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Dunque, dunque, dunque.
Con le
introduzioni faccio davvero pena ma credo che qui sia d'obbligo.
Davanti
a cosa vi trovate? Semplice, una raccolta. Ah-ah.
Più
che altro, mentre venivo schiavizzata dalla mia migliore amica per
scrivere una fanfiction, m'è venuto il lampo di genio,
qualcosa per dare una spinta all'ispirazione. Ho chiesto alla bella
gente sul fandom di facebook di darmi una Ship/pg ed un particolare
(canzone, oggetto, periodo storico, laqualunque), per ogni proposta, io
proverò a scrivere un pezzo di questa raccolta.
Quindi,
bando alle ciance ed iniziamo.
Mi hanno
assegnato:
SHIP:
Het!Spaus; Antonio Fernandez-Carriedo, Roselind Edelstein.
Particolare:
una canzone, "Parla più piano", nella versione di Placido
Domingo.]
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Nel 23 ottobre 1530, Carlo V,
viene incoronato imperatore del Sacro Impero Romano.
«Non
dovete volermi bene per forza.»
Le
aveva detto quelle parole, un pomeriggio dopo averla accompagnata in
una delle loro silenziose passeggiate nei giardini. Austria aveva gli
occhi imperturbabili di una donna e l'alone austero che stonava quasi
con l'aspetto da ragazza che scavalcava da poco l'adolescenza. Non gli
aveva risposto, lui non aveva mai capito se lo ritenesse immeritevole
delle sue parole, dei suoi pensieri, persino del suo sguardo ma s'era
fatto bastare il dubbio e la possibilità di starle accanto,
seppure in silenzio (questo sì, ogni tanto risultava
particolarmente difficile).
L'aveva vista la prima volta, sull'altare eppure prima aveva provato a
scriverle, con parole dei trovatori. Uno scambio epistolare a dir poco
deludente: anche sulle pergamene, la donna era risultata un muro e lui
aveva pensato ingenuamente si trattasse di timidezza ma -per quanto gli
si rimproverasse di non saper leggere l'atmosfera- incontrati gli
occhi, dopo aver alzato il velo, gli era stato chiaro che Austria non
era timida: Austria era impietosa.
[Parla più piano e
nessuno sentirà
il nostro amore lo
viviamo io e te.
Nessuno sa la
verità
neppure il cielo che ci
guarda da lassù.]
S'era
impegnato a scanagliare oltre la coltre di ghiaccio che lei aveva
costruito intorno a sé, come fosse un artista, come avesse
un piccolo scalpello, in maniera quasi certosina, dava un colpetto ed
un po' di difese cadevano.
Difese? Era la parola giusta?
Roselind aveva bisogno di difese?
«Voi
avete mai amato qualcuno?»
«Sono arrivata illibata al matrimonio, se vi preme
saperlo.»
«Non intendevo dire questo, scusatemi. Vi ho
offesa?»
«No, affatto.»
Aveva
ripreso a suonare l'arpa e lui era rimasto di nuovo in silenzio ad
ascoltare la melodia, 'chè pur non avendo risposto alla sua
domanda a lui sembrò di capire ed ebbe una speranza: se lei
aveva amato una volta, poteva tornare a farlo.
«Non
ho mai pensato voi fosse solo un cavillo politico per arrivare ad una
maggiore potenza. E non ho intenzione di esporvi come un trofeo,
Roselind. Dovreste permettermi di dimostrarvelo.»
[Insieme
a te, io resterò, amore mio.
Sempre così.]
Capì
di dover conquistare le sue attenzioni, s'impegnò a parlarle
con parole della sua lingua, s'impegnò a farsi ascoltare con
la stessa melodia e ogni partenza, ogni lontananza, fu scandita da alte
missive, imparò la maestria della metrica, la
musicalità delle rime e la potenza reale delle
parole.
Ed ogni volta che tornava, lei gli concedeva una piccola dimostrazione:
ora uno sguardo, ora un lembo di pelle del polso, ora una parola. Gli
sguardi diventarono intrecci, la pelle carezze e le parole diventarono
discorsi. Laddove Antonio risultava fantasioso, astratto e sognatore,
Roselind preferiva la freddezza della praticità, della
realtà. Qualcosa, però continuava a cambiare:
sospirava ogni volta che lui apriva la bocca. Non sospiri d'amore, ma
sospiri teneri e snervati di chi conosceva quali voli pindarici
potevano uscire da quelle labbra e -a ben vedere- Spagna li preferiva
ai sospiri d'amore: erano la palese dimostrazione che Roselind l'aveva
ritenuto degno di conoscerlo e nel conoscerlo, non seppe mai se
volontariamente, o involontariamente, lei aveva iniziato a farsi
conoscere.
Tempi
di tumulto, portarono battaglie e nostalgie, lei gli concesse il
proprio fazzoletto da portare sul fronte e lui lo portava al naso ogni
volta che il marciume gli arrivava ai capelli, ogni volta che era
troppo distante, ogni volta che il sangue gli sporcava l'anima e gli
pareva che fosse un detergente perfetto. Assenza prolungata, nessuna
lettera e nessuna notizia: nessuna notizia che potesse o dovesse
arrivare ad una donna, lui sapeva -senza alcuna presunzione- lui
sentiva l'ansia annichilente dell'attesa, di lei che non lo vedeva
tornare e che non poteva sapere, non poteva immaginare che il
fazzoletto restava stretto tra le dita.
