiosa di due
lettere. Cecile si costrinse ad abbandonare quei dubbi: se avesse
lasciato loro
libero sfogo, l’avrebbero privata di forza e determinazione che poteva
servirle
per il giorno successivo, o quello dopo ancora. Impossibile dire quanto
quella
missione diplomatica sarebbe durata, anni magari: era già successo.
L’unica
cosa di cui era certa, era che fino alla conclusione della missione lei
era
tagliata fuori dallo spazio della Dorata Intesa: proprio perché la
missione
aveva richiesto l’invio di un emissario ed era così importante, ci si
aspettava
che Cecile la completasse da sola. Anche perché, ed era una verità
sconfortante
a suo modo, si trovava a migliaia di anni luce dalla sua casa: a cosa
sarebbero
serviti incoraggiamenti e consigli di fronte a quella distanza? No, lei
doveva riuscire a cavarsela da sola con
le risorse a sua disposizione. Responsabilità,
si ripeté Cecile come un mantra. L’impegno di ogni cittadino della
Dorata
Intesa verso sé stesso e gli altri.
E in fondo
era sopravvissuta alla giornata, anche quello un obbiettivo da non
sottovalutare: non riusciva ancora a sentirsi soddisfatta… ma forse
poteva
dirsi speranzosa.
Con ancora i
capelli umidi dalla doccia e solo un morbido accappatoio addosso,
Cecile si
concesse di lasciar vagare lo sguardo nella nave che le era stata
affidata per
la sua missione: sua casa e rifugio fin tanto che fosse rimasta su Kos,
e
l’unica entità che fosse disposta ad ascoltare i suoi dubbi senza
giudicarla.
Sfortunatamente, Cecile li aveva già espressi tutti nel rapporto
giornaliero, correttamente
immagazzinato nel computer di bordo e in attesa di essere rispedito in
blocco assieme
agli altri quando fossero rientrati nello spazio della Dorata Intesa:
non
restava altro da dire per quella giornata.
L’astronave
che la Dorata Intesa le aveva messo a disposizione per giungere sul
pianeta dei
Figli di Kos era un vascello Rostrum, una nave scientifica modificata
che
ricordava nelle sue linee una specie di seppia con i tentacoli
spalancati, usati
come appoggio per atterrare. Un vascello privo di capacità offensive,
ma molto
veloce e dotato di una propria IA integrata che svolgeva quasi ogni
compito a
bordo: una scelta obbligata quella sua solitudine, dato che le
condizioni che i
Figli di Kos avevano imposto per permettere ad un emissario della
Dorata Intesa
di scendere sul loro pianeta capitale era che appunto fosse uno. Allo
stesso
modo, avevano preteso il silenzio radio per tutta la durata della
missione:
Cecile si rendeva perfettamente conto di quello che implicavano simili
condizioni. I Kos volevano scoraggiare l’invio di un esterno nel loro
spazio,
la ricerca di una soluzione pacifica e allo stesso tempo, volevano
essere
sicuri che avrebbero potuto impossessarsi della sua nave e prenderne in
ostaggio l’emissario se fosse stato vantaggioso farlo.
Cecile
sorrise: decisamente, i figli di Kos sapevano molto poco sulla Dorata
Intesa.
Come il triumvirato si era preoccupato di rispondere ai figli di Kos,
la sua nave
era stata istruita per tornare nello spazio della Dorata Intesa se
fosse
successo qualcosa all’emissario, e Cecile stessa portava in sé un
detonatore a
punto zero. Nell’orbita che le era rimasta vuota anni fa infatti,
Cecile
portava il mezzo per demolecolarizzare il proprio corpo: se i Figli di
Kos
avessero cercato di prenderla ostaggio, non sarebbe rimasto niente di
lei, a
parte una macchia scura sul pavimento. La preziosa tecnologia della
Dorata
Intesa non poteva cadere in mani nemiche: una verità che Cecile
conosceva da
molto tempo… e il suo sacrificio sarebbe stato più che ripagato dalla
rappresaglia che il triumvirato avrebbe scatenato.
Fortunatamente,
si consolò Cecile, sembrava che la sua abnegazione potesse proteggerla
dalle
pulsioni più violente dei Figli di Kos…
“Gyog?”
chiamò.
L’avatar
olografico dell’IA di bordo comparì a quel richiamo, manifestandosi da
una
striscia sensoriale sulla parete: l’umana fissò ancora una volta quella
rappresentazione che sembrava tanto un riccio di mare rosso sangue.
“Musica per
favore.”
“Pwl?” gorgogliò,
un suono sgradevole che significava preferenze
in lingua Hastur.
Gyog
037D675, come ogni IA integrata nei vascelli Hastur del resto, non era
un
grande conversatore, ma almeno era di compagnia.
“Qualcosa
per Flauto Risonante. Magari La Danza delle Foglie.” l’avatar
olografico
scomparve senza giudicare, ma acconsentì alla sua richiesta.
Ben presto,
Cecile si trovò cullata da note che vibravano non solo nel suo
orecchio, ma
anche nella sua carne, nutrendo il suo spirito: legno risonante, una
delle
poche merci di cui i Kodadam non volessero più fare a meno. Su di lei,
e su
qualunque altra specie, l’effetto era incredibile, ma comunque minore:
sui
cittadini della devota repubblica di Ydrasilia invece, era
letteralmente in
grado di farli sbocciare. Toni capaci di risuonare a livello
fisiologico e
produrre un effetto non erano cosa da poco, anche nella Dorata Intesa:
al
punto, che le sinfonie per tamburi di perle e legni risonanti avevano
serie applicazioni
nella psicologia e nella medicina di quasi tutte le specie, triumvirato
compreso…
Cecile si
lasciò trasportare dalle note, dimentica di quanto la nave sembrasse
vuota con
solo lei ad abitarla: di certo, anche Gyog avrebbe preferito occuparsi
di
cinquanta membri d’equipaggio.
Accadde
durante la sua cena, una zuppa di crostacei e pesce piccante, che Gyog
si
materializzasse nuovamente davanti a lei: da quando era a bordo, Cecile
aveva
sempre scelto la sala degli archivi per i suoi pasti. L’IA non aveva
alcun
giudizio da dare in merito a quella preferenza, se non che avere a
disposizione
il sapere immagazzinato nelle sue banche dati sembrasse fare piacere
all’umana...
