Ragnhild
conosceva Arianrhod da poche settimane, ma il fatto di aver trascorso
quasi tutto il suo tempo libero con lei le aveva avvicinate
moltissimo. In lei la giovane danese aveva trovato una vera amica,
una persona di spessore, non banale come tante dame che popolavano la
corte di re Frode. A lei era riuscita a confidare il suo più
grande
segreto, il cruccio che aveva nascosto a tutti. Ed anche Arianrhod
aveva dimostrato di fidarsi di lei rivelandole il sentimento che
univa lei e il giovane cavaliere, Gareth.
In
un certo senso era una coincidenza curiosa che entrambe soffrissero
per un motivo simile, per un amore che difficilmente allo stato
attuale delle cose avrebbe potuto realizzarsi. Il motivo era lo
stesso, anche se i ruoli erano ribaltati: Gareth era di rango troppo
basso per Arianrhod ed era Ragnhild invece ad esserlo per il
principe. C'era un tacito accordo tra di loro di non parlare
più di
questo doloroso argomento. E in effetti dalla prima volta in cui si
erano confidate a vicenda non ne avevano più parlato,
né avevano
posto domande spinose. C'erano segreti che era meglio non
approfondire. Tutto questo però le aveva unite ancora di
più, le
aveva rese sorelle in un comune destino.
Da
quella mattina Arianrhod però non si trovava da nessuna
parte e non
era da lei quel comportamento. Ragnhild l'aveva aspettata
trascorrendo la mattinata a cardare e filare la lana con le altre
dame, ma con la mente e lo sguardo sempre rivolti alla porta
nell'attesa che lei le raggiungesse. Arianrhod era già
piuttosto
abile in quelle mansioni, che erano state per lei pane quotidiano
alla fattoria dei suoi genitori adottivi. Sapeva anche utilizzare il
telaio per cucire gli abiti, ma era totalmente ignorante sul ricamo,
un'attività di solito riservata alle classi nobili che
potevano
permettersi di perdere tempo in simili frivolezze. Ragnhild aveva
cercato di insegnarle e Arianrhod si era docilmente applicata,
ascoltando gli entusiastici consigli dell'amica. Ma continuava a
ritenere il ricamo un'assurda futilità, completamente fuori
dalle
sue corde.
Comunque
fosse, quella mattina e fino al primo pomeriggio non si era fatta
vedere e Ragnhild aveva trascorso il tempo aspettandola e sorbendo di
malavoglia lo stupido chiacchiericcio e i pettegolezzi delle altre
donne.
Appena
era riuscita a liberarsi era andata ad assistere alla lezione d'armi,
sperando che Arianrhod si trovasse lì. Combattere era
un'attività
che la appassionava infinitamente più di qualsiasi lavoro
femminile.
Gli uomini della Guardia Bianca erano lì e c'erano anche
Gareth ed
il suo amico Östen,
ma
Arianrhod non si trovava da nessuna parte. Ragnhild lanciò
un'occhiata distratta al bel cavaliere che aveva rubato il cuore
della sua amica e notò che, diversamente dal solito,
sembrava avere
un'espressione tesa e preoccupata. Era pallido, la bocca tirata e lo
sguardo distratto.
Ragnhild
decise di avvicinarsi a lui, sperando che almeno lui potesse dirle
dove si trovava Arianrhod.
“Cavaliere”,
lo chiamò con voce timida.
Gareth
sobbalzò. Sembrava seriamente teso, pensò
Ragnhild. Abbassò lo
sguardo sulla piccola figura femminile che gli era apparsa al fianco
e fece un sorriso forzato.
“Oh
siete voi, signora” disse, passandosi una mano fra i capelli.
Ragnhild si chiese se non avesse sperato di vedere qualcun altra in
realtà. “Ditemi, in cosa posso esservi
utile?”
Anche
Östen,
che si trovava al
fianco dell'amico, rivolse l'attenzione a lei. Ragnhild si
sentì
intimidita: non era nel suo carattere riuscire a parlare in modo
diretto alla presenza di altre persone, soprattutto uomini.
