Michelle guardava sua mamma sbucciare le mele con sguardo assente.
Erano sedute al tavolo, loro due, in perfetto silenzio.
Un grigio, pesante silenzio che incombeva sulla stanza decorata di fresco, e
sul mazzo di fiori a centrotavola.
Quel bellissimo mazzo di fiori che la signora Dubois aveva regalato, appena
colti dal suo giardino.
La mamma aveva avuto uno sguardo luminoso, mentre ringraziava la signora
Dubois.
Aveva riso, estasiata da quei bei colori.
”Sono cosmee?” aveva chiesto.
La mamma stava sbucciando le mele, ora.
Sbucciava le mele e guardava, con occhi spenti, quel mazzo di fiori che l’aveva
entusiasmata come una bambina.
Michelle voleva davvero chiederle di sbucciare le mele a forma di coniglietto,
come faceva quando era più piccola.
Stava per chiederlo – un po’ timorosa – quando sua mamma lasciò cadere il
coltello nel piatto finemente decorato.
”Sono stanca…” mormorò la donna, stringendo le palpebre “… non ne posso più,
non posso più…”
Diligentemente, Michelle richiuse le labbra ed abbassò lo sguardo.
[ La ville aux coeurs fanès ]
III. Dejà-vu
Allen riattacca la cornetta, occhi vividi di un’emozione
a metà fra la preoccupazione, la rabbia, e la desolazione più totale. Si gira,
tuttavia, con un sorriso. Dedicato alla ragazza seduta alle sue spalle.
“Ne, Lenalee,” esordisce, con quel suo tono gentile-ma-non-formale,
quello che di solito riesce a farla sorridere.
“Tuo fratello dice che Lavi e Kanda arriveranno presto a
darci una mano, qui. Dovrà essere più facile, no? Venire a capo di tutta
questa… situazione.”
La ragazza non sembra ascoltarlo. Rimane seduta al
tavolo, mani poggiate in grembo, capo appena chinato d’un lato. Gli occhi
appena spenti fissano un punto indefinito del pavimento.
Il cuore di Allen si stringe in una morsa – e ricorda
Lenalee vestita da bambola, e gli occhi spenti, e Road, e Miranda e quello schiaffo
che ancora oggi porta ben custodito nel cuore. Il sorriso non accenna a cedere
sulle labbra, mentre si siede di fronte alla cinese.
“Tuo fratello vuole che tu stia bene, Lenalee,” mormora,
abbassando appena la voce di un’ottava.
Le labbra della ragazza si serrano – una reazione. Una
reazione, finalmente.
Il sorriso sulle labbra di Allen si ravviva un pochino.
“Non starò bene,” mormora Lenalee, ed il sorriso si
spegne del tutto.
Non starò bene, ripete, con quella voce infranta. Allen
scosta lo sguardo da quella figura così esile – perché doveva essere proprio
lei ad ammalarsi? – ed intercetta quello della piccola Blanche, affacciata
sulla soglia.
Anche la piccola Blanche scosta lo sguardo, e chiude la
porta della piccola e rustica sala da pranzo della locanda.
La gare d’Austerlitz ha appena cinquant’anni: si
erge sulla riva sinistra Senna, e non ha niente di eclatante.
Il suo orologio ticchetta diligentemente i secondi che
passano, un grande occhio bianco che vigila sul via vai frenetico dei
viaggiatori.
Quella soleggiata mattina di metà maggio, una singolare
scena si presenta però allo sguardo onnisciente dell’orologio – e a quello, un
po’ più basito, degli uomini e donne in attesa del prossimo treno. Un
appariscente trio, infatti, procede a passo spedito nella folla, dividendola in
un’ironica imitazione della separazione delle acque del Mar Rosso. Nessun
miracolo divino causa tuttavia il fenomeno, nonostante le tre figure siano
effettivamente alle dipendenze del Vaticano.
