Guarda che puoi anche morire

di Jericho XVIII
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Non so cosa sia, né da dove venga. Era semplicemente dentro di me.


Questo palazzo è sempre stato troppo grande, per noi.
«Padre»
La mia voce è un sussurro che si perde nelle volte decorate della sala. Ma lui l'ha sentita.
I cristalli delle finestre filtrano la luce del sole.
A riempire il silenzio rimangono solo i suoi raggi.
Davanti a me c'è un trono alto e sottile come l'uomo che vi è seduto. Quell'uomo è mio padre.
«Figlio mio.»
Si sono dimenticati tutti della sua età.
«Partirete oggi, Padre?»
C'è un'altra battaglia. L'ennesimo campo in cui sboccierà solo la morte.
«Partirò al tramonto.» La sua voce è ferma. Il mio cuore trema.
Inizio a parlare. Parlo delle guerre, dei morti, delle famiglie distrutte. Dell'inutilità di sprecare la sua anziana vita. Di chi ha bisogno di lui. Invoco in nome di mia madre e quello delle mie sorelle. Racconto del sangue e delle croci che non sono mai sufficienti ad onorare il numero di coloro che ci hanno abbandonato. Parlo del denaro che risparmiamo. Gli ripeto i suoi stessi ricordi.
Lui ha lo sguardo assente. Mi fissa negli occhi, ma non guarda me.
«Padre»
Chiamo il suo nome per l'ultima volta.
«Dimmi, figlio mio.»
L'ira conquista il mio cuore, definitivamente.
«Padre, spero voi non abbiate dimenticato che potete morire»
Non c'è più speranza nei miei occhi.
Ma la lacrima che scende dai suoi mi gela l'animo. Alza il volto e finalmente incontra i miei occhi del colore del cielo.
«E tu, ricordi ancora che puoi vivere?»










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