4. Il disordine infernale
Ancora
una volta sentimmo lo stesso rumore lancinante provenire dall'arcata
dell'occhio di Sirio. Dante mi incitò "ragazzo ora dobbiamo
davvero andare! Le sentinelle stanno per tornare", ed io spaventato gli
chiesi
"come sono arrivate fin qui?","ci hanno inseguito, è ovvio!!
Siamo stati gli unici che abbiamo incrociato il loro cammino" rispose
il poeta.
Dopo un trambusto lancinante, le sentinelle sbucarono un'altra volta
dall'arcata,
così noi tempestivamente fuggimmo verso la porta infernale e
la
varcammo. Ci trovammo in un tunnel fatto di pietra che seguiva la forma
ad arco dell'ingresso dell'inferno, mentre le sentinelle erano alle
nostre spalle che ci inseguivano muovendosi agevolmente nell'aria. Io e
il poeta corremmo più forte che potevamo ma le sentinelle ci
stavano alle calcagne, così decisi di estrarre ancora una
volta
la mia rosa di spine, come fece il poeta prima di me. Non appena tesi
il braccio per mostrare la rosa, le sentinelle si fermarono impaurite,
quindi noi continuammo a proseguire momentaneamente indisturbati.
Riuscivo a vedere davanti a me un altro arco da cui proveniva una luce,
che probabilmente dava fine a quel lungo corridoio. Non appena varcai
velocemente l'uscita, Dante con forza mi tirò a
sè, e mi
disse "Ragazzo stai attento! Non vorrai morire così". Appena
fuori dal corridoio di pietra, c'era uno strapiombo vertiginoso che si
affacciava probabilmente sul vasto vestibolo. Se Dante non avesse
fermato la mia corsa, probabilmente mi sarei lanciato dallo strapiombo
con un ovvio finale tragico. "Una volta che i dannati giungono su
questo strapiombo, vengono gettati come se fossero rifiuti. Le anime
private della morte, soffrono il dolore di quest'ultima, non appena si
schiantano al suolo!" disse Dante, ed io inquietato dalla scena
immaginata, mi sporsi per osservare il vestibolo, rimanendo
praticamente senza parole. L'antinferno era una vasta campagna
bruciata, che presentava una vegetazione ormai morta colmata da grossi
tracciati, probabilmente formati dalla corsa eterna dei dannati che
inseguono le insulse bandiere. Io mi trovavo forse a cinquecento metri
dal suolo, e sopra di me per altri cinquecento metri, c'era un immenso
tetto di terra e pietra che copriva interamente il girone degli ignavi.
Guardando meglio, notai che nella campagna si stava consumando una
battaglia, così chiesi al poeta "sommo, cosa sta accadendo
lì giù?" e Dante rispose,"ragazzo, questa
è la
prima resistenza che oppone il creatore agli esseri infernali, e la
stessa cosa la fà Lucifero qui. In questo girone ci sono i
dannati dell'antiferno che combattono contro i necrofagi","i
necrofagi?" chiesi io, e il poeta "mostruose creature con sambianze
umane che si presentano con il corpo putrafatto, e camminano a quattro
zampe. Anche se sembrano molto simili a noi, queste creature in comune
con le persone
hanno ben poco, e il loro unico desiderio è cibarsi di carne
umana!". La descrizione dettagliata che mi fece il poeta sui necrogagi
mi mise i brividi, ma non più di quando realzzai che il
sistema
ordinario dell'inferno era ormai perso. Osservando ancora il vestibolo,
notai che c'erano i cavalieri con i vessilli neutri, che galoppavano
senza meta per tutta la campagna dell'antinferno, ma nessun dannato gli
seguiva. Anche i fastidiosissimi insetti che pungevano ripetutamente i
dannati, ora vagavano per il vestibolo in maniera totalmente
sparpagliata. La guerra aveva causato inevitabilmente la rottura
dell'ordine delle cose nella città dolente, così
capì subito che il creatore aveva perso il suo totale
controllo
nel regno dei dannati, lasciando questi ultimi nel disordine bellico.
