Cronache di
un giorno come tanti
-...Non
si dovrebbe giudicare un libro dalla copertina...non si dovrebbero
dare sentenze fermandosi alle apparenze...-
Era un giorno come
tanti, a Perkar, o almeno lo era stato fino al momento in cui, gli
abitanti di uno dei tanti borghi del regno, avevano sentito il
galoppare chiassoso dell'unità dei soldati del re; avevano
visto arrivare quegli uomini avvolti nella loro uniforme
perfettamente ordinata e avevano notato fin da subito, nei loro
sguardi, una freddezza inflessibile.
Il Capitano Waldon,
subito dopo aver smontato da cavallo, si era diretto nello studio
dello scribacchino, situato nella piazza principale del borgo, dove
la gente aveva interrotto le proprie mansioni, per osservare e capire
meglio cosa stesse succedendo.
I soldati rimasti ad
aspettare il loro capitano, ancora in sella ai propri cavalli, non
alzarono, nemmeno per un attimo, lo sguardo verso i cittadini, che si
chiedevano il perché di tanta freddezza da parte dei
sottoposti del re.
A Perkar era sempre
regnata una grande armonia, soprattutto tra la borghesia, la nobiltà
e la famiglia reale; i nobili da parte loro, avevano sempre
apprezzato le feste al castello, alle quali prendeva parte anche la
gente del popolo. Le squadre dei soldati arrivavano nei villaggi,
portando, nella maggior parte dei casi, buone notizie e gli abitanti
li accoglievano sempre molto calorosamente.
I paladini del
regno, con i loro sguardi severi, avevano fatto capire agli abitanti
che, quel giorno, non sarebbero stati portatori di buone nuove.
Una bimba, fasciata
in un grazioso vestito blu, in mezzo alla folla, incuriosita da
quegli uomini così seri in divisa, prese coraggio e si
avvicinò piano verso uno dei soldati “Mi
scusi...signore...Perché mai siete così seri? La mia
mamma dice sempre che nel regno...a nessuno manca il sorriso...”
Il soldato rimase
inebetito, dalla domanda di quella bambina dagli occhi azzurri come
il ciel sereno e dai capelli biondi come il grano, ricci, tenuti su
da un delizioso nastrino bianco di raso.
“Oh...
dimmi piccola... quanti anni hai?” le domandò il
soldato, cercando di riscuotersi dal suo stato di trance.
“Ho
quattro anni signore...ma lei lo sa che non è educato
rispondere a una domanda con un'altra domanda?” gli rispose,
con un sorriso, mettendo le piccole manine sui fianchi.
Le persone rimasero
immobili, intenerite dalla visione di quella bimba curiosa, che
cercava di far capire al soldato le buone maniere...
“Nora!”
La folla all'udire
quel richiamo si voltò prontamente, trovando dinanzi a sé
una fanciulla dai capelli rossi come il rame, raccolti in treccia, e
gli occhi verdi come smeraldi.
“Nora
non dovresti tenere questi comportamenti in presenza delle guardie di
sua maestà e soprattutto non dovresti allontanarti da casa
senza dirlo alla mamma...” la voce
della ragazza, arrivò alle orecchie delle persone presenti,
dolce e melodiosa, seppur con una nota di rimprovero.
La bambina abbassò
lo sguardo e d'un tratto la spavalderia, voluta dalla sua curiosità,
sparì, senza lasciar alcuna traccia, mentre il soldato rimase
nuovamente senza parole ...e la gente avrebbe quasi azzardato a dire
che quell'uomo fosse rimasto affascinato dalla semplice bellezza
della fanciulla.
“Non
fare quella faccia triste adesso, è normale sbagliare...”
disse la giovane, abbassandosi all'altezza della bimba “Però
dopo uno sbaglio è necessario rimediare, lo sai vero? Ora
torni a casa e dici alla mamma che non volevi farla preoccupare, le
chiedi scusa e le prometti che starai più attenta.”
concluse dandole un piccolo bacio sulla fronte.
Nora, allora, alzò
la testa bionda con un gran sorriso e prima di correre via dalla
piazza, ancora gremita di persone, ringraziò la ragazza
abbracciandola teneramente. Non si voltò più, nemmeno
per un attimo, verso l'uomo che precedentemente aveva, senza volere,
attirato il suo interesse.
Il soldato non
proferì parola, ma una volta chiuso il piccolo e dolce
siparietto, si limitò ad uscire dai suoi ranghi, ancora in
sella al proprio cavallo, avvicinandosi alla giovane.
“Chiedo
scusa qualora il comportamento inopportuno di Nora, le avesse recato
disturbo...” dichiarò, lei, pacata, anticipando l'uomo
in una sua, qualsiasi prossima, mossa.
Lui, per tutta
risposta, le sorrise e scuotendo il capo in segno di diniego le disse
“Non trovo nulla di inopportuno nella curiosità di una
bambina...è sua sorella?”
“Oh
no... è una piccola amica, è dolcissima ma a volte la
sua curiosità può farla sembrare invadente...”
“Capisco.
Mi presento, io sono Brumir e lei signorina?”
“Gin,
molto piacere” rispose lei, chinando la testa, come segno di
riverenza nei confronti di quel soldato gentiluomo.
Gli occhi della
gente, che ancora rimaneva ferma sul posto, vociferando fra sé
e sé, osservavano con indiscreto interesse la conversazione
tra quella giovane ragazza di paese e quel sottoposto del re, forse
troppo gentile e cordiale.
