Dependence: Forbidden Love
Introduzione: Seconda Guerra Mondiale; l’epoca
delle grandi distinzioni tra chi è uomo e chi non lo è, solo una persona va
contro questi pregiudizi, rischiando molto più di quello che dovrebbe.
Dependence: Forbidden Love
“Salvami…”
“Cosa stai dicendo Sakura?
Io non posso
salvarti, io sono solo un lurido-”
“Sta zitto, e salvami, liberami dal mio corpo,
dalle mie paure, liberami dalla mia maschera, Sasuke…”
§§§
“Quegli occhi.
Era la prima volta che vedevo degli occhi così.
Profondi, sembravano degli specchi che rimandavano l’immagine di un’anima
nera.
Vidi solo gli occhi di quella sagoma informe avvolta in un mantello
consunto di tela, mentre ero al mercato, di sfuggita.
Cercai tra la gente con lo sguardo riuscendo a scorgere la figura che
correva dietro a un vicolo.
Non so perché lo feci, ma lo seguii, seguii quello sconosciuto e perfino
lo raggiunsi infondo alla strada chiusa!
Quando mi notò dietro di sé si tolse il cappuccio e mi mostrò il suo
volto.
Come avete detto voi, aveva un viso longilineo, molto tagliente, glabro,
pallido. Aveva gli occhi scuri, quasi neri e i capelli dello stesso colore.
Rimanemmo in silenzio a squadrarci per qualche minuto, probabilmente
voleva capire se ero amica o nemica, e io cercavo di capire cosa facesse qui a
Roma.
Poi notai che era ferito, il mantello era chiazzato di sangue coagulato
sul lato destro. Signore, io sono un’infermiera, non ho potuto fare altro che
curarlo, non importava che fosse amico o nemico.”
“E poi? Signorina Haruno, lei sta rischiando grosso, spero se ne renda
conto.
Il signor Uchiha Sasuke è un traditore del grande Führer, come
tutta la sua famiglia, per fortuna suo fratello Itachi ha contribuito alla
giusta causa del suo paese ammazzando quei traditori della sua stirpe per il Führer!
È un ottimo elemento, farà strada nel partito nazista, potrebbe diventare anche
generale!
Comunque, quell’ebreo è ricercato dall’SS, non le consiglio di
dilungarsi in racconti da donnette!”
Guardai il soldato italiano alzarsi dalla sua postazione e girare attorno
alla scrivania appoggiando una coscia sull’angolo del ripiano e facendo
dondolare la gamba avanti e indietro.
Incrociò le braccia e mi guardò come fossi solo una traditrice.
Perché per loro questo ero. Avevo aiutato un ebreo fuggiasco, e nemmeno
uno qualunque, un figlio di un attivista politico.
Strinsi tra le mani guantate la borsetta unendo di più i talloni per la
paura e lo guardai con finta innocenza.
Ero sì una donnetta, ma il proverbio che mi diceva sempre mia madre era
che una donna ne sa una più del diavolo.
“Egregio signore, la prego di non pormi domande sciocche! Una volta
curato, lo sporco ebreo è scappato, e
nelle condizioni in cui era probabilmente è morto.”
Storsi il naso con finto disgusto alla parola ‘ebreo’. Sentivo l’anima
lacerarsi per le mie calunnie.
Stupidi. Tutti stupidi.
Nessuno è diverso da nessun altro fino a quando ha un’anima, nera o
bianca che sia.
L’uomo di mezza età che avevo davanti si aggiustò il berretto guardando
fuori dalla finestra, guardò ancora un paio di volte verso di me e poi si alzò
decidendo di credermi.
Mi alzai a mia volta impettita come voleva la tradizione e strinsi la
mano al soldato.
Quando chiusi la porta alle mie spalle tirai un sospiro di sollievo.
Uscii dalla caserma senza quasi rendermene conto, me ne resi conto solo quando
meccanicamente tirai fuori dalla borsetta il velo per sistemarmelo sui capelli.
Guardai la mia città, piena di persone dall’anima vuota. Automi imposti
ad un regime che li rendeva schiavi delle loro stesse paure.
Strinsi la borsetta al fianco e mi inserii nella corrente di gente che
scivolava lenta fino alle loro case per il coprifuoco.
Scivolavo anche io, come un fantasma, lungo le strade, per raggiungere
l’unico posto che ancora mi faceva pensare a una via di uscita da quelle
imposizioni: casa mia.
Mi infilai attraverso l’uscio dentro una stanza spoglia, con pochi mobili
sobri. Mi voltai verso la porta e la richiusi con tre giri di chiavistello e
catene.
