Quando
le grandi porte della sala del trono si chiusero dietro di lei,
Arianrhod intrecciò le mani all'altezza dello stomaco, prese
un gran
respiro e, un piede dietro l'altro, avanzò lentamente e
dignitosamente verso la pedana che sorreggeva il trono di legno con
intarsi in oro, sul quale era seduto suo zio, il re Frode di
Danimarca.
Simile
ad un fedele prolungamento del suo corpo, al suo fianco, ma appena un
passo dietro di lei, era schierata l'intera delegazione svedese in
pompa magna: il duca, i due comandanti, alcuni altri ufficiali
–
tra cui Domaldr – e, su richiesta della regina, Gareth e Östen.
Tutti indossavano fieramente il mantello con il simbolo del drago,
mentre Arianrhod, in occasione di quell'importante incontro, era
passata per le mani di Gerda, che aveva realizzato per lei
un'elaborata acconciatura mettendoci tutta la sua passione e
abilità.
Un abito lussuoso e alcuni gioielli appartenuti a sua madre che le
aveva consegnato il duca completavano la sua figura. Arianrhod era
rimasta rapita quando aveva visto quella collana d'oro a forma di
mezzaluna e doveva trattenersi per non portare continuamente la mano
al collo per toccarla. Ma il valore materiale di quell'oggetto,
seppure altissimo, non poteva eguagliare per lei il suo valore
sentimentale. Era appartenuto a sua madre; aveva ornato il suo collo
un tempo: tanto le bastava per desiderare di non doverlo mai
togliere.
Sebbene
normalmente detestasse le frivolezze, mentre attraversava la sala del
trono circondata da un silenzio solenne, Arianrhod era felice di
essere abbigliata in quel modo. Ed era infinitamente grata alla
paziente Gerda per averle dedicato tanto tempo e tanta cura, e non
solo perché era obbligata, ma perché l'ancella ci
teneva davvero
che lei facesse bella figura. Quell'aspetto, in quell'occasione, la
proteggeva più di quanto avrebbe potuto fare una corazza in
battaglia. Come uno scudo invisibile l'avvolgeva ammantandola di
regalità, donandole nuova forza e coraggio.
Il
re non attese che lei e i suoi compagni giungessero fin sotto la
pedana e si inchinassero formalmente. Scese dal trono e andò
loro
incontro in mezzo alla sala, tendendo le braccia alla nipote con
cordialità.
“Nipote
mia”, esclamò abbracciandola. “Non sai
che gioia sia poterti
finalmente conoscere di persona. Lasciati guardare... sì,
assomigli
tutta alla mia povera sorella. Mi sembra quasi di poterla riavere con
me.”
Arianrhod
non poté fare a meno di notare la sincera commozione negli
occhi
dello zio, e si rilassò. Era stata talmente tesa per
quell'incontro
che quasi non aveva chiuso occhio. S'immaginava suo zio come un uomo
austero, distante e terribile. E invece era solo un uomo di mezza
età
che, nonostante la corona e gli abiti sontuosi, sapeva ancora
mostrare la sua umanità.
“Sire”,
disse con un piccolo inchino. “Vi ringrazio infinitamente di
avermi
accolto alla vostra corte. E sono davvero felice di poter finalmente
conoscere una parte della mia famiglia.”
“Allora
immagino che sarai altrettanto felice di fare la conoscenza dei tuoi
cugini”, proclamò facendo cenno di farsi avanti a
due ragazzi che
erano in attesa dietro di lui. Uno di loro, decisamente il maggiore,
aveva un bell'aspetto ed era alto, con un'espressione fiera e sicura
sul viso.
“Questo
è il mio primogenito Halfdan, l'erede del mio
regno.”
Il
principe e Arianrhod si scambiarono un inchino. “E' un
piacere
conoscervi, cara cugina”, le disse sfoderando un'affascinante
sorriso.
“Naturalmente”,
aggiunse re Frode gioviale, “con il senno di poi deploro di
aver
scelto questo infausto nome per mio figlio. Ma all'epoca come potevo
sapere che quel figlio di buona donna di Halfdan avrebbe usurpato il
trono di mia nipote?”
