cap 5
Salì fino al mio piano e cercai di fare il più
silenziosamente possibile mentre entravo in casa e mi sfilavo le
scarpe.
Camminando per la casa al buio capì subito che mia madre non
c'era perché mio fratello si era addormentato con la luce
accesa.
Spensi la luce e mi diressi prima nella mia camera, per prendere tutto
il necessario, e poi in bagno dove aprì l'acqua calda che
cominciò a riempire la vasca. Quando arrivò quasi fino
all'orlo, la chiusi e mi ci immersi completamente. Cominciai a giocare
con l'acqua come una bambina, ma non mi sentì una scema nel
mentre, feci diverse immersioni, mi districai i capelli e accarezzai le
braccia.
Poi mi abbracciai, poggiando il mento sulle ginocchia e mi specchiai
nella manopola argentata della vasca di fronte a me ricordandomi di
quando ero bambina e facevo la stessa identica cosa. L'unica differenza
era che quando ero piccola era mia madre a prepararmi il bagno e ad
aiutarmi a lavarmi, mentre ora, in teoria, non potevamo farci il bagno
perché avremmo consumato troppa acqua inutilmente.
In pratica io lo facevo lo stesso, di nascosto.
Mi concedevo un bagno, al posto della doccia, quando ne sentivo davvero la necessità. Diedi un occhiata all'orologio.
Le 03:26 e il giorno dopo (o meglio fra poche ore) sarebbe iniziato il
primo giorno di scuola. L'estate era ufficialmente finita per me.
Come avrei fatto a sopravvivere alle sei ore di scuola che mi
aspettavano senza dormire sul banco?! Magari saltando l'assemblea di
inizio anno avrei potuto farmi una mezz'oretta di sonno.
Lo avrei scoperto solo l'indomani.
Uscì dalla vasca, avvolsi i capelli in un turbante e mi tamponai
con l'asciugamano il corpo. Poi mi asciugai i capelli con il phone
cercando di metterci più buona volontà e attenzione del
solito (dato che non avrei avuto tempo di usare la piastra) e proprio
mentre avevo quasi finito sentì la chiave nella toppa.
Chiusi subito l'asciugacapelli e diedi un'occhiata alla vasca, che si
era svuotata completamente, mentre con una mano presi i vestiti e le
ciabatte e con l'altra spesi la luce.
La mia camera era attaccata al bagno quindi mi bastò fare cinque
passi in punta di piedi. Mentre sentivo mia madre togliersi le scarpe,
gettai i vestiti sulla poltroncina proprio mentre lei faceva cadere la
borsa a terra, e posai le ciabatte piano mentre mi infilavo nel letto e
pronta a far finta di dormire.
Doveva aver comunque sentito le lenzuola spostarsi perché sussurrò
-"Ale?", mio fratello si svegliava sempre quando tornava o addirittura l'aspettava sveglio.
-"No sono io."dissi fingendo di avere la voce impastata dal sonno.
-"Sono la mamma amore, torna a dormire.", mi disse dandomi una carezza.
Le uniche dimostrazioni d'affetto che mi concedeva erano mentre dormivo.
Rimasi immobile mentre lei cercava di fare piano. Un secondo prima ero
talmente sveglia che non sapevo cosa fare per addormentarmi un attimo
dopo ero già nel mondo dell'incoscienza.
Quando la sveglia iniziò a suonare mi sentivo come se avessi
appena poggiato la testa sul cuscino e questa sensazione unita alla
consapevolezza che dovevo andare a scuola mi fece alzare di malumore.
Quando però andai in cucina e trovai la colazione pronta mi
scappò un sorriso.
In genere ero io ad alzarmi per prima e a chiamare mio fratello. Quel giorno fu il contrario.
-"Buongiorno.", mi disse Ale, mentre si alzava dalla sedia e usciva dalla cucina.
Non risposi, ma gli sorrisi. E lui capì che avevo apprezzato il gesto.