O quanto meno, fosse in grado di stabilire una connessione con lo
spazio della
Dorata Intesa: Gyog stesso non era indifferente ad una simile
necessità. Il
sapere di essere circondati da propri simili, o da organici che almeno
comprendevano la sua esistenza…
Se fosse
stato umano, l’IA avrebbe potuto forse descrivere quel bisogno
affermando che in
uno spazio amico non sarebbe stato costretto a dormire con un occhio
aperto: nello
spazio Kos erano isolati, e potevano contare solo l’una sull’altra,
anche solo
per infrangere la monotonia. Gyog ricordava secoli di importante
esplorazione
scientifica nelle sue banche dati, e panorami stellari sconvolgenti:
essere
relegato su un pianeta era per lui insopportabilmente noioso.
“Sì, Gyog?”
chiese educatamente Cecile, con ancora il cucchiaio a mezz’aria e il
tovagliolo
sulle gambe.
Davanti a
lei, fluttuava pigramente l’ologramma di una corazzata ydrasiana:
seppur l’IA
ne ammirasse la semplicità e l’efficienza delle forme, Gyog non ci
teneva
affatto ad essere installato su un simile vascello. Né la marina di
Ydrasilia
poneva IA sulle proprie navi: i Kodadam, così come la Tearkia del
resto, se la
cavavano più che eccellentemente con semplici computer da battaglia,
per quanto
avanzati.
“Visitatore indigeno.” rispose Gyog.
A suo
credito, Cecile non gli rivolse domande inutili: avevano un visitatore
a quell’ora.
Ma dove qualcuno, tra cui lo stesso Gyog, avrebbe potuto vedere con
sospetto o
paranoia quel potenziale invasore, Cecile scorse un’opportunità
insperata.
“E cosa
desidererebbe?”
“…Parlare.”
“Direi allora che sarebbe scortese
lasciarlo
fuori. Non credi?”
“Armato.” rispose laconico Gyog: “…Ma non
abbastanza.” aggiunse quasi
sovrappensiero.
Cecile
scosse la testa: Rostrum lasciava davvero il suo marchio in ogni cosa
che
costruisse.
L’Umana
aveva fatto giusto in tempo a sparecchiare e accendere una bacchetta di
incenso
ydrasiano per liberare la sala dagli aromi del suo ultimo pasto, che il
Kos
venuto a farle visita entrò nella sala, guidato dall’IA di bordo.
Cecile lo
riconobbe subito: era la stessa loquace guardia che le aveva rivolto
qualche
domanda durante il colloquio con l’Arconte.
“Questo
emissario della Dorata Intesa saluta il suo ospite.” lo accolse,
inchinando
lievemente la testa verso il Kos.
Cecile non
portava la sua divisa ufficiale, ma a bordo della sua nave c’erano ben
pochi
pericoli da cui Gyog non potesse difenderla: i due kindjal
erano poco lontani comunque, quasi a portata di mano. Con
quella sistemazione, l’umana sperava di essere riuscita a proiettare un
ambiente informale, dove si potesse mettere da parte il protocollo per
meglio
discutere. Stava supponendo molto ovviamente, ma in caso di pericolo la
sua
uniforme di lattice ablativo a mezze maniche sarebbe dovuta bastare:
“…Che risposta
ti aspetti?” gracidò il Kos: “Questo emissario…
e tutto il resto. Che saluto
prevede l’etichetta della vostra Intesa?”
“Nessuno che
non sia spontaneo. Come emissari, abbiamo sempre a che fare con culture
diverse
dalla nostra.” il Kos sembrò pensarci un po’ su, squadrandola dalla
punta del
suo corallo sinaptico alla cintura, dato il tavolo che li separava:
Cecile si
accorse che aveva “indossato” uno dei loro robot, in modo che potesse
tradurre
per lui ciò che diceva, e la medusa di metallo dorata gli riposava come
uno
zaino sulla schiena.
Alla fine,
l’uomo rospo fece impattare palmi e avambracci in orizzontale davanti a
sé, con
uno schiocco di carne contro carne: Cecile lo invitò a sedersi con un
gesto, e
prese posto di fronte a lui.
“…Per quanto
le nostre fisiologie siano in qualche modo compatibili, temo di non
poterle
offrire nulla che si adatti al suo metabolismo.” un’altra ragione per
cui
l’umanità era stata scelta per quella missione… probabilmente.
Per quanto
freddo infatti, Kos non era incompatibile con l’umanità, almeno per
clima e
vita microbica: erano stati compiuti molti test da ambo le parti per
assicurarsene quando i Kos avevano capito che la Dorata Intesa non
avrebbe
rinunciato ad inviare un loro emissario.
“Né credo
sarebbe prudente accettare.” rispose il Kos: “…la nostra cultura
proibisce di
dividere un pasto con qualcuno che non sia un alleato.”
“…Sembra che
il suo governo abbia già preso una decisione.”
“Tutt’altro:
è una questione di prudenza. Non so ancora se possiate essere alleati o
nemici,
tu in modo particolare.”
“…E dunque
cosa l’ha spinta a salire a bordo?” perché difficilmente quella visita
era in
qualche modo ufficiale.
“La speranza
che mio padre si sbagli. A proposito: Tarbun, figlio primogenito
dell’Arconte
di Kos e delle sue colonie.” Cecile si concesse un silenzio molto lungo
mentre
fissava il figlio dell’Arconte negli occhi:
“…Ora non
sono sicura di essere io a mio agio.”
“Oh?”
“Non sono
venuta per assistere ad un golpe.”
“Non sarebbe
la prima volta.” rispose serafico l’uomo rospo: “…Come pensa che
l’attuale
Arconte abbia preso il potere?”
“Quale che
sia la storia passata del vostro popolo, Tarbun, voglio essere chiara:
come
emissario della Dorata Intesa non mi è consentito immischiarmi in
questioni
interne al governo di un’altra specie. E non lo farei, anche nel caso
in cui potessi
beneficiarne, personalmente o per conto dei governi che rappresento.
Sarebbe
estremamente disonorevole per il mio ruolo.”
“E se
provassi a… estorcere la sua collaborazione con la forza?”