“Mi
chiedevo se oggi aveste visto la vostra regina, cavalieri...
stamattina non è venuta nelle stanze delle donne.”
Un
lampo di allarme passò negli occhi grigi di Gareth.
Aggrottò le
sopracciglia ed era sul punto di dire qualcosa, quando Östen
gli mise una mano sulla spalla e lo guardò brevemente prima
di
prendere la parola.
“Avete
già controllato nella sua stanza mia signora? Può
darsi che non si
senta bene oggi e abbia deciso di rimanere lì.”
Ragnhild
annuì, poco convinta. Tuttavia non le costava nulla seguire
il
suggerimento, quindi si congedò dai due uomini e si diresse
verso la
stanza di Arianrhod.
Durante
il tragitto rifletté che Gareth sembrava molto turbato per
qualcosa,
e a disagio ogni volta che Arianrhod veniva nominata. Essendo al
corrente di ciò che c'era tra di loro Ragnhild poteva
comprenderne
facilmente la ragione. Ma perché quella preoccupazione, quel
turbamento nel suo sguardo? Quando Östen
era intervenuto le era quasi sembrato che tentasse di proteggere
l'amico, prendendo le redini di una conversazione in cui lui avrebbe
potuto fare o dire qualcosa di avventato, o magari preoccuparsi per
niente.
Quando
aprì la porta della sua stanza, pochi minuti dopo, Ragnhild
scoprì
con disappunto che Arianrhod non c'era. Il suo letto era stato
rifatto e Gerda stava finendo di rassettare la stanza. Quando
udì la
porta girare sui cardini, la ragazza si voltò.
“Posso
fare qualcosa per aiutarvi, lady Ragnhild?” chiese alla nuova
arrivata.
“Stavo
cercando la principessa, Gerda. Non è qui?”
L'ancella
la guardò confusa.
“No...
è uscita stamattina presto, a cavallo.”
“Da
sola? Ma è pericoloso! Non dovrebbe andarsene da sola per i
boschi
in questo modo”, esclamò Ragnhild preoccupata.
“Se
posso essere schietta, milady”, cominciò Gerda,
“questa mattina
la principessa mi è sembrata molto turbata. Sono preoccupata
per
lei.”
“Sai
perché fosse turbata?”
“Non
lo so, ma spero che torni presto. Non sono tranquilla a saperla
lì
fuori, da sola.”
“Neanch'io”,
disse Ragnhild, più a se stessa che a Gerda.
Guardò fuori dalla
stretta finestra della stanza: si era alzato il vento, che scuoteva
con forza le cime degli alberi lungo il suo cammino.
***
Arianrhod
si strinse nel mantello mentre cavalcava, perché il vento
che aveva
cominciato a soffiare forte le si opponeva con prepotenza. Raggiunse
il bosco che cresceva alle spalle della città, dove era
andata a
caccia con suo zio subito dopo il suo arrivo in Danimarca. L'estate
era ancora al suo apice e le temperature non erano fredde, ma il
vento si stava rivelando davvero fastidioso. Il suo cavallo non lo
gradiva, e glielo faceva capire scartando continuamente,
finché
Arinarhod decise di scendere e condurlo per le briglie. Il bosco
intorno a lei era deserto, solo i piccoli animali che lo abitavano
erano testimoni del suo passaggio. Alzando lo sguardo vide due
scoiattoli dalle sfumature rossastre e dalla lunga coda arcuata
inseguirsi su di un ramo, e alcuni uccelli stagliarsi contro
l'intenso azzurro del cielo.
Solo
il tonfo sordo degli zoccoli del cavallo sul terreno e l'ululato del
vento spezzavano il silenzio e la solitudine che la circondava.
Sapeva che non avrebbe dovuto lasciare il castello da sola, che era
rischioso e avventato. Ma aveva bisogno di stare sola, di uscire da
quelle quattro mura per riflettere sulla decisione più
difficile che
avesse mai dovuto prendere in vita sua.