Arianrhod
scambiò un'occhiata perplessa con i suoi comandanti, prima
di
schiarirsi la voce e rispondere.
“Non
ve ne avrei fatto certo una colpa, sire”, disse con un
sorriso.
“Non
usare titoli con me, nipote. Sono tuo zio, per Odino! E pretendo che
tu mi chiami come avrebbe voluto la tua povera madre.”
“Molto
bene.. zio.”
“Ed
ora lascia che ti presenti il mio figlio minore, Hrolf. E' poco più grande di te.”
Il
re tese il braccio verso il secondo giovane, un ragazzo molto
più
minuto del fratello, magrolino, quasi curvo nello sforzo di non
alzare mai lo sguardo dal pavimento. Arianrhod pensò che
passasse
quasi inosservato e che, se non fosse stato il figlio del re, gli
abitanti del castello a malapena lo avrebbero notato. Hrolf non
sembrava per niente a suo agio quando suo padre lo spinse avanti e
lui dovette presentarsi. Nonostante le stesse di fronte continuava
ostinatamente a non guardarla negli occhi.
Arianrhod
si sforzò di non lasciar trapelare i suoi pensieri e sorrise
al
giovane principe, che bofonchiò la formula di presentazione
in
maniera quasi intellegibile.
“Mi
era stato detto che avete anche altri due figli...” disse
Arianrhod, rivolgendosi di nuovo al re. Il giovane Hrolf apparve
visibilmente sollevato di non essere più il centro
dell'attenzione
dei presenti.
“E'
così,”, confermò Frode, “ma
gli altri miei due figli vivono nel
sud del paese e vengono a corte raramente ormai.”
Poi
Arianrhod procedette a presentare il duca e gli altri suoi
accompagnatori e il re spese qualche parola per ognuno, tranne che
per il duca con cui conversò più a lungo,
chiedendogli ragguagli
sulla strategia e le future mosse della Guardia Bianca.
“Sire”,
disse infine il duca quando il re fu pago di domande. “Sapete
che
la regina è qui per chiedere il vostro aiuto. Abbiamo
bisogno di
sostegno militare perché lei possa riavere il trono che le
spetta
e...”
“Vi
prego, duca”, lo interruppe Frode gentilmente, “non
è ancora il
momento di parlare di questioni militari. Prima di tutto dobbiamo
festeggiare il ritorno in famiglia della nipote che credevo perduta
per sempre. Stasera indirò un grande banchetto e sarete
tutti i miei
ospiti d'onore.”
Il
duca Fjölnir
trattenne una
replica. Avrebbe dovuto necessariamente rimandare la questione ad un
altro momento.
I
giorni si susseguirono senza avvenimenti degni di nota. Re Frode
continuava a comportarsi cerimoniosamente verso i suoi ospiti
svedesi, e cordialmente con la nipote, ma sembrava non voler ancora
prendere una decisione riguardo la possibilità di impegnarsi
militarmente ed economicamente per appoggiarla. Il duca e i
comandanti spingevano per accelerare la sua decisione, ma il re
faceva orecchie da mercante. Aveva bisogno del suo tempo per
ponderare, e il suo tempo si sarebbe concesso.
Dopo
il primo banchetto ne aveva organizzato un altro; quindi aveva
organizzato una caccia a cui avevano preso parte anche Arianrhod e
Ragnhild, insieme agli uomini. Passando a cavallo per i boschi i
cacciatori si erano imbattuti nel luogo dove erano accampati i
guerrieri del Piccolo Popolo, che avevano però mantenuto le
distanze
da loro, con grande smacco della corte.
Arianrhod
aveva spiegato allo zio che non lo facevano per scortesia, ma
perché
tendevano a non fidarsi di coloro che chiamavano “la gente
alta”.
Il re si era dimostrato incuriosito e le aveva fatto molte domande su
di loro, e su come lei avesse fatto a diventare membro di quel popolo
che tanto diffidava di quelli come loro. Arianrhod aveva risposto
pazientemente a tutti i suoi interrogativi, ma quando lo zio le aveva
chiesto in cosa consistesse il rituale lei aveva risposto che era un
Mistero e che le era proibito parlarne.
