Camici bianchi attorno a me, in un ambiente
completamente bianco, dalle mura bianche, persino la luce era
bianca.
Perché?
Mi continuavano a
chiedere.
Non lo so. Rispondevo.
Non c'era una valida
motivazione, o forse sì; quella la sapevo solo io. Semplicemente mi piaceva
lo stridere della mia pelle.
Mi
svegliai di soprassalto, giusto in tempo per far sì che le
mie orecchie venissero investite dal trillo noioso della sveglia.
Allungai una mano sopra di me per spegnerla e salvare così i
miei lobi. Una volta fatto mi passai l'altra sulla fronte.
Era l'inizio della mia prima, vera, giornata in quella nuova
città, in un nuovo liceo dove avrei dovuto ricominciare da
capo con lezioni, compagni, nuovi amici -si sperava- e nuovi
professori. Il solo pensiero mi faceva venire voglia di nascondermi di
nuovo sotto le coperte.
Ma non potevo farlo perciò gettai a terra i piedi, alzandomi
con più impeto di quanto avrei dovuto e trascinandomi di
malavoglia in bagno per una veloce doccia mattutina. Avevo la fortuna
di avere un bagno personale in camera, già.
Davanti allo specchio mi osservai con attenzione: sicuramente non avevo
avuto una delle mie nottate migliori a giudicare dalle borse sotto agli
occhi; poco male: ci avrebbe pensato un velo di correttore e di
fondotinta per mascherarle.
Mi tolsi in fretta il pigiama, lasciandolo scivolare a terra, per
entrare nel piano doccia. Il contatto con l'acqua calda mi
rilassò talmente tanto al punto da desiderare di poter
tornare a letto.
Doveri: vivere una vita normale, provare almeno.
Questo era il patto, non potevo certo venirne a meno senza ancora aver
iniziato il percorso.
Davanti allo specchio osservai il mio viso. Era spento, come se non ci
fosse vita. Sospirai distogliendo gli occhi dalla mia figura.
La scelta dei vestiti da indossare si rivelò più
ardua di quanto mi sarei aspettata. La prima impressione era quella che
contava, no? Tuttavia non sapevo davvero se optare per un abbigliamento
formale o uno più sobrio e comodo. Alla fine scelsi una
camicia e una gonna tra gli abiti che mi ero portata dietro con me.
Certo, mia zia mi aveva fatto trovare un armadio pieno di maglie,
t-shirt, jeans e vestitini all'ultimo grido, ma ancora non avevo avuto
la voglia di mettermi a guardarli con attenzione.
Uscii dalla mia camera giusto in tempo per vederla uscire dal bagno
comune, fasciata in un elegante completo nero, i capelli raccolti in
una coda di cavallo e un vivace rossetto sulle labbra.
Appena mi vide curvò le labbra in un sorriso, mostrando
denti bianchi e perfetti.
Lei e mia madre si portavano, sì, solo cinque anni di
differenza ma erano completamente l'opposto.
"Selena, buongiorno." Mi salutò cordiale. "Dormito bene?"
Tentai di imitarla, per quanto possibile.
"Mh, sì bene... grazie." Mentii.
Seguirono molte domande sulla città, su come la trovavo, sul
quartiere dove ora abitavo e cose così.
Sì, no, boh, forse... come potevo giudicare una
città che ancora non conoscevo?
La seguii in cucina dove il caffè già traboccava
dalla caffettiera; aprendo un mobile ne tirò fuori due
tazzine e dopo averle riempite me ne porse una. Lo bevvi in un sorso,
senza metterci dello zucchero dentro. Non mi erano mai piaciute le cose
zuccherate.
Lei mi guardò con occhio vigile, mentre beveva il suo, e una
volta finito prese entrambe le nostre tazzine per posarle dentro il
lavello.
"Ieri sera ho sentito tua madre." Disse mentre faceva scorrere l'acqua.
Avvertii le mie spalle irrigidirsi.
"E..?" Incitai.
"Vorrebbe che la chiamassi." Sospirò. "Quantomeno vorrebbe
sentire la tua voce." E io con lei.
