Capitolo riveduto e
corretto.
«Bella?
Bella?». Carlisle.
Mossi il capo di lato, infastidita
da quella voce
lontana.
«Bella! Ti prego, apri
gli occhi, non fare la bambina!»
Alice… e il suo ennesimo rimprovero.
Una voce più dolce e
melliflua, a cui solo
recentemente mi ero abituata. «Alice, forse dovremmo chiamare
Edward. È la
terza volta che sviene, non è normale». Rosalie.
«No, abbiamo
già chiamato Carlisle, il dottore c’è.
Bella non ha nulla, sta solo facendo i capricci»
protestò la piccola vampira. Sentii
dei colpetti sul volto. «Bella?! Lo so che mi puoi
già sentire. Insomma, ti
stai per sposare, e sembra che tu debba andare al patibolo!».
Ad un ennesimo colpetto mossi di
nuovo la testa.
«Non ha nulla che non va,
è solo l’agitazione. Al
massimo le posso fare un’iniezione di
ansiolitici…».
Spalancai gli occhi, sollevandomi
seduta, per poi
ricadere all’indietro colpita da un capogiro. «Sto
benissimo» biascicai.
Sentii Carlisle ridacchiare. Aveva
un’espressione
tranquilla sul viso. «Su Bella, non fare
così».
«Davvero Carlisle, non ne
ho bisogno» protestai
determinata. Mi massaggiai le tempie doloranti.
Mi aiutò a mettermi
seduta. «Va bene, come vuoi tu».
Realizzai in breve tempo quello che
poteva essere
accaduto. «E’ successo di nuovo?»
domandai titubante.
«Sì!»
esclamò Alice in tono accusatorio, facendo
scoppiare a ridere Carlisle. Era già la terza volta che
svenivo quella mattina.
Ogni volta che passavo davanti all’abito da sposa, ogni volta
che vedevo gli
inviti sparsi qua e là, ogni volta che vedevo gli addobbi
del corridoio del
piano superiore, gli unici che potessi ammirare, andavo
nell’ansia più totale.
Ma, il vero problema, era quando qualcuno pronunciava la parola
“sposa” ed io,
mi ricordavo del mio matrimonio.
E il ricordo del mio matrimonio,
portava al ricordo
che mio marito sarebbe stato presto Edward.
Ecco, dopo il ricordo di Edward,
non ricordavo più
nulla, solo il buio e due mani fredde che mi afferravano. Avevo i nervi
a fior
di pelle.
Mi mordicchiai il labbro inferiore.
«Lui non sa
niente, vero?!».
«Non ti preoccupare, lui
è lontano da qui. Se non vuoi
non gli diremo nulla» mi rassicurò Alice, tentando
di essere rassicurante.
Tuttavia, le leggevo in faccia l’impazienza.
«Sì, grazie!
Non ditegli nulla per favore. Se no poi
sapete com’è, si agita…e…
non voglio rovinare il giorno del nostro matrimonio
con tutte queste cose assolutamente stupide… come se non
avessimo già
abbastanza cose di cui preoccuparci… e mi rendo conto di
quanto sia stupido il
mio comportamento… se solo potessimo farne a
meno… fare a meno e andare avanti
e basta…».
Carlisle posò le sue
mani sulle mie, che si muovevano
frenetiche fra loro, bloccandole e facendole fermare, in un mio
sussulto. «Certo
Bella, calmati. Mi sembri un po’ troppo agitata. Sicura di
non volere i
calmanti?» mi chiese serio.
«Sì!»
mi affrettai a rispondere. «Davvero, ora mi
calmo… è che…».
«È
che?» m’incalzò Rosalie.
Quasi urlai.
«È che mi sto per sposare,
diamine!».
«Bella!»
sbottò Alice, smettendola di fare avanti e
indietro per la stanza di Edward. «Forza e coraggio, ancora
non abbiamo fatto
niente. E mancano solo tre ore e mezza! Dimmi se posso finalmente
cominciare a
truccarti e a farti l’acconciatura o se dobbiamo aspettare
che tu svenga ancora
una volta» mi accusò, puntandomi un dito contro.
Mandai gli occhi in gloria.
«Certo Alice, prevedo di
svenire ancora due o tre volte, che ne dici per le “undici e
mezza” a te va
bene? Oppure si può fare a “e
trentacinque”, come vuoi tu» la scimmiottai,
sarcastica.
Carlisle ridacchiò sotto
i baffi, tentando inutilmente
di nasconderlo.
Alice mi fulminò con lo
sguardo. «Tutti fuori» sbottò
dopo due secondi.
«Ma…cosa…
Non ti sarai mica offesa?» le chiesi
preoccupata.
Sospirò, facendo roteare
gli occhi. «Tutti fuori»
ribadii.
