Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Tada Nobukatsu    05/12/2016    1 recensioni
Eccoti qua! Sai, mi aspettavo una tua visita. Ho visto come lo guardi, ho letto la curiosità e il disagio nei tuoi occhi. Hai bisogno di una guida, non è così? Un guida per poter leggere i pensieri del capitano Levi, perché vedere costantemente quel suo sguardo freddo, come se disprezzasse ogni cosa, ti turba. È normale, lui è fatto così. Ma, vedi, Levi in realtà è più semplice di quello che sembra e, che tu ci creda o no, nemmeno lui è immune ai sentimenti profondi di affetto. Posso assicurartelo, io c'ero, l'ho visto con i miei occhi.
Per il momento però tutto ciò che ti serve sapere è che ci sono tante cose che Levi può disprezzare, ma tra queste quelle assolutamente da evitare sono tre: lo sporco, il colore rosso e le Calendule.
Sii tenace, non demordere e avrai la meglio, perché, vedi, alla fine Levi ha il cuore tenero.
Adesso però siediti e lascia che ti racconti una storia...
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La bambina delle pere


Città sotterranea

Anno 841


Dolf Schubert trascinò dentro il proprio negozio la cassa con i rifornimenti. Qualche tozzo di pane, un po' di farina, acqua, delle patate. Quel giorno era perfino riuscito ad accaparrarsi delle pere, che avrebbe sicuramente rivenduto a caro prezzo. Cercò di aprire la porta con un piede, mentre il resto del corpo lo impiegava nello sforzo, ma stranamente restò chiusa. Tentò di nuovo, infastidendosi sempre più, fino a quando preso per disperazione non lasciò il carico e tentò in maniera canonica, con le mani. Niente da fare: la porta era bloccata dall'interno.

«Ma che cazzo...?» brontolò, facendo il giro del casolare e sbirciando dalla propria finestra. Lanciò un urlo quando vide distintamente ben due gatti che si erano sentiti liberi e padroni di salire sulla sua tavola e divorare il suo cibo.

«Bestiacce! Fuori dal mio negozio!» gridò, afferrando un mattone e lanciandolo contro il vetro, spaccandolo. I gatti schizzarono ovunque per la paura, ma ben si guardarono dall'uscire dal negozio e abbandonare lì tutto quel cibo.

«Vi faccio arrosto!» gridò ancora Dolf, scavalcando la finestra ed entrando. Afferrò una scopa e cominciò a dar la caccia ai gatti, che soffiavano e scattavano ovunque terrorizzati. Finalmente riuscì a scacciarli via, quando un altro rumore attirò la sua attenzione, ma questa volta proveniente dall'esterno.

Ci mise qualche istante a farsi tornare la memoria e ricordare: «La mia roba!»

Scattò verso la porta, l'aprì e uscì fuori appena in tempo per vedere una folta chioma rossa uscire dalla cassa spaccata. Una bambina, di poco più di dieci anni, teneva stretto al petto del pane e una bella manciata di quelle pere che aveva pagato oro.

«Ladruncola bastarda!» le urlò contro, lanciandosi verso di lei con la scopa serrata in mano. La bambina saltò fuori dalla cassa, la refurtiva ben stretta al petto, e cominciò a correre per le strade della città a perdifiato. Si affrettò a tirarsi il cappuccio della casacca sopra la testa, cercando di nascondere il più possibile il suo marchio distintivo, quei capelli che nessuno non avrebbe potuto non notare. Spesso erano stati proprio quelli la causa dei suoi guai: saltando subito all'occhio non le permettevano di rubare in pace e la gente finiva subito per riconoscerla per strada. Tempi che erano andati persi molto prima, quando Harvey aveva avuto la brillante idea di cucirle quella casacca perfetta per rinchiuderci dentro quel trascina sfortuna.

«Al ladro!» gridò Dolf alle sue spalle, arrancando benché fosse un uomo abbastanza forte e allenato. Quella disgraziata era veloce, agile e piccola abbastanza da scivolare tra le gambe delle persone senza venirne rallentata, mentre lui non aveva quella fortuna nel suo metro e settanta. La bambina svincolò tra due signore intente a parlare dei guai della città e della sfortuna di vivere in quella miseria, facendo interrompere i loro discorsi con un urlo sorpreso e acuto, ma nessuna delle due ebbe la prontezza di afferrarla.