Ragnhild,
che aveva ascoltato la conversazione, aspettò che il re si
distanziasse e poi accostò il cavallo a quello di Arianrhod.
“Davvero
hai dovuto superare un rituale per guadagnarti la fiducia di quella
strana gente?”, chiese sbalordita.
“E'
così” sorrise Arianrhod, “ma come hai
sentito non mi è permesso
parlarne.”
“Oh
lo capisco, non preoccuparti”, la rassicurò la
ragazza. “E' solo
che t'invidio: deve essere così eccitante essere fautrici
del
proprio destino. Qualcosa che temo non mi capiterà
mai.”
“Non
c'è niente che ti piaccia di questa corte, di questa nuova
vita?”
Ragnhild
esitò. “No... quasi niente.” Aveva lo
sguardo perso in un punto
lontano quando lo disse, e l'aria trasognata.
Nonostante
quell'episodio avvenuto durante la caccia, in cui Arianrhod era stata
certa che Ragnhild le nascondesse qualcosa, le due ragazze erano
diventate amiche. Era stato quasi naturale per loro che accadesse, in
quelle lunghe giornate di solitudine a corte, chiuse in un mondo che
voleva uomini e donne non sposati quasi sempre separati. Come poteva
andare da Gareth, o lui da lei, senza che qualcuno se ne accorgesse,
senza destare sospetti? Gli unici momenti in cui riusciva a vederlo
era quando andava ad esercitarsi insieme ai suoi cavalieri in
cortile, alla presenza del maestro d'armi del castello; quando
smetteva i lunghi abiti femminili ed indossava le comode braghe e gli
stivali di cuoio. Esercitarsi alla spada era sempre appagante per
lei, ed anche constatare che le sue capacità erano immutate.
Ed era
divertente sfidare Gareth o Östen
ad un finto duello. Quando accadeva tutti i cavalieri facevano
cerchio intorno a loro e tifavano per lei, e non solo per dovere, ma
perché credevano veramente in lei. Arianrhod lo comprendeva
dal
calore con cui la sostenevano: i suoi uomini avevano cominciato ad
ammirarla, a vedere in lei qualcuno da seguire. Questo la rendeva
immensamente felice. Era questo che speravi per me, padre?
Spero
di renderti ancora orgoglioso di me, pensava
in quei momenti. E naturalmente non c'era nessuno che credesse in lei
più di Östen
e Gareth. Gareth che la guardava con infinita dolcezza mista ad
orgoglio e desiderio quando lei vinceva. E lei si sentiva sciogliere
come ghiaccio al sole sotto quello sguardo.
Spesso
ad assistere alle esercitazioni veniva anche Ragnhild accompagnata
dal fratellino Rolf e, una volta, addirittura i due principi Halfdan
e Hrolf.
Fu
proprio quella volta che, in un momento di pausa, mentre si passava
il dorso della mano sulla fronte per asciugare il sudore, nella luce
accecante del mezzogiorno ad Arianrhod cadde lo sguardo sulla sua
amica, completamente rapita ad osservare un uomo in particolare e
dimentica perfino di suo fratello che le tirava la veste. Arianrhod
seguì la direzione del suo sguardo ammaliato e si
trovò a fissare
un inconsapevole principe Halfdan, che si ergeva in tutta la sua
prestanza fisica accanto al minuto ed insignificante fratello.
Arianrhod rimase a bocca aperta. Dunque era quello che le nascondeva
Ragnhild? L'unica cosa che le piacesse della sua nuova vita a corte
era il principe Halfdan? Arianrhod non faticava a crederlo possibile.
Il principe era certamente un bell'uomo, l'erede di un regno... tutte
qualità che dovevano far presa su un'ingenua fanciulla. Che
ne fosse
innamorata?
Più
tardi mise l'amica con le spalle al muro e le chiese senza mezzi
termini se fosse vero che era innamorata di qualcuno.
Ragnhild
non negò. Era troppo candida per farlo.