«Come vuoi,
Alice» fece Carlisle, sollevandosi dal
letto di Edward. «Mi raccomando, Bella, calmati».
Rosalie scrollò le
spalle, apparendo indifferente e un
po’ annoiata dalla situazione, come se non la toccasse
più di tanto.
Quando la porta fu chiusa alle loro
spalle, Alice
gridò «Tutti fuori da casa,
grazie».
Mi voltai verso di lei.
«Ma, Alice, cosa…?».
«Bella»
iniziò, seria, prendendomi le mani fra le sue,
minuscole, e sedendosi accanto a me sul letto. «Ora, mi dici
cosa c’è che non
va?».
Spostai lo sguardo, fuggendo dai
suoi occhi indagatori
e mordendomi il labbro. Non volevo rispondere.
«Sorellina,
ascoltami» mi prese il viso in una mano e
me lo fece girare, fino ad incontrare i suoi occhi che curiosi mi
squadravano. «Dimmi
cosa c’è che non va’. Perché c’è,
qualcosa che non va’». Fece una pausa.
«Sei felice?».
«Sì!»
mi affrettai a rispondere, non volendo esitare.
Prese un respiro, e si fece ancora
più seria. «Tutta
questa agitazione non centra niente con quello che hai detto a
Jasper?».
Corrugai la fronte, pensierosa,
tentando di ricordare.
Non riuscivo a capire a cosa stesse alludendo.
Improvvisamente sgranai gli occhi,
colpita da quel
ricordo. «Oh, no, Alice, no, no, no!» urlai,
portandomi le mani alla bocca,
scioccata, alzandomi dal letto e retrocedendo, spaventata.
«No, tu non puoi
pensarlo! Non è così! Diamine, non so neppure
come possa essermi venuto in
mente, è stato un momento, uno stupido pensiero
transitorio!».
Lei non parve sorpresa dalla mia
reazione. Si alzò dal
letto e avanzò piano verso di me, mantenendo comunque
qualche passo di distanza
«Bella. Io vedo Esme e Rosalie. Loro… hanno
Carlisle e Emmett, ma comunque
sentono che la loro esistenza è incompleta. Non è
come per me. Io non ne sento
la necessità, e…beh… pensavo che anche
per te potesse essere così…» concluse
malinconica.
Feci i tre passi che mi dividevano
da lei e
l’abbracciai. La sentii sussultare. «Ma
è così Alice, te lo giuro. Io amo
Edward. Cosa mi importa del resto?! Nulla. Io lo
amo…»
«Quindi, ti senti pronta
a rinunciare alla possibilità
di diventare madre?» chiese ancora, leggermente sollevata.
«Sì»
dissi decisa. Non volevo più che quell’argomento
venisse fuori. Mai più.
«E’ stato…?».
Non mi fece concludere la domanda,
che già mi aveva
risposto. «No, non è stato Jasper a dirmelo.
L’ho visto. Lui sicuramente si
starà sforzando per non pensarci, ti vuole bene
sai» mormorò, la voce
intenerita «anche se non te lo dimostra sempre, ti vuole
tanto bene».
Mi abbracciò ancora.
Restammo così alcuni minuti.
«Grazie»
sussurrai poi.
«Di cosa?».
«Di essere mia
sorella».
«Oh, andiamo, non fare le
smielata!» protestò,
staccandosi. Sospirò ancora. «Me lo vuoi dire cosa
c’è che non va?».
Abbassai gli occhi.
«Centra il
cane?» Fuoco.
«Hai paura?»
Colpita e affondata.
La sentii sospirare ancora.
«Non devi averne! Ascolta,
ne sono sicura, Edward è insieme a Jasper, Emmett e quelli
del clan di Denali.
Tu sei ben protetta insieme a noi. I licantropi stanno facendo dei
turni di
guardia nel territorio. Ce lo devono. Abbiamo anche spostato il
matrimonio in
chiesa!».
Già, quella era una
novità. Questa volta, realizzando
che Jacob poteva realmente rappresentare un minaccia, tutta la famiglia
si era
mobilitata per far andare tutto per il meglio. Esme aveva
trovato una bella
chiesetta in cima ad una collina, vicino Forks, a cui si accedeva
attraverso
una porticina stretta in fondo alla valle per poi proseguire in un
lungo
corridoio di pietra. Jacob non sarebbe potuto arrivare a me in forma di
licantropo, e se si fosse anche solo avvicinato in forma umana, i miei
angeli
custodi ne avrebbero subito sentito l’odore. Poi, il
rinfresco si sarebbe
svolto all’interno di casa Cullen, con le meravigliose
vetrate aperte che
davano libera visione a tutto il paesaggio.
Tutto il piano era stato progettato
per la mia
serenità, che purtroppo era scomparsa ieri, non appena
Edward si era
allontanato da me per ordine di Alice.
