Corrente
naturale
di ellephedre
Luglio 1998 - Effusioni
Di lunedì mattina, Makoto passò una mano
sul vetro offuscato del bagno, per guardare il proprio riflesso.
Abbozzò un sorriso, sollevò le sopracciglia, fece
un paio di smorfie carine. Soddisfatta, lanciò un bacio alla
propria immagine. Era uno di quei giorni in cui si trovava
più bella del solito. La sua pelle appariva più
luminosa, le sue labbra più piene e le sue ciglia
più lunghe. Probabilmente era merito della doccia.
Quale modo migliore di iniziare una calda giornata estiva, se non
rinfrescandosi da capo a piedi?
Ora, se voleva
mantenersi fresca, doveva scegliere bene cosa mettersi.
Era
un bel dilemma. Da
un po' non aveva tempo di fare acquisti. Era sempre così
difficile trovare capi che non si appiccicassero alla pelle con
l'arrivo dell'afa.
Seminuda, coi capelli ancora bagnati sulle spalle, si
inginocchiò sul pavimento, aprendo l'ultimo cassetto del suo
guardaroba. Era quello che controllava meno di frequente. Forse
lì dentro c'era qualcosa di utile.
Tirò fuori una magliettina sbiadita, un paio di
pantaloncini
jeans sdruciti e una marea di calze spaiate. In fondo al cassetto
recuperò un vestitino. Lo allargò tra le mani,
tirandolo
su.
Era proprio minuscolo. Quand'era l'ultima volta che lo aveva
messo?
Prima che le crescesse il seno, poco ma sicuro. L'abitino era bianco,
con due spalline molto sottili che sorreggevano due triangoli che
avrebbero dovuto coprirla sul petto.
Valeva la pena di fare un esperimento. Portò
l'indumento sopra la testa, calandolo sul corpo. Per farlo calzare
dovette fare un secondo tentativo, allungando le spalline che - ora
rammentava - fungevano come quelle di un reggiseno. Bei tempi quelli in
cui si sarebbe potuta permettere di non indossarne uno.
Andò allo specchio posizionato accanto
all'ingresso. Nel vedersi, spalancò la bocca. Ora
ricordava perché non aveva mai messo quel vestito! Era
delizioso, ma semi-trasparente. Il tessuto lasciava intravedere il
colore delle sue areole. Purtroppo era il minore dei problemi: i
triangoli di stoffa le coprivano appena metà seno,
lasciandole mezzo petto di fuori. Sembrava una specie di gravure model,
pronta per un servizio fotografico per soli uomini.
Udì un sibilo. Ahh, l'acqua nella teiera stava
bollendo!
La versò nella sua tazza da colazione preferita,
canticchiando mentre sceglieva la variante aromatica di té
da
gustare quella mattina.
Era bello avere una giornata libera, di tanto in tanto. Per la
pasticceria aveva assunto due collaboratrici, ma era sempre necessaria
la sua presenza negli orari di apertura. Inoltre aveva spesso
commissioni speciali per matrimoni o altre ricorrenze - faccende che
non poteva delegare. Forse doveva smettere di accettare nuovi ordini.
Il suo piccolo business era abbastanza cresciuto. Anche
assumendo una terza persona, sarebbe stato difficile stare dietro alla
crescente popolarità della sua pasticceria. Doveva puntare a
essere un servizio familiare, molto esclusivo. In fondo, aveva
giusto
un altro annetto pieno prima di dover dire addio a tutto quanto.
Scosse la testa, tornando al presente. Non aveva senso
focalizzarsi
su ciò che sarebbe stato. In quel momento aveva una
casa da pulire.
Si diresse al cesto dei panni, per scegliere i vestiti con cui
caricare la lavatrice.
Una gocciolina d'acqua le cadde dai capelli lungo la schiena,
ricordandole del vestito che indossava.
Certo che era proprio fresco. Non le arrivava neppure a
metà
coscia, lasciandole le gambe completamente libere. I triangoli di
tessuto le sostenevano il seno, a modo loro. Non dover portare
due strati di stoffa sul petto era una cosa nuova.
Per quel giorno il meteo prevedeva una massima di 34°.
Con
qualunque altro indumento era destinata a sudare, ma forse con
quell'abitino... Si decise. Sarebbe rimasta così, tanto
nessuno
poteva vederla.
Saltellò verso il bagno e recuperò la
spazzola,
rimirandosi allo specchio mentre pettinava i capelli bagnati.
Afferrando i lembi volanti della gonna, accennò due passi
graziosi di danza.
Sì, era proprio carina quel giorno. E aveva deciso
il suo prossimo
acquisto: avrebbe scandagliato i negozietti di Tokyo cercando quello
stesso tipo di tessuto leggero, in un'altra variante di colore.
Rosa, magari. Si sarebbe cucita un abito identico a quello, con le sue
attuali misure. Ne sarebbe venuto fuori qualcosa di delizioso e
abbastanza decente da essere indossato fuori casa.
