Arianrhod
pensò che non c'era niente di più bello che
svegliarsi dolcemente
cullata dal rollio delle onde, avvolta dal tepore delle braccia di
Gareth. Assaporò quella sensazione di meraviglioso calore
tenendo
gli occhi chiusi, nonostante il sonno l'avesse ormai quasi
completamente abbandonata. Ma voleva mantenerla il più
possibile,
rimandare il momento in cui avrebbe dovuto inevitabilmente varcare
quel sottile confine tra il sonno e la veglia; il momento in cui il
mondo esterno, con i suoi guai, avrebbe bussato alla sua porta per
ricordarle che era ancora lì, presente nonostante tutto,
nonostante
lei facesse di tutto per non pensare a lui.
Gareth
si mosse nel sonno, stringendola di più a lui e Arianrhod
sorrise.
Era così dolce e così bello mentre dormiva, che
le dispiacque
immensamente doverlo scuotere per svegliarlo. Ma l'alba era ormai
vicina, e se voleva avere una possibilità di sgattaiolare
via dalla
sua cabina senza essere visto doveva approfittarne adesso.
“Gareth...”
lo chiamò, posandogli un lieve bacio all'angolo della bocca.
La
sua risposta fu un mugolio di protesta.
“Gareth”
insistette Arianrhod, “è quasi l'alba. Devi
svegliarti.”
“Obbedisco,
mia regina” fu l'ironica risposta di lui, al che lei rise
spingendolo dolcemente via.
Gareth
si sedette sul bordo della cuccetta, infilandosi controvoglia le
braghe.
Arianrhod
lo osservava sdraiata su un fianco, puntellandosi sul gomito. Erano
salpati da Dubris tre giorni prima e la nave maestra, seguita dalle
altre navi della flotta, procedeva a ritmo lento, beccheggiando in
balia delle onde. All'inizio Arianrhod e Gareth avevano tentato di
tenersi lontani l'uno dall'altra, ma dopo due giorni Arianrhod si era
resa conto di non poter più resistere senza Gareth. Sapeva
anche che
se non fosse stata lei a prendere l'iniziativa, lui non avrebbe
più
osato nemmeno sfiorarla. Probabilmente mostrava saggezza agendo
così;
Arianrhod non era così ingenua da non rendersene conto. Ma,
semplicemente, non poteva più stare senza di lui, senza
averlo
fisicamente vicino. Presto sarebbero arrivati in Danimarca e,
circondati da un'intera corte, non avrebbero probabilmente
più
potuto stare insieme.
Gareth
aveva tentato di mostrarsi fermo quando lei lo aveva baciato, in un
chiaro invito.
“Non
dovremmo”, aveva detto. “Quello che ho fatto
l'ultima volta è
stato un tradimento, lo sai vero?”
“Dimentichi
che la regina sono io. Non lascerei mai che ti facessero del
male.”
“Non
è per quello”, aveva replicato lui. “Non
mi importa delle
conseguenze quando tu sei tra le mie braccia. Non mi interessa quello
che potrebbe capitarmi, dovessero anche gettarmi ai pesci. Quello che
mi lacera davvero è che sento di tradire te, di
approfittarmi di
te...”
“Ti
prego, io ho bisogno di te...” aveva detto lei con sguardo
implorante, stringendosi a lui. E Gareth non era stato più
in grado
di dirle di no.
Mentre
continuava a darle le spalle, intento a vestirsi, Arianrhod si
tirò
su e gli circondò il collo con le braccia da dietro. I suoi
riccioli
solleticavano la pelle di Gareth, che sorrise e le carezzò
il
braccio con il quale lo stringeva.
“Vorrei
che non dovessi andare...”, sussurrò lei.
Gareth
sospirò. “Anch'io lo vorrei tanto, amore mio. Ma
siamo già stati
sufficientemente incoscienti negli ultimi due giorni. Non è
il caso
di sfidare la sorte.”
***
Quel
giorno il vento cambiò, cominciando a soffiare nella giusta
direzione. La navigazione, che fino a quel momento era proceduta con
fatica, prese il giusto ritmo. Arianrhod aveva imparato ad amare
l'aria di mare, la salsedine, gli spruzzi delle onde che a volte
potevano raggiungere perfino il parapetto della nave. Aveva presto
superato il normale fastidio che la navigazione con il mare mosso
provocava a chi non era avvezzo a viaggiare per nave.