Una situazione delicata che però favoreggiava Lucifero
giorno
per giorno.
Dallo strapiombo, notai che le fazioni che combattevano contro i
necrofagi arrancavano parecchio. Dante mi fece notare che a capo di una
di queste fazioni, c'era Ponzio Pilato. Come gli altri ignavi, Pilato
si destreggiava bene nella battaglia, ma era circondato da quelle
creature mostruose che pian piano stavano per prendere il sopravvento.
Vedendo la scena io sentì il bisogno di unirmi alla
battaglia,
così incitai il poeta "sommo, dobbiamo scendere! Dobbiamo
aiutarli!". Dante acconsentì, ma non appena ci mettemo alla
ricerca di un modo per scendere nel vestibolo, alle nostre spalle
sbucarono le sentinelle che si avventarono con violenza su di noi. Io
caddi per terra ad un passo dal bordo del precipizio, mentre Dante con
la sua spada cercava con disperazione di fare resistenza. Le sentinelle
questa volta erano tre, due delle quali cercavano di spingere Dante
giù dallo strapiombo, mentre l'altra si avvicinava
minacciosa
verso di me. La situazione era davvero delicata. Io mi alzai
velocemente e sguainai prontamente la mia spada, ma la sentinella con
un
attacco rapido, mi disarmò facendo cadere la mia lama
giù
nel vestibolo. Non mi rimase che estrarre la rosa per cercare di
allontanare di nuovo le creature oscure, quando senza preavviso,
dall'arco dal quale uscimmo io e il poeta, sbucò Pegaso con
tutta la sua lucentezza. Così Io e Dante vedendo arrivare
per nostra fortuna
il cavallo alato, ci buttammo a capofitto su di lui, il quale si
sollevò con destrezza in aria portandoci lontano dalle
creature
oscure, lontano dal pericolo. Ancora una volta Pegaso ci
salvò
la vita, e proprio come disse Dante, apparve nel momento del bisogno.
In volo dove quasi taccavamo il tetto di pietra, riuscii a notare che
le sentinelle, incapaci di inseguire me e Dante, tornarono indietro da
dove erano venute. Ora dall'alto avevo una dinamica migliore della
battaglia che si stava consumando nell'antinferno, e sapevo che con
Pegaso al nostro fianco, avremmo potuto dare un notevole manforte alle
anime del vestibolo, i quali continuavano a battersi a fatica contro i
necrofagi. Tra gli ignavi in battaglia potevo facilmente distinguere
gli umani dagli angeli, per il semplice fatto che questi ultimi, a
differenza degli umani, presentavano delle ali mutilate dietro la
schiena, e tutti combattevano a torso nudo, mostrando una fisionomia
perfetta. Gli umani invece portavano quasi tutti dei vestiti e si
mostravano notevolmente meno eleganti degli angeli nel combattere, ma
essendo in maggioranza nella loro fazione, costiuivano una grande
potenza.
Un duello in particolare attirò la mia attenzione, una
creatura
molto simile ad un grosso caprone che camminava su due zoccoli e
brandiva tra le mani una lunga ascia, il quale combatteva contro un
angelo dai capelli lunghi castani che lottava con una spada. Sorvolando
l'area della battaglia, chiesi al poeta "sommo, cos'è quel
mostro?" ed egli rispose "quello, ragazzo, è un demone.
Queste
creature hanno il potere di comandare altre mostruosità come
appunto i necrofagi. Sono possenti e dotati di poteri mistici, e
possono essere sconfitti solo dagli angeli ancora beati, o con delle
sacre reliquie","quindi quell'angelo dannato che lo combatte non ha
speranze", replicai io, e il poeta rispose "no, se non facciamo niente
per aiutarlo".