Il silenzio del suo appartamento cominciò ad
annoiarla. Era
ora di mettere su un po' di musica! Non c'era niente di meglio di un
buon canale radio per conciliare le faccende domestiche.
Si mise all'opera.
Quel giorno Gen si sentiva fortunato. L'incontro con Shimazaki
presso il sito di nuova costruzione si era concluso prima delle nove di
mattina. Il committente non si era presentato a causa di un
imprevisto. Irritato, l'architetto Shimazaki aveva mandato tutti a casa
per mezza giornata.
Dirigendosi verso la propria moto, Gen tirò fuori
il
telefono. Non si trovava lontano dall'appartamento di Makoto, poteva
fare un
salto da lei. Erano tre giorni che i loro orari non coincidevano.
Chiuse il cellulare. Le avrebbe fatto una sorpresa. Lei
credeva che non si sarebbero visti fino a mercoledì.
Erano in una di quelle pause alle visite notturne su cui ogni
tanto
Makoto insisteva. 'Tua madre inizierà a chiedersi
perché
non ti trasferisci qui, visto che stai sempre da me.'
Lui non poteva darle torto. Non si sentiva ancora a suo agio
all'idea di lasciare la casa della sua famiglia. Ogni volta che stava
lì, Shori, e soprattutto Miki, lo travolgevano coi loro
racconti
e con richieste di consigli. Volevano la sua approvazione e attenzione.
Anche sua madre era serena e appagata quando lui era in casa. Tutti
desideravano ancora un po' di quell'unità familiare in cui
avevano vissuto per tanti anni, prima che suo padre se ne andasse. Ogni
cosa era cambiata da allora, ma Gen le avrebbe fatte cambiare ancora di
più avesse deciso di trasferirsi.
Con sua madre avevano affrontato il discorso, qualche
settimana prima.
'Puoi andare, se vuoi.'
'Io e Makoto non abbiamo ancora parlato di questo, mamma.' Era
la verità.
La perplessità di sua madre era stata evidente.
'Lei è
una ragazza e state insieme da un po'. Con tutto il tempo che passi a
casa sua, avrà iniziato a farsi delle idee.'
Gen aveva cercato di buttarla sul ridere. 'Mi stai cacciando?'
'Sto cercando di darti dei consigli da mamma. Mi sarebbe
piaciuto
che restassi sotto il mio tetto ancora per tanto tempo, ma sarebbe
stato possibile solo tu non avessi già trovato la
ragazza giusta. Lei vive e si mantiene da sola, è un'adulta.
Tu
passi un sacco di tempo a casa sua. Sto solo dicendo che è
normale che ci siano delle aspettative da parte sua. Non fare lo
sciocco se non vuoi perderla.'
Non si era aspettato di sentir dire cose simili a sua madre.
'Guarda che va tutto bene tra me e Makoto.'
'E spero che vada bene ancora a lungo. Anche tu sei maturo per
la
tua età, Gen, ma devo ancora incontrare un ragazzo di
ventitré anni che non si faccia venire i brividi all'idea di
impegnarsi seriamente con una donna. Ti sto avvertendo: non fare
sciocchezze. Anche se Makoto-san è arrivata presto nella tua
vita, sarà molto difficile incontrarne un'altra come lei.'
L'approvazione di sua madre per Makoto lo riempiva sempre di
soddisfazione, per cui si era concentrato su quella parte del discorso.
'Grazie per preoccuparti, mamma. Le dirò che l'apprezzi.'
'Lei lo sa già.'
Era vero anche quello. Makoto e sua madre andavano
straordinariamente d'accordo. Miki la adorava e Shori la trovava molto
simpatica. Era tutto... perfetto. O lo sarebbe stato, se lui e Makoto
avessero potuto fare piani che andassero oltre l'anno.
Gen non era così convinto che Makoto lo volesse
sotto il suo
tetto in pianta stabile. Lei lo desiderava, nel profondo, ma... Da
qualche tempo, lui aveva provato ad accennare al futuro. Puntualmente,
lei cambiava discorso. Gen pensava di sapere perché. Lui
non le aveva detto, 'Ti seguirò, ti
starò accanto
per l'eternità, mentre tu difendi e governi la Terra.' Aveva
semplicemente menzionato piani che prevedessero lui e lei, nelle loro
rispettive esistenze, per quel che ne sapevano adesso. Lui stava
facendo un apprendistato presso un architetto, il suo sogno di sempre.
Non era disposto a mettere in pausa la sua vita, firmando
come lei carta bianca. Non ne vedeva la necessità. Voleva
rimanere se stesso negli anni a venire, e continuare ad amare Makoto
mentre lei diventava ciò che sentiva di dover essere. Quando
avessero capito come sarebbe stata la nuova realtà di lei,
di
Giove - quella destinata a proseguire per mille anni
- avrebbero
deciso cosa fare della loro relazione.
Non era una questione di amore.
Se si fosse trattato solo di amore...