Non aveva
nemmeno finito di dirlo, che lunghi tentacoli di metallo lo legarono
strettamente al suo sedile, sorgendo dal pavimento e dal soffitto. Lo
strinsero
così velocemente, che Tarbun non fece nemmeno in tempo a rendersene
conto prima
che fosse tutto finito, né ad averne paura: solo dopo essere stato
impacchettato al punto da poter solamente respirare liberamente, si
accorse di
cosa gli era successo.
Tuttavia,
riuscì comunque a stupirla, perché le rivolse uno sguardo perplesso,
piuttosto
che impaurito, e questo nonostante gli ultimi tentacoli che si
allineavano coi
suoi occhi. Di certo aveva fegato:
“Allora temo
che l’Arconte dovrà trovarsi un nuovo erede.” rispose concisa Cecile:
“…Gyog,
per favore, lascialo andare.”
Dopo qualche
teso istante, l’IA le obbedì, liberando il Kos dalla sua stretta di
metallo:
non fu rapido quando avrebbe potuto, né fece dimenticare nemmeno per un
attimo
al Kos con quanta facilità avrebbe potuto prendersi i suoi occhi.
Quando finalmente
fu libero però, Tarbun si concesse uno sbuffo divertito:
“Meglio
così: almeno non mi disonorerò con una vittoria che devo ad un altro.”
Cecile
annuì, con un lieve sorriso:
“Sono lieta
di essere riuscita a farmi comprendere.”
“…Voi
emissari siete davvero incorruttibili come sostenevi.”
“Facciamo
del nostro meglio per onorare la nostra carica: l’intera legittimità
della
Dorata Intesa è basata sul fatto che si agisca con responsabilità verso
i
propri incarichi e con onore. Personale, almeno.”
“Quindi,
nessun vostro burocrate si è mai davvero dimostrato un incompetente?”
“Così è.”
“Fatico
davvero a crederlo. Come è possibile ottenere una cosa del genere?”
“Non è
facile. Non è mai facile, ma l’obbiettivo finale merita questa
perseveranza.”
“La Dorata
Intesa.” sillabò sarcastico l’uomo rospo.
“E molto di
più: il triumvirato ci ha convinto, oltre ogni dubbio, che una singola
persona
può fare la differenza. Di conseguenza, ognuno di noi si impegna per
farla.”
“Il
triumvirato… da quello che abbiamo capito sono degli egemoni. I vostri
egemoni.” aggiunse sovrappensiero, e Cecile annuì: “…Ma è evidente che
per
quanto abbiano la possibilità di farlo, la loro supremazia non sia
basata sulla
forza delle armi. Tearkia forse esclusa.”
Cecile
scosse la testa:
“Nemmeno la
gratitudine che la mia razza nutre verso la Tearkia è basata sulla
forza della
armi, Tarbun: loro ci hanno liberato dall’apatia che derivava da
problemi che
pensavamo insolubili. E se dovessi ricondurre la loro supremazia ad un
singolo
elemento, sceglierei l’egemonia spirituale.”
“…Spirituale?” borbottò il Kos, come
sputando una parola di dubbio gusto: “Sono forse dei mistici?”
Cecile curvò
la testa di lato, pensierosa:
“Sembra che
lei abbia molte domande, Tarbun. E ogni domanda ne porta un’altra. Ma
mi chiedo
cosa davvero la interessi.”
“Tutto!”
rispose l’uomo rospo senza indugiare: “…Voglio sapere delle società che
dominano la vostra Intesa. Cosa le rende egemoni? Quali sono i loro
punti di
forza, ma soprattutto di debolezza? Qual è il vostro livello
tecnologico, in
special modo gli armamenti? Quanto veloci vanno le vostre navi e quanto
lontano, prima di aver bisogno di essere rifornite? E come ha perso
l’occhio?”
l’ultima domanda, sembrò cogliere il Kos stesso di sorpresa: “…Per
favore.”
aggiunse dopo un momento.
“Come
emissario, sarà un piacere rispondere a tutte le sue domande. Ma ad una
condizione.”
“E quale?”
“Dovrà
condividere ciò che le dirò con chiunque le farà domande a proposito,
senza
alterare le informazioni in alcun modo. Ed è anche ovvio che se mi
faranno
domande a proposito di questo incontro, risponderò con la stessa
verità.”
“…Potrebbe
essere un problema. L’Arconte non vede di buon occhio le iniziative
personali e
le novità in genere, comprese le innovazioni tecnologiche che non siano
destinate alla guerra.”
“Lei è uno
scienziato.” realizzò Cecile con un certo stupore, che riuscì però a
nascondere.
“Mi
piacerebbe esserne uno degno di questo nome! Si raggiunge presto un
limite
quando continuano a chiederti armi che sparino più frequentemente e più
lontano.” sospirò di antica frustrazione Tarbun.
“…Allora
dovrebbe capire perché è così importante che ciò che le dirò sia
diffuso nella
sua forma integrale.” gli rispose Cecile, e lei e il Kos rimasero a
fissarsi di
nuovo negli occhi.
Fu Tarbun il
primo a cedere:
“E che sia
il deserto! Va bene, accetto le tue condizioni, ma spero che non abbia
bisogno
di dormire, perché ho un milione di domande e più.”
“Posso farne
a meno in questo caso.” ribatté Cecile: E
che sia il deserto… che affascinante modo di esprimersi!
“Cominciamo
dalla fine, se vuole: mi ha chiesto come ho perso il mio occhio.”
iniziò
l’umana: “….Fu colpa della mia arroganza. Lei ha visto le lame che
porto con
me.”
“Non c’è Kos
che non le abbia viste ormai: sono così pericolose come penso?” ovvero
più di
quanto sembrassero?
“Molto di
più temo: e tuttavia, sono solo due parti di un trittico. Sono lame
della
Tearkia, kindjal empatici: a coloro
che li usano, sussurrano di morte e guerra.”
“Sussurrano?
Cioè parlano?”
