Arianrhod
si sentiva completamente fuori posto alla corte danese, come il
proverbiale pesce costretto a vivere fuori dall'acqua. Il viaggio dal
porto di Odense, e attraverso le vie della città, scortata
dalla sua
guardia personale, aveva arrecato un certo turbamento in Arianrhod.
Forse per l'ambiente sconosciuto nel quale avrebbe dovuto inserirsi,
forse per l'imminente incontro con l'unico membro della sua famiglia
che avesse mai conosciuto, onestamente non avrebbe saputo dirlo.
Odense, la capitale danese, era una grande città portuale,
abituata
a ricevere persone e navi provenienti da fuori. Nessuno
perciò aveva
fatto troppo caso alla piccola flotta che aveva attraccato quella
mattina presto nel porto. Le strade della città, anche man
mano che
si avvicinavo verso il suo centro, erano semi deserte. Non c'era
niente di strano, considerata l'ora tanto mattiniera, ma ad Arianrhod
trasmisero un irreale senso di gelo e di inospitalità,
soprattutto
perché tutti gli edifici e le strette strade acciottolate
erano
avvolti in una fitta bruma. Mentre cavalcava alla testa del corteo,
il duca Fjölnir
accanto a
lei le raccontò ciò che sapeva di suo zio Frode.
Le disse che
regnava da molto tempo, circa vent'anni, e che aveva quattro figli
maschi: il maggiore si chiamava Halfdan, come il precedente
usurpatore di Svezia, ed era erede al trono. Poi c'erano Arnvid e
Øybjorn,
ed il minore Hrolf,
un giovane di poco più di vent'anni. Il regno di Danimarca
era un
regno piccolo, ma molto prospero grazie soprattutto al commercio. La
sua posizione strategica di regno peninsulare favoriva i traffichi
commerciali con gli altri paesi.
Al
castello di Odense Arianrhod e la sua scorta furono ricevuti con
tutti gli onori. Furono informati che il re era momentaneamente
assente dalla corte, ma che avrebbe fatto ritorno l'indomani con i
suoi figli. Ad Arianrhod venne assegnata un'ancella personale e fu la
ragazza a mostrarle la camera dove avrebbe alloggiato. Quando
varcò
la porta la giovane regina sgranò gli occhi di fronte a
tutto quel
lusso. Un letto a baldacchino in legno, circondato da drappi di
stoffa di un rosso scuro, troneggiava nell'angolo, ricolmo di
così
tanti cuscini che Arianrhod si chiese a cosa servissero visto che lei
aveva solo una testa sul collo. Un grande camino, ancora spento,
decorava la parete opposta. C'era perfino un piccolo tavolino da
toeletta. Nell'insieme la stanza non era molto grande per i parametri
di una grande casa nobiliare, ma lo sembrava ad Arianrhod, la cui
stanza alla fattoria dei suoi genitori non arrivava ad essere la
metà
di quella.
“Se
permettete, mia signora, vi farei portare subito un bagno caldo e
delle vesti pulite”, interloquì l'ancella, rimasta
sulla porta in
attesa che Arianrhod le desse ordini “O se desiderate
altrimenti,
chiedetemi pure...”
Arianrhod
si voltò, quasi sorpresa: si era completamente dimenticata
della
presenza della ragazza, tanto era stata presa nell'ammirare quei
lussi così nuovi per lei.
“Sì,
certo, il bagno va benissimo... grazie.”
La
ragazza sorrise, poi chiamò un servitore perché
portasse tutto il
necessario e poi uscì lei stessa. Arianrhod si sedette
tentativamente sul letto, con cautela, come fosse qualcosa di
pericolo. Era morbidissimo, niente a che vedere con la scomoda
cuccetta che aveva avuto a disposizione durante il viaggio da Dubris.
Si
sdraiò, completamente conquistata da quella nuvola di
morbidezza,
quando l'ancella rientrò nella stanza portando qualche
ciocco di
legno, e lei si rimise a sedere di scatto.
“Vi
accendo il camino, mia signora”, spiegò la ragazza
con un sorriso,
notando che Arianrhod si limitava a fissarla senza chiedere nulla.
“Naturalmente”,
rispose lei.
“Ecco
fatto”, disse l'ancella dopo poco, sbattendo le mani per
spolverarle, soddisfatta. Le fiamme nel camino ora guizzavano
allegramente. “Farò portare altra legna dai
servitori, intanto
godetevi il vostro bagno” aggiunse mentre tre servitori
entravano
con una grande tinozza e alcuni secchi di acqua calda.