La colazione riusciva sempre a mettermi di buon umore. Quindi quando mi
alzai dalla tavola, anche se ero consapevole del mio ritardo, mi
sentivo totalmente ripresa.
Nel corridoio incrociai Ale già in uniforme e pronto ad uscire.
-"Sei in ritardo", mi disse senza alzare gli occhi dallo schermo del telefonino. -"Ci vediamo stasera"e uscì di casa.
Corsi verso il nostro bagno e mi cominciai a lavare freneticamente il
viso e i denti. Poi mi guardai allo specchio, presi il pettine e
riuscì ad ottenere un risultato soddisfacente. Non avevo i
capelli lisci come sempre, ma con delle leggere onde che non erano
niente male se si ignorava il crespo. Poi aggiunsi un po' di correttore
sotto gli occhi per coprirmi le occhiaie, misi l'eye-liner e il mascara
e uscì dal bagno mentre calcolavo il percorso che avrei dovuto
fare.
Non mi misi l'uniforme, ma la tuta e uscì di casa. Di solito
dovevo fare un tratto a piedi e poi prendere l'autobus per raggiungere
la scuola.
Ma avevo perso l'autobus quindi mi sarebbe toccato camminare, o meglio correre.
Nessun problema. Mi stavo già infilando le scarpe da ginnastica e scattando fuori di casa.
Arrivai solo con 10 minuti di ritardo. A cui se ne aggiunsero altri 5
perché invece di dirigermi subito in classe dovetti andare in
bagno a cambiarmi. Uscita incontrai la bidella Maria, che mi disse che
ero in ritardo, con il suo solito sorriso affettuoso.
-"Come sempre." le risposi camminando al contrario verso la mia classe,
per sorriderle sincera e farle un saluto con la mano, riprendendo con
lei quel l'atteggiamento cameratesco che si era interrotto con
l'estate.
Entrata in classe la professoressa mi guardò disgustata
-"Artesi. Cominciamo bene. Il primo ritardo dell'anno....Ce l'hai il permesso del preside?"
-"Non mi ha visto." risposi.
Certo non mi avrebbe potuto beccare neanche volendo.
Ero passata dal retro, prendendo le scale secondarie.
-"Va bene. Per oggi sarò buona. Vatti a sedere."
Occupai l'unico posto vuoto rimasto. Per raggiungerlo dovetti attraversare tutta l'aula.
Primo posto davanti a destra , vicino alla finestra.
Per fortuna il mio compagno mi piaceva. Il ragazzo teneva il cappuccio
della felpa nera calato sulla testa e la testa poggiata sulle
braccia incrociate.
Un -"Che cosa ti è successo?" sonnacchioso mi raggiunse da sotto il cappuccio. Girò piano la testa per osservarmi.
-"Nulla. Vince, tipico ritardo." gli risposi con un sorriso d'intesa.
Lui mi sorrise di rimando e si rintanò di nuovo fra le braccia.
Tentai di girarmi per vedere con chi condividevo quella lezione di
inglese, ma la professoressa mi marcava stretta, così passai il
resto della lezione ad annuire interessata e a prendere inutili
appunti. Al suono della campanella tutti scattarono in piedi non
volendo tollerare un secondo di più con un essere così
maligno e vendicativo: la Morelli. Vincenzo mi afferrò lo zaino
prima che riuscissi a mettere tutti i quaderni dentro e uscì
fuori lanciandomi un sorriso furbetto.
-"No, ti prego." lo implorai frustrata in un sussurro.
Cosè tutta quella voglia di giocare di primo mattino?!
Lo seguì fuori dalla porta per riprendermi la
cartella. Fuori dalla porta mi prese e mi stritolò in un
abbraccio facendo cadere lo zaino ai nostri piedi.
-"È questo il modo di salutare un vecchio amico dopo un'intera estate?!"
-"Va bene, va bene" dissi con davvero poco entusiasmo. -"Anche tu mi sei mancato."ammisi più accondiscendente.