“Non è
facile da descrivere: i Midion Tezhnid impongono il fantasma di
un’anima
guerriera nelle lame che costruiscono. Sono in grado di farlo grazie
alle loro
doti mentali, ed è un capacità solo loro. L’effetto, in poche parole, è
una
somma di ricordi e sensazioni che potrebbero essere descritte come un
demone
battagliero imprigionato nella lama, e non particolarmente grato di
questo. Quando
un veterano della Tearkia non è più in grado di combattere, è usanza
che passi
la propria vita plasmando armi per la generazione successiva: queste
lame però,
conoscono perfettamente il compito per cui sono state costruite e i
massacri
combattuti dai loro creatori. E con millenni di storia guerriera alle
spalle,
il sapere marziale e la furia guerriera che si è accumulata col
passaggio delle
generazioni nella Tearkia è diventata una cosa quasi viva. Quando si
affronta
un guerriero Midion Tezhnid, Tarbun, non si affronta un combattente
solo: si
affrontano almeno tutti quelli che lo hanno preceduto. Per quanto
immateriali
siano quei ricordi, essi hanno un potere: può credermi sulla parola.”
affermò
Cecile, toccandosi la lente protettiva che nascondeva la sua orbita
vuota: “…Ed
è questo quello che è successo a me.”
Il Kos
rimase in silenzio ad osservarla, invitandola a continuare:
“I Midion
Tezhnid combattono usando due pugnali, i kindjal
che ho con me, e una lancia, che adoperano contemporaneamente, data la
loro
fisiologia.” tra loro, l’Umana materializzò al posto degli ologrammi
della corazzata
Kodadam una lancia ornata a grandezza naturale: assomigliava molto poco
all’idea che un nativo della Terra potrebbe avere di una simile arma.
Era più
lunga di quanto Cecile fosse alta, e i due quinti della sua lunghezza
era
costituita da due lame triangolari, sottili ma dall’aspetto molto
resistente,
parallele tra loro e distanziate di circa tre dita. Tanto però le due
lame erano
scarne ed essenziali, tanto il manico era ornato, con incisi motivi
astratti e
strani geroglifici che Tarbun non provò nemmeno a comprendere: non
riusciva
nemmeno a capire in effetti di che materiale fosse quella lancia.
Sembrava
quasi argento, ma con uno scintillio liquido sulla sua superficie che
sembrava
anche fumo.
“…I kindjal sono oggetti imprevedibili e
letali, ma sempre comunque concepiti per la difesa personale mentre si
porta un
attacco con la lancia. È solo per questo che
altri che non siano i Midion Tezhnid
possono imparare a manovrarli senza esserne controllati o sopraffatti.
E anche
così non è facile. Le lance della Tearkia invece…” Cecile si interruppe
per un
attimo, cercando il modo migliore di raccontare il resto al Kos:
“…vederle, è
essere portati a prenderle in mano. Ma prendendole in mano, non si
vuole
conoscere altro che la guerra.” sussurrò alla fine e tra loro, il
silenzio
sembrò diventare una cosa quasi viva.
Solo quando
fu pronta, Cecile continuò:
“…Come ho
detto, fui arrogante: ero in visita su una delle colonie della Tearkia,
e volli
a tutti i costi conoscere un trankettori
che si era ritirato in quel luogo. Non si mostrano spesso agli
stranieri, e
naturalmente rifiutò d’incontrarmi. Avevo poco più di un ciclo allora,
mentre
il trankettori, Ra Bo bis Vhemeed, progenie di Midion e Tezhnid, aveva…
circa
19 cicli: naturalmente credevo di saperne più di lui.”
“19 cicli?”
“I Midion
Tezhnid hanno vite lunghe.” annuì Cecile: “…Anche se il primato
assoluto va ai
Kodadam, 300 dei miei anni sono un’aspettativa di vita più che
ragionevole per
un cittadino della Tearkia.”
“Uova
ghiacciate… non credevo che ci fossero specie così longeve: quanto…?”
“Quanto a
lungo vive la mia?” chiese Cecile, raccogliendo l’assenso di Tarbun:
“…Con la
scienza e la medicina di cui disponiamo attualmente, dieci cicli è il
massimo a
cui riusciamo realisticamente ad aspirare.”
“Il doppio
della nostra.” commentò soprappensiero il Kos: “…Ma torniamo al tuo
occhio.”
“Non resta
molto altro da raccontare: sperando di poter conoscere Ra Bo, mi
introdussi di
soppiatto nel suo laboratorio, trovando non lui, ma una lancia appena
completata. Quando la presi in mano, la lancia seppe subito che non ero
degna di
lei: quindi potevo essere lì solo per morire.” Cecile si prese un
momento,
prima di continuare: “…Ricordo poco di quei momenti: ero,
letteralmente, fuori
di me. Fu così che incontrai il mio primo e ultimo trankettori,
quando mi impedì di infilarmi la sua ultima creazione
nella testa.” a Cecile, sembrò che la pelle del Kos si fosse fatta un
po’ più
granulosa e umida a quelle parole, ma non aveva ancora finito:
“...Il
peggio era che lo desideravo: è anche questo ciò che fanno le loro
lance.
Chiunque le veda, non può fare a meno di ammettere quanto sarebbe
magnifico
farsi trafiggere da loro.”
“Ed è…
insanabile?” chiese Tarbun indicando la sua mutilazione con un tozzo
dito.
“Sì. Le
ferite che una lama empatica infligge colpiscono anche la psiche e non
guariscono
mai davvero.” non era un caso che i trankettori
non prendessero quasi mai prigionieri: le ferite che le Lance
Sanguinanti
infliggevano, erano un tormento da cui si poteva fuggire solo con la
morte.
“Lame
empatiche…” mormorò Tarbun: “…Sembrano storie di magia.”
“Posso
garantire che esse sono oltremodo reali, ma sono in molti a condividere
questa
sua visione: tuttavia, i Midion Tezhnid non hanno mai concepito l’idea
di
sovrannaturale. Per loro esiste solo ciò che può essere fatto e ciò che
è
impossibile; e solo la prima è argomento della loro peculiare scienza:
per
esempio, sostengono che sia l’io a dare forma al reale. Per la Tearkia,
la
realtà esiste perché così impone la nostra coscienza: non l’inverso.”
“…Non credo
che capirei mai un approccio simile.” per Tarbun e quasi ogni altra
civiltà
della galassia, la mente, al massimo, interpretava
il reale.
“Non è
l’unico. La scienza della Tearkia è astrusa, inconsistente e
apparentemente
basata su pochissima logica: solo i Kodadam riescono a capire vagamente
le
implicazioni dei metodi che la Tearkia usa per spiegare la sua
concezione di
reale.”
“Nessuno di
voi ha mai provato ad applicare i loro metodi?”