Lui non possedeva l'abnegazione totale di Yuichiro,
né era
come Alexander, che senza una sola preoccupazione per l'avvenire stava
costruendo persino una famiglia con Ami Mizuno.
Quel pensiero non lo atterriva. Figli, matrimonio,
convivenza... Fossero stati quelli il problema.
Voleva solo assicurarsi di non vivere il resto dei suoi anni
in una
gabbia. Voleva poter decidere che cosa essere, che cosa diventare.
Essere noto per sempre come 'il compagno di...' sarebbe stato
fastidioso, ma mai quanto l'essere incatenato a un ruolo delineato,
delimitato, in qualità consorte di una
personalità
politica e probabilmente militare come non se ne erano mai
viste
sulla Terra.
La sola idea di mettere in pericolo sua madre, Shori e
Miki... Non ci voleva nemmeno pensare, o la sua decisione
sarebbe stata devastante, ma chiara.
Le rimanenti conseguenze bastavano a coltivare i suoi dubbi.
Lui compativa
profondamente i miseri consorti dei comuni regnanti ancora esistenti
sul pianeta - persone senza voce e con un'agenda fitta di impegni di
rappresentanza su cui non avevano controllo. Manichini, per la maggior
parte. Usagi e Mamoru avrebbero
comandato sul nuovo regno terrestre, ma era facile immaginarsi almeno
mezzo secolo di tumulti che avrebbero impegnato a pieno titolo ogni
singola guerriera Sailor - loro e le loro famiglie.
Lui voleva plasmare il proprio futuro da solo. Non
sentiva di poter
resistere in una vita in cui fosse stato privato di quella scelta.
Non avrebbe dovuto nemmeno pensarci, dannazione. Le persone
comuni
non erano costrette a prendere simili decisioni. A Makoto chiedeva
solo un po' di... normalità.
Al momento lei voleva la stessa cosa,
perciò... il tempo avrebbe sistemato quella questione, no?
Con
lentezza e pazienza lui le avrebbe fatto capire di cosa aveva bisogno e
che in nessun modo questo significava che volesse rinunciare a lei.
Era rimasto seduto sul sellino della moto, in silenzio.
Strinse i manubri tra le mani, accedendo il motore.
Quando pensava al futuro spesso gli veniva mal di testa.
Si trovavano ancora nel presente. Tanto valeva viverlo appieno.
Partì.
Makoto occhieggiò la cesta di panni puliti. Doveva
stirare.
Il solo pensiero di essere sommersa dal vapore del ferro da
stiro
generò una gocciolina di sudore dietro il suo
orecchio. Andò al
rubinetto della cucina e si bagnò il collo con dell'acqua
fredda.
Non poteva rimandare quell'incombenza per tutta l'estate; i
vestiti non perdevano le pieghe da soli.
Coraggio, si disse. Avrebbe potenziato di una tacca il
ventilatore e
con un po' di televisione avrebbe superato anche quella sfida.
Andò all'armadio a muro accanto alla porta
d'ingresso. Dietro
le giacche e gli ombrelli aveva trovato un buco per l'asse da stiro. Lo
caricò tra le braccia e lo portò in mezzo alla
stanza,
aprendolo tra il clangore ferroso dei tubi di sostegno.
Suonò il citofono.
Chi poteva essere? Un venditore porta a porta, o forse un
vicino che aveva dimenticato le chiavi del portone.
Prese in mano il ricevitore.
«Sì?»
«Indovina chi è.»
Il cuore le balzò in gola.
«Gen!»
«Apri» rise lui.
Piena di gioia, Makoto gli obbedì immediatamente.
Si
voltò lesta per controllare lo stato della casa. Corse a
rimettere l'asse da stiro al proprio posto e mise via un paio di panni
che aveva lasciato distrattamente sul tavolo. Stava per preciparsi in
bagno a darsi una sistemata, ma sentì bussare alla porta -
due
tocchi allegri.
Ridendo, aprì l'anta con energia.
«Ciao!»
Sulla bocca di Gen rimase bloccata una parola. Lui
calò con gli occhi sul suo seno.
Makoto si ricordò di quel poco che la
copriva. Si schiaffò le braccia sul petto.
«Non guardare!»
«Ahh....» Gen entrò in casa,
chiudendo piano la
porta dietro di sé. Serrò le labbra spalancate.
«Hm.»
«È solo una cosa che ho messo per non
morire di caldo.»
«È così che ti vesti quando
non ci sono?»
Lei iniziò a ridere.
«Devo non esserci più spesso.»
Smettendo di fare la sciocca, Makoto abbassò le
braccia. Non
era niente che lui non avesse già visto. «Oggi sei
riuscito a liberarti?» Portò le mani intorno al
suo collo,
ma Gen continuò a non guardarla in viso, gli occhi chini.
«Hmm...» mugugnò.
Lo aveva anche reso incapace di parlare.
Rassegnata e divertita, si allontanò da lui,
dirigendosi
verso la cucina per sistemare gli ultimi piatti sparsi.
«È
un vestito di quando avevo tredici anni.»