“Ti
ho vista guardare il principe oggi in cortile: è lui l'uomo
che
ami?”
Ragnhild
abbassò lo sguardo, vergognosa. “Oh Arianrhod...
è così”
ammise infine, torcendosi le mani. “Ma ti prego non dirlo a
nessuno! Suo padre non lo sa, e dubito che approverebbe.”
“Non
lo dirò a nessuno, stai tranquilla. Lui ricambia?”
“Giura
di amarmi. Ed io lo amo talmente tanto! Ma lui è un principe
e tutto
ciò che posso offrirgli io è la dote che il re
riterrà opportuno
fissare per me. Non andrò mai bene per suo figlio.
Cercherà una
principessa, una donna di sangue reale per lui.”
Ragnhild
aveva le lacrime agli occhi e Arianrhod l'abbracciò per
consolarla.
“Ascoltami”,
le disse. “Io non so quanto potrò fare. In questo
momento dipendo
dalla generosità del re forse più di te. Ma sono
sua nipote, e se
avrò solo una possibilità di mettere una buona
parola per te stai
sicura che lo farò.”
“Grazie,
sei così generosa”, mormorò Ragnhild
asciugandosi una lacrima che
le era scivolata sulla guancia. “Ed io che ti ho nascosto del
principe... potrai perdonarmi?”
“Non
hai niente da farti perdonare. Anch'io ti ho nascosto
qualcosa...”
“Che
cosa?”
“A
volte è più complicato amare un uomo qualunque di
un principe”,
sospirò, prima di raccontare per la prima volta a qualcuno
di lei e
Gareth, qualcuno che, era sicura, non l'avrebbe giudicata.
***
Una
densa nebbia fumosa permeava il locale, situato nella zona portuale
di Odensa, affollato di avventori che bevevano birra, giocavano ai
dadi e si urlavano addosso. Gareth riusciva a malapena ad afferrare
ciò che gli diceva Östen in quella confusione
infernale. In quel
momento non ricordava di chi fosse stata l'idea di fare un giro in
città, ma già deplorava di aver seguito i suoi
compagni. Al gruppo
di dieci cavalieri si era unito anche Domaldr, oltre a lui e
Östen.
Per fortuna il fratellastro non sembrava in vena di litigare quella
sera, impegnato com'era a scolare un birra dopo l'altra. Gareth
invece aveva appena toccato il suo primo e unico boccale, che giaceva
mezzo vuoto e dimenticato sul tavolo di fronte a lui. Vi
passò
distrattamente il dito sul bordo, mentre ascoltava Östen
ripetergli
per l'ennesima volta che avrebbe fatto meglio a svagarsi. E in
effetti dopo i continui inviti dei suoi compagni Gareth
riuscì a
lasciarsi andare, bevendo e giocando a dadi con loro. A metà
serata
birra annacquata dell'oste e il calore della taverna satura di
persone erano riusciti a compiere un miracolo sul suo umore: per una
volta riuscì a non pensare ad Arianrhod e al tormento che
questo gli
procurava. Forse dopotutto non era stata una cattiva idea mettere
piede in quella taverna. I brindisi e le chiacchiere duravano
già da
un po' quando al loro gruppo si avvicinarono alcune prostitute in
cerca di clienti. Mettendo in mostra le generose scollature un paio
di loro abbordarono alcuni dei cavalieri, che si dimostrarono subito
interessati, rispondendo alle audaci attenzioni delle donne. Una
terza invece puntò Gareth, avvicinandosi a lui con fare
provocante e
cominciando ad accarezzargli il petto e il viso.
“E
tu, bello?” gli disse sbattendogli il seno in faccia.
“Non vuoi
venire con me?”
Gareth
l'allontanò da sé senza riguardi.
“No
grazie” rispose con un sorrisetto, sollevando il boccale
nella sua
direzione. “Mi dispiace, ma non sono interessato a quello che
hai
da offrirmi.”
“E
perché?” protestò la prostituta,
mettendo le mani sui fianchi.
“Che c'è, hai già una donna? Non
preoccuparti, non sono gelosa!”
