05. Chapter Five
The
Storm.
Chapter
Five - "Be', tu puoi vederlo senza maglietta"
Il sole mi
picchiettava sul viso,
era ormai alto da un po' ma nonostante questo non avevo affatto voglia
di alzarmi, stavo così bene. Erano ore omai che ero sul
petto di
Justin e le sue mani non smettevano di accarezzarmi la schiena. Era
rilassante.
"Signorina Myers, sono
le sei.
Penso sia ora di tornare." sussurrò Justin. In tutta
risposta
grugnii e mi strinsi al suo petto, sentendolo ridere.
"E va bene." dissi
infine,
alzandomi e avviandomi verso la macchina seguita da Justin. Il sole era
abbastanza forte ed era bello vederlo risplendere nelle acque
cristalline di Los Angeles.
In poco tempo
arrivammo in macchina
e in un quarto d'ora a casa. Sperai vivamente che tutti stessero
dormendo, altrimenti non sarei riuscita a sopportare tutte le loro
domande. Ero stata via tutta la notte, papà si sarebbe
sicuramente arrabbiato.
"Vado a prendere un
paio di
cornetti al bar, tu vuoi qualcosa?" chiesi a Justin, attirando la sua
attenzione. Mi annuì e insieme entrammo al bar di fronte
casa,
faceva dei cornetti spettacolari. Era comodo averlo proprio di fronte,
così potevo scendere e comprarne quando non avevo voglia di
cucinare qualcosa per la colazione.
"Buongiorno."
salutammo io e Justin
all'unisono. Sonia, una signora abbastanza anziana che dirigeva il
locale, ci sorrise cordialmente. "Un tavolo per due."
continuò
Justin, lasciandomi perplessa. Mi sorrise per poi farmi un'occhiolino,
mentre Sonia ci portò ad un tavolino abbastanza appartato.
"Cosa desiderate?" ci
chiese, prendendo un blocchetto.
"Io un
caffé e un cornetto al cioccolato." disse subito Justin, per
poi incitarmi con capo a ordinare qualcosa.
"Un cornetto al
cioccolato bianco e
un caffé ginseng." Sonia annuì, per poi scappar
dietro al
bancone. Era davvero buffa, ma era anche tanto cara. "Come mai hai
voluto fare colazione qui?" chiesi a Justin, guardando l'ora sul
cellulare. Erano le sei e venti, se avremmo fatto presto sarei riuscita
a fare tutto.
"Perché
voglio stare ancora
con te." ammise serio, incrociai il mio sguardo al suo. Il nostro gioco
di sguardi era tanto intenso, così intenso che quasi non
riuscivo più a sorreggerlo. Mi morsi un labbro e abbassai lo
sguardo, sentendomi avvampare.
Come riusciva a farmi quell'effetto?
Fortunatamente,
Sonia arrivò
presto con le nostre ordinazioni. Presi il mio cornetto e cominciai a
mangiare lentamente, mentre continuavo a parlare con Justin. Mi piaceva
parlare con lui, mi metteva serenità. Forse in dieci o
quindici
minuti finimmo di mangiare e ci avviammo alla cassa. "Potresti darmi
anche due cornetti con la marmellata, due col cioccolato bianco e tre
al cioccolato, per favore?" chiesi a Sonia, prendendo il portafogli. Mi
sorrise a annuuì, per poi incartarmi tutti i cornetti.
"Sono dodici dollari."
feci per
aprire il borsellino, quando una banconota da venti andò a
finire direttamente sulle mani di Sonia. Guardai Justin dal basso
fulminandolo con lo sguardo. "Arrivederci ragazzi." ci
congedò e
sparì nel retro, mentre noi uscimmo.
"Volevo pagare io."
sbattei il piede a terra come una bambina, sentendo la sua dolce risata.
"La prossima volta,
piccola." mi
sorrise. "Ci vediamo dopo, okay?" annuii e mi baciò
dolcemente
la mano, per poi scomparire dietro la sua porta di casa. Scossi la
testa ed entrai in casa anch'io, sentendo stranamente silenzio. Be',
non erano nemmeno le sette.