-"Così mi piaci" disse lui e finalmente mi lasciò.
Vincenzo, detto Vince, era un ragazzo alto e magro, con le braccia e le
gambe così lunghe che sembravano essere fuori dal suo
controllo quando si muoveva.
Era conosciuto per il suo cacciarsi sempre nei guai, e famoso per il
suo riuscire sempre a farla franca, ma ancora di più, temuto,
per la sua aria losca da poco di buono.
Per questo motivo non aveva molti amici. O meglio, tutti lo
conoscevano, lo invitavano alle feste, gli chiedevano favori, ma
nessuno voleva frequentarlo più del dovuto. E lui stesso si
faceva avvicinare solo da chi gli stava a genio e con un solo sguardo
allontanava e intimoriva tutti gli altri.
Io e lui eravamo amici dal primo anno. Prima che diventasse alto un
metro e ottantacinque e così propenso alle stronzate.
Quando eravamo entrambi due emarginati che non c'entravano nulla in quel posto.
Poi lui si era fatto strada a forza nel gruppo "in". Il suo biglietto
d'ingresso: la droga e il contrabbando di cose "particolari" e
introvabili.
Non appoggiavo le sue scelte ma era mio amico e gli volevo bene. Era
grazie a lui se ero sopravvissuta alle noiose lezioni degli anni
precedenti. Per fortuna finivamo spesso insieme nei corsi e nonostante
non fossimo mai stai compagni di banco (fino a quel momento), ci
mettevamo comunque sempre vicini. Spesso lui dietro e io davanti. Io lo
coprivo mentre dormiva o mentre progettava qualcosa di illegale e lui
mi suggeriva le risposte molto difficili dei compiti che dovevamo
sostenere e mi faceva schiattare dal ridere. Io non ridevo facilmente,
le cose stupide, (stile torte in faccia e cadute spettacolari) non mi
facevano dirvertire. Ridevo per la sottigliezza delle battute, per il
sarcasmo e l'ironia celate, per la satira. Ma quando Vince apriva bocca
ero già con il sorriso stampato in faccia.
Aveva questa capacità di farmi ridere fino alle lacrime che mi
spaventava e mi aveva già cacciato in non pochi guai. Forse per
quel suo misto di faccia tosta, sorriso furbo e sguardo vispo
accompagnato alla sul acume tagliente e il suo essere un bravo oratore.
Vince era davvero intelligente.
Quel tipo di intelligenza che ti permettere di leggere una
qualsiasi informazione per averla già immagazzinata nella
memoria, lui non aveva bisogno di studiare per ore sui libri. Tutti noi
dovevamo essere bravi per andare ad una scuola del genere, ma lui era
davvero molto bravo. Ed era forse anche per questo che i prof lo
odiavano e si accanivano così tanto su di lui. Non potevano
concepire una persona come Vince, un "figlio di nessuno", che andasse
così bene a scuola. Lo interrogavano, gli devono "compiti
speciali" a parte (affinché lui non potesse copiare), lo
torchiavano stretto aspettando il minimo passo falso, ma lui non
cadeva. Aveva anche un fratello, che veniva con noi a scuola. Ma di lui
parlerò dopo.
-"Devo andare Cass. Faccio tardi a lezione."
Si piegò su di me, mi strinse la mandibola fra pollice e indice
e ruotandomi la testa di lato mi schioccò un bacio sulla guancia.
-"Aia", feci finta di lamentarmi mentre lui, ignorandomi, si stava già allontanando con le sue lunghe falcate.
Nelle successive lezioni finì in classe con ragazzi e ragazze che già conoscevo, ma non vidi nessun volto amico.
Al suono della quarta campanella ero così stanca (per la notte
passata quasi insonne), arrabbiata (per l'orario pressante che avevo
dovuto seguire) e delusa (perché non avevo ancora visto nessuna
della mie amiche) che decisi definitivamente che mi sarei andata a
nascondere e a dormire da qualche parte invece di andare all'assemblea.
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