La immaginava guardare le grandi porte, la immaginava scivolare tra i
corridoi umidi ma non avrebbe mai immaginato di trovarla nelle sue
stanze, la notte del ritorno.
Non c'era stato bisogno di parole, di spiegazioni anche se lei aveva
provato a parlare. Lui l'aveva zittita passando un indice sulle labbra
sottili e l'aveva sentita tremare quando l'aveva baciata, senza
accorgersi che anche lui tremava.
[Parla
più piano
e
vieni più vicino a me.
Voglio sentire gli occhi miei
dentro di te.]
S'accorse,
lui s'accorse di averle lasciato un pezzo di anima. S'accorse che con
l'unione dei corpi, il proprio spirito aveva raggiunto le
più alte vette di appagamento e tenendola a sé,
nella mollezza del mattino, nel torpore seguente il piacere carnale,
s'accorse anche di quanto lei fosse alta, più alta di
qualunque madonna, più luminosa e irraggiungibile di
qualunque astro e quasi provò vergogna d'averla toccata,
timore d'averla sporcata, donna angelo più che creatura.
S'accorse che avrebbe potuto fare qualunque cosa solo per arrivare a
lei, che l'aveva già fatto e che avrebbe continuato pur
restando un gradino più in basso e più in ombra
di una tale presenza celeste.
S'accorse
troppo tardi di essere stato accecato.
S'accorse troppo tardi che troppa luce inebetisce i sensi.
Troppa
luce ma non abbastanza per colmare il buio che aveva dentro.
Quando il seme del dubbio, inizia a rosicare dall'interno,
c'è poco da fare: la vox
populi cozzava con l'immagine che Antonio aveva di
Roselind.
E preferì ancora stare in silenzio, ancora tacere e covare
all'interno il marcio, perché non doveva toccarla,
perché i pensieri solo avrebbero potuto offendere.
I pensieri, però, iniziarono ad annichilirlo, a snervarlo, a
tendere all'infinito i suoi nervi. La vox populi si
scagliava esattamente dove anche il suo esercito perdeva legioni.
Non ricordava bene se fu il fuoco che scoppiettava nel camino, se la
freddezza dei gesti di Austria nel voltare le pagine del suo libro. Nel
guardarla, iniziò a notare delle ombre che le danzavano sul
viso.
E provò a calmarsi, lui provò a calmarsi e a
tornare alla realtà solo che la realtà che lui
desiderava sembrava iniziare a schernirlo, due figure della stessa
donna lo portavano alla nevrosi e quando le prese il braccio per farla
alzare dalla poltrona, capì che aveva messo troppa irruenza
dal verso strozzato della donna.
Non riuscì, lui non riuscì ad allentare la presa,
la strinse maggiormente mentre s'abbassava a guardarla negli
occhi.
Aveva
avuto ragione, Austria
era imperturbabile.
«Voi
non sopportate più la mia vista. Vi annoio? Vi spavento in
questo momento? I vostri pensieri sono rivolti a qualcun
altro.»
E
lo sussurrò senza aggiungere altro, senza muoversi. Neanche
lei si mosse, non lamentò alcun fastidio al polso,
assottigliò lo sguardo e non rispose ma smise di essere
imperturbabile 'chè schiuse le labbra per prendere aria.
Spagna corrucciò le sopracciglia ed improvvisamente la luce
si fece più fioca, lei iniziava a perdete le ali:
impossibile, non era possibile. Doveva esserci qualche problema, lui
doveva avere qualche problema. Poggiò entrambe le mani ai
lati delle spalle dell'altra e si chinò ancora su di lei per
osservarne meglio il volto.
«Voi
non avete paura di me. Voi temete quello che potrei dire. Ho fatto
qualunque cosa per voi, v'ho amata come nessun'altro sarebbe capace,
v'ho stimata come persona. E voi... Non c'è bisogno
rispondiate.»
L'aveva
lasciata, perché il disgusto s'era unito ad in dolore
lancinante, il sogno s'era accartocciato e bruciava da solo, lo
specchio s'era rotto.
Non riuscì a guardarla, non più, la luce era di
fiamme cocenti ed ustionanti, le diede le spalle e quando la
sentì muoversi alzò una mano, tra le dita strette
a pugno, il fazzoletto immacolato.
[Nessuno
sa la verità
è un grande amore e mai più grande
esisterà.]
«Non
avvicinatevi. Eravate la mia Madonna, la mia rosa celeste ed ora non
riesco a vedere altro che una volgare prostituta degli
ottomani.»
Aprì
la mano, il pezzo di stoffa scivolò a terra.
«É
sporco.
Addio.»
Era un grande
amore e mai più grande esisterà.
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A belli,
semo arrivati fin qui, eh?
Complimenti!
Insomma. Grazie a chi ha letto, grazie a chi recensirà e
grazie pure a chi se ne passa per l'anticamera del cervello.
Grazie
alla mia migliore amica che m'ha messo sotto torchio (no in
realtà, te pozzino.).
E nulla,
belli. Ci si vede presto, si spera.
Nu
bacion!
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