“Baka usagi, se non la smetti di tirar--- no, no,
Komui sto ascolta… e smettila di piagnucolare, cazzo, sei irritante!”
“… e aspetta che non è ancora arrivata la parte migliore,
Phil! Questa ragazza bellissima si sbottona la blusa e…”
Alla dipendenze del Vaticano, sul serio.
Un uomo bassino, vestito asetticamente color panna, funge
da aprifila: sulle sue spalle, adagiato come uno zaino, c’è quello che a colpo
d’occhio sembra un… apparecchio telefonico. Enorme, ingombrante e dall’aria
particolarmente pesante. L’uomo rivolge il viso vagamente affilato verso il
secondo ragazzo dello stravagante corteo: una zazzera color rame che in qualche
modo riesce a fare a pugni anche con la divisa rossastra indossata – un po’
dimessa, per il caldo quasi estivo. Sorriso ebete ostentato sul volto, è tutto
intendo a tirare energicamente il filo dell’apparecchio telefonico, mentre
enfatizza a gesti quello che sembra un racconto particolarmente piccante.
”Lavi, idiota, smettila di tirare il fil… non riesco a
seguirti Ko… smettila di fare l’isterico e parla pia… cazzo,
Lavi! Se non la smetti, giuro che al prossimo compleanno decorerò il
Refettorio con il tuo intestino, se… sì, Komui, ti sto ascolta-“
Chiude la processione un ragazzo dai lineamenti asiatici
e i capelli sconvenientemente lunghi per la moda del tempo, espressione a metà
fra l’esasperato e il nevrotico. Cerca evidentemente di combattere – invano
– su due fronti: da una parte una logorante conversazione a distanza,
dall’altra il pericolo costante che la cornetta gli venga tirata via dalle
mani.
“… da quando partecipi ai compleanni, ne, Yu-chan?
E comunque dicevo, questa ragazza bellissima e rossissima, che…”
Insulti coloriti seguono diligentemente il passaggio del
gruppo attraverso l’austero porticato d’entrata: gli sventurati viaggiatori in
attesa nella gare rafforzano istintivamente la stretta sui bagagli
incrociandone il tragitto. Quasi temano di venir contagiati, in qualche modo,
da tale mancanza di decoro.
“Certo che siamo a Parigi, ci hai mandati tu,” il
tono caustico di Kanda è vagamente irritato, mentre attorciglia crucciato il
filo attorno all’indice affusolato – vana speranza di trattenerlo al suo posto.
“Millau? Perché lì? Senti se non ini – Lavi! – senti, Komui, non
sono nella tua testa e qui c’è un fottutissimo casi--- si, ma se
non mi spie…”
Il rossino riesce infine, con uno strattone più forte, a
strappargli la cornetta di mano. Colpa di Kanda, che si era lasciato distrarre
nel tentativo di sfoderare Mugen per eseguire minacce più efficaci.
“Mio!” trilla Lavi, trionfante, quando la cornetta cade a
terra. Kanda batte ciglio, momentaneamente perplesso, prima che l’intero volto
si trasfiguri in una maschera di rabbia.
“Okay,” sibila sfoderando la fedele katana. Per qualche
ragione, i due lembi del Mar Rosso di folla si aprono un pochino di più attorno
a loro. “Sei morto.”
Tirando vigorosamente il filo, Bookman Jr si limita a
ritirare a sé la cornetta e portarla disinvoltamente all’orecchio.
“Yu-chan è un tale maleducato,” esordisce, tono di voce
palesemente divertito “non sa neanche sostenere una discussione civile al
telefono, ne, ti pare possibile?”
Il Finder scosta lo sguardo, per nascondere
l’inequivocabile piega divertita delle labbra. Le dita di Kanda si contraggono
appena sull’elsa di Mugen.
Lavi è evidentemente in vena di morire.
Kanda è fin troppo felice di ottemperare a quel desiderio
così ardente.
E’ pronto a colpire, ma…
… il sorriso idiota di Lavi si spegne troppo velocemente.