Concluse con una risata sguaiata.
Si
fece di nuovo sotto e Gareth l'allontanò di nuovo da
sé. I compagni
osservavano divertiti la scena e uno di loro gli gridò:
“Ma allora
hai già una donna Gareth! E chi è?”
“Dai
diccelo, dicci chi è!” rincarò un
altro, ridendo dell'imbarazzo
del cavaliere.
I
compagni continuarono a stuzzicarlo finché una voce
improvvisa si
levò dal gruppo. Strusciando rumorosamente lo sgabello sul
pavimento, Domaldr si alzò, ormai ubriaco.
“Ma
certo che ce l'ha!”, gridò nella direzione del
fratello, con
ancora il boccale mezzo pieno in mano. Il giovane era malfermo sulle
proprie gambe e la birra continuava a traboccare da una parte e
dall'altra.
Tutti
i cavalieri si voltarono a guardarlo, interessati e divertiti.
Östen
invece lanciò uno sguardo preoccupato a Gareth.
“E
noi sappiamo chi è, non è vero?”,
rincarò Domaldr guardandosi
attorno.
Gareth
era sbiancato e aveva le labbra serrate.
Fece
un passo nella direzione del fratello. “Domaldr, sei ubriaco.
Straparli”, gli disse tentando di farlo sedere di nuovo, ma
lui
oppose resistenza.
“Lasciami!”
protestò, biascicando le parole. “So badare a me
stesso!”
“Tu
non sai quello che dici!”
“So
esattamente quello che dico!” gridò Domaldr
puntandogli contro un
dito.
Poi
si rivolse di nuovo al suo pubblico in attesa. “Parlo di lei,
cari
signori. Non avete capito di chi? Ma della regina,
naturalmente!”
Il
silenzio calò di botto sulle facce sbalordite di tutti i
cavalieri,
che fissavano invariabilmente i due fratelli.
Improvvisamente
Gareth prese il fratello, più basso di lui, per la
collottola,
sollevandolo fino a guardarlo negli occhi. Il suo sguardo mandava
scintille.
“Rimangiati
quello che hai detto”, gli disse in tono basso e minaccioso.
Domaldr
sogghignò, e disse in un sussurro, perché nessun
altro lo sentisse:
“Anche se noi due sappiamo che è la
verità?”
Gareth
sentì che se qualcuno non lo avesse fermato, sarebbe stato
capace di
picchiare il fratello. E come se lo avesse chiamato, sentì
le mani
di Östen sulle spalle.
“Mettilo
giù, Gareth”, gli disse l'amico con calma.
“Non ne vale la
pena.”
Gareth
trasse un respiro profondo, poi, lentamente, lasciò la presa
su
Domaldr, che crollò sullo sgabello come uno straccio.
Gareth
lanciò un ultimo sguardo distratto alle facce attonite dei
presenti,
poi spalancò la porta della taverna e uscì fuori
nell'umidità del
porto.
“Non
te la prendere!”, gli gridò dietro Östen
raggiungendolo in due
falcate. “Domaldr era ubriaco, se ne sono accorti tutti.
Nessuno
può averlo preso sul serio.”
“Può
darsi”, concesse Gareth, dopo un momento di silenzio.
“Ma chi può
dirlo?”
“Tuo
fratello è geloso di te, non lo capisci? Direbbe qualsiasi
cosa che
ti possa danneggiare.”
“Ma
aveva ragione lui. Questa volta ha detto solo la pura
verità.”
“E
allora che intendi fare?” chiese Östen esasperato.
“Non
lo so ancora. Ma devo trovare un modo per risolvere questa
situazione.”
Angolo
Autrice: Eccoci
qui! Come avete letto re Frode ancora tiene il piede in due scarpe e
temporeggia, ma presto prenderà una decisione. Le cose si
complicano
un po' per tutti, sentimentalmente parlando, e Domaldr si fa sempre
più geloso e fastidioso. Nel prossimo capitolo la situazione
di
stallo arriverà a una svolta... e niente, spero che il
capitolo vi
sia piaciuto!^^
Alla
prossima
Eilan
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