La lotta tra i due si stava consumando nettamente a favore del demone,
anche se l'angelo era dotato di una grande abilità. Con un
colpo
micidiale, il demone fece volteggiare l'angelo per poi farlo finire al
suolo, disarmandolo e rendendolo vulnerabile. Il demone si stava
avvicinando all'angelo per infliggergli il colpo di grazia, quando io e
il poeta scendemmo vertiginosamente in picchiata per rovesciare la
situazione. Pegaso
colpì con gli zoccoli il demone disarmandolo, dando
così
tempo all'angelo per rialzarsi e riprendersi la spada. Io e il poeta
ora eravamo nel bel mezzo della battaglia, tra le grida di dolore dei
feriti e gli inquietanti gemiti delle creature infernali.
Galoppavamo
tra i necrofagi da i quali traspirava una nauseabonda puzza di
putrefazione, mentre Dante colpiva questi ultimi da i lati di Pegaso.
Io diasarmato cercavo di ripararmi quando il demone, che colpimmo
attimi prima, si rivoltò violentemente contro di noi
caricando
Pegaso a un fianco. Io precipitai al suolo e ormai vulnerabile, stavo
per essere assalito dai necrofagi, i quali mi avrebbero divorato in
pochi secondi. Per mia fortuna, l'angelo che avevamo salvato si mise
davanti a me proteggendomi, e respingendo quelle ripugnanti creature
con
disarmante destrezza.
Ma alle nostre spalle il demone con spirito vendicativo, si avvicinava
verso di noi tenendo la sua ascia tra le grosse mani. Sulla fronte la
creature presentava una specie di occhio rosso che notai solo in quel
momento, quando cominciò a brillare. Improvvisamente tutto
divenne buio e sfocato. Le urla della battaglia erano inspiegabilmente
sparite e io mi sentì disorientato, come se fossi stato
abbandonato. Riuscivo solo a vedere l'occhio rosso del demone sulla sua
fronte. Cominciai a sentirmi debole, e le orecchie inziarono a
fischiarmi fastidiosamente, come se mi stesse esplodendo il cervello.
Poi mi tornò in mente che Dante mi illuminò sui
poteri
mistici dei demoni, e capì che quella creatura mi stava come
ipnotizzando, provocandomi dolore dall'interno per tenermi fermo al
suolo e risucchiarmi ogni tipo di enregia. Decisi di tirare fuori la
mia rosa per tentare di salvarmi, e così feci. Sventolai il
fiore con il braccio teso verso l'alto e riusciì a fare
più che salvarmi. Cominciai a rivedere la luce e a sentirmi
meglio, mi accorsi che il demone emettendo versi di dolore
cominciò ad allontanarsi da me, insieme a tutti i necrofagi.
Il
grosso demone in un lampo si dissolse nel nulla, mentre le altre
ripugnanti
creature scavarono delle fosse nel suolo e ci entrarono, svanendo
tempestivamente. Tutti si fermarono ad osservare la scena esterrefatti,
mentre la
mia rosa ancora brillava di potere. L'angelo che cercò di
proteggermi si avvicinò verso me e mi chiese "Chi sei tu?",
ed
io rimasi in silenzio, cercando di trovare le parole giuste per esporre
a quella meravigliosa creatura il motivo della mia presenza.
Quell'angelo era alto e possente, con un corpo scolpito e lunghi
capelli neri, e un viso giovane fermo all'età di trent'anni
circa.
Nella mia incapacità di comunicare, Dante si
avvicinò per
prendere parola, e rispose all'angelo "lui è qui per
volontà divina, lui è qui per salvarci tutti, per
porre
fine alla guerra, per portare tutto all'ordine come all'inizio dei
tempi. La sua anima ancora in vita, porterà alla morte il
maligno".
Alle parole del poeta, le legioni di ignavi si riunirono intorno
a noi, e con mio grande stupore le anime dannate si inchinarono tutte
al mio cospetto, come se sapessero del mio imminente arrivo, e
combattessero con la speranza di vedermi presto.