Lo sentì soffocare un'imprecazione.
«Cosa?» Si voltò.
«Niente.»
Non gliela raccontava giusta. «Non sapevo
che venivi,
altrimenti avrei messo su qualcosa di normale. Così
almeno ti saresti ricordato di salutarmi.»
Gli diede la schiena e pochi attimi dopo sentì le
mani di lui sulla vita, come aveva voluto.
«Ciao.»
Col bacio sulla tempia Gen si fece perdonare tutto quanto.
Makoto si girò tra le sue braccia, accarezzandogli
le spalle. «Come mai non sei al lavoro?»
«Il cliente non si è presentato. Sono
libero fino a dopo pranzo.»
Era fantastico. «Mi mancavi.»
«Anche tu.»
Indugiarono in un bacio lento, profondo. Le mani di Gen
scesero sui
suoi fianchi. Makoto lo conosceva abbastanza da sapere che stava
trattenendo un tocco più audace, per il modo in cui sfregava
le
dita sul suo vestito. Lo aveva eccitato con due miseri scampoli di
stoffa.
Desiderosa di giocare, si separò da lui.
«Stavo per mettermi a stirare. Preferisci
uscire?»
Gli lesse in faccia un 'Non scherziamo', ma Gen fu
più diplomatico. «Rimaniamo qui.
Tranquilli.»
La radio era ancora accesa. Per l'ennesima volta in quelle
settimane partirono le note della sua canzone preferita.
«My heart will go on!»
Gen alzò gli occhi al cielo.
Smettendo per un istante di badargli, Makoto si
concentrò
sulla melodia iniziale, attendendo trepidante le prime parole. La voce
dell'interprete era dolcissima sulla frase d'esordio.
"Every night in my dreams, I see you, I feel you"
Lei capiva con tutta la sua anima la profondità di
quel
sentimento. Avere tanta nostalgia di una persona amata e ormai persa,
ritrovandola continuamente nei propri sogni... «Voglio andare
a
rivedere il film.»
Sarebbe stata la terza volta e Gen non nascose la smorfia di
dolore. «Non è fuori programmazione?»
«Lo riproporranno per due settimane al cinema di
Juuban. Non
metterti le mani nei capelli, non ti ci trascino di nuovo.»
Sorridendo per lo scampato pericolo, lui si
accomodò al tavolo. «Ci vai con le
ragazze?»
«Ci pensavamo da un po'. So che a te è
piaciuta la parte
dell'affondamento, ma la storia d'amore è la cosa
più
importante. Voglio piangere insieme alle mie amiche.»
«Masochiste.»
«Ti sei commosso anche tu!»
«Moriva tanta gente innocente. La mamma coi bambini,
quei poveri musicisti...»
Makoto si lasciò sfuggire una risata. Nemmeno
cambiando
discorso Gen riusciva a smettere di lanciare occhiate alla
sua scollatura.
Seduta dall'altra parte del tavolo rispetto a lui, si
sollevò sulle mani, mettendo in risalto i seni uniti.
«Mi
passi quella rivista dietro di te?»
Lui impiegò due secondi a connettere, poi
tastò con la mano dietro la propria schiena, senza voltarsi.
«Che esagerato!» scoppiò a
ridere a lei.
Lui non finse di non capire. Sorrise impenitente.
«Quei bottoncini stanno per scoppiare.»
Makoto abbassò lo sguardo. Oh, era vero: due dei
bottoncini
bianchi all'altezza dello sterno erano usciti dalle asole.
Provò a rimetterli al loro
posto, ma si sentì stringere troppo il petto e
lasciò perdere.
Gen stava praticamente sbavando. «È una
specie di sogno che si avvera.»
Senza capire, lei prese il telecomando dello stereo e spense
la
radio. «Mi sono fatta vedere in capi più
sexy.»
«Sì, ma... questo dovrebbe essere un
vestito normale.
Con la taglia sbagliata e il modo in cui incastona i tuoi
seni,
stringendoti il corpo...» Emise un soffio.
«È
così innocente da essere quasi... pornografico.»
«Cosa?»
Udendo il suo tono, lui strinse i denti. «In senso
buono.»
«Esiste un senso buono?»
Gen deglutì. «Nel senso che, visivamente,
mi ecciti da impazzire.»
Nei momenti più disperati lui se ne usciva con
mosse da campione.
Respirando con lentezza, per farsi ammirare, lei
accarezzò
il tavolo con un dito. «Allora è un bene che
abbiamo tutta
la mattina a disposizione.»
Gen iniziò ad alzarsi.
«Ah-ha. Chi ha detto che puoi muoverti?»
Alzando un sopracciglio, lui si immobilizzò.
«Non mi pare giusto che tu sia l'unico a goderti
questi piaceri... visivi. Ho i miei diritti.»
Gen sollevò gli angoli delle labbra.
«Cosa posso fare per te?»