Posai i cornetti sul
tavolo in
cucina e salii di sopra per cominciare a svegliare i bimbi. E per
bimbi, non intendevo solo i piccoli, ma sopratutto Ryley. Alle otto
doveva uscire e come minimo doveva aiutarmi a vestire i bamini.
Così entrai in camera sua, mi sedetti sul suo letto e gli
diedi un
dolce bacio sulla guancia destra. "Bell'addormentato, sono le sette."
mentii, e in un secondo scattò dal letto. Senza neanche
salutarmi corse in bagno a lavarsi, mentre io scoppiai a ridere. Uscii
dalla sua camera e cominciai a svegliara Alyssia e Breanna, le lavai e
le vestii velocemente. Dopodiché svegliai i gemellini mentre
Ryley pensò a Zack. Si svegliò anche
papà,
così che tutta la famiglia era al completo. O quasi.
Scendemmo
tutti in cucina. "Ho fame." si lamentò Alyssia, sedendosi a
tavola.
"Ho preso i cornetti."
sbarrò gli occhi e sorrise. Presi la tovaglia, del succo, il
latte, i biscotti e la frutta. Poggiai tutto sul tavolo.
"Non ti ho sentita
uscire." papà prese un cornetto al cioccolato.
"Io lo voglio alla
marmellata!" strillò Jhonny con la sua vocina acuta, sorrisi
e glielo presi.
"Allora vuol dire che
posso fare il ninja perché nessuno riesce a sentirmi."
ridacchiai, servendo tutti.
"Tu non mangi?" mi
chiese Breanna, addentando un cornetto. Scossi la testa.
"Ho già
mangiato." sospirai, sedendomi a tavola.
In poco tempo finirono
la
colazione. Il tempo di prendere gli zaini che arrivò il
pulmino
e tutti andarono via, compresi papà e Ryley. Anche se Ryley
sarebbe andato a lavoro nel pomeriggio, doveva uscire presto a fare
delle commissioni per poi andare direttamente a prendere tutti i
bambini a scuola.
Guardai l'orario e mi
tirai su le
maniche: erano le otto e avevo circa tre ore per finire tutto. Charly
sarebbe arrivata verso le otto e mezza per cui cominciai a sistemare la
cucina e, non appena finii tutto, sentii il campanello bussare. Charly
mi saltò addosso abbracciandomi, ma non mi stupii
più di
tanto: non per niente la chiamavo pazza.
"Come stai?" mi
chiese, salendo con
me al piano di sopra. "Hai due occhiaie enormi!" ridacchiò.
Aveva un sorriso bellissimo quella ragazza. Cominciò a
torturarsi una ciocca di capelli tra le dita mentre attendeva aprissi
lo stanzino dove avevamo tutti gli attrezzi per pulire. Lo faceva
sempre e metteva pressione anche a me.
"Devo raccontarti un
sacco di cose!" sbottai, entrando nello stanzino.
Io e Charly eravamo
molto amiche,
era un po' come la sorella che non avevo mai avuto. O meglio, avevo tre
sorelle, ma di certo con loro non potevo parlare di ragazzi o di tacchi
o di vetrine. Era la mia migliore amica e la ragazza migliore che io
abbia mai conosciuto. Aveva una famiglia divisa purtroppo, ma la mamma
si era risposata e lei era segretamente innamorata del suo
fratellastro. Una storia alla Cesaroni insomma, anche se Barry, il
fratellastro, non se la filava per nulla. Cosa stranissima,
perché era una ragazza molto attraente: i capelli biondi le
contornavano il viso leggermente allungato e poco paffuto, gli occhi
verdi erano in perfetto contrasto con la sua pelle chiara e le labbra
carnose erano desiderate da tutte noi povere umane. Il suo viso
era stupendo, il suo
corpo altrettanto. Non per niente aveva molti ragazzi che le correvano
dietro. Mentre io, mi sentivo come Pippi Calzelunghe e la sua
scimmietta. Forse più la scimmietta che Pippi.
"Quindi siete stati
fuori tutta la
notte? E poi chiami me pazza!" Charly scoppiò a ridere
scendendo
le scale, avevamo appena finito di pulire l'intero piano di sopra
così ci avviammo verso il soggiorno.