Quel
giorno, mentre si trovava a prua con Östen,
sperimentò anche quanto poteva essere intenso e sfiancante
il vento
in mare. Deplorò di non aver pensato a legare i capelli,
perché
ora, con suo sommo fastidio, le sbattevano continuamente sul viso e
le turbinavano tutto intorno come una girandola impazzita. Ad
Östen
veniva da sorridere ogni volta che lei imprecava contro quella
scomodità. Allora Arianrhod sorrideva a sua volta e
dimenticava ogni
acredine. Non si poteva negarlo: Östen possedeva la rara
capacità
di infondere positività negli altri. Arianrhod era
fermamente
convinta che non sarebbe mai stata capace di discutere con lui, o
provare rabbia nei suoi confronti. Era praticamente impossibile. Con
Gareth era accaduto, e sarebbe accaduto ancora. Avevano entrambi un
carattere forte, e c'era tensione tra loro: era normale che a volte
litigassero. Östen invece riusciva sempre a metterla di
buonumore e,
con il suo modo di parlare in modo diretto, ma allo stesso tempo
gentile, faceva apparire semplice anche l'ostacolo apparentemente
più
insormontabile.
“Dovrei
proprio decidermi a fare qualcosa con questi capelli!”
esclamò
Arianrhod, rimettendoli a posto per l'ennesima volta.
“Sarebbe
un peccato”, replicò Östen.
“Perché?
Era mia madre a volere che li portassi lunghi. Io non li ho mai
potuti soffrire.”
Il
cavaliere alzò le spalle. “Allora devi fare
ciò che ritieni
meglio per te, non credi?”
Arianrhod
non replicò e rimase in silenzio. Stava seduta sul parapetto
della
nave, saldamente aggrappata ad una delle sartìe.
Già dal primo
giorno aveva abbandonato la lussuosa tunica per un abbigliamento
più
pratico: braghe maschili e stivali. Non le importava di cosa gli
uomini potessero pensare. Non avrebbero comunque contestato la sua
decisione, e in ogni caso quello non era tempo e luogo per
leziosità
femminili, o stoffe pregiate ornate di ricami.
La
nave continuava a fendere le acque a gran velocità, e il
marinaio
addetto al timone le aveva detto che se avessero proceduto di quel
passo, con il vento a favore, avrebbero visto le coste della
Danimarca per il giorno seguente.
“E'
merito tuo se suo padre si è finalmente accorto di
lui” commentò
Östen, appoggiato al parapetto accanto a lei.
“Di
che parli?”, chiese Arianrhod alzando interrogativamente un
sopracciglio.
Östen
fece un cenno con il capo in direzione del ponte che stava alle loro
spalle, dove passeggiavano Gareth e il duca, immersi in una fitta
conversazione.
Arianrhod
non poté fare a meno di sorridere, felice a quella vista.
Aveva
notato anche lei che, negli ultimi giorni, Fjölnir aveva
cominciato
a cercare Gareth, a volerlo accanto a sé al pari di Domaldr.
Ma non
aveva osato sperare di aver davvero contribuito a un tale
cambiamento.
“Buon
segno, non è vero?” disse a Östen.
“Voglio dire, che lo tratti
così...”
“Grazie
a te”, ribadì lui. “Cosa hai detto al
duca per riuscirci? Devi
avergli dato una bella strigliata.”
“Non
ho fatto niente. Credo solo che in cuor suo il duca avesse cominciato
a rendersi conto già da tempo di che razza di asino si
ritrova come
figlio legittimo. È naturale quindi che veda nel suo altro
figlio
tutte quelle qualità che vorrebbe tanto nel primo. Io mi
sono
limitata a dargli un piccolo consiglio.”
“Qualunque
cosa sia, il duca comincia a rendersi conto del valore di Gareth.
Credo che d'ora in poi ignorerà le pretese di sua
moglie.”
“Quali
pretese?”
“La
duchessa non è stata felice di scoprire del figlio
illegittimo del
marito. Ha sopportato che lui lo riconoscesse e provvedesse a lui, ma
non avrebbe tollerato di vederlo crescere in seno alla propria
famiglia. Anche per questo il duca lo ha sempre tenuto a
distanza.”
“Non
posso dire di non capirla, almeno in parte. Deve essere stato
doloroso per lei...” mormorò Arianrhod pensierosa,
lo sguardo
perso su Gareth e suo padre, che parlavano appoggiati al parapetto
della nave. Immaginò come potesse essere dover dividere
Gareth con
un'altra donna, venire a conoscenza di un suo tradimento e doverne
avere anche il frutto sotto gli occhi, giorno dopo giorno.
Il
pensiero le provocò un tale turbamento che
preferì cambiare
argomento.
“Sai
Östen ho pensato che è davvero imperdonabile da
parte mia, ma non
ti ho mai chiesto del tuo passato. Come sei diventato un membro della
Guardia Bianca?”