“Molti hanno
tentato. E coloro che non hanno rinunciato di fronte alle operazioni
con
insiemi infiniti di soluzioni che ci si trova a dover risolvere, sono
quasi
sempre impazziti. Così come per le loro specie, la loro scienza sembra
essere
stata decisa da ordini di coscienza superiore e data ai Midion Tezhnid
prima
che ne sviluppassero una loro, ma non vi è traccia di questo nemmeno
nella loro
tradizione orale: caso, coincidenza, predestinazione… termini che
sembrano
diventare uno solo quando si ha a che fare con la Tearkia. La loro
matematica
in particolare possiede una sua logica, ma solo se osservata da non
troppo
vicino: nel particolare, essa può risultare deleteria.” Cecile sorrise
lievemente dicendo quella frase: “…Credo che ci sia addirittura un
trattato tra
Tearkia e Rostrum, che invita i Midion Tezhnid a non esporre le loro
teorie
matematiche ai simposi del triumvirato. E allo stesso modo, la Tearkia
fatica a
comprendere perché le altre civiltà ancora si affidino, e preferiscano,
sistemi
che definiscono, e cito testualmente: meccanicistici
oltre ogni necessità.”
“…Hanno IA?”
chiese Tarbun.
“Sì, la
Tearkia dispone di tre IA, una per ogni casta di cui si compone la loro
società, ma le usano esclusivamente per accelerare il loro progresso
scientifico.” e a voler essere sinceri, la Tearkia era l’unica civiltà
che
usasse così poche IA per il proprio beneficio.
“Sono
differenti? Dalle vostre intendo.”
“Come la
scienza che le ha create.” rispose Cecile.
“…Eppure
funzionano.”
“Eppure
funzionano e lo dimostrano continuamente. Supponiamo che le navi della
Tearkia
siano le più veloci di tutta la galassia anche per questo.”
“Di quale
velocità stiamo parlando?”
“Istantanea.
O quasi. La cosa più straordinaria è che la distanza per loro perde di
significato: 10 anni luce, 1000 anni luce, 10'000 anni luce… Le loro
navi
varcano queste distanza sempre nello stesso tempo: un giorno.”
Tarbun era
senza parole a quella notizia, ma Cecile non esitò a dargli il colpo di
grazia:
“…La gittata
massima sembra essere 40'000 anni luce: c’è qualcosa nel modo in cui il
centro
galattico influenza il loro metodo di navigazione che gli impedisce di
arrivare
più lontano.”
“Mi stai
davvero dicendo che in tre giorni le navi della Tearkia possono
attraversare la
Galassia?”
“Sì. Ma è
una propulsione che si basa sulle capacità mentali e psichiche Midion
Tezhnid:
ergo, solo loro possono usarla, e solo loro possono viaggiare con essa.”
“E cosa
succede quando qualche altra specie si imbarca a bordo delle loro navi?”
“Nessuno ha
mai saputo raccontarlo, Tarbun. E dopo ampie dimostrazioni di questo,
di cui di
nuovo nessuno riesce a capire il perché, Tearkia compresa, abbiamo
smesso di
provare a risolvere questo enigma.” erano state perse migliaia di vite
per
accertarsene, in tutte le epoche: fin troppe, e umane comprese. Alla
fine, si
era dovuto accettare che la propulsione PSI non potesse diventare lo
standard
della Dorata Intesa, nonostante gli studi e l’enorme paradosso che
rappresentava. E comunque, c’erano metodi più sicuri per varcare le
stelle,
anche se non così veloci:
“…Solo i
Kodadam riescono a sfruttare una propulsione simile, ma devono comunque
prendere diverse precauzioni. Il transito corretto dipende anche nel
loro caso
da una particolarità nella loro fisiologia.”
“Ovvero?”
“Sono un
popolo di piante senzienti.” rispose Cecile come se fosse naturale,
facendo
scomparire l’ologramma della lancia Midion Tezhnid e sostituendolo con
quello
di un essere a cui Tarbun fece molta fatica a dare un senso.
Un corpo
fruttifero centrale, un fittone, posto più o meno dove ci si
aspetterebbe di
trovare una testa, con sei aperture nerissime su una sostanza bianca
come legno
di betulla. L’essere possedeva una gorgiera di foglie-petali a
circondare la
nuca, formando una sorta di capigliatura selvaggia, con altre foglie
spesse che
ne ricoprivano la cima della testa. Da una biforcazione posta sotto il
fittone-testa,
si dipanavano otto radici-arti per tutta la lunghezza di quel corpo,
terminando
ciascuna in delicate radici-dita prensili. Complessivamente, il colore
di
quella creatura variava dal verde smeraldo al marrone cannella,
passando da
toni freddi a più caldi senza una particolare soluzione di continuità:
dai
diagrammi, Tarbun capì che era alto almeno due volte lui.
“Un giorno,
su Kraneia, la foresta cominciò a pensare.” recitò Cecile a suo
beneficio:
“…Questa è l’unica spiegazione che i Kodadam abbiano mai voluto dare
per la
loro evoluzione: a oggi, sono l’unica specie che si sia evoluta dal
regno
vegetale. Hanno il buon gusto di non farcelo pesare troppo.” aggiunse
l’Umana
con un sorriso: “…La loro civiltà è molto antica, Tarbun e vivono
decisamente a
lungo. Esperienza e tempo hanno creato la Devota Repubblica di
Ydrasilia:
un’utopia che molti vorrebbero emulare nella Dorata Intesa.” compresa
l’umanità
in effetti.
“Per quale
ragione?”
“Hanno
saputo costruire una civiltà che ha come obbiettivo la felicità massima
di ogni
suo cittadino. E nonostante questo, rimane una democrazia attiva,
vitale e
temibile: le loro corazzate sono forse le migliori navi di tutto lo
spazio
della Dorata Intesa, pur nella loro semplicità di design. Ma ancor più
della sua
protezione, le civiltà della Dorata Intesa invocano i suoi servigi.”
“Di che
genere?”
