capitolo
9
IL
LEONE E L’AGNELLO
«Bene,
dunque», disse Gabe. «Prima le
signore.»
Crystal lo sorpassò
lanciandogli
un’occhiataccia. All’interno, l’ambiente
era buio e freddo. L’unica fonte di
illuminazione era la luce dei lampioni che si riversava
dall’esterno. Crystal
avanzò piano nell’oscurità, tenendo
d’occhio la strada dai finestroni della
vetrina: aveva il terrore che qualcuno la notasse.
Gabe le picchiettò sulla
spalla. «Tieni
questa», mormorò posandole qualcosa nel palmo
della mano.
Crystal osservò
l’oggetto rotondeggiante,
e quando ci chiuse le dita sopra, un bagliore celeste si
sprigionò
all’improvviso dalla piccola pietra. La ragazza
cercò di soffocare la luce con
le mani, improvvisamente agitata. «Spegniti,
accidenti!», esclamò.
«Non ti
preoccupare», la rassicurò Gabe.
«I mondani non possono vederla.»
Crystal tirò un sospiro
di sollievo.
«Avresti potuto dirlo prima
che mi
venisse quasi un infarto.»
Gabe ridacchiò.
«E perché? È stato così
divertente!»
Se avesse potuto, Crystal lo
avrebbe
incenerito con lo sguardo. «Allora adesso che si
fa?»
«Non so tu, ma io ho una
gran voglia di
una bella coca ghiacciata!»
«Sì, va bene
anche per me.»
«Okay. Vado a prenderne
qualcuna», rispose
in un sorriso. «Tu fatti un giro, se ti va.» Gabe
estrasse dalla tasca dei
jeans quello che sembrava un sacchetto per la spesa di tessuto nero e
glielo
lanciò. «Prendi quello che ti serve.»
Crystal annuì, e poco
dopo vide Gabe
svanire dentro alla corsia delle bevande, una pietra di stregaluce
nella mano
destra che disegnava la sua ombra sul pavimento.
La ragazza si infilò nel
corridoio di
fronte a sé, scoprendo con piacere che si trattava del
reparto dei dolci. Prese
a rovistare tra gli scaffali e, di tanto in tanto, una confezione di
biscotti o
caramelle scivolava nel sacchetto che le aveva dato Gabe.
Aprì una scatola di
brioches, se ne ficcò una in bocca e versò il
resto del contenuto nella borsa.
Perlomeno avevano di che fare colazione la mattina successiva,
pensò.
Passò poi al reparto
successivo,
trovandosi circondata da deodoranti, spazzole per capelli e boccette di
profumo
colorate. Prese alcuni oggetti utili, come ad esempio uno spazzolino e
del dentifricio,
e si spruzzò addosso un profumo scelto a caso
dall’espositore.
Quando il sacchetto fu ricolmo,
Crystal
decise di andare a cercare Gabe. Lo trovò al frigo dei
salumi, nella pozza di
luce argentea emanata dalla sua stregaluce. Dalla bocca gli pendeva un
panino imbottito
mentre infilava delle confezioni di prosciutto e salame in un sacco di
tela
nera.
«Eccomi», disse
Crystal.
In tutta risposta, Gabe
sollevò
leggermente la testa e le lanciò una latina di Coca Cola,
che lei afferrò al
volo. Era ghiacciata. Subito dopo le porse anche quello che aveva tutta
l’aria
di essere un panino al formaggio.
Crystal ci affondò i
denti, affamata come
mai lo era stata prima. Il formaggio le si sciolse in bocca, fresco e
dolce.
«Meglio di qualsiasi
mensa self-service,
che dici?», fece Gabe a bocca piena.
Crystal si scoprì a
ridacchiare. «Già, non
male», disse. «Ma nessuno si accorge di tutte
queste sparizioni? Immagino che
veniate qui spesso.»
«In realtà non
molto spesso», rispose lui.
«Proprio per non dare troppo nell’occhio. Di solito
alterniamo con altri due o
tre supermercati… Ma a dire la verità dubito che
i mondani che lavorano qui si
siano mai insospettiti. E al massimo darebbero la colpa a qualche
teppistello
del quartiere.»