All'improvviso
l'attenzione di tutti, fu distolta dal brusca uscita del Capitano
Waldon, che spalancò violentemente la porta dell'ufficio dello
scribacchino senza preoccuparsi minimamente del pubblico, che si
trovava dinanzi a lui.
“Brumir
ritorna immediatamente nei tuoi ranghi e non osare dire una sola
parola!” ordinò autoritario e secco.
Il soldato annuì,
all'ordine del suo capitano, tirò le redini del suo destriero
e lo fece girare rapidamente, ritornando senza indugio al suo posto
mentre Waldon, ignorando ancora la gente attonita del borgo, montò
sul suo cavallo, facendo segno ai suoi sottoposti di proseguire nella
loro marcia e non un saluto uscì dalle sue labbra, lasciando
tutti in un amaro stupore.
Brumir prima di
prendere il sentiero, che li avrebbe condotti in un'altra parte del
regno, voltò lo sguardo, un'ultima volta, verso quella
giovane, dai vermigli capelli, che tanto lo aveva colpito nella loro
brevissima conversazione.
La
gente, poco a poco, cominciò a tornare alle proprie mansioni
cercando ancora di riscuotersi da tutto ciò che aveva
stravolto un giorno come tanti.
Gin
rimasta l'unica, ancora ferma, al centro della piazza, volse gli
occhi verso la porta spalancata dell'ufficio dello scribacchino;
nessuno aveva avuto l'ardire di domandare, nessuno aveva avuto la
cortesia di andare verso quell'ufficio e verificare cosa fosse
successo pochi attimi prima che il capitano uscisse così
violentemente...
E
mentre questi pensieri le si mischiavano in testa, i passi si mossero
moderati, verso il silenzio che proveniva da quell'edificio, che gli
altri avevano preferito ignorare.
“È
permesso?” chiese con un fil di voce, fermandosi sull'uscio
della porta.
L'uomo
fermò la piuma,che con l'inchiostro disegnava ordinate lettere
su un pezzo di carta, e alzò la testa verso quella voce appena
udibile.
“Venga
pure avanti signorina, non resti lì sull'uscio...” le
disse, accennando a un sorriso.
La
giovane fece qualche passo incerto dentro la stanza, avvicinandosi
alla scrivania in legno, accuratamente intagliata, dove il grassoccio
scribacchino, con la barba curata, lavorava.
“Non
abbiate paura, non ho mai mangiato giovani fanciulle e non ho, per
nulla, l'intenzione di cominciare adesso...” ribadì
l'uomo.
“Io...
non ho paura... sono un po' scossa da ciò che è
successo pochi minuti fa...” disse, lei, prendendo coraggio.
“Signorina
credo che lo siano tutti e ancor più lo saranno dopo...”
“Cosa
intende dire? È successo qualcosa di molto grave?”
L'uomo
fece un lungo respiro, fece scendere gli occhiali sul naso e guardò
bene la giovane in piedi, davanti a lui.
“Un
ladro” disse alzandosi e mettendo le grosse mani sulla
scrivania “Un ladro che ruba i libri sulla storia del nostro
regno...” proseguì, vedendo l'espressione, della
ragazza, sempre più perplessa.
“Non
vedo … o meglio, non capisco quali danni può recare,
questo ladro, al re o agli abitanti...”
“È
ciò che ho pensato io signorina non appena il capitano mi ha
comunicato gli ordini del re...” disse, l'uomo, porgendole il
foglio su cui stava scrivendo “Non è ancora concluso, ma
questo è, in sostanza, ciò che devo affiggere sulle
cronache del regno...”
Gin
lesse rapidamente le poche righe scritte e scosse la testa, dubbiosa.
“Perché
un re che si è sempre dimostrato magnanimo verso i suoi
sudditi, dovrebbe dare ordini così spietati, pretendendo di
metterli anche alla vista di tutti?”
“Signorina
chi può mai saperlo? Il capitano ha detto che un ladro non può
permettersi di scavalcare la posizione suprema di un re... ma può,
secondo lei, essere l'orgoglio a muovere un uomo, per l'appunto,
magnanimo, a compiere gesti tanto spietati verso un piccolo ladro?
Forse il nostro re inizia a dare segni di pazzia? O forse nasconde
qualcosa?”
“Cosa
mai potrebbe nascondere un re?” chiese Gin, stupita.
“ Anche
il più gentile dei re può nascondere anche i segreti
più oscuri... tenga a mente che la gentilezza può
essere la peggiore delle maschere, perché non permette alle
persone di andare oltre le apparenze...”
“Capisco...
la ringrazio”.
“È
stato un piacere aiutarla” concluse l'uomo, tornando a sedere.
Gin,
salutò con un cordiale sorriso e se andò dall'ufficio,
con uno sguardo, che la gente avrebbe definito, come quello di una
bambina che appena scoperto qualcosa di triste e spiacevole. Ma
d'altra parte,lei, non era molto più grande di questa: Gin
aveva solo quattordici anni e vedeva il buono in tutto ciò che
la circondava; era una delle ragazze più sognatrici del regno
che all'occorrenza fantasticava sull'esistenza di mondi magici e
nonostante molti la definissero una pazza, lei sapeva che avrebbe
sempre potuto contare su Griselda, quella che poteva definirsi la sua
migliore amica.
Fine
secondo capitolo.
Eccomi
con questo secondo capitolo di “Masquerade”, dove ho
introdotto alcuni dei personaggi che accompagneranno questo piccolo
esperimento (tra cui Gin) e dove ho fatto transitare la notizia del
ladro di libri. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio
chi lo ha letto e chi, se vorrà, recensirà questa
storia.
Un
abbraccio e al prossimo capitolo.
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