Feci spallucce. "Be',
non riuscivo
a dormire e non potevo non accettare l'invito di un ragazzo
così
attraente." ridacchiai, scatenando anche la sua risata.
In poco tempo finimmo
di pulire,
posammo tutti gli attrezzi nello stanzino e mi gettai sul letto. Il
sonno si impossessò immediatamente del mio corpo, avevo
passato
l'intera notte sveglia per cui era anche normale che volessi dormire. A
malavoglia, mi alzai dal letto. "Ti dispiace se faccio una doccia? Devo
svegliarmi un po'." Charly annuì prendendo il mio computer,
così io mi chiusi in bagno ed entrai nella doccia. Non
appena
l'acqua fredda si posò sui miei capelli, sussultai e
spalancai
gli occhi.
Okay, mi ero
svegliata.
Feci il prima
possibile la doccia,
dato che mancavano solo dieci minuti alle undici. Asciugai i capelli e
li lasciai mossi naturali, indossai l'intimo e tornai in camera. Non
sapevo cosa mettere, infondo sarei solo andata da mamma e poi a casa.
Per cui, optai per un semplice jenas scuro, una t-shirt bianca e una
giacca nera. C'era un po' di vento e non volevo ammalarmi, quando
prendevo la frebbre non avevo le forza di fare nulla e non potevo
proprio permettermelo in quel momento. Per finire, truccai leggermente
i miei occhi con una linea sottile di eyeliner, del mascara, un po' di
cipria e..pronta.
"Tu sei pronta?"
chiesi a Charly,
prendengo una borsa a tracolla nera. "Dove sono le chiavi?" cominciai a
girarmi intorno e a guardare ovunque, finché non le trovai
sulla
scrivania. Le raccolsi velocemente.
"Sei tu quella
moscia."
ridacchiò, passandomi il cellulare. Le feci la linguaccia e,
insieme, uscimmo di casa, per poi salire in moto alla mia Ducati.
Non vedevo la mamma
da, quanto? Una
settimana, una fottuta settimana. Con tutti gli impegni che avevo
riuscivo a vederla solo di sabato. Mi mancava tanto. Essendo un
chirurgo passavamo poco tempo con lei, ma quando poteva passavamo del
tempo davvero di qualità. Spesso mi aiutava in anatomia o in
scienze, infatti in quelle due materie cercavo sempre di avere il
massimo dei voti. Volevo farla felice, volevo renderla fiera di me.
Sopratutto in quel momento, volevo darle più motivi
possibili
per continuare a lottare contro quel mostro aka tumore.
Non appena entrammo
nel parcheggio
dell'ospedale mi sentii un qualcosa nello stomaco. Non mi piaceva
assolutamente quel posto, anche se mamma ci lavorava da dieci anni.
Vedevo troppe persone star male, troppe persone sui lettini. Chi
piangeva a causa della morte di un proprio caro, chi invece si
abbracciava
perché i medici avevano compiuto un miracolo.
L'istinto mi diceva
'esci, va via',
ma Charly fece tutt'altra cosa. Mi prese il polso e mi
trascinò
in ascensore, premendo con l'indice sul numero '8', ovvero in piano
dedicato ai malati di leucemia. Deglutii, passando affianco a dei
bambini, che avranno avuto si e no l'età dei gemellini,
eppure
già malati. Perché
devono soffrire già così
piccoli?
Charly
bussò al posto mio
alla porta della stanza di mamma. Un flebile 'avanti'
fuoriuscì
dalle sue labbra, così che entrammo.
Ed eccola
lì, in tutto quel
che si può definire splendore. Era stesa sul letto,
collegata a
dei macchinari attraverso dei tubicini. I capelli ormai avevano
abbandonato il suo corpo e i suoi occhi verdi erano
ormai spenti. Ma,
non appena ci vide, si riaccesero. Un sorriso comparse sul suo viso e
fece per parlare, quando la strinsi a me, cercando di non farla
soffocare.
"Ti aspettavo, bambina
mia."
sussurrò al mio orecchio, facendomi sorridere. Le baciai la
fronte dolcemente, per poi staccarmi. "Come stai?" continuò,
annuii.
"Piuttosto, tu come
stai?" le presi
la mano e mi sedetti sul suo letto, guardando attentamente i suoi
occhi. Il suo viso pallido e troppo dimagrito mi scrutava attentamente.