Mentre parlava con Gabe, Crystal
scorse
una luce gialla provenire dalla vetrina che dava sulla strada, come i
due fari
di un’auto. Disegnavano due coni di luce, uno poco distante
dai suoi piedi.
«Gabe…», lo chiamò,
indicandogli la fonte di luce.
Gabe si alzò in piedi,
circospetto.
«Poliziotti», le spiegò.
«Cammina verso di me lentamente. Niente movimenti
avventati.»
«Gabe»,
ripeté lei, nel panico. La sua
voce tremava mente il cono di luce avanzava verso i suoi piedi.
Gabe l’afferrò
per un polso e la nascose
dietro ad uno scaffale giusto in tempo prima che la luce della torcia
la
illuminasse in pieno. Poteva sentirle il cuore battere impazzito dietro
alle
costole. «Andiamo», le disse.
«Gabe, ho
paura», rispose lei. Le pareva
di avere le ginocchia di gelatina.
Lui la trascinò verso
l’uscita del retro,
da dove erano entrati, cercando di schivare le chiazze di luce che si
muovevano
per il negozio attraverso le vetrate. Quando furono fuori,
bloccò la porta con
una Runa di Chiusura e si tirò appresso Crystal, rigida come
una statua di
gesso, lungo il vicolo buio.
Pioveva. Crystal sentiva sulla nuca
le
gocce di pioggia che filtravano tra i tetti e il rumore
dell’acqua che
rimbalzava sull’asfalto.
Allo sbocco del vicolo, Gabe si
sporse per
controllare e vide che i poliziotti stavano salendo sulla loro volante.
«Se ne
vanno», disse a Crystal.
Lei trasse un rumoroso sospiro di
sollievo, poi si lasciò scivolare lungo il muro di una casa,
finendo seduta.
Gabe si accovacciò di
fronte a lei, l’aria
vagamente preoccupata. «Crys, è tutto
okay?»
La ragazza, il pallido volto
illuminato
dalla luce fioca della luna, annuì piano.
«Sì, è solo che… per un
momento ho
creduto che…»
Lui le accarezzò una
guancia, sorridendo.
«Lo so. Sarebbe tutto più semplice se tu potessi
fare uso delle Rune. Ma non è
andata male, dopotutto, no? Qui abbiamo cibo sufficiente per una
settimana»,
disse indicando la refurtiva.
«Ottimo.»
Crystal si fece aiutare a
rimettersi in piedi, ma Gabe la tirò con troppa forza e lei
rovinò su di lui,
il quale colpì la parete opposta del vicolo con la schiena.
«Oh…
mi spiace», mormorò Crystal imbarazzata. Erano
così vicini che i capelli di lui
le solleticavano la fronte.
«A me no»,
rispose lui in un sorriso
mozzafiato.
Si sentì avvampare.
«Gabe…», si lamentò
cercando di sottrarsi, ma le mani di lui tenevano uniti i loro bacini.
«Sì?»
Gli occhi smeraldini di lui la
fissavano irrequieti.
Crystal si chiese, con una punta di
fastidio, perché mai quando si trovava così
vicina a Gabe non riusciva a
pensare ad altro che a baciarlo. Eppure avrebbe dovuto essere
arrabbiata per
come lo aveva visto comportarsi con Julie, o per le sue insopportabili
frecciatine, o per averla fatta quasi sorprendere a rubare in un
supermercato…
Ma non lo era. E questo la irritava parecchio.
Le labbra di Gabe sfiorarono la sua
guancia: una carezza accennata. «Vuoi tornare al
rifugio?», domandò contro la
sua pelle.
Il che, nelle orecchie di Crystal,
suonò
come Vuoi che ti baci oppure no?
Crystal faticava a sostenere il suo
sguardo. «E tu?», gli chiese.
Lui la fissò.
«Non si risponde ad una
domanda con una domanda», disse con aria offesa.
«Hai paura di fare qualcosa di
sbagliato?»
La ragazza sentì nella
gola la morsa
dell’imbarazzo. Le gambe le parvero sciogliersi come burro al
sole. «Veramente,
io…»
Una goccia di pioggia
scivolò fra i tetti
e cadde sul viso incupito di Gabe, brillando alla luce della luna come
una
lacrima argentea. «Sarà meglio andare»,
disse dopo un po’, rompendo il silenzio.