Makoto lo osservò sul torso, la camicia a maniche
corte
aperta sul collo fino alla linea dei pettorali. Per lavoro lui era
stato costretto a indossare pantaloni lunghi. «Avrai caldo
con
tutta quella roba addosso.» Scivolò all'indietro
sulle ginocchia,
senza alzarsi dal pavimento. Picchiettò il bordo del letto.
«Vieni a metterti comodo.»
Lui si mosse con calma deliberata, il respiro carico, quasi
affannoso. La ragione era evidente nel rigonfiamento dei suoi pantaloni.
Era potente essere capace di ridurlo in quello stato. Makoto
sentiva
forte, in una maniera deliziosamente femminile, quando era in grado di
farlo muovere ai propri comandi con la sola promessa di una carezza.
Sedendosi sul letto, lui si appoggiò all'indietro
sulle mani, rabbrividendo quando lei gli accarezzò un
ginocchio.
Makoto si sistemò tra le sue gambe.
«Povero tesoro.
Costretto a stare così coperto.» Si
sollevò
leggermente, allungando le mani per sciogliergli i bottoni
della camicia. A
ogni asola liberata, sfiorò la sua pelle col dorso delle
unghie.
Gen era immobile, teso.
Makoto appoggiò un bacio sul suo sterno,
sfiorandogli il bacino rigido con lo stomaco.
Lui inspirò veloce.
«Fosse per me» sussurrò lei,
«dovresti
andare in giro sempre a torso nudo.» Sotto il venticello del
ventilatore, senza fretta e con un poco di crudeltà,
indugiò con le labbra a pochi centimetri dai suoi
addominali,
aspettando di sfilare il bottone dal proprio alloggio prima di
abbassarsi a
baciare di nuovo. Gen ritrasse lo stomaco involontariamente,
rabbrividendo.
«Mako...»
Il sospiro spezzato la scaldò. A mano aperta, lo
percorse dal collo fino all'addome - una carezza unica con cui
indugiò su ogni rilievo dei suoi muscoli.
Stuzzicò il
bordo dei suoi pantaloni e le palpebre di lui tremarono. Con
gusto, per far crescere l'attesa, lei appoggiò la bocca
sull'ultimo lembo di pelle scoperta, tre volte. Si godette il gemito
sordo e salì di nuovo con le mani, per stuzzicargli i
capezzoli
piatti. Se solo fossero stati sensibili come i suoi... Sollevandosi, li
baciò ugualmente, con ardore.
Alzò la testa per guardare il volto di Gen.
Seguì i suoi occhi mentre tornava a muoversi, leggendovi
dentro.
«Avrai caldo anche qui.» Gli
sfiorò la patta dei
pantaloni con una mano, facendogli stringere i denti. Smettendo di
torturarlo, sciolse a memoria la cintura di cuoio, appoggiando i gomiti
sulle sue ginocchia. Gen era talmente eccitato che sulle sue guance era
comparso un velo di colore, adorabile in lui.
Makoto percorse i suoi fianchi sotto l'orlo dei pantaloni. Non
furono necessarie parole: Gen sollevò il sedere,
permettendole
di far scivolare l'indumento oltre i suoi glutei, lungo le cosce
ruvide. Lei proseguì fino ai polpacci, poi con una carezza
sulla pianta di un piede nudo, gli fece capire che doveva alzare le
gambe. Terminò di spogliarlo delicatamente dei pantaloni,
come
fosse al suo servizio. Li piegò con cura, godendosi il
ruolo. Si stava comportando... da ancella.
Appoggiò i pantaloni sul tavolo e tornò
a concentrarsi su Gen, posando le mani sulle sue
ginocchia. «Mi vuoi senza slip?»
Mangiandosi l'aria, lui deglutì.
«Sì.»
Maliziosamente, lei sollevò la gonna solo sui
fianchi, per non permettergli di vedere. Fece scendere il pezzo di
cotone sottile lungo le gambe, muovendosi con grazia, fino a liberarsi
completamente. Ansiosa, tornò da lui. «Sai...
Vorrei essere la
tua più sfrenata fantasia.»
Gen agitava il petto nello sforzo di respirare. «Lo
sei già.»
Audace, lei infilò una mano nell'apertura dei suoi
boxer,
accarezzandolo. Lui si morse un labbro, senza mai chiudere gli occhi.
Per
il suo piacere la vista era molto importante.
«Potrei tirarlo fuori, e baciarne la
punta.»
Per Gen l'ossigeno stava diventando un bene sopravvalutato.
«Ma preferisco avere tutto» concluse
Makoto, insinuando
una mano nei suoi boxer all'altezza del sedere, per tirare via
quell'ultima barriera.
Lui la aiutò al meglio delle proprie
possibilità, anche col cervello mezzo
fritto. Quando fu finalmente nudo, invece di abbassare il viso
sul suo
membro, Makoto si spinse in avanti col corpo, creando uno spazio
per la sua erezione esattamente tra i suoi seni gonfi.
Per un momento lui vide bianco, per il sangue che gli era
esploso in testa.