“Più
tardi vi aiuterò a vestirvi e a pettinare i
capelli.”
La
serva uscì, e non appena la vasca fu pronta, Arianrhod si
immerse.
Vi restò molto tempo, con gli occhi chiusi, i gomiti
poggiati sulle
sponde di legno della tinozza e i polpastrelli che sfioravano
l'acqua. Poi si mise la veste che la serva aveva lasciato sul letto e
si avvicinò al fuoco, che aveva cominciato a smorzarsi.
Cominciò ad
aggiungere ciocchi e a rimestare con il ferro da caminetto, come le
aveva insegnato a fare suo padre Eachann.
In
quel momento si udì bussare alla porta.
“Mia
signora”, la chiamò l'ancella. “Avete
finito? Posso entrare?”
“Vieni
pure!”, rispose Arianrhod.
Quando
la ragazza entrò e la trovò china sul caminetto,
intenta a
rimestare tra le braci e a soffiare per ravvivarle, con le mani
sporche di fuliggine, lanciò quasi un grido di costernazione.
“Mia
signora, no!” esclamò tentando di toglierle il
ferro dalle mani.
“Vi prego, lasciate fare a me. Non è un lavoro per
voi questo!”
“Non
preoccuparti, faccio da sola”, insistette Arianrhod, cercando
di
rassicurare la ragazza che sembrava sul punto di andare in
iperventilazione. “Me la so cavare da sola. Non sono abituata
a che
qualcuno svolga le mansioni al posto mio.”
“Mia
signora, devo insistere!”
“No,
io...”
“Vi
conviene lasciar fare a Gerda. Con lei non la si spunta.”
Arianrhod
e la cameriera lasciarono la presa sul ferro all'unisono e si
voltarono, stupite. Sulla porta stava una ragazza dai capelli rossi e
dal sorriso gentile. Dopo aver osservato la scena per meno di un
secondo, si fece avanti e si prodigò in un solenne inchino
davanti
ad un'attonita Arianrhod.
“E'
un piacere fare la vostra conoscenza, regina di Svezia.”
“Ed
io la vostra. Qual'e il vostro nome?”, chiese Arianrhod,
sgrullandosi le mani dalla cenere e cercando di recuperare un po' di
dignità di fronte a quella bella ragazza così
solenne e amichevole.
“Io
sono Ragnhild Sigeherdottir, figlia del nobile Sigeher di Stormare, e
protetta del re.”
Non
c'erano dubbi che la ragazza fosse proprio ciò chi aveva
detto di
essere. Indossava un abito lussuoso bordato di pelliccia, e i suoi
capelli ramati erano raccolti sul capo in un acconciatura di trecce
davvero elaborata. Al collo portava una collana d'oro ed anche ai
polsi portava bracciali d'oro.
“Io...
è un piacere fare la vostra conoscenza. Perdonatemi se mi
presento
in questo stato.”
“State
benissimo, non dovete preoccuparvi. Non ho molto da fare qui al
castello: se gradite un po' di compagnia mentre Gerda si occupa dei
vostri capelli potrei restare qui con voi.”
Arianrhod
accolse la proposta con entusiasmo. “Mi farebbe molto
piacere.
Essere circondata costantemente da soldati e cavalieri per settimane
e settimane, senza neppure una compagnia femminile, può
essere
davvero alienante!”
“Vi
capisco, sapete” sorrise Ragnhild. “Quando ero a
casa mia, a
Stormare, avevo molte amiche e godevo di molta più
libertà. Ma da
quando abito a corte le giornate sono lunghe e monotone. Ho pochi
amici qui, e soprattutto pochissime amiche in cui posso davvero
riporre fiducia.”
Ad
un invito di Gerda Arianrhod si sedette accanto al camino, sulla
sedia che la serva aveva predisposto per lei. Ragnhild prese a sua
volta una sedia e le si sedette accanto. Gerda cominciò a
spazzolarle i capelli, sfruttando il calore del fuoco perché
li
asciugasse, mentre le due ragazze continuavano la loro conversazione.
“Come
mai vi siete trasferita a corte?” chiese Arianrhod.
“Un
anno e mezzo fa mio padre morì, lasciando le sue terre al
mio
fratellino Rolf, che ha solo sette anni. Allora il re assunse la
nostra tutela, e la tutela delle nostre terre, finché mio
fratello
non avrà compiuto la maggiore età.”