Era
trascorsa solo una notte da quando aveva rivelato a Gareth
ciò che
non avrebbe mai voluto dirgli. In cuor suo aveva temuto la sua
reazione fin da quando aveva capito di essere incinta. Sapeva che la
notizia avrebbe avuto conseguenze serie.
Appena
gli aveva annunciato il suo stato Gareth aveva dovuto sedersi, per
non rischiare di crollare. Era rimasto senza parole per parecchio,
con il viso nascosto tra le mani.
Lei
gli si era inginocchiata davanti per guardarlo in viso. Quando aveva
percepito la sua presenza accanto a sé lui l'aveva
abbracciata
stretta, nascondendo il viso nella fragranza della sua chioma.
“Perdonami”,
le aveva detto. “Non avrei mai dovuto farti questo. Se
potessi
tornare indietro, io...”
“Cosa
avresti fatto, allora?” lo aveva sfidato Arianrhod. E prima
che lui
potesse replicare aveva aggiunto. “Non è colpa
tua, Gareth... e
non mi pento di quello che c'è stato tra noi.”
“E'
solo colpa mia invece, avrei dovuto stare più attento. Non
avrei mai
voluto che fossi tu a portare il fardello dei miei errori.”
“Cosa
facciamo adesso?” aveva chiesto Arianrhod con voce tremante.
Il
loro bambino era dunque un errore per lui?
“Se
prima avevamo poca scelta direi che ora non l'abbiamo per
niente.”
“Intendi
dire che...?”
“Da
quanto aspetti?”
“Non
lo so con esattezza”, mormorò Arianrhod.
“Poche settimane...”
“Abbiamo
ancora tempo. Devi sposare Hrolf il prima possibile.”
“Dovrei
fargli credere che il bambino sia suo? È il tuo bambino,
Gareth!”
Seppe
di averlo colpito, perché la sua espressione si
trasfigurò di
dolore.
“Non
abbiamo altra scelta, Arianrhod. Se si viene a sapere non potrai
più
sposarlo, non avrai l'appoggio di tuo zio.”
Aveva
ragione. Aveva dannatamente ragione. Fallo per me, le
aveva detto. Arianrhod provò un moto di invidia. Come
riusciva ad
essere così altruista, a pensare solo al suo bene? Riusciva
a
spingerla a sposare un altro solo perché era la scelta
migliore per
lei, anche se significava che avrebbe dovuto rinunciare per sempre a
lei e al loro bambino. Arianrhod non credeva di possedere altrettanta
forza d'animo.
Completamente
assorta nel rievocare la cruciale conversazione della sera prima, la
ragazza si spinse più in fondo nel bosco, seguendo un largo
sentiero, senza quasi rendersene conto. Il paesaggio intorno a lei
sembrava immutabile, un infinito tappeto di foglie secche orlato da
alberi carichi di fogliame che stormiva al vento.
Un
rumore improvviso la ridestò dai suoi pensieri, facendola
trasalire.
Agendo di istinto e con la prontezza dei suoi riflessi, Arianrhod
sguainò la spada degli Yngling che portava al fianco,
puntandola
nella direzione dalla quale proveniva il rumore.
“Chi
è là?” chiese ad alta voce.
Dal
folto dei cespugli uscì una figura nota. Morcant, il capo
del
contingente del Piccolo Popolo, seminudo e armato di lancia.
“Ah
sei tu!” esclamò Arianrhod sollevata, rinfoderando
la spada.
“I
miei esploratori avevano ragione dunque”, disse Morcant.
“Sei
proprio tu che ti aggiri per la foresta. Cosa ci fai qui tutta sola,
anam-madhad?”
Anima
di lupo. Così
l'avevano ribattezzata i suoi nuovi fratelli quando avevano saputo
come era sopravvissuta ai lupi durante la sua iniziazione, e
Arianrhod si era ormai abituata a quell'appellativo.
“Avevo
bisogno di allontanarmi dalla corte per un po'”, rispose al
piccolo
uomo.
“Vedo
che hai dei pensieri, pensieri che ti turbano... vuoi
parlarmene?”
“Ti
ringrazio, ma è qualcosa che riguarda solo me.”