“Sono
maestri nella scultura di ecosistemi planetari: ogni mondo dei Kodadam
è un
paradiso che si sono costruiti per la loro specie. Lussureggianti
foreste fin
dove l’occhio può arrivare, e dove i Kodadam si confondono con gli
alberi. Loro
sanno risanare, ripristinare e creare vita come nessun altro: una vita
forte,
che sostiene coloro che sanno prendersene cura. E così, mettono i loro
servigi
in vendita, per ripristinare ecosistemi esauriti, o pianeti colpiti da
qualche
catastrofe planetaria: perfino globi sterili di roccia e ghiaccio
possono
diventare giardini in anni, sotto le cure dei Kodadam.”
“Immagino
che il prezzo non sia a buon mercato.”
“Relativamente,
Tarbun: creare nuovi mondi colonizzabili, posti saldamente all’interno
del
proprio dominio, valorizzare quindi ogni pianeta già nel proprio
territorio, dal
punto di vista strategico è qualcosa che può cambiare gli equilibri di
un
intera specie e le sue confinanti. I Kodadam sono diventati ricchi
grazie a
questo, ma nemmeno la metà di quanto avrebbero potuto. In effetti,
l’unica vera
condizione che pongono per continuare a fare del bene, è che nessuna
razza
atterri mai sul loro pianeta natale: Kraneia.” un luogo dove ogni
petalo era Perfezione,
o così lo descrivevano.
“Una strana
condizione… si direbbe che abbiano qualcosa da nascondere.”
“Non sono
gli unici: nemmeno gli Hastur desiderano alieni sul loro pianeta
natale.” ma in
quel caso era quasi comprensibile, dato lo stato pericolante di Ryleh:
“…I
Kodadam custodiscono qualche segreto, ma la Tearkia ci ha assicurato
che
dipenda più dal loro senso del sacro, che perché vogliano davvero
celarci
qualcosa.”
“E di nuovo
si torna alla Tearkia. Li ammiri molto, non è vero?”
“Li studio
da quasi una vita.” ammise Cecile: “…Non posso diventare come loro, ma…
li
invidio. E continuano a stupirmi. Sono… una società paradossale e non
solo per
essere una razza separata 37'000 cicli fa che si è riunita.”
“Di certo
non è stato naturale, o un caso.” e questa supposizione sembrava
diventare una
certezza se si considerava la supremazia che i Midion Tezhnid
dimostravano in
ambito fisico, psichico e la loro strana scienza.
“E quello
che a tutti viene spontaneo pensare. Ma date le molte assurdità che
apparentemente contraddistinguono la Tearkia, ci è difficile darlo per
certo.
Anche perché non ci sono prove o indizi di nessun genere a suffragio
dell’ipotesi
di un intervento da parte di qualcun altro, e mi creda: li hanno
cercati tutti
e a lungo.”
“Potrebbero
essere due specie che si siano evolute lungo percorsi evolutivi
convergenti al
punto da diventare la stessa?” chiese Tarbun: un simile paradosso
stuzzicava lo
scienziato che era in lui.
Mentre nel
modo che aveva di tirarsi la pappagorgia, Cecile rivide molto
dell’Arconte:
“Forse. Ma
questo non spiega le somiglianze culturali e psicologiche che i Midion
e i
Tezhnid già condividevano ai tempi della loro riunificazione.”
“Supponendo
ovviamente che i registri storici non siano stati alterati…”
“Abbiamo le
prove che questo non è stato fatto: come ho già avuto modo di dire, il
triumvirato è un’istituzione relativamente recente. Anche prima di
formare la Dorata
Intesa, le tre civiltà si conoscevano e direi piuttosto bene: come
avversari
che si studiano prima, e come alleati poi. Sia Rostrum che Kodadam
conoscevano
i Midion prima che trovassero i Tezhnid.”
“Quindi
furono i Midion i primi a raggiungere le stelle?”
“Non poteva
essere diversamente: Vrs e Nydra sono pianeti differenti. Vrs possiede
una
gravità minore, ma risorse minerarie più estese: in effetti, le sabbie
che
coprono Vrs sono a tal punto ricche di minerali che l’età del ferro per
i
Midion cominciò quando qualcuno si dimenticò un pugno di sabbia
metallica sopra
una pietra appoggiata ad un falò.”
“Addirittura?”
“È anche
la ragione per cui i Midion sono una specie notturna: si muovevano su
Vrs quando
la temperatura scendeva a livelli accettabili. Per ragioni simili, i
Tezhnid
sono invece una specie diurna. Ma dato che Nydra è un pianeta con una
gravità
maggiore, i Tezhnid stavano finendo di costruire la loro prima stazione
spaziale orbitante quando i Midion li raggiunsero.”
“Trovando…
sé stessi? Ho capito bene?”
Cecile fece
comparire due coppie di ologrammi a quel punto, sostituendo quello del
Kodadam:
due paia di Midion e di Tezhnid, maschi e femmine. Le somiglianze erano
palesi
anche agli occhi di Tarbun, che non aveva mai visto creature simili:
bipedi,
alti al punto che Cecile sarebbe arrivata loro al petto. L’Umana
sorrise
guardando quei ritratti, di gioiosa familiarità: più si sforzava di
comprenderli, più restavano un mistero.
Erano
pallidi, eterei, quasi: chiusi in carapaci forgiati nell’aspetto di
insetti dai
grandi occhi composti, con volti e bocche da cavalletta. Nonostante
questo, a
Cecile ricordavano, per chissà quale motivo, qualcosa dei Solifugidi
della
Terra: forse dipendeva dalla velocità dei Midion Tezhnid nella corsa.
Tarbun
invece, stava finendo di contare quattro morbide antenne che partivano
dalla sommità
di teste triangolari, che Cecile sapeva i Midion Tezhnid tendevano a
legare
assieme tra amanti; nonostante la conquista della parola prima, e della
telepatia poi, avessero soppiantato la condivisione chimica da
millenni. Corpi
asciutti e scattanti, da corridori, che quasi non rivelavano la forza e
la
velocità di cui erano capaci. Niente ali, atrofizzate in entrambe le
specie
ancor prima di raggiungere la ragione, ma solo sottili bande di colore
che si
ripetevano sui loro esoscheletri, in motivi dettati solamente dai
capricci
della genetica: perfino il loro sangue aveva lo stesso colore, un
grigio perla
dovuto al fatto che la loro versione dell’emoglobina usasse l’argento,
piuttosto che il ferro.
A ben
vedere, l’unica vera differenza tra Midion e Tezhnid, era che i secondi
erano
un poco più tarchiati dei primi, mentre i Tezhnid avevano antenne più
lunghe,
che usavano in parte per regolare la temperatura corporea.