“Lenalee?”
E’ solo un nome, ma cattura l’attenzione dell’asiatico.
Sembra cattura anche l’attenzione di Phil, che si lascia sfuggire semplicemente
un “Lady Lenalee?”
“A Millau?”
Si, questo lo aveva sentito anche lui. Se solo Komui non
fosse sul baratro di una crisi isterica, e Lavi non avesse la mentalità di un
ragazzino di cinque anni, avrebbe probabilmente sentito anche il resto.
“Églantine.
Ricordo. E Allen…?”
Mammoletta inutile.
”Sì. Va bene. Va bene, ci andiamo subito. Sì, sì, prendiamo il prossimo treno.
Tranquillo ne, ci pensiamo noi.”
Il brusio della folla, il fischio dei treni in partenza e
il soffio stanco di quelli che sfiatano e si fermano riempiono i buchi di
silenzio. Lavi non è mai così silenzioso.
E Kanda non è una persona paziente – la stizza piega all’ingiù le sue labbra,
mentre Mugen viene riposta al cinto. Il cruccio delle sopracciglia adombra il
viso dai lineamenti sottili.
“Si può sapere che voleva, quello? Non riuscivo a capire
un’acca di quello che stava dicendo,” finisce per borbottare, tono
evidentemente risentito. Lavi solleva lo sguardo pensieroso: ma il tutto dura
solo un attimo, sostituito dal ben più usuale sorriso. Soltanto un po’ più
stanco e dimesso del solito.
“Allen e Lenalee hanno trovato i finders che erano stati
dati per dispersi.”
“E Komui pensava che questo potesse interessarmi?” è la
caustica quanto perplessa replica del giapponese.
“Pare che si fossero ammalati della stessa malattia che
erano andati ad indagare,” continua Lavi, spostando lo sguardo sul treno, quasi
non fosse mai stato interrotto.
Kanda schiocca la lingua – e che ci si poteva aspettare,
da loro?
“… sembra che anche Lenalee si sia ammalata.”
In un primo momento, la mente di Kanda non comprende per
bene il senso di quelle parole. Tanto che le labbra già si schiudono per uno
dei soliti commenti all’acido, e son costrette a richiudersi dopo un’adeguata
comprensione.
“… Lenalee?” è tutto quello che dice. Lo ripete, battendo
ciglio.
Le sopracciglia si crucciano. Lavi, dal canto suo,
annuisce e stringe le labbra.
“Vuole che andiamo a dare una mano ad Allen. Dobbiamo
trovare al più presto l’innocence che sta causando questo casino, ne.”
Lavi serio fa paura. Ma d’altronde, cosa c’è di non
serio? Prima di partire, Lenalee aveva detto loro che quella malattia porta le
vittime al suicidio. Ce n’erano stati già cinque di casi, a quel tempo.
Chissà a quanti erano aumentati, ora.
Comprensibile, che Komui fosse nel panico – ma Kanda non
ha abbastanza considerazione degli altri, per sentirsi in colpa di averlo preso
a male parole. Ne ha abbastanza, tuttavia, per non lamentarsi di dover trovarsi
una mammoletta paranoica fra i piedi.
La missione è la missione.
“Dove?” domanda, laconico.
“Prendiamo il treno per Millau. Di lì, a piedi verso il
villaggio. E’ piccolo, non è collegato alla rete ferroviaria.”
Facendo un rapido calcolo, se Lavi e Kanda fossero stati
a Parigi come Komui aveva detto, sarebbero arrivati a Millau nel tardo
pomeriggio.
Alle porte di Églantine in serata.
Allen ha davanti l’atlante geografico della madre di
Blanche, e nel silenzio segue le vie ferroviarie lì disegnate. Cerca di tenere
la mente occupata, per non pensare a Lenalee che se ne sta raggomitolata sul
letto, a pregare quel Dio che – Allen lo sa – ha sempre odiato.