Makoto gli lanciò un sorriso - tremendamente dolce,
e per
questo così sensuale. «Le tue parti preferite,
insieme.»
Lui riuscì ad articolare una frase.
«Manca la tua bocca.»
Dandogli ragione, lei chinò la testa, avvolgendolo
con le labbra.
Gen sentì di essere morto e andato nel Nirvana.
Gemette,
trattenendosi dall'afferrarle la nuca, andando invece a stringere le
lenzuola tra le dita.
Makoto gli fece sentire il bollore umido e ruvido della
propria
lingua, poi spostò le mani, andando a raccogliere i seni
così che sembrassero più pieni attorno alla sua
asta.
Lui picchiò il materasso col pugno.
Lei si lasciò sfuggire un rapido sorriso, senza
smettere di rendere omaggio alla sua erezione.
Lui stava per esplodere. E non voleva, aveva bisogno di
vederla continuare, di sentirla
continuare.
Conoscendolo quasi meglio di se stesso, Makoto lo
massaggiò
sulla base, stringendo, per mettere un freno alla sua
eccitazione.
«Sei... divina.»
«Di più.» Lei si
adoperò a dimostrarlo,
donandogli con la bocca piaceri che lui fu sicuro di non avere mai
provato.
Per poco non arrivò al culmine quando un capezzolo
roseo le
sfuggì dal vestito, strofinandosi contro il suo
bassoventre.
Makoto lo frenò di nuovo. «Scelgo io
quando. Tu goditela.»
Gen lo fece senza alcuna riserva, infilandole le dita tra i
capelli
per farle capire quanto gli piacesse una suzione intensa,
regolare. Si ridusse ad ansimare come un animale.
Makoto gli strappò il culmine con un grido. Col
bacino teso Gen si morse le labbra fino a quasi tirare via
sangue.
Lei non si perse neppure una goccia del suo orgasmo.
Incurante della dignità, lui si
abbandonò sul letto,
occhi chiusi e braccia distese. Aveva visitato l'aldilà di
ogni
religione esistente. Era in pace con l'universo.
Sentì che la pressione sul letto variava. Makoto si
stava
sistemando accanto a lui, girando intorno... alla sua testa?
Aprì gli occhi e si ritrovò a guardare
il viso sereno di
lei, capovolto. Col corpo, rannicchiata, Makoto aveva creato una specie
di guscio sopra di lui. Ora lo contemplava.
I suoi occhi erano del colore dell'erba, il verde intenso che
i fili assumevano dopo essere stati bagnati dalla pioggia. Gen
trovò la forza di sollevare un braccio, per sfiorarla sul
mento. Lei aveva una pelle così morbida... Makoto
abbassò le palpebre, sorrise. Sulle sue guance crebbe
un'ombra
di gioia, una sfumatura tenera di rosa.
Come era riuscito ad avere qualcuno di così
perfettamente puro nella sua vita?
Non gli piaceva sentirsi romantico perché gli
faceva male.
Era un dolore fisico per lui rendersi conto di quanto fosse forte
quello che
provava per lei, consapevole che un giorno poteva non averla
più accanto. Gli veniva voglia di urlare, distruggere
qualcosa,
disperarsi. Ma non era quel tipo di persona. Era calmo, con la testa
sulle spalle.
E pieno di speranza.
Trascinò una mano di Makoto sotto la bocca, per
baciarla.
Gratitudine, amore, reverenza. Erano buoni sentimenti da
provare.
Lei gli passò le dita sulla fronte, quasi facendolo
addormentare.
Era così felice. Senza fare troppo rumore, Makoto
sgattaiolò in bagno. Stare con Gen era indescrivibile
perché un
minuto lei poteva sentirsi una sirena ammaliatrice, priva di
inibizioni, e
quello dopo una ragazzina alla prima cotta, emozionata all'idea di
ricevere un bacio.
Sotto il getto del rubinetto, sciacquò bene la
bocca. Gen
aveva ancora la fissa di esitare a baciarla troppo profondamente appena
dopo che si era liberato tra le sue labbra. Stranamente, non concepiva
che
lei potesse provare lo stesso fastidio a parti invertite. Ovviamente
per lei non c'erano problemi. Si trattava in entrambi i casi di
semplici fluidi corporei. Grazie alla loro buona alimentazione tutti e
due avevano un sapore mite, lievemente salato e affatto
spiacevole.
Quando gli parlava così, lui scoppiava a ridere.
Quel giorno lo aveva rivoltato come un calzino. Se
quell'esperienza
non finiva nella personale top ten di lui, lei non era più
degna
di chiamarsi Makoto Kino.
Tornò in camera, a passi felpati.
Senza muoversi, ancora voltato, Gen parlò.
«Dov'eri andata?»
«Sei resuscitato?»
«Ce l'ho fatta.»
Le scappò una risata. Fece il giro del letto, per
potervi
salire guardandolo in faccia. Come se non lo avesse appena stremato,
lui si concentrò di nuovo sul suo petto.
«Mi sa che due bottoni si sono
sacrificati.»
