La
bambina delle pere
Città
sotterranea
Anno
841
Dolf
Schubert trascinò dentro il proprio negozio la cassa con i
rifornimenti. Qualche tozzo di pane, un po' di farina, acqua, delle
patate. Quel giorno era perfino riuscito ad accaparrarsi delle pere,
che avrebbe sicuramente rivenduto a caro prezzo. Cercò di
aprire la porta con un piede, mentre il resto del corpo lo impiegava
nello sforzo, ma stranamente restò chiusa. Tentò
di nuovo, infastidendosi sempre più, fino a quando preso per
disperazione non lasciò il carico e tentò in
maniera canonica, con le mani. Niente da fare: la porta era bloccata
dall'interno.
«Ma
che cazzo...?» brontolò, facendo il giro del
casolare e sbirciando dalla propria finestra. Lanciò un urlo
quando vide distintamente ben due gatti che si erano sentiti liberi e
padroni di salire sulla sua tavola e divorare il suo cibo.
«Bestiacce!
Fuori dal mio negozio!» gridò, afferrando un
mattone e lanciandolo contro il vetro, spaccandolo. I gatti schizzarono
ovunque per la paura, ma ben si guardarono dall'uscire dal negozio e
abbandonare lì tutto quel cibo.
«Vi
faccio arrosto!» gridò ancora Dolf, scavalcando la
finestra ed entrando. Afferrò una scopa e
cominciò a dar la caccia ai gatti, che soffiavano e
scattavano ovunque terrorizzati. Finalmente riuscì a
scacciarli via, quando un altro rumore attirò la sua
attenzione, ma questa volta proveniente dall'esterno.
Ci
mise qualche istante a farsi tornare la memoria e ricordare:
«La mia roba!»
Scattò
verso la porta, l'aprì e uscì fuori appena in
tempo per vedere una folta chioma rossa uscire dalla cassa spaccata.
Una bambina, di poco più di dieci anni, teneva stretto al
petto del pane e una bella manciata di quelle pere che aveva pagato oro.
«Ladruncola
bastarda!» le urlò contro, lanciandosi verso di
lei con la scopa serrata in mano. La bambina saltò fuori
dalla cassa, la refurtiva ben stretta al petto, e cominciò a
correre per le strade della città a perdifiato. Si
affrettò a tirarsi il cappuccio della casacca sopra la
testa, cercando di nascondere il più possibile il suo
marchio distintivo, quei capelli che nessuno non avrebbe potuto non
notare. Spesso erano stati proprio quelli la causa dei suoi guai:
saltando subito all'occhio non le permettevano di rubare in pace e la
gente finiva subito per riconoscerla per strada. Tempi che erano andati
persi molto prima, quando Harvey aveva avuto la brillante idea di
cucirle quella casacca perfetta per rinchiuderci dentro quel trascina
sfortuna.
«Al
ladro!» gridò Dolf alle sue spalle, arrancando
benché fosse un uomo abbastanza forte e allenato. Quella
disgraziata era veloce, agile e piccola abbastanza da scivolare tra le
gambe delle persone senza venirne rallentata, mentre lui non aveva
quella fortuna nel suo metro e settanta. La bambina svincolò
tra due signore intente a parlare dei guai della città e
della sfortuna di vivere in quella miseria, facendo interrompere i loro
discorsi con un urlo sorpreso e acuto, ma nessuna delle due ebbe la
prontezza di afferrarla.
«Torna
qui! Se ti prendo lo vedi cosa ti combino, bastarda!»
gridò ancora Dolf alle sue spalle. Nonostante tutto non
sembrava stancarsi nemmeno un po'.
"Com'è
testardo" pensò la piccola, scocciata. "Adesso ti faccio
vedere io!"
Scivolò
dietro un muretto, correndo all'interno di uno stretto vicolo dietro un
casolare. La strada, arrivata in fondo, si interrompeva per un enorme
staccionata che divideva i quartieri, alta abbastanza da bloccare
qualsiasi uomo di qualsiasi altezza.