Quando è salito al piano di sopra, l’ha sentita soltanto
mormorare “basta, basta, non ce la faccio più, Signore…” ed ha girato
subito i tacchi, scendendo nuovamente giù. Ha passato il pomeriggio a cercare
di far sorridere Blanche, cosa sicuramente più facile che far sorridere
Lenalee.
Blanche non è malata.
Forse stando con lei non rischia di ammalarsi pure lui –
rischia di farlo, anche solo guardando la cinese.
Ma Allen è forte. Allen deve andare avanti.
Quando Blanche è di buonumore, Allen con un sorriso le
chiede se è successo qualcosa di strano, prima che gli adulti cominciassero ad
ammalarsi. Blanche dice che François aveva catturato una lepre, il giorno
prima.
Ricavare informazioni utili dai bambini è terribilmente
difficile, dopotutto.
Allen lascia cadere lì argomento, e lascia anche la
locanda.
L’odore di fiori è inebriante come al solito, trasportato
dal dolce vento del sud. Il caldo, ora che il sole comincia ad abbassarsi
all’orizzonte, è un po’ più sopportabile. Ma la cappa d’umidità toglie il
respiro. Sbottonando un po’ di più il collo della camicia, Allen si perde nei
viottoli del villaggio.
Vorrebbe cercare indizi, spiegazioni, tracce di
innocence: ma non riesce a respirare bene, con tutti quei profumi e quel vento
umido, e finisce per distrarsi dai troppi colori così fuori luogo, in una città
triste come quella.
Il sole tramonta: Allen va alle porte del villaggio, e
attende.
Lavi e Kanda sono in ritardo, ma alla fine arrivano anche
loro. Bisticciando, come al solito.
Li vede da lontano, privi delle giacche dell’uniforme,
privi della rosa del Vaticano. Sudati, esasperati – Lavi già in vena di
sdrammatizzare la situazione. Kanda già in vena di essere di cattivo umore.
Una scena così familiare.
Li richiama a gran voce, sventolando la mano a mezz’aria.
Sollevano lo sguardo.
Lavi risponde con un richiamo altrettanto alto, e Kanda piega le labbra in un
gesto di stizza.
Una scena così familiare.
Allen non è mai stato così contento di rivederli.
Quella Lenalee, così regredita a quel bozzolo di
depressione che era stata da bambina, s’illumina appena quando Lavi e Kanda
entrano nella stanza. Le nuvole sulla sguardo adombrato si fanno appena da
parte, nel guardarli. Sembra quasi lo sguardo che dedica, di tanto in tanto, a
Komui.
Per un attimo il suo sguardo si incrocia con quello di Kanda.
Il volto del giapponese s’indurisce appena in una maschera di disappunto.
Quello della cinese si scioglie appena in una maschera di quieta disperazione,
che sa di supplica.
Kanda scosta lo sguardo, e Allen può solo domandarsi cosa
stia succedendo.
Lavi non ha risposte, ma parla lo stesso.
“Quindi tutti gli adulti del villaggio sono ridotti
così?” esordisce, lasciandosi cadere su un angolo del lettino vuoto, poggiato
contro il muro. Lenalee, seduta sul suo letto, abbassa lo sguardo e rimane in
silenzio. Kanda si poggia contro il muro, ben attento a non guardare la cinese.
Allen risponde.
“Tutti gli adulti. La più giovane al momento ha sedici
anni, o almeno così dicono i bambini,” sospira, incrociando le braccia al
petto. Non c’è aria.
“I sintomi sono graduali?” stranamente, è Kanda a porre
la domanda.
“Lenalee sembrava stare bene quando siamo arrivati. Un
po’ d’allergia, ma nulla di che,” si affretta a spiegare Allen, nella voce quel
pizzico di difensiva che riemerge ogni volta che parla con il giapponese. “Poi,
ha iniziato a fare discorsi strani ai bambini. Diceva di avere sonno.”
Deglutisce, mordicchiando il labbro. “Stamattina, era già così.”