Infine abbassò lo sguardo.
"Sto bene."
rialzò lo
sguardo e mi sorrise, ma più che un sorriso di gioia era un
sorriso rammaricato. "Scusa, Charly." si girò verso la mia
amica. "Non ti ho proprio calcolata. Vieni a darmi un bacio."
La mia migliore amica
si
tuffò tra le sue braccia, proprio come avevo fatto io appena
arrivata. Avevano un bellissimo rapporto e mamma la considerava come la
sua quinta figlia femmina. Quando i genitori di Charly cominciarono a
litigare, Charly venne a dormire a casa nostra e mamma la trattava
veramente con amore con affetto. Si volevano bene ed ero felicissima di
quel rapporto tanto stretto. Almeno, non avevo problemi a far venire la
mia migliore amica a casa o a uscire con lei ogni qual volta volevo.
Sorrisi guardandole,
finché
non intavolammo una conversazione su quanto i ragazzi siano pigri e la
portammo avanti finché un'infermiera non ci disse che la
mamma
doveva mangiare e fare la chemioterapia. Così, dopo un'ora,
fui
costretta a lasciare quella donna che tanto amavo e a tornare in moto,
non prima ovviamente di averla abbracciata per bene.
"Mi manca
già." confessai, mettendo il casco. "Andiamo in pizzeria?"
continuai.
"Lo so." mi prese le
mani. "E sì!" mise anche lei in casco e montò in
sella dietro di me.
Partii verso il
centro, dove
saremmo andate nella nostra pizzeria preferita. Non solo faceva la
pizza migliore di Los Angeles, ma era anche il posto in cui ci
incontrammo per la prima volta. Era un localino piuttosto piccolo ma
molto luminoso. Sulla sinistra c'era un forno a legna grandissimo e la
postazione del pizzaiolo, sulla destra invece una decina di tavoli in
legno. Erano in pandan col soffitto e le travi, mentre il colore delle
pareti era rosso
antico. Caloroso ed accogliente.
"Buongiorno." entrai,
provocando il tintinnio di un campanello sulla porta.
"Buongiorno, posso
esservi utile?"
ci si avvicinò Paul, un ragazzo abbastanza alto e molto,
decisamente molto, carino. Peccato
che sia gay, pensai.
"Un tavolo per due."
sorrise di
rimando Charly, ammiccando come sempre. Paul ci accompagnò
cortesemente al tavolo, dandoci poi due menù.
"La pizza è
decisamente il
mio cibo preferto." esordì Charly, leggendo attentamente il
nedù. Ridacchiai tra me e me abbassandole in
menù.
"Fin quando la mangi
con le verdure
non c'è sfizio." mi fece la linguaccia come una bambina,
provocando un'altra mia risata.
"Si chiama mangiare in
modo
salutare. Tu piuttosto, dovresti smettere di ingozzarti di patatine."
ridusse gli occhi in una fessura, la copiai e cercai di mantenere una
sguardo serio fin quando Paul tossì, attirando la nostra
attenzione.
"Ahm, cosa posso
portarvi?" chiese, un po' impacciato.
"Una pizza con
patatine e
salsiccia." gli passai il menù con nonchalance, notando con
la
coda dell'occhio che Charly aveva appena alzato gli occhi al cielo.
"Io una pizza con
rucola,
pomodorini e grana." passò anche lei il menù a
Paul nello
stesso modo in cui lo feci io un secondo prima, per poi sorridermi
soddisfatta.
Scossi la testa,
consapevole che se
eravamo l'una più bambina dell'altra. Ma allo stesso tempo
consapevole, del fatto che le volevo bene così com'era e non
volevo cambiare nulla di lei. Nemmeno quella sua ossessione per il
rosa.
Era più di
un'ora che
eravamo sedute in pizzeria e ancora dovevamo finire le nostre pizze.
Alla fine avevamo deciso di fare a metà, così lei
avrebbe
assaggiato la pizza con le patatine che tanto odiava ed io quella con
le verdure che proprio non sopportavo. Ricredendomi
però,
perché effettivamente era buona.