"Lo farò, a tempo debito lo farò." Sottolineai
per poi ritornare nella mia camera da letto; era quasi giunto il
momento di uscire e iniziare la giornata. Afferrai la mia polsiera,
abbandonata la notte prima sul comodino accanto al letto; era una di
quelle comuni, comprata in un semplice negozio di articoli sportivi, e
la indossai al mio polso sinistro. Mi era sempre piaciuto l'effetto che
mi dava, però mi chiedevo anche se non fosse strano vedere
una ragazza indossarne una. Scrollai le spalle: la giacchetta sopra la
camicia l'avrebbe comunque coperta.
Da una sedia recuperai lo zaino preparato la sera prima, poi, spostando
gli occhi sulla finestra, osservai il palazzo di fronte. Chiunque
abitasse in quell'appartamento ora aveva le serrande completamente
abbassate.
Lasciai, di nuovo, la mia stanza pronta ad uscire di casa.
Mia zia aveva insistito ad accompagnarmi a scuola almeno oggi, ma io mi
ero rifiutata categoricamente; non volevo certo creare disagi
più di quanto ne avevo già creati.
Sarei andata a scuola da sola, la sera prima avevo consultato su Google
Maps tutti i collegamenti pubblici messi a disposizione. In
più, confidavo nel mio orientamento infallibile per non
perdermi.
E difatti, quello, non si sbagliò nemmeno stavolta.
Certo, trasferirmi a metà anno già iniziato non
era stata una grande furbata ma, speravo, che le cose sarebbero andate
bene, quantomeno la mia integrazione in classe.
Tuttavia, nonostante il mio orientamento indiscutibile, dovetti
chiedere indicazioni più di una volta per raggiungere la mia
classe della prima ora di lezione.
Ovviamente, per non ricominciare da capo, avevo scelto lo stesso
indirizzo liceale della mia vecchia scuola, ma non potevo ancora sapere
se i programmi combaciavano o se il mio vecchio programma di studio era
più indietro o più avanti di quello attuale.
La prima ora era quella di scienze e appena entrai in classe attirai su
di me gli sguardi di tutti, come era da aspettarsi.
Feci un lieve cenno col capo, imbarazzata, per poi guardare un
eventuale banco libero. Se fosse stato possibile ne avrei preferito uno
in fondo e dal lato delle finestre.
Non feci nemmeno in tempo a fare un passo che una voce femminile mi
colse di sprovvista.
"Ciao! Tu devi essere quella nuova, Selena, vero?" Mi sorrise
entusiasta una ragazza rossiccia e dalla pelle lentigginosa venendo
dalla mia parte. "I professori mi hanno avvertita di un trasferimento
in questi giorni. Io sono Eris, la rappresentante di classe." E mi
porse una mano che esitai a stringere. Gruppi di ragazze, poco
più in là, ridacchiavano tra loro.
La squadrai da cima a fondo: Eris era alta quanto me e aveva dei lunghi
capelli mossi, raccolti in una coda bassa. Portava occhiali spessi e un
abbigliamento piuttosto nerd. Se davvero era la rappresentante di
classe aveva quell'aspetto da geek che sembrava renderla perfetta al
ruolo.
"Mh, dove posso sedermi?" Domandai, dimenticandomi di presentarmi.
Eris mi illustrò due posti lasciati vuoti. Uno era in
seconda fila, in posizione centrale, comodo per guardare la lavagna ma
troppo al centro dell'attenzione. Il secondo era in ultima fila, sempre
al centro, ma almeno non avrei avuto nessuno dietro.
Inutile dire quale fu la mia scelta.
Tuttavia, avvicinandomi al mio banco, sbiancai di colpo notando chi era
il mio vicino.
"Ciao." Mi salutò atono, svogliato quanto la mia voglia di
essermi alzata quella mattina.
Era lui, il ragazzo che il giorno prima avevo sorpreso
nell'appartamento di fronte a fare cose poche consone durante il giorno.
"Ciao." Risposi di rimando, più spiazzata che mai, mentre mi
sedevo.
"Incredibile che oggi ci hai degnato della tua presenza." Gli
commentò dietro Eris, incrociando le braccia al petto.
Lo udii emettere un verso con la lingua infastidito.
"Non rompere, Eris. Sono venuto solo perché, se fossi stato
assente anche oggi, sarebbero state cinque assenze di fila non
giustificate. Non ho tempo né voglia di passare dalla
preside."
Eris alzò gli occhi al soffitto.
"Quantomeno cerca di non disturbare la nuova arrivata."