“E non siete stati qui nemmeno tre giorni,” osserva
pensieroso Lavi.
Allen capisce che stare lì è un rischio. “Per questo,
dovremmo trovare l’innocence il prima possibile.”
“I finders?” domanda il rossino, dato che Kanda non
farebbe mai una domanda del genere.
“Nell’altra stanza. Non fanno che piangere e pregare.
Volete provare a parlarci?”
La voce di Allen sembra essere davvero urgente. E’ così
dedito, a cercare una soluzione il prima possibile. Prima che Lenalee peggiori.
Prima che Lenalee faccia cose stupide.
Kanda pensa che Lenalee di cose stupide ne ha già fatte,
e per questo l’espressione sul suo volto non fa che inasprirsi ulteriormente.
“Vorrei parlarci, sì,” sorride Lavi, quel sorriso fuori
luogo ma che rimane, tuttavia, luminoso come al solito. “A te cos’han detto,
ne, Allen?”
“Assolutamente nulla,” replica il ragazzo, sconsolato,
con un sospiro. Apre la porta, e quello sguardo così comprensivo e quel sorriso
disarmante, messo su per l’occasione, vengono rivolti a Lenalee.
Lenalee ricambia il tutto battendo ciglio.
“Prova a riposare, ne.”
L’unica risposta è il silenzio. Lenalee stringe le
labbra, e scosta nuovamente lo sguardo. E’ un piccolo spillo che s’insinua nel
cuore di Allen, ma Allen non lo dà a vedere. Allen va avanti, facendo cenno a
Lavi e Kanda di seguirlo. Lavi si rialza dal letto, con un piccolo salto,
seguendo a ruota il compagno; Kanda, dal canto suo, si stacca dal muro e si
avvia verso la porta.
Movimento distratto che assicura Mugen al cinto, ben
attento a non posare lo sguardo sulla figura della cinese.
“Aspetta,” dice lei, tuttavia. Con quella sua voce
spenta. Sembra la voce di un fantasma, che infesta il silenzio.
Controvoglia, Kanda aspetta. Perché è abituato ad
aspettare, quando lei glielo chiede.
E’ brutto vedere una donna forte ridursi così.
E’ desolante.
E’ patetico.
“Che vuoi?” domanda, brusco.
“Aspetta,” ripete lei. Ed è di nuovo quell’espressione
che sa di supplica.
L’espressione che aveva da piccola, quando si intrufolava
nella sua stanza, per sfuggire a Leverrier. Aspetta.
Le voci di Allen e Lavi si perdono nel corridoio, una
volta che i loro passi – frenati per aspettarlo – riprendono a
guadagnare terreno.
Aspetta.
Con uno sbuffo stizzoso, allora, Kanda prende la sedia e
si mette ad aspettare.
Lenalee intanto piange.
Una scena così familiare.
Note sul francese:
- gare = stazione
- dejà-vu = … necessita di traduzione? °_° o meglio, ce l’ha? °_°
A/N: sì l’ho ripresa. Dopo… uh [controlla] dieci
mesi di pausa >_<” Purtroppo, è stato un blocco dello scrittore
magistrale. Dato che la storia è tutta buttata giù sottoforma di appunti, mi
sembrava sprecato lasciarla lì a marcire. Pertanto, mi barcamenerà fra questa
qui e “And Death goes On”. Anche perché
ultimamente tutto il blocco è svanito nel nulla, e son piena di voglia di
scrivere. >_<” … da tener conto che era pronto,questo, da un paio di
settimane. Oggi l’ho ripreso in mano per dargli una lettura e scrivere la parte
iniziale e quella finale XD
E mi rendo conto che bene o male, Lenalee finisce sempre
per deprimersi. Stupida malattia è_é E’
colpa della Lena, giuro. Se non fosse stata un’aspirante suicida, da piccola…
°_°
Un grazie a Liy, Fofolina, Lalani e yuko_chan che han
commentato lo scorso capitolo nell’era preistorica <3