«Fidati di noi e tutto
andrà bene» mi assicurò mia
sorella.
Alzai lo sguardo, fino ad
incontrare i suoi occhi. «Va
bene Alice» acconsentii. Come se potessi fare altro.
Dopo circa cinque minuti Rose e
Alice erano nuovamente
all’opera su di me. Mi lasciai strapazzare come una bambola,
mentre ripensavo
alla conversazione che avevamo avuto io e Alice. Quella stupida storia
di
diventare madre stava andando troppo avanti. Avevo commesso un errore,
ne ero
consapevole, ma perché il destino, invece di aiutarmi a
mettere una pietra
sopra, infieriva su di me? Era qualcosa di estremamente ingiusto.
Era ingiusto, anche
perché, proprio ora che tutto era
diventato perfetto con Edward, l’amore della mia vita, che
aveva persino
acconsentito al mio piano e a trasformarmi, il mio migliore amico
rovinava
tutto. Anzi, il mio ex-migliore amico. Dopo quello che mi aveva detto
Edward,
di come aveva curato il piano pur di anche solo uccidere un membro
della mia
famiglia, capii che quella volta, davvero, non potevo proprio
più tornare
indietro. Nemmeno la più piccola parte di me poteva
perdonarlo. Non solo ero
diventata totalmente insensibile nei suoi confronti, mi trovavo anche a
pregare
perché non esistesse più.
Mi sentii scuotere.
«Bella. Va bene, concordo con te,
restarsene imbambolati è meglio che svenire, ma ora mi fai
il piacere di
prestarmi attenzione cinque minuti, così che io ti possa
infilare il vestito?».
Alice sventolava a poche spanne da me una spazzola per capelli, con
fare
minaccioso.
Trasalii. «Mh.
Sì» mi sollevai in fretta dalla sedia
del bagno, per poi bloccarmi a mezz’aria quando mi venne in
mente qualcosa. «Non
si rovinerà se lo metto ora? Non mi vorrai mica far rimanere
in piedi e ferma
per tre ore, spero» mi lagnai.
Lei mi guardava scioccata.
«Bella?! Sveglia, sono le
nove e mezza, fra un ora ti…» i suoi occhi si
fecero un attimo lontani, per una
visione «oh, no eh, non svenire di nuovo, guai per
te!».
Mi aggrappai a lei barcollante,
deglutendo. «Fra
un’ora mi sposo?» chiesi con un
filo di voce.
«Sì,
decisamente» disse, scuotendo il capo con
disappunto e trascinandomi in camera di Edward, mentre io, inerme, la
lasciavo
fare.
Lì Rose e Alice
m’infilarono il vestito, attente a non
rovinarmi trucco e acconciatura.
Poi, sentii una voce che da
decisamente troppo
tempo non sentivo dal vivo!
«Mamma…»
mormorai commossa mentre lei mi correva
letteralmente incontro, con il solito infantilismo che la
caratterizzava.
«Tesoro, mi sei mancata
davvero tanto!» esclamò,
fermandosi ad un metro da me. Ero rimasta ferma con le braccia aperte,
pronta
ad accoglierla. «No, non ti abbraccio, non se ne parla. Non
voglio rovinarti
l’abito… Sei davvero, davvero stupenda, Alice, hai
compiuto un miracolo, vedo
un angelo qui di fronte a me, e l’abito, oh,
l’abito è semplicemente magnifico!».
Capii, dalla sua voce incrinata, che stava per piangere. Infatti, poco
dopo,
singhiozzò. «Oh, la mia piccola si
sp…».
«No!»
strillarono in coro Rose e Alice.
Mia madre le fissò
sorpresa, mentre loro le facevano
gesti e si sbracciavano per impedirle di continuare la frase.
«Emm, Reneé,
vuoi che ti faccia un’acconciatura? Io
devo andare ancora a cambiarmi, possiamo andare di là, in
camera mia…» fece
Rosalie evasiva, prendendola per una mano e trascinandola via.
«Oh. Okay»
rispose confusa mia madre, scomparendo
dalla mia vista.
Sospirai.
«Bella.
Ascoltami» mi chiamò Alice, «stattene
buona,
buona qui immobile e non fare niente. Io, praticamente, ci metto poco
più di
tre minuti a cambiarmi e sistemarmi, riesci a rimanere ferma e
tranquilla?».
Annuii, incapace di parlare,
imbambolata, ferma al centro
della stanza.
Come promesso, dopo tre minuti fu
da me. O almeno
credo fossero passati tre minuti. Ormai, non pensavo più a
nulla, la mia mente
era come svuotata, me ne ero stata immobile, senza neppure sbattere le
ciglia.
Alice indossava un meraviglioso
abito di chiffon
giallo, mentre i capelli erano fermati sui lati con due graziosissimi
nastrini
dello stesso colore. Era davvero stupenda.