Durante quell'ora
avevamo parlato
tantissimo di Justin, di quanto fosse carino e di quanto mi avesse
colpito. E di quanto c'ero rimasta male non avendo ricevuto nemmeno un
suo messaggio in sette ore. Sette. Non due, sette. Rebecca, non siete
nemmeno fidanzati.. sussurrava la vocina nella mia testa,
a cui avrei
dovuto dare un nome date le molteplici volte che interveniva. Olga,
Olga l'avrei chiama.
Be', Olga, hai ragione, ma si da il
caso che avevamo passato tutta la notte insieme sulla spiaggia e un
messaggio doveva essere il minimo. E invece no,
chissà dov'era e
chissà cosa stava facendo e con chi. Il solo pensiero di lui
assieme ad altre ragazze mi faceva rabbrividire, ma Olga aveva ragione.
Non eravamo fidanzati, non potevo rimanere male per ogni singola
scemenza.
"Vedrai che ti
scriverà." mi
rassicurò Charly, addentando una fetta di pizza con le
patatine.
"Almeno a te ha chiesto di uscire, io sono innamorata del mio
fratellastro." fece spallucce e continuò a masticare
lentamente, ovviamente, altrimenti non si saziava.
"Be', tu puoi vederlo
senza
maglietta." le feci l'occhiolino e alzò entrambe le
soppracciglia di rimando con un sorrisino malizioso, come potevo non
ridere?
"Tu puoi spiarlo dalla
finestra di camera tua." suggerì, annuii.
"E' più lui
che spia me."
sussurrai. "Ieri penso mi abbia visto in intimo." confessai,
deglutì velocemente e spalancò gli occhi.
"No."
sussurrò stupefatta.
"Oh sì, lo
sai che, abituata
a non avere nessuno, giravo comodamente in intimo con le tende
spalancate. Adesso il vero problema sarà in estate." mi
grattai
la nuca, per poi bere un sorso d'acqua.
"Andiamo a fare un
giro e poi a casa?" chiese Charly, con un sorrisetto malizioso sul
viso.
"Charly, Ryley non
è come
Barry, a lui piace stare vestito in casa." ridacchiai e mi avvicinai
alla casa cercando nella borsa il portafogli. Quel sabato toccava a me
pagare, avevamo deciso che una volta avrebbe pagato lei e una volta io.
Immediatamente
ricordai la mattina,
quando stavo per pagare ma Justin aveva fatto prima di me. Nonostante
non fossero poi così tanti soldi, era stato un gesto carino.
Quasi quanto lui. Ho detto quasi.
"Quant'è?"
chiesi, alzando
lo sguardo. Rimasi paralizzata, notanto due occhi color nocciola al
posto degli occhi verdi
di Paul.
"Sono sedici dollari."
rispose il
ragazzo di fronte a me, sorridendomi. Quasi in trans, presi una
banconota da venti e gliela porsi.
"E comunque, non ti ho
scritta solo
perché ho accompagnato i bambini a scuola e poi sono venuto
a
qui," ridacchiò tra sé e sé, per poi
porgermi il
resto. "Rebecca." continuò, quasi in un sussurro.
Okay,
Rebecca. Il rosso
ti dona, certo.
Ma
la grandissima figura del cavolo che hai appena fatto di fronte a
Justin supera di gran lunga il rossore sulle tue guance.
Zitta, Olga.
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Buonasera, o
dovrei dire buonanotte?
Tesori miei dolci, ciaoo!
Del tipo che questo capitolo è semplicemente di passaggio,
ma mi fa morì l'ultima frase AHAHAHAHAH.
Ma prima di tutto, come state? Tutto bene?
Io.. così e così, ma passiamo avanti.
Recentemente mi sta sfiorando l'idea di fare un libro, sapete?
Mi piacerebbe tanto realizzare questo mio sogno,
anche se sto cominciando a perdere un po' le speranze.
Be', nel frattempo continuo a scrivere.
Dopodiché, si vedrà.
Sono abbastanza stanca, per cui smetto di rompervi AHAHAH.
Mi aspetto un vostro parere,
tesori miei. Mi mancavo tantissimo i vostri commenti, sapete?
Grazie infinitamente per
avermi sopportata lol.
Al prossimo capitolo,
bellezze.
Much love.
-Sharon.
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