Improvvisamente qualcuno con un grido di battaglia disse "Il creatore
ci ha mandato il suo prescelto! E' il momento di combattere!", e alle
sue parole tutti emisero un grido di guerra per caricarsi. Uno scenario
da brividi. Chi urlò fù Pilato che sucessivamente
mi
raggiunse sorridente, e notai che nella sua mano possedeva la mia
spada. Pilato mi porse la lama dicendomi "questa dev'essere tua
ragazzo! E' molto bella!" ed io lo ringraziai. Il prefetto romano mi
chiese ancora "e adesso cosa si fà?" ed io farfugliando
cercavo
le parole per rispondergli, evitando di sembrare impacciato o ignorante
sul da farsi. Fortunatamente, come un angelo custode, Dante accorse in
mio aiuto come sempre, e prese parola per soddisfare la domanda di
Pilato, e gli disse "dobbiamo raggiungere la città di Dite,
e
abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile" e Pilato rispose "avrete
tutto l'aiuto di cui avete bisogno, anche dal sottoscritto. Se volete
raggiungere Dite, dobbiamo prima raggiungere la riva dell'Acheronte, ma
dovrete convincere il barcaiolo a trasportarvi dall'altra
parte","convincere il barcaiolo? Intendi Caronte?" chiesi io, e Pilato
annuì. Il poeta confuso chiese al prefetto "di cosa dovremmo
convincere il traghettatore?","bè... a traghettare" rispose
Pilato a tentoni, e continuò "ormai è fermo alla
riva del
vestibolo da secoli, e tutte le anime dannate sono ferme lì
ad
aspettare che si decida a partire" ed io chiesi ancora "ma
perchè è fermo lì? E soprattutto da
che parte
sta?","si dice che abbia paura, e che il suo terrore lo tiene fermo
lì nella totale neutralità. E' rinchiuso nella
sua
plancia ormai da un pò" rispose Pilato.
Le parole del prefetto romano mi fecero capire che la barca di Caronte
non era una semplice bagnarola, come avevo sempre creduto studiando
l'opera di Dante, ma si trattava di un vero e proprio traghetto. Mi
sembrò fisicamente più logico dal momento che in
ogni
viaggio Caronte avrebbe dovuto traghettare migliaia di anime dannate.
Avevo sempre avuto un debole per la figura del traghettatore, e l'idea
di doverlo conoscere mi entusiasmava molto. Non so che tipo di
personaggio mi sarei trovato davanti, forse davvero un vecchio bianco
per antico pelo.
"Approposito, non mi sono presentato. Io sono Ponzio Pilato", disse il
prefetto "si lo avevo intuito!" risposi, e continuai chiedendo a Pilato
indicando l'angelo che mi aveva salvato "puoi dirmi chi
è
quello? Quell'angelo?","Lui è Clion, meglio noto un tempo
come
angelo della protezione, prima di essere stato giudicato dal creatore
per la sua neutralità". Dopo aver preso sapienza del nome
dell'angelo, mi avvicinai a lui per parlargli "ti ringrazio!", gli
dissi e lui "sono io che devo ringraziare te ragazzo. Se non fosse
stato per te a quest'ora sarei spacciato. Saremmo tutti spacciati".
Ripensai alla battaglia del vestibolo e nella
mia curiosità chiesi a Clion, "cosa ci facevano quelle
creature
qui?" e l'angelo rispose "sono secoli che ormai Lucifero manda le sue
mistiche creature per rovesciare l'inferno sulla terra. Dopo il
cataclisma diabolico il creatore ha dato una scelta a tutti gli ignavi
del vestibolo. La guerra incombeva e serviva tutto l'aiuto possibile
per tenere le tenebre nel suo buco. Quando tutto sarà
finito,
noi saremo giudicati, ancora. La vittoria significherebbe per noi la
beatificazione, il ritorno nel regno dei cieli". Fui commosso dalle
parole dell'angelo. Lui mi parlava mentre ripuliva la sua lunga spada
dal sangue delle ripugnanti creature, e nella sua voce potetti
riconoscere un barlume di speranza, che cresceva sempre di
più
ogni volta che incrociava il mio sguardo.