Morcant
annuì sorridendo, per niente offeso dalle sue parole.
“Ti
dispiace se ti accompagno nella tua passeggiata allora? Ho il dovere
di proteggerti, e questi boschi possono essere pericolosi.”
Arianrhod
intuiva che quella era solo una scusa. Morcant sapeva molto bene che
lei era in grado di cavarsela da sola con i pericoli del bosco. Non
l'avrebbero mai sottoposta a quella prova così rischiosa
altrimenti.
Camminarono
per un po' in silenzio. Morcant sembrava del tutto a suo agio nel
bosco; apparteneva ad esso come un albero o un orso.
“Ti
sei comportata come un grande comandante dovrebbe fare, durante il
consiglio. Siamo molto fieri della nostra sorella di sangue”,
disse
ad un certo punto il guerriero. Arianrhod, confusa, impiegò
qualche
secondo a capire che si riferiva all'episodio in cui aveva affermato
il proprio ruolo, di fronte a tutti i suoi generali, colpevoli di non
averla messa a parte del viaggio verso la Danimarca.
“La
forza ci viene dalla saggezza”, continuò Morcant
senza attendere
una replica. “La saggezza ci viene dal comprendere quando
è il
momento di agire, e sopratutto come agire.”
“Vedi
quel ramo?” disse indicando un ramo basso. “E'
secco ed è ideale
per costruire una lancia come la mia. Sarebbe semplice staccarlo dal
suo tronco, ma è anche semplice commettere errori. Se
applichiamo
troppa forza, il ramo si spezzerà a metà e
sarà inutilizzabile; al
contrario, se ne applichiamo poca non otterremo niente. Il ramo
resterà lì dov'è e niente
cambierà.”
“Non
credo di capire cosa intendi, Morcant”, confessò
malvolentieri
Arianrhod.
“Forse
non lo comprendi ora, anam-madhad, ma
questo è normale. Ricordati che se cerchi qualcosa che non
vuoi
trovare, questo finirà per trovare te. Se ti sforzi di
cercare
qualcosa che vuoi con tutte le tue forze è il momento in cui
non la
troverai.”
Arianrhod
era sempre più confusa. Sapeva che quello era il modo di
esprimersi
del Piccolo Popolo, il modo in cui coloro che vi appartenevano
trasmettevano la loro saggezza alle nuove generazioni, ma forse lei
era parte della loro tribù da troppo poco tempo per poterne
comprendere il linguaggio. Comunque Morcant le aveva dato qualcosa su
cui riflettere, anche se al momento le sue parole era oscure per lei.
“Io..
credo di dover tornare al castello ora, Morcant. Mi sono allontanata
fin troppo e cominceranno a cercarmi.”
“Ti
lascio ai tuoi pensieri. Se hai bisogno di noi sai dove
trovarci.”
“Vi
manca qualcosa all'accampamento? Avete bisogno di provviste o
altro?”, gli gridò dietro Arianrhod, mentre l'uomo
già si
allontanava. Dopotutto era lei la loro comandante ed era responsabile
del loro benessere, come di quello di ogni altro soldato o cavaliere.
“Abbiamo
tutto quello che ci serve, grazie anam-madha. Il
bosco è la nostra casa e gli alberi nostri
fratelli”, rispose
l'uomo prima di sparire alla vista.
Arianrhod
rimontò a cavallo. Il vento era calato e il sole del
pomeriggio
proiettava una luce più tenue. Procedendo piano, al passo,
si
diresse in direzione di Odense.
Si
toccò il ventre, lì dove stava crescendo quella
nuova vita, ancora
così fragile e indifesa. Quel gesto la fece pensare ad Enid,
e al
fatto che ora lei si trovava nella stessa condizione dell'amica.
Ormai doveva essere vicina al parto, forse mancava meno di un mese.
All'improvviso
il suo cavallo si impennò sulle zampe posteriori, lanciando
un
nitrito. In mezzo al sentiero era comparso un lupo, come sbucato dal
nulla. Arianrhod calmò il cavallo con delle pacche sul collo
e
qualche parola in tono rassicurante. Il cuore le batteva forte nel
petto, ma non per la paura. Quel lupo era molto simile a quello che
lei aveva risparmiato durante la sua prova, ma non poteva certo
essere lo stesso.