«Torna qui! Se ti prendo lo vedi cosa ti combino, bastarda!» gridò ancora Dolf alle sue spalle. Nonostante tutto non sembrava stancarsi nemmeno un po'.

"Com'è testardo" pensò la piccola, scocciata. "Adesso ti faccio vedere io!"

Scivolò dietro un muretto, correndo all'interno di uno stretto vicolo dietro un casolare. La strada, arrivata in fondo, si interrompeva per un enorme staccionata che divideva i quartieri, alta abbastanza da bloccare qualsiasi uomo di qualsiasi altezza.

Al suo fianco, però, a dispetto di ciò che poteva servire quella barricata in legno, c'era un grosso ammasso di spazzatura. Mari ci saltò sopra e la scalò senza difficoltà, infine con un ultimo salto arrivò al bordo superiore. Si sporse e saltò giù, dall'altro lato. Dolf l'avrebbe sicuramente seguita ancora, ma aveva visto abbastanza da credere che non sarebbe riuscito a scendere dall'altro lato prima che lei non fosse sparita. Era forte e robusto, ma goffo e sicuramente non agile abbastanza da risalire quell'accumulo di schifezze con la facilità con cui ci era riuscita lei.

Corse fuori dal vicolo e sentì Dolf sbattere contro il legno della staccionata alle sue spalle, colpendola e lanciandole insulti. Si voltò, intimorita per un istante all'idea che avesse potuto sfondarla, ma ciò non accadde. Al contrario, qualcos'altro mandò in fumo tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento. L'unica cosa che vide fu un'ombra piombare su di lei dal cielo: troppo grossa per essere un uccello, troppo veloce per essere qualsiasi cosa conoscesse. Si bloccò, interrompendo la sua corsa e permettendo all'essere di passare oltre senza investirla, ma ormai era troppo tardi. Colpita, anche se solo su una spalla, cadde a terra e la refurtiva andò sparpagliandosi per terra. Guardò il disastro ai suoi piedi confusa e mosse immediatamente uno sguardo a ciò che l'aveva quasi uccisa, scoprendo solo allora che non era un essere nè tanto meno un animale. Era un uomo, anzi due uomini e una ragazza per la precisione. Volavano sopra i tetti come uccelli, destreggiandosi con abilità e velocità. L'uomo dai capelli scuri, quello che era in testa al gruppo, si voltò lanciandole uno sguardo infastidito e di disappunto, mentre la ragazza dai capelli rossi al suo fianco le urlava: «Guarda dove vai, moccioso!»

Pochi secondi, un contatto visivo di appena pochi secondi, ma era bastato a imprimere a fuoco nella sua memoria quel viso affilato.

«Sanno... volare...» balbettò, guardandoli incantata mentre sparivano poco più avanti.

Si ricordò di dov'era e di ciò che stava facendo solo quando sentì la grossa mano di Dolf afferrarla per il colletto della maglia e sollevarla da terra.

«Beccata!» disse soddisfatto e lei cominciò inutilmente a dimenarsi come un anguilla, incapace veramente di scivolare via da quella ferrea presa.


Quando Mari aprì la porta di casa, Harvey era seduto al tavolo, impegnato a sorseggiare una tazza fumante. Il viso, ancora delicato nei suoi lineamenti di bambino che aveva solo da poco cominciato ad abbandonare, era disteso in un sorriso soddisfatto. Inspirò il profumo della bevanda, che sorseggiava come un nobile alla corte del Re, e si passò platealmente una mano tra gli scompigliati capelli aranciati -troppo scuri per essere definiti biondi, troppo chiari per essere definiti rossi.

«Latte caldo, ne hai mai provato? Giornata fruttuosa per il tuo astuto fratellino che è riuscito a conquistare con successo ben due bottiglie!» disse con orgoglio, prima di voltarsi a guardare la sorella.

«Che diavolo t'è successo?» chiese stranito, notando solo allora il suo stato. Il viso di Mari era ricoperto di polvere e sangue, pulito solo su due strisce sulle guance, via che avevano sicuramente percorso fiumi di lacrime. Un labbro spaccato, l'occhio che cominciava a gonfiarsi, i capelli arruffati e con una mano si teneva stretta un polso, probabilmente dolorante. Poche volte era tornata ridotta così male.

«Mi hanno presa» borbottò lei, sforzando la voce per evitare di tornare a piangere. Ogni cosa le faceva male, ogni singolo punto del corpo era stato preso a calci e bastonate, non aveva mai preso tanti colpi come quella volta. Tutto per delle dannate pere che aveva pure perso per la strada e aveva dovuto abbandonare.