«Gli altri si staranno chiedendo dove siamo finiti.»
Gabe fece per uscire dal vicolo,
quando Crystal
strinse le mani attorno al suo braccio.
«Aspetta…»
Lui si volse, le sopracciglia e la
fronte accartocciate
dall’indignazione. Forse, pensò Crystal, mai prima
d’allora una ragazza aveva
esitato quand’era stata l’ora di farsi baciare da
lui. «Aspetta cosa?»,
replicò sollevando un
sopracciglio scuro.
Senza indugiare, Crystal si sporse
sulle
punte e premette le labbra contro quelle dure di lui. Gabe sembrava di
marmo,
sotto il suo tocco insicuro. La ragazza cercò le sue mani
nel buio, e quando le
loro dita s’incontrarono Gabe trasalì appena. Era
come se anche lui, pensò
Crystal, fosse combattuto per i suoi sentimenti. Come se stesse
continuamente
ponderando che cosa fosse più giusto.
Anche lei si sentiva
così, in bilico tra
la voglia costante di gettarsi fra le sue braccia ed il fuggire il
più lontano
possibile da lui. L’idea che Gabe fosse uno shadowhunter, un
Nephilim, la
faceva sentire inadeguata, quasi indegna. Come in uno di quei film dove
la
ragazza qualunque di turno s’innamora del bellissimo,
ricchissimo e amatissimo
unico figlio della famiglia più abbiente della
città. Sebbene nei film, alla
fine, si scopra sempre che il ragazzo ricambia i sentimenti di lei ed
è pronto
a contraddire tutta la sua famiglia pur di sposare la fanciulla.
All’improvviso Gabe, come
se avesse potuto
leggerle nel pensiero, la prese per i fianchi e uscì dal
vicolo, spingendola
contro la parete ruvida della casa. Lì non c’erano
tetti o altre protezioni a
contrapporsi tra loro e la pioggia, che adesso scrosciava incessante.
Crystal
sentiva le gocce fredde colpirle la fronte e scivolarle lungo le
braccia, ma
non le importava. Il modo in cui Gabe aveva preso a baciarla, adesso,
le
avrebbe fatto dimenticare anche cose ben più gravi del
rischio di beccarsi una
polmonite.
Crystal si lasciò
sfuggire un gemito di
sorpresa quando le mani di lui sollevarono il bordo del suo top e
sfiorarono la
sua schiena nuda. Le dita di Gabe erano lisce e fredde contro la sua
pelle.
In quel momento
un’automobile sfrecciò
lungo Elm Avenue e, quando passò di fianco a Gabe e Crystal,
sollevò una pozza
d’acqua che schizzò verso il marciapiede.
L’onda li investì in pieno, ed
entrambi si ritrovarono improvvisamente fradici ed infreddoliti.
Gabe scoppiò a ridere
contro le labbra di
Crystal, mentre al contempo lei lanciava un’imprecazione.
«Be’, se non altro
ora riesco a capire l’espressione “È
stato come una doccia fredda”!»
Crystal non riuscì a
trattenere un
risolino, sebbene l’idea di essere completamente zuppa
d’acqua non la
divertisse particolarmente. Subito dopo fu percossa da un brivido
gelido.
«Hai freddo?»,
le domandò Gabe.
Crystal annuì,
trattenendo l’impulso di
battere i denti. «Un po’.»
Lui, con fare un po’
teatrale da
cavaliere, si sfilò la giacca di pelle dalle braccia e la
posò sulle spalle
irrigidite di lei. «Va un po’ meglio?»
Crystal gli sorrise.
«Molto meglio»,
rispose. «Ma ora sarai tu a morire assiderato»,
aggiunse notando che indossava
soltanto un’attillata t-shirt scura, da cui si intravedevano
i gonfi muscoli
dell’addome.
Gabe scrollò le spalle.
«Meglio io che
te.»