“Sei
sicura di volerlo sapere?” disse lui con un sorriso.
“Lo capisco
se la mia signora non è realmente interessata alla vita di
un suo
umile servitore.”
“Sciocco!”
rise Arianrhod, dandogli un colpetto sul braccio. “Certo che
sono
interessata. Anzi, è tanto tempo che volevo chiedertelo, e
mi
vergogno di averlo fatto solo ora.”
“Come
vuoi, ma sappi che la mia storia non è certo avvincente come
la tua,
perciò poi non lamentarti che non ti avevo
avvertita.”
“Sei
uno dei pochi veri amici che ho incontrato da quando tutto questo
è
accaduto, Östen.
E non sai
quanto questo abbia significato per me. Mi hai aiutata e mi sei stato
vicino anche quando Gareth si era allontanato da me. Te ne
sarò per
sempre grata e ti ascolterei anche se fossi muto.”
“E'
stato un'onore poterti essere vicino, mia signora. Ho combattuto per
te da quando sono entrato nella Guardia Bianca, ma non avrei mai
sperato che colei per la quale resistevamo fosse una persona tanto
degna della nostra lealtà.”
“Vuoi
vedermi arrossire?” chiese Arianrhod, felice ma anche
imbarazzata
dalle sue parole.
Östen
sorrise, poi ridivenne serio.
“Per
rispondere alla tua domanda, sono entrato nell'ordine sette anni fa,
ero molto giovane, appena diciassettenne. Mio padre era un piccolo
proprietario terriero del sud della Svezia, ma non era abbastanza
importante da avere una qualche protezione contro le mire
dell'usurpatore. Allora non era Ale a governare, ma Halfdan. Halfdan
mise gli occhi sulle terre di mio padre e per riuscire a portargliele
via lo fece falsamente accusare di tradimento. Lo fece giustiziare e
confiscò le sue terre.”
“E'
spaventoso”, mormorò Arianrhod scioccata,
rendendosi conto forse
per la prima volta della gravità della situazione in Svezia.
Non era
più solo qualcosa che riguardava la sua famiglia, la sua
sfera
personale. Riguardava il suo popolo.
“Lo
so”, assentì Östen,
“ma
mio padre non fu certo l'unico; moltissimi piccoli nobili o
proprietari terrieri fecero questa fine. È una pratica
comune ormai
in Svezia; gli usurpatori tentano di accentrare il potere nelle
proprie mani o di sostituire persone scomode con altre di loro
fiducia. Per questo molti si sono dati alla macchia, formando un
esercito di ribelli.”
“Tu
come reagisti alla morte di tuo padre?”
“Io,
mia madre e le mie sorelle eravamo pazzi di dolore. Se avessi potuto
avrei ucciso Halfdan con le mie mani, a costo di venire scorticato
vivo. Ma dovevo pensare anche alla mia famiglia, che ora dipendeva da
me. Non avevamo nemmeno più i mezzi per sopravvivere, e se
fossi
stato da solo mi sarei probabilmente unito all'esercito di ribelli.
Invece fu la Guardia Bianca ad offrirmi rifugio, ad offrirmi un modo
per occuparmi di mia madre e delle mie sorelle, facendo allo stesso
tempo ciò che il mio cuore mi gridava fosse giusto:
rovesciare
l'usurpatore e riportare sul trono la legittima erede. Dopo che ti ho
conosciuta credo con tutte le mie forze in questa battaglia.”
Arianrhod
era rimasta a bocca aperta, un nodo le serrava la gola.
“Mi
dispiace”, disse con voce strozzata. “Mi dispiace
per tutto
quello che hai passato. Per quello che è accaduto a tuo
padre.”
“Tu
hai sopportato ben di peggio”, replicò Östen.
“E in ogni caso abbiamo speranza di cambiare le cose,
no?”
“Lotterò
fino alla morte perché questo avvenga”.
Lo
sguardo di Arianrhod era duro e determinato quando lo disse, e Östen
comprese che lo intendeva veramente.
Angolo
Autrice: Ciao
a tutti! Anche se di passaggio spero che questo capitolo vi sia
piaciuto. Volevo raccontare qualcosa di più sul passato di Östen,
perché è diventato un personaggio molto amato da
voi lettori.
Grazie alla sua testimonianza, e ai pezzi che piano piano Arianrhod
ha messo insieme lungo il suo cammino, la risolutezza della nostra
regina nel volersi riprendere il trono cresce. Anche il duca e Gareth
fanno passi avanti... e niente ci vediamo in Danimarca al prossimo
capitolo! ;)
Grazie
a tutti voi che seguite/recensite/leggete!
Eilan
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