Al
suo fianco, però, a dispetto di ciò che poteva
servire quella barricata in legno, c'era un grosso ammasso di
spazzatura. Mari ci saltò sopra e la scalò senza
difficoltà, infine con un ultimo salto arrivò al
bordo superiore. Si sporse e saltò giù,
dall'altro lato. Dolf l'avrebbe sicuramente seguita ancora, ma aveva
visto abbastanza da credere che non sarebbe riuscito a scendere
dall'altro lato prima che lei non fosse sparita. Era forte e robusto,
ma goffo e sicuramente non agile abbastanza da risalire quell'accumulo
di schifezze con la facilità con cui ci era riuscita lei.
Corse
fuori dal vicolo e sentì Dolf sbattere contro il legno della
staccionata alle sue spalle, colpendola e lanciandole insulti. Si
voltò, intimorita per un istante all'idea che avesse potuto
sfondarla, ma ciò non accadde. Al contrario, qualcos'altro
mandò in fumo tutto ciò che aveva fatto fino a
quel momento. L'unica cosa che vide fu un'ombra piombare su di lei dal
cielo: troppo grossa per essere un uccello, troppo veloce per essere
qualsiasi cosa conoscesse. Si bloccò, interrompendo la sua
corsa e permettendo all'essere di passare oltre senza investirla, ma
ormai era troppo tardi. Colpita, anche se solo su una spalla, cadde a
terra e la refurtiva andò sparpagliandosi per terra.
Guardò il disastro ai suoi piedi confusa e mosse
immediatamente uno sguardo a ciò che l'aveva quasi uccisa,
scoprendo solo allora che non era un essere nè tanto meno un
animale. Era un uomo, anzi due uomini e una ragazza per la precisione.
Volavano sopra i tetti come uccelli, destreggiandosi con
abilità e velocità. L'uomo dai capelli scuri,
quello che era in testa al gruppo, si voltò lanciandole uno
sguardo infastidito e di disappunto, mentre la ragazza dai capelli
rossi al suo fianco le urlava: «Guarda dove vai,
moccioso!»
Pochi
secondi, un contatto visivo di appena pochi secondi, ma era bastato a
imprimere a fuoco nella sua memoria quel viso affilato.
«Sanno...
volare...» balbettò, guardandoli incantata mentre
sparivano poco più avanti.
Si
ricordò di dov'era e di ciò che stava facendo
solo quando sentì la grossa mano di Dolf afferrarla per il
colletto della maglia e sollevarla da terra.
«Beccata!»
disse soddisfatto e lei cominciò inutilmente a dimenarsi
come un anguilla, incapace veramente di scivolare via da quella ferrea
presa.
Quando
Mari aprì la porta di casa, Harvey era seduto al tavolo,
impegnato a sorseggiare una tazza fumante. Il viso, ancora delicato nei
suoi lineamenti di bambino che aveva solo da poco cominciato ad
abbandonare, era disteso in un sorriso soddisfatto. Inspirò
il profumo della bevanda, che sorseggiava come un nobile alla corte del
Re, e si passò platealmente una mano tra gli scompigliati
capelli aranciati -troppo scuri per essere definiti biondi, troppo
chiari per essere definiti rossi.
«Latte
caldo, ne hai mai provato? Giornata fruttuosa per il tuo astuto
fratellino che è riuscito a conquistare con successo ben due
bottiglie!» disse con orgoglio, prima di voltarsi a guardare
la sorella.
«Che
diavolo t'è successo?» chiese stranito, notando
solo allora il suo stato. Il viso di Mari era ricoperto di polvere e
sangue, pulito solo su due strisce sulle guance, via che avevano
sicuramente percorso fiumi di lacrime. Un labbro spaccato, l'occhio che
cominciava a gonfiarsi, i capelli arruffati e con una mano si teneva
stretta un polso, probabilmente dolorante. Poche volte era tornata
ridotta così male.
«Mi
hanno presa» borbottò lei, sforzando la voce per
evitare di tornare a piangere. Ogni cosa le faceva male, ogni singolo
punto del corpo era stato preso a calci e bastonate, non aveva mai
preso tanti colpi come quella volta. Tutto per delle dannate pere che
aveva pure perso per la strada e aveva dovuto abbandonare.
«Ti
sei
fatta prendere» specificò Harvey, che sapeva bene
che quando voleva Mari sapeva correre più del vento. Era un
vero e proprio gatto randagio, impossibile da afferrare, proprio come
quegli animali che si portava appresso spesso e volentieri, come
amichetti al parco giochi.
«Non
è stata colpa mia!»
«E
di chi? Sentiamo.»