“Sono
disposta a credere che due specie che provengono da ecosistemi diversi
si
evolvano verso un uguale paradigma biologico al punto di poter avere
prole
fertile? Sarebbe una coincidenza straordinaria, ma ammettiamo pure sia
possibile. Come si spiegano però le medesime somiglianze sociologiche e
culturali in due specie che si siano evolute su pianeti a più di mezzo
braccio
galattico di distanza?” perché questa era la distanza tra Vrs e Nydra:
dettati
così i confini estremi del loro dominio, la Tearkia appena dichiarata
aveva rivendicato
come suo l’intero territorio tra quei due mondi e nei millenni
successivi
l’aveva poi strenuamente difeso e ampliato, fino a diventare uno dei
tre membri
fondatori della Dorata Intesa.
“…Come si
spiega che due specie così distanti organizzino le loro società nello
stesso
sistema di caste libere, e che perfino le loro cerimonie siano simili,
così
come i loro martirii?” era stato provato tutto e il contrario di tutto
per
conciliare quel paradosso: predestinazione biologica, destino sociale…
come se raggiunta
una certa forma, non si potesse che organizzare la propria società in
un solo
modo specifico. C’era anche chi pensava che Midion e Tezhnid si
percepissero
ancora prima di incontrarsi, tramite una latente forma di telepatia, ma
questa
ipotesi era stata negata più volte dai diretti interessati: nessuno dei
due
sapeva dell’altro, prima della loro riunificazione.
Ma se anche
qualcuno aveva interferito nella loro evoluzione, seminandoli su
pianeti così
diversi, e aveva fatto in modo che le loro società tendessero alla
medesima
forma, che fine aveva fatto questo oscuro burattinaio? Perché non era
rimasto a
godere dei frutti di un lavoro che doveva essere costato non poco
impegno e
fatica? Non era più semplice, e quindi probabile, credere in un
accidente cosmico?
La Tearkia
suscitava spesso questo genere di domande, quasi sempre senza risposta:
erano
un delizioso enigma, che apparentemente i diretti interessati non
trovavano
necessario risolvere.
“Martirii?”
chiese invece Tarbun.
Cecile fece
comparire la bandiera della Tearkia a quel punto: un triangolo d’oro
con
bisettrici che si incontravano nel luminoso centro, posto in campo
grigio e con
due cerchi neri, a rappresentare Vrs e Nydra, colti nell’atto di
sorgere dai
loro opposti orizzonti per raggiungersi.
“La società
Midion Tezhnid è organizzata in tre caste, e questo era vero ancora
prima che
si incontrassero: la casta dei soldati/cacciatori/agricoltori, la casta
degli
scienziati/ingegneri/artigiani e la casta dei
politici/sacerdoti/filosofi. In
entrambi i casi, le tre caste riflettono l’antica struttura sociale
della loro
specie: in effetti, si può dire che i Midion Tezhnid si siano evoluti
come
specie sociale per meglio difendersi dai predatori.”
“Che sono
ancora più terribili di loro?”
“Decisamente.”
ragni con mentalità da branco grandi come case e vespe della stazza di
auto per
Vrs, crostacei dal potenziale distruttivo di carro armati e
l’equivalente di
formiche da ghiaccio per Nydra: acqua e fuoco, giorno e notte. Una
dualità
sempre presente nella Galassia, esasperata nei Midion Tezhnid.
“…La
conquista e la padronanza delle loro capacità psioniche ha
riequilibrato
pesantemente le dinamiche preda/predatore, ma i Midion Tezhnid hanno
sempre
percorso gli stessi sentieri. Per esempio, la cura degli infanti è un
affare
pubblico: ancora oggi, che potenziali genitori non sono più divorati
vivi dai
predatori dei loro rispettivi ecosistemi, la sicurezza e il benessere
della
loro prole è affidata a tutti. Un trankettori,
è solo di una lancia più pericoloso di un Midion Tezhnid che protegge
un
infante.” ammise Cecile con un sorriso.
“Stai
eludendo la mia domanda sui martirii?”
“…Preferisco
pensare di star fornendo un contesto.” ribatté Cecile: “I Midion
Tezhnid sono
una specie carnivora: mangiano preda preferibilmente viva o appena
uccisa,
quando ciò non è possibile. Ecco perché ad esempio agricoltori,
cacciatori e
soldati formano una singola casta.”
“Ah.”
“...Ma le
loro caste restano un sistema aperto: da ogni cittadino della Tearkia
ci si
aspetta che contribuisca ad almeno due caste nella durata della sua
vita. Nella
loro concezione, l’esperienza dei primi cicli viene messa al servizio
della
scelta compiuta più avanti con l’età: elemento questo, che di nuovo era
presente sia tra i Midion che tra i Tezhnid prima della loro
riunificazione.”
“Continui a
girarci attorno.” affermò sardonico Tarbun.
“Perché non
è facile conciliare questa parte delle loro società con alcune loro
pratiche
che francamente trovo barbariche io stessa.” di nuovo, Tarbun le lasciò
il
tempo di continuare coi suoi tempi:
“…Sono una
specie forte, gioiosamente portati al conflitto, ma molto presto sono
stati
costretti a trovare un modo di incanalare questa energia: la loro casta
governante, se così si può dire, ha compreso molto presto che rituali,
mistica,
sacralità… erano strumenti in grado di arginare lo spargimento di
sangue tra i
loro consimili.”
“Quindi la
religione è per loro uno strumento di controllo?”
“Sì e no. La
religione Midion Tezhnid può essere descritta come un culto
apocalittico degli
antenati: credono, o meglio, si impongono di credere, che alla fine dei
tempi
vi sarà un grande scontro tra i viventi e qualcosa che loro chiamano
l’Inconosciuto,
una specie di divinità del caos con quattro teste, ognuna che porta su
di sé
una diversa forma di rovina. La posta in palio sarà la continuità o
meno
dell’esistenza stessa.” spiegò Cecile, proiettando la rappresentazione
di un
arazzo in cui si vedevano le orde di Midion Tezhnid, e altre specie,
andare in
battaglia contro una titanica figura con quattro teste, ma che restava
in
ombra.