«Come? Oh, no!» Li cercò con lo
sguardo sul pavimento.
Gen le prese una mano. «Li ritroverai.»
«Speriamo. Comunque, ne è valsa la
pena.»
Lui chiuse gli occhi, rivivendo l'esperienza. «Come
ti è venuto in mente?»
«Ho i miei segreti.»
«Non vuoi dirmeli?»
Preferiva di no. «Così rimarrai sorpreso
la prossima volta che ne sfodero uno nuovo.»
Gen annuì. «Ragionevole.» La
tirò piano verso di sè. «Ma ora tocca a
me.»
Makoto abbassò gli occhi sul suo bacino, dove il
suo organo
sessuale giaceva sfinito. «Non per deluderti, ma...»
Lui liberò una risata alta. «Non ho solo
quello, sai?»
Ah, no?
«Mi pareva di ricordare che ti fossi spogliata di un
paio di slip. Non vorrei che fosse stato per nulla.»
«Hm» assentì lei, incuriosita e
già un
poco accaldata. La sua pelle stava ancora traspirando per lo sforzo di
qualche minuto addietro, ma non le importava.
Con le mani alzate, Gen le indicò di venire avanti
- un gesto
veloce, provocatorio nella sua arroganza. Gli calzava a pennello in
quel
momento.
Sostenendosi con le braccia, Makoto gli fu sopra. «E
ora?»
Lui scosse la testa. «Vieni più
avanti.»
Muovendo le gambe ai lati del suo torso, lei salì
fino all'altezza del suo petto. «Così?»
«Più avanti ancora.»
Makoto comprese e avvampò, già
pregustando le sensazioni. «Sei sicuro?» Anche
mentre lo chiedeva stava
muovendo le gambe, per posizionare le ginocchia oltre le spalle di lui.
«Non ti... soffoco?»
«Sono capace di spostarti.» E per
dimostrarglielo, con
le mani lui la posizionò, a gambe aperte, direttamente sopra
il
suo viso, quasi facendola cadere in avanti.
Makoto provò un minimo di vergogna. Per via della
gonna non riusciva più a vederlo in faccia. «Forse
dovrei andare a lavarmi.»
«Vediamo.»
Una leccata lungo tutta la sua carne le fece spalancare la
bocca.
«Sei perfetta.»
Lei scoprì di non avere niente a cui aggrapparsi.
«Gen... spostiamoci, così non...» Fu
costretta a
stringere i pugni, tenendosi sollevata a mezz'aria sulle cosce mentre
lui la stimolava.
Sarebbe scivolata in avanti, o indietro, senza alcuna
possibilità di... Raddrizzò la schiena di colpo,
stringendo le mani sui capelli di lui.
Come poteva dirglielo? Come poteva confessargli che, a volte,
la
sensazione della sua lingua le provocava un piacere più
acuto,
più intenso, di qualsiasi altra cosa, di qualunque altro
momento...
Perse di nuovo la facoltà di pensare.
Quando lui iniziò a frugare più in
basso, lontano dal
suo punto più sensibile, Makoto capì,
ricordò.
Quell'atto non era esattamente migliore, bensì
diverso dagli altri. Non c'era niente come quella stimolazione diretta
che potesse
portarla al culmine tanto in fretta, ma se solo pensava a quando si
univano, e a quando lo sentiva entrare a fondo dentro di
sé...
Ondeggiò contro la sua faccia, con attenzione quasi dolorosa
per
il bisogno di muoversi.
Gen le strinse il sedere, affondando le dita nei suoi glutei.
«Non pensare. Goditela.»
Makoto mugolò, sentendo che le labbra di lui si
chiudevano
attorno all'apice delle sue pieghe, succhiando via l'aria.
Cercò
di calmarsi, per cavalcare al meglio l'ondata dei sussulti crescenti.
Gen
rallentò a sufficienza da permetterglielo, poi, senza
pietà,
la costrinse a vivere di piccoli spasmi deliziosi, accendendoli e
sedandoli con baci e brevi leccate.
Lei iniziò a tirargli i capelli. Per smettere
affondò le dita nella propria chioma, afferrando a piene
mani
delle ciocche. Il ventilatore le fece aria sul petto, dove il vestito
si era ormai disfatto.
«Sì!» mugolò.
Gen la premiò con una passata di lingua insistente,
che le causò un altro sussulto.
Aveva una voglia pazza di mettersi a gridare.
«Ti prego!»
Erano sfoghi, lamenti, ma si rivelarono la chiave per
incitarlo. Lui le regalò una serie continua di baci e
assaggi
celestiali, divini. Era lui il dio, lei al confronto...
Senza chiudere per un attimo la bocca, tenendosi muta a
fatica, Makoto si
mantenne in un equilibrio infinito sull'orlo dell'orgasmo. Quando perse
il controllo, il gemito le uscì come un pianto.
Liberata, si lasciò travolgere dall'assolutezza del
piacere fisico,
sentendo che il piacere raggiungeva ogni fibra del suo corpo.