Quell'ammonimento non lo scompose nemmeno, anzi, mi rivolse una tale
occhiataccia che fu in grado di gelarmi sul posto, sensazione che avevo
provato anche il giorno prima: ora che avevo la possibilità
di osservarlo da vicino potevo notare che aveva due occhi grigi e
taglienti e un viso incorniciato da capelli color cenere.
L'abbigliamento era trasandato e prevalentemente composto da capi scuri.
Incurvai appena le spalle.
"Non sarà necessario alcun aiuto, grazie."
"E io non avevo intenzione di dartelo." Ribatté lui, come a
volermi rinfacciare l'inconveniente del giorno prima.
Vidi Eris aprire la bocca, per dire qualcosa, ma cambiò
subito idea quando il professore entrò in classe, cosa che
la fece schizzare a sedere al suo posto.
Di una cosa ero certa: sarebbe stata una lunga giornata.
A
lezione conclusa Eris mi si avvicinò, preoccupandosi se il
programma mi era chiaro almeno in quella materia.
Fortunatamente ero al passo.
"Tutto chiaro, grazie." Le risposi.
Che fosse per il suo ruolo di rappresentante o no, pareva una ragazza
gentile di natura.
"Bene." Applaudì lei. "Che ne dici se durante la pausa
pranzo ti porto a fare un giro del liceo? Così inizi a
familiarizzare con la scuola?" Mi propose allegra, ma prima di poterle
rispondere notai un ragazzo, più grande di noi, chiamarla
dal corridoio.
Appena se ne accorse Eris volò fuori dall'aula, con un
impeto tale che mi fece chiedere se fosse il suo fidanzato.
Stavo anche per ritornare al mio posto quando, d'improvviso, la vidi
sbracciarsi e chiamarmi fuori.
"Ecco, lei è la nuova arrivata." La sentii parlare mentre mi
avvicinavo e il ragazzo mi rivolse un sorriso affabile.
Era bello, dal viso femminile e con capelli biondi che ricadevano ai
lati dello stesso. Gli occhi erano di un azzurro molto chiaro e il suo
abbigliamento era tanto formale, ma dai colori neutri.
Totalmente l'opposto del mio vicino di banco, pensai.
"Selena lui è Fabian, il rappresentante degli studenti di
questo istituto." Lo presentò Eris.
Fabian si passò una mano fra i capelli biondi, tendendo
l'altra con un modo così genuino che mi sentii subito in
dovere di stringergliela.
"Ho letto il tuo fascicolo proprio ieri pomeriggio, spero che ti
troverai bene qui."
"Oh, beh, lo spero anche io..." Abbassai gli occhi, pregando che
sarebbe stato davvero così.
"Comunque..." Ci interruppe Eris. "Come mai sei venuto qui, Fabian?"
I toni dell'atmosfera cambiarono immediatamente a quella domanda.
"Oggi Brendon si è presentato a scuola, vero?"
Sospirò lui, portando Eris ad annuire. "La preside vuole
vederlo. Deve dare una giustificazione su queste ennesime assenze senza
motivazione." Eris arricciò appena le labbra, muovendo gli
occhi verso il banco oramai vuoto.
Difatti, Brendon era fuggito via dalla classe a lezione finita.
"Arrivi tardi. Ha lasciato la classe dopo che la lezione è
terminata."
Non che io ci capissi molto in quel momento, ma fu sufficiente a
leggere la delusione sul viso di uno e l'esasperazione sul volto
dell'altra; evidentemente era un ragazzo problematico.
Fabian guardò l'orologio, stringendo gli occhi infastidito.
"Devo andare ora. Eris, puoi dirglielo tu?"
Eris iniziò a lamentarsi contrariata.
"Cosa? Perché dovrei occuparmene io? Brendon neanche mi
dà ascolto."
Fabian le scompigliò affettuosamente i capelli prima di
dileguarsi.
"Perché sei la rappresentante della sua classe." Le rispose,
dandomi l'impressione che l'avesse appena messa nel sacco. Eris divenne
muta all'istante.
"Davvero è così terribile?" Le domandai
ingenuamente, spezzando il silenzio che si era creato.
"In realtà non è un cattivo ragazzo..." Mi
rispose lei, scrollando le spalle. "Ma è intrattabile e
difficilmente si lascia avvicinare. Non so che problemi abbia." Ci
pensò su. "Idea! Potresti dirglielo tu per me?" Chiese
innocente.
Mi ci volle qualche secondo per realizzare ciò che mi aveva
appena chiesto di fare.
"Eh?"
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