Alle nostre spalle, Dante e Pilato stavano pianificando il cammino
verso l'Ancheronte, e il poeta ribadiva al prefetto che io, essendo
ancora un mortale, avevo necessità di acqua e cibo. Pilato
rassicurò il sommo dicendogli che con un pò di
fortuna,
avremmo trovato quello di cui avevamo bisogno nel traghetto di Caronte.
Il prefetto ribadì che se fossimo riusciti a persuadere il
traghettatore, egli avrebbe non solo acconsentito a traghettarci, ma
anche a darci manforte per continuare il viaggio.
Clion richiamò di nuovo la mia attenzione, e mi disse
"ragazzo
ho un dono per te! In qualità di angelo della protezione ti
offro un oggetto molto particolare". L'angelo mi porse una sorta di
spilla d'argento circolare con al centro una ricostruzione di un'ala, e
mi disse "questo amuleto ha il potere di sopperire al dolore di ferite
di guerra e rimarginarle velocemente. Se ti trovassi in situazioni
complicate, ti basterà stringerlo tra le mani e subito
qualcuno
verrà per soccorrerti". Tenevo in mano l'amuleto quando
notai
che le ferite sul mio braccio destro, provocate dal morso della lince,
si rimarginarono e divennero cicatrici, certo ben visibili ma meglio
delle grosse lacerazioni. Sorpreso dall'accaduto, ringraziai Clion con
un abbraccio prolungato, e mi rattristai al pensiero che una creatura
così gentile e meravigliosa come Clion, possa essere stata
dannata dal creatore. Pensai, forse l'angelo non è sempre
stato
così, forse l'inferno lo aveva cambiato dentro, forse aveva
assaggiato il male e come tutti i dannati ora bramava la beatificazione.
Sentì la voce del poeta che mi chiamava "forza ragazzo,
siamo pronti,
dobbiamo andare!". Salutai Clion con affetto e lui mi giurò
fedeltà promettendomi che avrebbe difeso il vestibolo con la
sua
stessa vita. Pilato decise di proseguire il cammino al nostro fianco, e
così decidemmo di rimetterci in marcia.
Passammo in mezzo alle legioni di ignavi che stavano tutti togliendosi
di dosso i postumi della battaglia. Gli sguardi dei dannati erano
rivolti verso di noi, colmi di speranza e gratitudine, pronti ad
attendere buone notizie dai piani inferiori della città
dolente.
Eravamo solo in tre, anzi in quattro con Pegaso che ci seguiva e ci
metteva un pizzico di buon umore in quella campagna devastata dalla
guerra.
Incuriosito da me, Pilato cominciò a farmi delle domande
"allora
ragazzo, di te so solo che sei il prescelto, ma chi eri prima che
venissi coinvolto in questo disordine", ed io facendo una piccola pausa
prima di parlare, gli risposi "sono un musicista. Sulla terra ho avuto
la fortuna di imparare l'arte della manipolazione del suono, e mi
guadagno il mio posto nella società in questo modo. O almeno
ci
provo". Pilato visibilmente compiaciuto dalla mia risposta, mi disse
"non ho conosciuto molti musicisti in vita, ma credo che il fatto che
tu lo sia, non è una coincidenza. Al giorno d'oggi voi siete
i
nuovi poeti e come il creatore fece con Dante, ha scelto la via
dell'arte per illuminare il mondo sulle conseguenze della vita sulla
terra","suppongo di si, anche se ora è diverso.
C'è
una guerra" risposi, e Pilato ribattè "hai ragione, ma vedi,
la
tua qualità è quasi una magia, l'unica magia di
cui
l'uomo è capace, la musica". Le parole del prefetto mi
riempirono di orgoglio e sicurezza, e in parte aveva anche ragione. La
musica è una cosa tanto astratta quanto concreta, proprio
come
la magia.
Poi anche io incuriosito dalla figura di Pilato, che portava
un'armatura medioevale, gli chiesi "cosa... cosa hai provato a stare al
suo cospetto? Al cospetto di Cristo intendo?", e lui "la
verità?