La ragazza non poté che
arrossire. Mai,
nella sua vita, aveva ricevuto tante attenzioni da qualcuno. Il massimo
che si
sarebbe potuta aspettare all’orfanotrofio, se mai si fosse
fatta trovare
bagnata fradicia per i corridoi, sarebbe stato una bella sgridata,
seguita da una
settimana di punizione per aver imbrattato i pavimenti.
A quel pensiero, Crystal
rabbrividì tra le
mani di Gabe. Si chiese come avesse potuto rimanere là
dentro per ventun anni
senza dare di matto. Pensò al sapore salato del brodo
vegetale, in
contrapposizione a quello dolce della Coca Cola che là
dentro non aveva mai
nemmeno potuto assaggiare. O all’odore acre del
caffè al mattino, così diverso
dal profumo inebriante dei croissant che si gonfiavano nel forno
dell’Every
Flavour Donuts.
Gabe notò il suo sguardo
distante. «Crys.
È tutto okay?»
Crystal rinsavì, lieta
che i suoi occhi
mettessero a fuoco una cosa tanto bella come Gabe, abbandonando la
visione
degli spogli corridoi dell’orfanotrofio. «Stavo
solo… pensando ad una cosa.»
Gabe
s’incamminò lungo il viale, prendendola
per mano. «Ed era una cosa brutta?»
«No, non
proprio», rispose mostrando un
timido sorriso. «Pensavo all’orfanotrofio.
Là dentro non è stato molto facile
per me, ma credo che proprio per questo ora riuscirò a
godere davvero delle
cose belle. Qui fuori è tutto così… amplificato.»
Gabe le sfiorò il mento
con le dita.
Mentre camminavano, i loro capelli bagnati rilucevano come argento
liquido in
contrasto con l’asfalto scuro. «Ti capisco.
Anch’io ho trascorso gran parte
della mia infanzia rinchiuso nell’Istituto di Los Angeles.
Quando sono uscito
per la prima volta ho visto, sentito e provato così tante
cose insieme che mi
sono sentito scoppiare la testa», mormorò.
«Non è proprio la stessa cosa, ma
riesco a farmi un’idea.»
«Gabe, so che non ne vuoi
parlare», iniziò
Crystal. «Ma mi stavo chiedendo se tu abbia deciso di
abbandonare l’Istituto
per via dei tuoi genitori.»
Il ragazzo sembrò
sorpreso, ma poi si
ricompose in una smorfia seria. «Io e mio padre
non… non andiamo molto
d’accordo», riuscì a dire. Crystal aveva
la sensazione che Gabe stesse
misurando le parole. «Perché questa
domanda?»
«Perché quando
Caleb ti ha chiesto se
fosse tuo padre l’uomo che dirige l’Istituto, tu
sei improvvisamente diventato
di ghiaccio», gli spiegò con delicatezza.
«E poi Vanessa ti ha dato la
stregaluce, dicendo che l’aveva presa di nascosto dalla tua
stanza. Ho pensato
che se tu non eri tornato di persona a riprendertela poteva voler dire
che non
avevi intenzione di rivedere i tuoi genitori.»
«E hai pensato
bene», rispose con tono
severo, sorprendendo Crystal. «Abbiamo avuto
delle… divergenze
d’opinioni, in passato. Quando ho compiuto ventun
anni
ho capito che non avrei seguito la strada che loro avevano scelto per
me. E
quando ho ottenuto l’appoggio di Julie e di Cole me ne sono
andato.»
«Capisco.»
«Ora la mia famiglia sono
Julie, Cole e
Victoria», disse. «Le uniche persone di cui mi fido
ciecamente e per le quali
sarei disposto a dare la vita, se fosse necessario. Loro farebbero lo
stesso
per me.»
«E che mi dici di Caleb e
Vanessa?»
«Non so per quanto ancora
resteranno con
noi», rispose pensoso. «Vanessa è amica
di Julie dai tempi in cui entrambe
vivevano a Idris. Poi Vanessa fu inviata a Washington D.C., mentre
Julie scappò
a Los Angeles. Quando ci è giunta notizia che
l’Istituto di D.C. era stato attaccato
dai lupi mannari, Julie ha proposto a Vanessa di raggiungerci a Long
Beach. E lei
si è presentata qui insieme a Caleb.»