“Dove
si trovano le vostre terre?”
“Molto
più a sud di qui, al confine con la terra dei franchi.
È una terra
meravigliosa, sapete? Il sole splende come in nessun altro posto. O
almeno non come a Odense, dove piove sempre e il cielo è
sempre
tetro e grigio.”
La
nostalgia che trapelava dalla voce di Ragnhild era evidente, e
Arianrhod provò empatia nei suoi confronti.
“Vi
capisco molto bene, Ragnhild. Sono stata portata via dal mio paese
quando avevo solo quattro anni, e quando ormai credevo di essermi
abituata alla Britannia, sono stata portata via anche da
lì.”
Ragnhild
annuì. “Conosco un po' la vostra vicenda. Qui a
corte non si è
parlato d'altro da quando è trapelata la voce che re Frode
aveva
ricevuto una missiva dal duca di Silverdalen. Sapevamo che eravate
ancora viva da qualche parte, ma neppure vostro zio era a conoscenza
del luogo in cui eravate tenuta nascosta e, dopo tutti questi anni,
aveva rinunciato a chiederselo.”
“Lo
immagino.”
“Avete
già fatto colazione?” chiese Ragnhild,
improvvisamente memore di
quel particolare. E quando Arianrhod scosse la testa si rivolse a
Gerda, ancora intenta nel suo compito.
“Gerda,
ti dispiace far portare un po' di pane, carne, formaggio e birra per
la regina di Svezia?”
“Subito,
mia signora”, rispose la ragazza con una frettolosa
riverenza,
prima di uscire quasi di corsa.
Ragnhild
la guardò andare via. “E' una brava ragazza,
Gerda”, commentò.
“Sempre gentile e sollecita, sapete?”
“Me
ne sono accorta”, commentò Arianrhod.
“Forse anche un tantino
troppo sollecita.”
“So
che non siete abituata a grandi corti come questa... almeno non
più.
Ma sapete, qui si aspettano che i nobili non alzino un dito, e vi
consiglio di lasciare perdere le incombenze domestiche se non volete
dare scandalo.”
“Vi
ringrazio del consiglio, lo terrò a mente. Avete ragione:
non sono
più abituata a questo modo di vivere, ma immagino che
dovrò
impegnarmi perché mi venga di nuovo naturale. Se lo
aspetteranno,
soprattutto se riuscirò a riconquistare il mio
trono.”
“E'
proprio questo che si aspettano da voi”, confermò
Ragnhild,
posando compitamente le mani in grembo, sulla bella tunica ricamata.
Poi aggiunse, esitando: “Volete raccontarmi quello che vi
è
accaduto? Se non comporta per voi troppa sofferenza.”
“No...”,
rispose lei, abbassando il capo, e allontanando una ciocca di capelli
dal viso. “Anzi, credo che mi faccia bene parlarne con
qualcuno.”
Alla
calda luce del fuoco, Arianrhod raccontò per la prima volta
tutto
ciò che le era capitato da quando la sua famiglia adottiva
era stata
uccisa, fino a quel momento. Ovviamente omise di raccontarle di
Gareth, classificandolo semplicemente come un amico. Sapeva che non
avrebbe potuto fare altrimenti, ma una parte di lei si sentì
in
colpa. Gareth già le mancava, ed essere separata da lui,
anche se
per poco tempo, la faceva soffrire come non aveva mai creduto
possibile. Se ripensava a come aveva sempre proclamato il suo totale
disinteresse per il sesso maschile, prima di conoscere lui...
“Avete
affrontato davvero giorni terribili”, commentò
Ragnhild con
dolcezza e comprensione. “Dovete essere davvero molto forte e
determinata per affrontare tutto questo da sola.”
“Oh,
ma non sono affatto sola”, sorrise Arianrhod.
In
quel momento Gerda fece la sua ricomparsa, con un vassoio ricolmo di
cibo tra le mani. Arianrhod mangiò di gusto, e nel frattempo
i suoi
capelli finirono di asciugarsi. Gerda glieli acconciò, poi
Ragnhild
le propose di fare una passeggiata per mostrarle il castello.
Arianrhod
accettò con entusiasmo: era tutto ancora così
nuovo per lei, e la
curiosità di conoscere quel mondo di cui era appena entrata
a far
parte era molto forte.