Nulla! Non ho provato assolutamente niente, se non la pena di quando
guardi negli occhi chi ha paura del dolore, che in realtà
era la
sua unica paura. La singola cosa che lo distinse dagli altri,
fù il
fatto che non implorò pietà, non si
inginocchiò ai
miei piedi nella speranza della salvezza. Lo avrei anche salvato se non
fosse stato per la mia difficile posizione politica. Però
avrei
dovuto capire chi era veramente quell'uomo, e ora mi trovo qui,
com'è giusto che sia!". C'era davvero tanto rimorso nella
voce
di Pilato, ed intuì che dopo la sua dannazione lui
ripercorse
l'incontro con Cristo per cercare nelle sue parole qualunque cosa che
gli avrebbe potuto far capire chi fosse veramente quell'uomo, segnato
dalle percosse e dalla flagellazione. "ma dopotutto il mio destino
è stato un disegno divino, e non ho potuto fare altro che
inchinarmi al creatore" disse Pilato, e le sue parole mi spararono in
mente ricordi della mia vita, in particolare del mio povero zio
defunto. Ho sempre voluto pensare che la sua morte fosse un disegno
divino che io adesso ancora ignoro, l'unico modo che ho per trovare una
logica a quello spiacevole evento.
Dopo una lunga ed estenuante camminata nel nulla della vasta campagna
secca dell'antinferno, giungemmo finalmente alla riva dell'Acheronte.
Eravamo su una collina le cui pendici toccavano il bagnasciuga del
fiume, quando assistì ad uno scenario che toglie il fiato.
Migliaia di anime dannate denudate e maltrattate, che attendevano il
loro turno per essere traghettate, e raggiungere finalmente il proprio
cerchio
della dannazione. A circa cinquecento mentri dalla riva c'era il
mastodontico traghetto di Caronte. Non so descrivere cosa provai nel
momento in cui vidi quel maestosto veliero, so solo che rimasi
affascinato dalla bellezza del paesaggio. Sentimenti constrastanti mi
invasero il cuore, da una parte il terrore per la brutalità
con
il quale le anime venivano gettate come profughi sulla riva del fiume,
dall'altra lo stupore per la maestosità del traghetto e del
fiume
stesso. Pilato mi disse "ragazzo, benvenuto al cospetto della crociera
dei dannati! Una delle meraviglie della città dolente.
Nonostante rappresenti l'ultimo viaggio di un'anima dannata, il
traghetto toglie sempre il fiato per la sua bellezza", ed io pensai che
il prefetto non poteva avere più ragione di così.
Capì che a prescindere dal fatto che l'inferno dovesse
essere un
posto sadico e brutale, il creatore non riuscì a venir meno
alla
bellezza e alla perfezione della sua mente creativa, plasmando la
città dolente in maniera strategicamente elegante e
mozzafiato.
Forse un altro tipo di dannazione per le anime dell'inferno, le quali
non avrebbero mai assaporato neanche lontanamente la
creatività
benevola del creatore.
Scendemmo lungo l'altopiano e passammo in mezzo alle anime attendenti,
le quali avevano lo sguardo inchiodato sul nostro passaggio tra loro.
Potevo sentire domande tra i dannati come "chi sono quelli?" o "ma
quello è il sommo poeta?" o ancora "cosa ci fà
qui un
mortale?", così capì che quelle anime erano
ignare di
tutto ciò che stava accadendo nei piani più bassi
dell'inferno, privati della sapienza di un destino ancor più
tragico della dannazione stessa. Arrivati al bagnasciuga ci accorgemmo
che avevamo bisogno di un modo per raggiungere il traghetto, una cosa
che forse avremmo potuto fare in volo con Pegaso, solo che non ci
saremmo mai
stati in tre in groppa al cavallo alato. Pilato stava cercando qualcosa
simile ad un bagnarola che ricordava di aver già visto,
quando
Dante trovò una corda che finiva dritta nell'acqua, e
cominciò a tirarla. Pian piano la bagnarola che Pilato
cercava
venne fuori dalle acque intatta, come se non fosse mai affondata. Io
Dante e il prefetto salimmo a bordo, mentre Pegaso ci avrebbe seguito
volando, e così cominciammo a navigare per raggiungere la
crociera dei dannati.