Mari
abbassò lo sguardo, puntandolo a un angolo del pavimento,
mentre rivedeva perfettamente nella sua memoria il volto dell'uomo
volante. L'uomo che l'aveva travolta, che aveva causato quel guaio e
che neanche si era preoccupato di chiederle scusa, ma anzi l'aveva
guardata con disprezzo, come se fosse stata lei a intralciarlo e dargli
impiccio.
«Mi
hanno investita» disse con disprezzo, ma subito si
ammorbidì. Nonostante tutto non riusciva a provare rancore
verso quelle persone. «Delle persone volanti»
aggiunse con un primo accenno di emozione. Persone volanti, come
potevano esistere? Davvero c'era chi era in grado di farlo? Nessuno
avrebbe mai potuto prenderli lassù! «Tu sai chi
sono?» chiese, ora improvvisamente interessata.
«Non
ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo»
l'ammonì Harvey, lasciando la sua tazza sul tavolo e
alzandosi. Andò a spostare una sedia e con un gesto
invitò Mari a sedercisi sopra. La bambina obbedì,
trovandosi poco dopo a dondolare i piedi nel vuoto. Quelle sedie erano
troppo alte per lei, o forse era lei che si ostinava a restare troppo
piccola?
«Erano
tre! Volavano come uccelli, avresto dovuto vederli! Erano incredibili,
velocissimi!»
«Non
esistono persone volanti.»
«Invece
ti dico che loro lo facevano! Davvero tu non li conosci? Tu conosci
chiunque!»
«Se
non mi dici come erano fatti come posso dirti se li conosco?»
brontolò lui, prima di di posizionarsi davanti a Mari e
cominciare a pulirle il viso con un panno umido.
«Uno
era un ragazzo credo abbastanza alto, biondo. Non so dirti molto di
più, era di spalle ed è l'unico che non si
è girato. Poi c'era la ragazza, aveva i capelli rossi come i
miei ma più scuri e meno appariscenti» e una nota
amara condì quell'ultimo commento. Detestava i suoi capelli
che attiravano così l'attenzione. «Mi ha detto
"guarda dove vai, moccioso!". Credo che il cappuccio abbia nascosto il
mio viso, se mi ha preso per maschio. Aveva due codini, il viso
allegro, forse un po' di lentiggini. Era lontana, non sono riuscita a
vedere molto.»
«E
il terzo?» chiese distrattamente Harvey, ora prendendo a
medicare il sopracciglio tagliato. L'ascoltava il minimo necessario,
non veramente interessato, ma finchè parlava del suo
bizzarro incontro non brontolava per il dolore dei tagli e questo gli
permetteva di lavorare alla medicazione con assoluta
tranquillità.
«Il
terzo...» mormorò Mari, tornando a ripensare a
quello sguardo glaciale. «Aveva i lineamenti un po' duri. Gli
occhi mi hanno fatto venire i brividi, mi ha guardata come se avesse
voluto uccidermi. Erano piccoli, affilati e scuri come i suoi capelli.
Rasati qui, dietro la nuca» e si indicò.
«E invece un po' più lunghi sopra, tanto che
qualche ciuffo gli svolazzava davanti agli occhi. Non sembrava molto
alto e grosso, ma credo che fosse il capo banda. E' stato lui a
travolgermi e mentre io son caduta a terra, lui non sembra averne
risentito per niente, anche se credo che mi abbia insultata.»
Harvey
terminò la pulizia e medicazione del viso e con un gesto,
senza parlare, la invitò a togliersi i vestiti. Ancora una
volta Mari obbedì, cominciando a scoprire con dolore i
lividi sparsi sul suo corpo.
«Che
disastro» sospirò Harvey. «Ma non sembri
avere niente di rotto.»
«Il
polso mi fa male.»
«Mettilo
della bacinella d'acqua fredda, dopo te lo fascio e te lo blocco.
Dev'essere solo una storta, guarirà.»
«Tu
allora non hai idea di chi siano?» chiese Mari tornando sul
discorso uomini volanti.
«Perché
sei tanto interessata a loro?» la brontolò Harvey,
cominciando ad applicare impacchi freddi sui lividi.
«Perchè
sapevano volare!» disse Mari colma di eccitazione.
«Siamo
chiusi sottoterra, la capacità di volare non li
porterà a niente.»
«Non
è vero! Sono inafferrabili lassù e poi basterebbe
trovare un buco nel soffitto per poter scappare via da tutto questo!