Alla fine si accorse di aver smesso di sostenere da
sola il proprio peso. Gen la stava aiutando con le mani.
Si sollevò da lui, ricadendo sul letto con la
schiena. «Wow.»
Gen le fu sopra, a baciarla sullo stomaco, sullo sterno,
sollevandole la gonna fino alla vita. «Non puoi essere
stanca.»
«Invece sì.» Nella pace dei
sensi, non
trovò la forza di aprire gli occhi.
«Perché?»
Comprese la ragione senza bisogno di una risposta a voce - una
ragione dura, insistente e di nuovo vitale.
Gen la stava abbracciando, mordendola piano sui capezzoli.
Lei
lo tenne per le spalle. «Non penso di poter...» Ma
le sue parole si
persero in un ansito quando lui si insinuò nel suo corpo.
L'unione
diviene magia, pura perfezione, quando furono intrecciati da capo a
piedi, in grado di baciarsi mentre ondeggiavano, dondolavano,
spingevano.
Quello
era il meglio. Era il meglio ogni volta che ricominciavano, tutte le
volte che lei poteva stringerlo tra le braccia.
Si
abbandonò all'esperienza, all'amore. Con dita e mani, bocca
e gambe,
occhi, ventre, gli offrì ogni senso che aveva, per
percepirlo in tutto
ciò che ora - odore, voce, peso, la consistenza stupenda del
suo corpo
e la ruvidezza della sua guancia contro il viso. E il calore,
intenso
dentro di lei e tra i loro bacini madidi di sudore.
Appagati, si separarono appena il ventilatore tornò
a direzionarsi verso di loro.
Mugugnarono insieme, di godimento. Con quel poco di forza che
avevano, risero.
Rivolti al soffitto, rimasero ad attendere il nuovo getto
d'aria.
Non c'era momento in cui Makoto si sentisse più
romantica. «Un giorno balliamo quella canzone?»
«Hm?»
«Quella di Titanic.»
Non sentendo risposta, strinse gli occhi per l'imbarazzo,
arrossendo.
Udì la risata bassa di Gen.
«Non prendermi in giro!»
«Non ho detto di no!»
Prendendo coraggio, lei rotolò di lato, fino ad
appoggiarsi su un gomito. «Non hai detto di
sì.»
«Mi fa ridere che ti vergogni.»
«Perché devo essere io a chiederti queste
cose.»
Lui sollevò una mano, toccandole il viso.
«Sii paziente con me. Alla fine dirò sempre
sì.»
«Ad un ballo in pubblico?»
Gen provò con tutte le sue forze a non deformare il
viso in una smorfia.
Makoto crollò a ridere contro la sua spalla.
Lo sentì tremare mentre lui la imitava.
Appoggiò
un bacio contro la sua clavicola. «Scusa per queste
sciocchezze. A
volte con te vorrei fare qualcosa di così... Non lo so.
Qualcosa che
fosse in grado di far uscire questa forza che mi preme sul petto.
Qualcosa che fosse capace di...»
«Tornare a farti respirare?»
Si
sollevò. «Sì. Qualcosa che non sia
sesso, perché fare l'amore non
basta.» Si chinò, le mani a racchiudere il suo
viso. Lo baciò sulla
fronte. «Anche se non voglio smettere di provarci.»
«Vieni qui.» Gen la strinse a
sé con le braccia, incurante del
caldo. «Restiamo così»
mormorò. «Un giorno basterà. E se non
sarà mai sufficiente...»
«Possiamo rimanere abbracciati per sempre.»
«Hm-hm» annuì lui.
E Makoto si sentì completa in ogni angolo della sua
anima.
Luglio 1998 - Effusioni -
FINE
NdA:
I'm back! O meglio,
Makoto e Gen sono tornati, alla massima potenza. Come spiegavo nel
gruppo Facebook, ho avuto l'idea di saltare un anno della loro vita
perché era tanto che volevo scrivere questa lemon su loro
due - è
partito tutto dall'idea di quel vestito di lei. Rileggendo la raccolta
fino al capitolo ambientato nell'agosto del 1997, mi pareva che non
fosse necessaria, per il ritmo dell'intera storia, un'altra lemon, ma
ovviamente questo capitolo non poteva che essere ambientato in estate.
Come fare dunque? Ho saltato un anno :P Così
potrò tornare più in là a
raccontare cos'è successo tra la seconda metà del
1997 e il 1998, e ho
anche avuto a che fare con una Makoto e un Gen in un diverso punto
della loro relazione. Si comprendono meglio, penso siano più
in
sintonia. Al tempo stesso iniziano a farsi più concreti i
problemi che
il futuro sta per creare ad entrambi. Ed è su questo tema
che si
svilupperà la fine del 1998 e l'inizio del 1999 in questa
raccolta.
Continuate
a seguirmi se volete sapere e soprattutto fatemi sapere cosa ne pensate
di questo capitolo :) E dell'amore di Makoto per Titanic :D
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...