L' acqua del fiume era salmastra e scura, tanto da renderci impossibile
riuscire a vedere il fondale. Ricordo che il fiume emanava uno strano
odore simile allo zolfo. La presenza di quell'odore era piuttosto
strana, dato che proveniva dall'acqua.
Più ci avvicinavamo al traghetto più potetti
ammirare la bellezza
disarmante del veliero di Caronte, illuminata a sprazzi da mistiche
luci verdi. Lo scafo si presentava insellato e aveva l'aspetto di un
relitto abbandonato segnato dal tempo, ma stava perfettamente a galla.
Le vele erano chiuse e l'ancora gettata sulla dritta dello scafo, il
tutto a confermare che il veliero era evidentemente inchiodato in quel
punto. Quando arrivammo a pochi metri dalla dritta del traghetto, un
portellone che stava sul pelo dell'acqua si aprì, e una
strana
figura apparse sull'uscio. Una creatura vestita da marinaio che
presentava il viso
di uno scheletro con brandelli di carne putrefatta attaccati al
teschio. La creatura inquietante parlò e ci chiese"chi siete
voi?" e il sommo rispose "vogliamo vedere il capitano!","il capitano
non riceve ospiti!" ribattè la creatura, e Pilato
esclamò
"neanche un mortale!?". Ci fù un momento di silenzio, e poi
la
creatura ci invitò a salire a bordo. Mentre guadagnavo
l'ingresso del veliero, notai che Pegaso non era più con
noi, ma
probabilmente ci avrebbe raggiunto più tardi.
L'interno di quel primo ponte era molto simile ad un carcere a due
piani
tetro e poco illuminato, ed era pieno di marinai spettri che svolgevano
classici lavori da uomini di mare. Le celle erano vuote malconce e
piene di ragnatele e le sbarre erano arruginite e in parte
completamente rotte. Riuscì a captare un rumore
simile ad una corda di una chitarra elettrica pizzicata più
volte e irregolarmente, che si faceva sempre più intenso man
mano che percorrevamo il ponte più basso. Stavamo salendo
lungo
una scala a chiocciola pericolante per raggiungere il ponte dove c'era
la cabina del capitano, quando riconobbi che quel rumore che sentivo
era molto simile alla nota Sol, ma era suonata male, pizzicata con
troppa violenza e frustazione.
Raggiunto il ponte più in alto, notai che stavamo dinanzi ad
una
specie di sala di ricevimento con un lungo tavolo da banchetto al
centro, sovrastato da un enorme lampadario attaccato al tetto
pericolante con un aggancio di fortuna. Le mura sembravano vecchie
colme di muffa e ragnatele, e il pavimento era ricamato con grandi
rombi bianchi e neri, anche quest'ultimo abbastanza disastrato. In
fondo alla sala c'era l'ingresso ad arco per la cabina del capitano
fatto di legno ormai marcio. Il marinaio ci disse "il capitano vi sta
aspettando" indicandoci l'ingresso della cabina. Il sommo senza perdere
tempo strinse il pomello a forma di teschio con la mano destra, e
aprì la porta. Non appena questa si spalancò, il
suono
che sentivo lungo i primi due ponti divenne decisamente più
limpido, così capì che quella nota pizzicata
proveniva
proprio dalla plancia di Caronte. Varcammo la soglia arcale e una
figura vestita da pirata capitano con la stessa faccia da spettro come
tutti gli altri marinai, che teneva tra le mani una chitarra elettrica
mal ridotta, ci accolse. La creatura che stava seduta con le gambe
poggiate su un tavolo di legno e la chitarra posata sul suo addome, ci
disse "benvenuti sulla mia nave. Io sono Caronte!".
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