Vedere il cielo e magari arrivare a toccare le nuvole! Tu sai come sono
fatte le nuvole?»
«Sta'
ferma!» l'ammonì Harvey, scocciato dal fatto che
la sorella si stesse agitando tanto. Mari tornò a rilassarsi
e immergere il polso nell'acqua fredda, pensierosa. Non riusciva a
togliersi quel viso, quello sguardo, dalla testa.
"Quanto
mi piacerebbe imparare come loro" pensò.
«Comunque...»
riprese a parlare Harvey, dopo qualche secondo di riflessione.
«Può essere che tu ti sia imbattuta nella banda di
Levi.»
«Levi?»
chiese Mari, emozionata di poter conoscere il suo nome. In un solo
gesto estrasse nuovamente il polso fuori dall'acqua e si
voltò verso il fratello, che seccamente le
afferrò la testa e la riportò prepotentemente
nella posizione precedente. Un silenzioso ammonimento: doveva stare
ferma e smettere di agitarsi.
«Già.
Fai una cosa, stampati bene in testa questo nome.»
«E
perchè mai?»
«Perchè
quel tipo non mi piace per niente. Stanne alla larga.»
«Ma
chi è?» chiese ancora più interessata
Mari.
«Ne
ho sentito parlare nella zona mercantile, pare che ultimamente lui e
quei due idioti che gli vanno dietro stiano creando non pochi problemi.
Per colpa loro la Gendarmeria nella zona ha triplicato i controlli e
chi ci rimette sono i poveracci che lottano per un bicchiere di latte
come noi, che vengono subito scovato. O le bambine distratte come
te!» si affrettò ad aggiungere, strofinando una
nocca contro la sua testa e facendola lamentare per il dolore.
«Dicono
che da poco abbiano rubato delle attrezzature militari che permette
loro di saltare oltre i tetti delle case e viaggiare a gran
velocità. Sinceramente, spero che li ammazzino presto
perché qui sta diventando sempre più difficile
portare a casa del pane.»
«O
delle pere» aggiunse Mari, sconsolata.
«Tieniti
a distanza da loro, fammi questo favore.»
«Sì»
mormorò Mari. «Lo farò, stai
tranquillo.»
It’s
a damn cold night Trying to figure out this life
Won’t
you take me by the hand? Take me somewhere new
I
dont know who you are But I’m with you
NDA
E
niente, mi è presa sta cosa carina di mettere pezzi di
canzoni alla fine dei capitoli tipo "sigla fine episodio" xD
Questa,
come magari avete potuto riconoscerla, è "I'm with you" di
Avril Lavigne.
Piccolo
tuffo nell'infanzia di Mari, dove si scopre di questo (bizzarro?)
incontro e vengono rivelate le prime fondamenta. Come magari si
può cominciare a intuire, il cammino di Mari è
cominciato già molto prima, esattamente quel giorno dell'841
quando Levi, travolgendola, l'ha resa vittima di un pestaggio coi
fiocchi (e le ha fatto perdere le sue preziosissime pere). Ma cosa
avrà portato la piccola Mari dal "ok, Harvey caro, gli
starò lontana" al "Mi ha detto che son stata brava, mi metto
a piangere"? XD E, ancora, quale ruolo ha avuto in tutto questo Erwin,
che sembra esserne più invischiato di quanto ci si possa
immaginare? E che fine avrà fatto Harvey?
Vi
lascio con queste domande e saluto!
Cià
cià
Tada
Nobukatsu-kun
Anticipazione:
"«Mi
sono dimostrata degna! Ho superato tutte le prove a cui sono stata
sottoposta, nonostante sia entrata in ritardo in addestramento, non
può dire che non sono forte abbastanza!»
«Sei
scoppiata a piangere per uno sgambetto» tagliò
corto Levi, fulminandola.
«È...
è stato un incidente! Non accadrà più
glielo assicuro!» balbettò, completamente pervasa
dall'imbarazzo. Era stata una vera stupida, se ne rendeva conto. Era
andata nel panico per una scemenza, era veramente una vergogna, ma non
era nemmeno giusto che quell'incidente andasse a rovinare tutto,
facendo crollare ogni sorta di impegno, determinazione e sogni."
E
una piccola child-Mari :3
MARI
->
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<- MARI
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