«Ti sei fatta prendere» specificò Harvey, che sapeva bene che quando voleva Mari sapeva correre più del vento. Era un vero e proprio gatto randagio, impossibile da afferrare, proprio come quegli animali che si portava appresso spesso e volentieri, come amichetti al parco giochi.

«Non è stata colpa mia!»

«E di chi? Sentiamo.»

Mari abbassò lo sguardo, puntandolo a un angolo del pavimento, mentre rivedeva perfettamente nella sua memoria il volto dell'uomo volante. L'uomo che l'aveva travolta, che aveva causato quel guaio e che neanche si era preoccupato di chiederle scusa, ma anzi l'aveva guardata con disprezzo, come se fosse stata lei a intralciarlo e dargli impiccio.

«Mi hanno investita» disse con disprezzo, ma subito si ammorbidì. Nonostante tutto non riusciva a provare rancore verso quelle persone. «Delle persone volanti» aggiunse con un primo accenno di emozione. Persone volanti, come potevano esistere? Davvero c'era chi era in grado di farlo? Nessuno avrebbe mai potuto prenderli lassù! «Tu sai chi sono?» chiese, ora improvvisamente interessata.

«Non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo» l'ammonì Harvey, lasciando la sua tazza sul tavolo e alzandosi. Andò a spostare una sedia e con un gesto invitò Mari a sedercisi sopra. La bambina obbedì, trovandosi poco dopo a dondolare i piedi nel vuoto. Quelle sedie erano troppo alte per lei, o forse era lei che si ostinava a restare troppo piccola?

«Erano tre! Volavano come uccelli, avresto dovuto vederli! Erano incredibili, velocissimi!»

«Non esistono persone volanti.»

«Invece ti dico che loro lo facevano! Davvero tu non li conosci? Tu conosci chiunque!»

«Se non mi dici come erano fatti come posso dirti se li conosco?» brontolò lui, prima di di posizionarsi davanti a Mari e cominciare a pulirle il viso con un panno umido.

«Uno era un ragazzo credo abbastanza alto, biondo. Non so dirti molto di più, era di spalle ed è l'unico che non si è girato. Poi c'era la ragazza, aveva i capelli rossi come i miei ma più scuri e meno appariscenti» e una nota amara condì quell'ultimo commento. Detestava i suoi capelli che attiravano così l'attenzione. «Mi ha detto "guarda dove vai, moccioso!". Credo che il cappuccio abbia nascosto il mio viso, se mi ha preso per maschio. Aveva due codini, il viso allegro, forse un po' di lentiggini. Era lontana, non sono riuscita a vedere molto.»

«E il terzo?» chiese distrattamente Harvey, ora prendendo a medicare il sopracciglio tagliato. L'ascoltava il minimo necessario, non veramente interessato, ma finchè parlava del suo bizzarro incontro non brontolava per il dolore dei tagli e questo gli permetteva di lavorare alla medicazione con assoluta tranquillità.

«Il terzo...» mormorò Mari, tornando a ripensare a quello sguardo glaciale. «Aveva i lineamenti un po' duri. Gli occhi mi hanno fatto venire i brividi, mi ha guardata come se avesse voluto uccidermi. Erano piccoli, affilati e scuri come i suoi capelli. Rasati qui, dietro la nuca» e si indicò. «E invece un po' più lunghi sopra, tanto che qualche ciuffo gli svolazzava davanti agli occhi. Non sembrava molto alto e grosso, ma credo che fosse il capo banda. E' stato lui a travolgermi e mentre io son caduta a terra, lui non sembra averne risentito per niente, anche se credo che mi abbia insultata.»

Harvey terminò la pulizia e medicazione del viso e con un gesto, senza parlare, la invitò a togliersi i vestiti. Ancora una volta Mari obbedì, cominciando a scoprire con dolore i lividi sparsi sul suo corpo.

«Che disastro» sospirò Harvey. «Ma non sembri avere niente di rotto.»

«Il polso mi fa male.»

«Mettilo della bacinella d'acqua fredda, dopo te lo fascio e te lo blocco. Dev'essere solo una storta, guarirà.»

«Tu allora non hai idea di chi siano?» chiese Mari tornando sul discorso uomini volanti.

«Perché sei tanto interessata a loro?» la brontolò Harvey, cominciando ad applicare impacchi freddi sui lividi.