“Hai detto
che si impongono di credere.” Intervenne Tarbun: se faceva di tutto per
non
rispondere alla sua domanda, allora tanto valeva farne un’altra.
“…Quando una
finzione ripetuta, ritualizzata, diventa realtà? La nostra esperienza
ci dice
che una cosa simile non avverrà mai… ai Midion Tezhnid però, ha
dimostrato
diversamente. Perfino loro sanno che la religione è una pratica
ritualistica
creata per sfogare e controllare alcuni istinti di base insiti in ogni
società,
uno dei motivi per cui non fanno proselitismo tra le altre specie,
eppure
sembra che nel loro credere, in quel gioco che hanno creato per sé,
qualcosa di
vero ci sia. Per loro almeno, funziona: innalzano mausolei in cui
chiedono
aiuto e consiglio ai loro antenati per gioco, e scoprono di avere
società più
stabili e forti come conseguenza: in loro il rapporto di causa effetto
sembra
rovesciato, oppure che ci sia davvero una divinità che apprezza i loro
sacrifici e i loro rituali. E se come non bastasse, sostengono di aver
trovato
la forma definitiva del loro testo più sacro tra le stelle, ma questa è
un
affermazione che nessuno è un grado di verificare. E prima che provi a
suggerire che è dovuto ai loro poteri psicocinetici, anche questa
ipotesi è
stata vagliata attentamente.”
“Risultato?”
“Nulla di
conclusivo. Funziona e tanto basta. Nemmeno i loro governatori, i loro
martiri
viventi, sanno perché, o se lo sanno, si guardano bene dallo spiegarlo.”
“Sono sempre
più confuso, come si può essere martiri viventi?”
“…Una
pratica che era già diffusa tra Midion e Tezhnid prima della loro
riunificazione.”
spiegò Cecile con una piccola voce: “…Esiste una cerimonia, destinata a
coloro
che tra i Midion Tezhnid invocano la responsabilità di essere
governatori e
capi tra loro. All’aspirante viene iniettato un veleno, una tossina
neurale che
devasta il corpo, ma lascia intatta la mente. A coloro che
sopravvivono,
vengono tolti tutti i sensi, per sempre. Ma la mente di questi martiri,
costretta a ripiegarsi su sé stessa, costretta a poter ascoltare
solamente sé
stessa, raggiunge nuovi livelli di ragionamento e capacità:
precognizione ad
esempio. Storicamente, i primi psionici e telepati nella Tearkia sono
stati
appunti questi martiri viventi, e lo studio di ciò che capitava
esattamente a
loro la diffusione dei talenti mentali tra i Midion Tezhnid.”
“Un’abnegazione
che non riesco a comprendere…”
“Nata da
coloro che erano strappati ancora vivi ai più terribili predatori sui
rispettivi pianeti d’origine. Li chiamano Tearki: ed essi si
sacrificano, e
sono sacrificati, per poter meglio guidare la loro specie. L’impegno
naturalmente è a vita: ogni colonia dei Midion Tezhnid è retta da
almeno uno di
questi governatori-martiri, che presiedono all’ordine e alla prosperità
del
pianeta. Altri Tearki invece, pur non avendo la responsabilità di una
colonia,
hanno funzioni importanti per la Tearkia: giudici, filosofi, cognitivi…
la
lista è lunga.”
“Cicli
interi di buio… non so se sarei pronto a fare qualcosa del genere. E
come si
coordinano tra loro?”
“Fanno tutti
riferimento ad uno: l’Arcitearka, imperatore-dio di tutti i Midion
Tezhnid. Un
essere dai poteri psionici e dall’intelletto così vasto, da trascendere
la sua stessa
biologia, che viene deificato dai suoi simili sia per ciò che è, che
per ciò
che ha sacrificato. Attualmente, a reggere la Tearkia è
l’imperatrice-dea Sa
Ti: per lei, i Midion Tezhnid organizzano tornei interplanetari in cui
mettono
alla prova il loro valore e in cui la morte è l’unica sconfitta
onorevole.
Muoiono in suo nome, conquistano per la sua gloria e pregano per la sua
salvezza.” Cecile non poté impedirsi di rabbrividire mentre quelle
parole
lasciavano la sua bocca: non poteva tacere la parte più importante
però. Doveva
arrivare fino in fondo:
“…E fin da
quando si sono riunificati, Midion e Tezhnid selezionano le famiglie da
cui
devono giungere i loro Tearki anche in base alla loro possibile
aspettativa di
vita, in modo da garantire leader dal mandato sempre più lungo, ma
comunque in
grado di guidarli con forza… Ammirate la mia abnegazione, Tarbun?”
chiese
Cecile amara: “…Quanto vale, di fronte a 14 cicli di isolamento
completo dei
sensi, con solo la propria mente per conoscere il mondo e la propria
specie? E
c’è un’altra somiglianza che ha contraddistinto la storia di Midion e
Tezhnid a
proposito.”
“E quale?”
“La figura
di Tearka è nata appena prima di raggiungere le stelle per entrambi,
segnando
la fine di crociate che avevano spazzato i due mondi nel tentativo di
rispondere ad un semplice quesito: quale identità porteremo con noi fra
le
stelle? Chi siamo davvero? E nel sangue e nella battaglia, e
nell’istituzione
della Tearkia, il dominio del divino, il loro sacro impero, i Midion
Tezhnid
hanno trovato la risposta.”
“…Al
confronto, perfino Rostrum e il suo passato sono socialmente
accettabili.”
“…Credo che
lei abbia appena fatto il miglior complimento che si possa fare ad un
Hastur.”
rispose Cecile, con un piccolo sorriso.
Parlarono
ancora molto quella notte, parlarono di molte altre cose, di molti
luoghi e di
civiltà lontane. Fu quella notte che Tarbun e Cecile capirono che
sarebbero
diventati amici, nel tempo: e infatti rimasero in contatto anche quando
la
missione dell’emissario della Dorata Intesa finì, dopo che i Figli di
Kos
rinunciarono ufficialmente alle loro pretese sul pianeta di Sorat, per
quanto
non vollero unirsi formalmente alla Dorata Intesa.
Almeno per
qualche generazione ancora.
E questa storia
termina qui.
Spero che vi sia piaciuta, pur nella sua stranezza e terribili
possibilità che immagina: tuttavia appunto "la Galassia è antica e
piena di portenti".
Cheerio! |