Silenziosa salii fino alla soffitta, tirai verso il basso la scala
nascosta che portava al sottotetto e, una volta salita, battei tre volte sul
pavimento, scrutando nel buio per cercare quell’ombra familiare.
“Com’è andata?”
“L’hanno bevuta fino all’ultima goccia.”
“Bene.”
Nell’oscurità rimbombò qualche colpo di tosse secca, io feci segno con la
mano di seguirmi al piano di sotto e sentii i passi ovattati trascinarsi sul
pavimento polveroso.
Sasuke mi seguii lungo il corridoio fino alla mia stanza, lo feci stendere
sul letto.
Doveva essere stato un uomo molto bello, ma ora non rimaneva che un
involucro rovinato dal tempo davanti ai miei occhi.
Il volto era scarno, la barba rada aveva cominciato a ricrescere e i
vestiti erano logori e sporchi.
Posai una mano su quel volto, accarezzandolo soavemente, ma lui con un
gesto secco la tolse infastidito.
Si voltò da un lato dandomi le spalle e stringendosi nella coperta che
gli avevo dato.
“Non ho bisogno della tua compassione.”
La mia non era compassione, era un sincero e puro amore.
Lo avevo capito dalla prima volta che avevo visto i suoi occhi, dalla
prima volta che mi era crollato tra le braccia, dalla prima volta che per un
piatto di pasta mi aveva sorriso, un sorriso timido, celato, ma ugualmente
stupendo.
Mi sedetti sul letto stringendo le mani tra le ginocchia.
Lui aveva visto uccidere tutta la sua famiglia davanti agli occhi dal
fratello Itachi, convertito alle stupidaggini che erano in voga in quel
momento, e questo solo per le loro idee.
Lui era fuggito, per anni forse, solo per cercare la salvezza, la
libertà.
“Io non voglio darti la mia compassione, non sarebbe vantaggioso Sasuke.”
“Perché mi nascondi in casa tua? Lo sai che ti potrebbero ammazzare per
questo?”
Io guardai il pavimento sorridendo tra me e me al sentire quelle parole
dette con il suo tono perennemente irritato.
Lo sapevo bene.
Sapevo che rischiavo di venir fucilata per aver difeso i miei ideali.
Lo spiai con la coda dell’occhio, il suo viso mi trasmetteva tristezza,
pena, angoscia, paura, nostalgia.
Mi alzai annuendo e andai al vecchio comò che era di mia madre.
Sciolsi i capelli dalla morsa del foulard e li scompigliai con una mano,
potevo sentire i suoi occhi addosso mentre mi spogliavo dei miei vestiti, della
mia copertura, e rimanevo solo con la fine sottoveste di seta consunta addosso.
Guardai attraverso lo specchio la mia immagine, ero cambiata ancora, i
capelli un tempo lunghi e fluenti ora erano solo stoppa corta, le ossa
sporgenti che costituivano il mio corpo non erano più coperte dalla carne
abbondante ma solo da pelle e quel poco che mi rimaneva addosso della vecchia
me.
I tempi di crisi erano più duri di quello che si pensava, il cibo
razionato, le bancarelle del mercato sempre semi vuote.
Ma a distrarmi da quegli orribili pensieri c’era lui. Un peccatore come
me, che saggiava questo corpo consumato, ogni notte da un mese.
Sentii le sue labbra screpolate grattare contro la pelle del collo, le
sue braccia ossute abbracciarmi da dietro, stringendomi più forte che poteva.
Chi avrebbe mai potuto amare, una bestia?
Lui, Sasuke, una bestia fuggitiva, odiata.
E io, una semplice ragazza, senza troppe pretese. Ma dipendente
completamente da lui.
Non potevo non tornare a casa appena potevo, per poterlo guardare,
toccare, curarmi di lui.
Non potevo uscire senza il suo pensiero.
Mi aggrappai alla sua schiena in un abbraccio rude.
Poi il resto non si dice, il resto è peccato.
Rinuncerei al mondo intero per averti al mio fianco, rinuncerei alla mia
umanità in un campo di concentramento se solo potessimo stare insieme,
rinuncerei alla vita e alle mie scelte.
Per averti, Sasuke, rinuncerò alla mia libertà.
Perché la mia libertà sei tu, e fino a quando non morirai, io ti starò
accanto, e ingombrerò la tomba accanto alla tua.
Due
peccatori, dentro al silenzio della notte, che si leccano le ferite a vicenda,
sperando che la notte non finisca mai solo per vivere quella normalità che gli
era stata tolta, quella libertà che trovavano solo insieme.
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