«E quel
Donovan?», continuò Crystal.
«Avete detto che non c’è quasi mai. Dove
va?»
Gabe sorrise. «Donovan
è un tipo particolare.»
«In che senso?»
«Nel senso»,
fece Gabe senza nascondere
una punta di divertimento. «che è un
vampiro.»
«Un vampiro? Dici sul
serio?»
«Già»,
replicò. «Ma è un bravo ragazzo,
dopotutto.»
Il viso di Crystal si
deformò in una
smorfia disgustata. «Ma di cosa si nutre?»
«Secondo te?»
Crystal stava per avere un conato
di
vomito. «Vuoi dire che uccide i mondani?»
Gabe ridacchiò.
«Certo che no! Si nutre
soltanto di sangue animale. Credi che faremmo entrare di proposito un
assassino
nel nostro rifugio?»
Lei si sentì subito
risollevata. «E dove
sta tutto il tempo, se non è con voi?»
«Donovan vive con il suo
clan in Myrtle
Avenue, in una vecchia casa abbandonata… Come potrei
spiegarti? Lui fa da
filtro tra noi e loro. Non so se te l’ho già
detto, ma Nephilim e Nascosti non
vanno molto d’accordo», spiegò.
«Donovan è un idealista. Sta cercando di
mitigare le avversioni che abbiamo gli uni contro gli altri.»
Crystal era confusa. «Non
ti piace l’idea
di andare tutti d’amore e d’accordo?»
«Non è che non
mi piaccia», specificò. «È
che lo vedo alquanto impossibile. I vampiri e i licantropi si odiano da
sempre,
così come i Nephilim si sono sempre tenuti alla larga da
ogni tipo di Nascosto.
Non ci si può svegliare una mattina e decidere che tutto
questo deve cambiare.
Sarebbe come chiedere ai mondani di dimenticare le differenze che loro vedono tra un bianco ed un nero, tra
un cristiano ed un ebreo, o tra un etero ed un gay. Credi che basti
qualche
decina di menti aperte per cambiare la convinzione di un intero
mondo?»
«D’accordo, ma
pensaci: già il fatto che
voi vi rapportiate con Donovan, significa che non siete di vecchio
stampo, come
ad esempio potrebbero esserlo i tuoi genitori. Julie è una
mezza fata, mezza
Nascosta, giusto? E io sono una sottospecie di sirena senza pinne.
Tutto questo
è la prova che le convinzioni stanno già
cambiando.»
«Soltanto
perché per me non risulti un
problema avere degli amici Nascosti, non significa che valga lo stesso
per
tutti. Victoria ha impiegato parecchio ad accettare Donovan,
così come i miei
genitori hanno accolto Julie all’Istituto soltanto
perché aveva ottenuto il
primo Marchio direttamente dal Clave. Come vedi, l’idea che i
Nephilim siano
superiori ai Nascosti è un pensiero ben radicato.»
A Crystal prudevano le labbra dal
desiderio di sapere una cosa in particolare. «Credi che i
tuoi genitori non
approverebbero che… insomma, se io e
te…»
A Gabe sfuggì una
risatina. «Che io e te
usciamo insieme, dici?», concluse al suo posto.
«Be’, questo è uno dei tanti motivi
per cui mi sono allontanato da loro.»
«Forse hai
ragione», rifletté Crystal.
«Chiedere agli adulti di cambiare i loro ideali potrebbe
essere impossibile, ma
voi siete una nuova generazione di Nephilim. Se provaste a cambiare
questa
assurda mentalità, le generazioni future di Nephilim e
Nascosti potrebbero
collaborare, non pensi?»
Gabe si fermò e le
pizzicò dolcemente la
guancia. Crystal non si era accorta che erano arrivati in Liberty
Court,
davanti alla botola d’entrata per il Rifugio.
«Penso», disse. «che tu sia un
po’ sognatrice, Crystal Evans» Sciolse la presa
dalla sua mano per picchiettare
l’indice contro la sua fronte, e aggiunse: «Ma
c’è del potenziale qui dentro.»
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PERSONAGGIO DEL GIORNO:
Donovan Mortenson