***
Arianrhod
non aveva mai visto un castello così grande, una dimora di
tale
sfarzo. I suoi corridoi erano tortuosi e interminabili, illuminati da
un'infinità di candele accese, un lusso quello che davvero
in pochi
potevano permettersi. Le sale più importanti erano arredate
con
bellissimi arazzi, massicci tavoli di legno con sedie dallo schienale
intagliato, e i pavimenti erano cosparsi di paglia fresca. Nonostante
tutto, il castello scavato nelle nuda pietra – in alcuni
punti del
muro ancora visibile - appariva comunque piuttosto freddo e scuro.
“E'
bellissimo qui”, commentò Arianrhod, sinceramente
ammirata.
“La
Danimarca è un regno ricco nel suo piccolo. Anche i nostri
castelli
a Stormare sono altrettanto belli, anche se non così
grandi.”
“Sai
dove sono stati alloggiati i miei uomini?” chiese Arianrhod,
mentre
continuavano a passeggiare. Il pensiero di Gareth era sempre forte.
“Il
duca e gli altri comandanti hanno degli alloggi privati. I cavalieri
saranno alloggiati nell'ala della guardia del castello. Invece i tuoi
alleati, il Piccolo Popolo, non hanno voluto entrare nel castello.
Tutta la corte ne parla, sai? Hanno preferito accamparsi fuori
Odense.”
Arianrhod
alzò le spalle. “Non mi stupisce, ho imparato a
conoscerli. Ma
capisco che agli occhi della corte possano apparire
eccentrici.”
“Se
non altro le chiacchiere hanno rotto la mia monotonia per qualche
ora”, ridacchiò Ragnhild, aprendo una porticina di
legno che si
era stagliata di fronte a loro, alla fine di uno stretto corridoio.
Arianrhod
si ritrovò sui bastioni, nel punto più alto del
castello,
circondata solo dal cielo azzurro.
“Volevo
farvi ammirare la vista”, spiegò Ragnhild, facendo
un gesto con la
mano verso il vuoto che si stagliava oltre la merlatura.
Arianrhod
si affacciò, e l'intera città di Odense le si
parò davanti agli
occhi. Il reticolato di strade che le era apparso così
labirintico
mentre lo percorreva si mostrò in tutta la sua
semplicità,
punteggiato da innumerevoli edifici, grandi e piccoli. Il porto
lontano delimitava la distesa azzurra del mare. La bruma si era
alzata a metà giornata, e il sole splendeva alto nel cielo.
Le grida
dei gabbiani giungevano penetranti alle sue orecchie, sebbene fossero
lontani.
“Un
bellissimo spettacolo, grazie per avermelo mostrato.”
“E'
un po' il mio rifugio questo”, disse Ragnhild. “Ci
vengo quando
le mura di questo castello mi sembrano davvero troppo strette e mi
manca la mia casa.”
“Sembrate
molto giovane”, disse Arianrhod. “Quando sarete
libera dalla
tutela del re?”
“Ho
diciassette anni, ma resterò sotto la tutela del re
finché non avrò
preso marito, e non so se vostro zio abbia fretta di
trovarmelo.”
A
quelle parole seguì un lungo momento di silenzio
imbarazzato, finché
Arianrhod decise di spezzarlo.
“Raccontatemi
qualcosa di mio zio e dei miei cugini. So che sono quattro
fratelli...”
“Sì,
il più grande, Halfdan, è l'erede al trono. Poi
ci sono Arnvid e
Øybjorn,
che amministrano
delle terre più a sud e non vivono a corte già da
qualche anno.”
“E
il più piccolo?”
“Hrolf...
bé lui non si è visto ancora assegnare nessun
titolo. Ma dovete
capire che in Danimarca un re con così tanti figli va
incontro a più
guai che se non ne avesse affatto. Il regno è piccolo, e
quattro
figli maschi sono tanti.”
“Sono
curiosa di incontrarli di persona.”
“E
lo farete presto: domani saranno qui.”
Nota
dell'Autrice: Macciao
a tutti!^^ Innanzitutto voglio ringraziare ancora una volta tutti voi
che seguite con grande interesse la storia, leggendo e/o
recensendo... siete fantastici! In questo capitolo abbiamo conosciuto
il personaggio di Ragnhild, che avrà una sua importanza nei
prossimi
capitoli. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto... nel
prossimo faremo la conoscenza della famiglia reale danese!
Alla
prossima
Eilan
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