«Perchè sapevano volare!» disse Mari colma di eccitazione.

«Siamo chiusi sottoterra, la capacità di volare non li porterà a niente.»

«Non è vero! Sono inafferrabili lassù e poi basterebbe trovare un buco nel soffitto per poter scappare via da tutto questo! Vedere il cielo e magari arrivare a toccare le nuvole! Tu sai come sono fatte le nuvole?»

«Sta' ferma!» l'ammonì Harvey, scocciato dal fatto che la sorella si stesse agitando tanto. Mari tornò a rilassarsi e immergere il polso nell'acqua fredda, pensierosa. Non riusciva a togliersi quel viso, quello sguardo, dalla testa.

"Quanto mi piacerebbe imparare come loro" pensò.

«Comunque...» riprese a parlare Harvey, dopo qualche secondo di riflessione. «Può essere che tu ti sia imbattuta nella banda di Levi.»

«Levi?» chiese Mari, emozionata di poter conoscere il suo nome. In un solo gesto estrasse nuovamente il polso fuori dall'acqua e si voltò verso il fratello, che seccamente le afferrò la testa e la riportò prepotentemente nella posizione precedente. Un silenzioso ammonimento: doveva stare ferma e smettere di agitarsi.

«Già. Fai una cosa, stampati bene in testa questo nome.»

«E perchè mai?»

«Perchè quel tipo non mi piace per niente. Stanne alla larga.»

«Ma chi è?» chiese ancora più interessata Mari.

«Ne ho sentito parlare nella zona mercantile, pare che ultimamente lui e quei due idioti che gli vanno dietro stiano creando non pochi problemi. Per colpa loro la Gendarmeria nella zona ha triplicato i controlli e chi ci rimette sono i poveracci che lottano per un bicchiere di latte come noi, che vengono subito scovato. O le bambine distratte come te!» si affrettò ad aggiungere, strofinando una nocca contro la sua testa e facendola lamentare per il dolore.

«Dicono che da poco abbiano rubato delle attrezzature militari che permette loro di saltare oltre i tetti delle case e viaggiare a gran velocità. Sinceramente, spero che li ammazzino presto perché qui sta diventando sempre più difficile portare a casa del pane.»

«O delle pere» aggiunse Mari, sconsolata.

«Tieniti a distanza da loro, fammi questo favore.»

«Sì» mormorò Mari. «Lo farò, stai tranquillo.»



It’s a damn cold night Trying to figure out this life

Won’t you take me by the hand? Take me somewhere new

I dont know who you are But I’m with you



NDA


E niente, mi è presa sta cosa carina di mettere pezzi di canzoni alla fine dei capitoli tipo "sigla fine episodio" xD

Questa, come magari avete potuto riconoscerla, è "I'm with you" di Avril Lavigne.

Piccolo tuffo nell'infanzia di Mari, dove si scopre di questo (bizzarro?) incontro e vengono rivelate le prime fondamenta. Come magari si può cominciare a intuire, il cammino di Mari è cominciato già molto prima, esattamente quel giorno dell'841 quando Levi, travolgendola, l'ha resa vittima di un pestaggio coi fiocchi (e le ha fatto perdere le sue preziosissime pere). Ma cosa avrà portato la piccola Mari dal "ok, Harvey caro, gli starò lontana" al "Mi ha detto che son stata brava, mi metto a piangere"? XD E, ancora, quale ruolo ha avuto in tutto questo Erwin, che sembra esserne più invischiato di quanto ci si possa immaginare? E che fine avrà fatto Harvey?

Vi lascio con queste domande e saluto!

Cià cià


Tada Nobukatsu-kun


Anticipazione:


"«Mi sono dimostrata degna! Ho superato tutte le prove a cui sono stata sottoposta, nonostante sia entrata in ritardo in addestramento, non può dire che non sono forte abbastanza!»

«Sei scoppiata a piangere per uno sgambetto» tagliò corto Levi, fulminandola.

«È... è stato un incidente! Non accadrà più glielo assicuro!» balbettò, completamente pervasa dall'imbarazzo. Era stata una vera stupida, se ne rendeva conto. Era andata nel panico per una scemenza, era veramente una vergogna, ma non era nemmeno giusto che quell'incidente andasse a rovinare tutto, facendo crollare ogni sorta di impegno, determinazione e sogni."


E una piccola child-Mari :3


MARI -> https://postimg.org/image/gz3n3ks5n/ <- MARI


   
 
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