L'animale
la guardava negli occhi senza paura, ma non fece il gesto di
attaccarla.
Forse
non ora, ma presto comprenderai aman-madhad, le
aveva detto Morcant.
Arianrhod
sostenne lo sguardo del lupo finché questi non riprese il
suo
cammino, senza cercare di farle del male né di avvicinarsi a
lei.
I
suoi pensieri erano confusi, mentre cavalcava verso il castello, e le
parole di Morcant ancora enigmatiche. Ma Arianrhod aveva preso la sua
decisione.
***
Dopo
aver lasciato il cavallo agli stallieri andò dritta allo
studio
privato del re. Avrebbe parlato con lui e con nessun altro della sua
decisione. Non voleva nessun intermediario che parlasse per lei
questa volta.
“Nipote!”
esclamò sorpreso Frode, trovandosela di fronte senza
preavviso. “Non
ti aspettavo. Vieni, siediti qui.”
“Ti
ringrazio zio, ma preferisco restare in piedi. Non ci
metterò molto
a dirti quello che devo.”
“Come
vuoi allora, mia cara. Sai che qualsiasi cosa posso fare per te, non
hai che da chiederlo.”
Arianrhod
prese un respiro profondo. “La prima cosa che voglio
chiederti non
è per me, ma per una cara amica.”
“La
conosco?” chiese il re con sguardo perplesso.
“Sì
è la tua pupilla, Ragnhild di Stormare. Vorrei chiederti di
prendere
in considerazione il suo fidanzamento con tuo figlio, il principe
Halfdan.”
Frode
strabuzzò gli occhi dalla sorpresa.
“M-mio
figlio?”
“Proprio
così. I due giovani nutrono forti sentimenti l'uno per
l'altra.”
“E'
strano. Mio figlio non mi ha mai detto niente al riguardo. Eppure lui
non è certo il tipo d'uomo che ha paura di dirmi qualcosa in
faccia.”
“Forse
non lo ha fatto perché pensava che non avresti accettato la
loro
unione...”
“In
effetti vorrei proprio sapere perché dovrei accettare un
simile
legame. Non mi sembra che vada a particolare vantaggio di mio
figlio.”
Arianrhod
sospirò. Si aspettava una simile obiezione da parte del
sovrano. Ma
lei sapeva cosa doveva fare.
“Dovrai
farlo se vuoi che io accetti di mettere Hrolf sul trono di mio padre.
Questa è la condizione che pongo al nostro patto, e ti
avverto: è
inderogabile.”
Frode
parve prima indignato dall'audacia della nipote, ma dopo qualche
secondo scoppiò fragorosamente a ridere.
“E'
così, dunque. Dovevo aspettarmelo. Non sei certo una
sprovveduta,
cara nipote. Lasciami dire che sei la degna erede della tua stirpe e
che chiunque pensi di poterti mettere nel sacco tanto facilmente
resterà deluso.”
“Confido
che tu non lo pensassi, caro zio”, disse Arianrhod con un
sorriso
ironico.
“Mai!
Sul mio onore”, dichiarò il re, portandosi una
mano al petto ed
alzando l'altra in un gesto solenne.
“E
così sia, allora. Tu sposerai mio figlio minore e, se
è quello che
davvero Halfdan vuole così ardentemente, sposerà
Ragnhild.”
“Abbiamo
un accordo, dunque?” chiese Arianrhod tendendogli la mano.
“Lo
abbiamo”, rispose il sovrano stringendogliela.
Nota
dell'autrice: Ciao
a tutti carissimi! Ecco il nuovo capitolo, in cui vengono prese
alcune decisioni importanti. Arianrhod è riuscita ad essere
altruista, proprio come lo è stato Gareth nello spingerla
tra le
braccia di Hrolf. Avrà fatto bene? Che ne pensate? Spero che
il
capitolo vi sia piaciuto!
Alla
prossima,
Eilan
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