«Sei…sei
bellissima…» squittii, squadrandola, gli
occhi spalancati.
Lei sfoderò uno dei suoi
meravigliosi sorrisi. «Grazie,
ma tu di più».
Un istante dopo entrarono in camera
mia madre e
Rosalie, che ferì la mia autostima più di quanto
non avesse già fatto Alice,
mentre io me ne stavo ancora immobile a fissare il vuoto.
«Tesoro? Non ha una bella
cera…» commentò mia madre.
«Non si preoccupi
Reneé, è tutto sotto controllo. E’
normale che sia così. Ora si calma, vero?!».
«Ma la mia preoccupazione
è proprio questa, è troppo
calma» disse sventolandomi una mano davanti agli occhi
«Bella, mi senti?».
Mi riscossi un attimo, sobbalzando.
Annuii
impercettibilmente.
Alice mi fissò il velo
sui capelli e mi ritrovai a
fissare tutto attraverso una rete intrecciata di fili
d’organza. Dopo due
istanti, mi ritrovai un bouquet fra le mani, e Charlie di fronte a me,
che
sorrideva imbarazzato. Poi baci, mani, fredde e calde, forse camminai
anche.
Poco dopo, senza che neppure me ne
rendessi conto, mi
ritrovai seduta su un sedile in pelle, lo spazio intorno a me ampio, e
il
tettuccio imbottito. Ero nella limousine!
Accanto a me, mio padre sembrava
molto impacciato, si
rigirava le mani, non sapendo cosa dire.
«P…papà?»
lo chiamai titubante, deglutendo. Lui mi
fece un sorriso tirato. Notai che aveva i lucciconi agli occhi.
«Oh,
papà!» esclamai, portandomi una mano alla bocca
per nascondere un singhiozzo che mi pervase comunque il petto.
«Bells, non piangere,
altrimenti Alice ce l’avrà a
vita con me, per averti fatto rovinare il trucco» disse
Charlie, la voce
evidentemente commossa.
«Beh…»
dissi asciugandomi con delicatezza la lacrima
che era sfuggita dai miei occhi «credo abbia usato del trucco
resistente
all’acqua…».
Il vetro divisorio fra posto di
guida e i sedili si
abbassò, facendo comparire Emmett alla giuda della macchina.
«Bella, mi sembra
di poter sentire il tuo cuore anche da qui!»
sghignazzò.
Mio padre ridacchiò di
quella che sembrava potesse
essere una battuta. Io deglutii, tentando di calmarmi, ma inutilmente.
Non mi
parvero davvero, neppure essere passati, quei minuti, che
l’auto si fermò.
L’agitazione era cresciuta a livelli esponenziali, fino a
raggiungere il limite
massimo.
Ebbi un sussulto, quando mio padre
aprì la portiera
dell’auto e con una mano mi invitò a scendere.
Sentivo le mie gambe immobili.
Sembrava che per nessun motivo al mondo volessero obbedire ai miei
ordini. «Papà,
ti prego… Reggimi tu» farfugliai.
Dovette rispondermi con parole di
conforto, che
comunque con sentii. Sentivo le orecchie fischiare, i suoni mi
giungevano
lontani, ovattati. Se avesse proceduto ancora a quel ritmo sostenuto,
presto,
il mio cuore, mi sarebbe uscito dal petto.
Fui colpita dai debolissimi raggi
del sole, non più
protetta dall’ombra dei vetri oscurati. Dinanzi a me, sentivo
provenire un
mormorio di voci. Doveva essere la mia famiglia. I miei piedi si
muovevano per
l’inerzia del mio corpo, mentre, non del tutto responsabile
delle mie azioni,
mi avviavo verso la chiesa.
Edward, Edward,
Edward. Edward,
mio marito.
Mi sentii quasi soffocare, e capii che non stavo più
respirando. Mi
accorsi che mio padre mi stava guardando allarmato, così
presi un bel respiro
lungo, con il naso, concentrandomi sullo scalpiccio dei passi sulla
ghiaia.
Tutti gli alberi intorno alla chiesetta erano stati addobbati con dei
fiocchi e
dei nastri, piacevoli, ma non eccessivi. Solo venti metri mi separavano
dalla
scalinata della chiesa. Passi, passi, passi. Toc, toc, toc
facevano i
miei tacchi sul suolo.
Poi, il rumore prodotto dai miei
piedi mi giunse più
sommesso e lontano. Capii che stavo calpestando il tappeto rosso.
Contemporaneamente, accaddero due
cose, la marcia
nuziale partì, e io sbiancai.
Alice, con un leggero svolazzamento
del vestito,
s’incamminò, avanzando mollemente sui piedi.
Notando che restavo immobile, mio
padre mi diede un leggero strattone. Mi riscossi e cominciai a salire i
gradini, sollevandomi la gonna, piano, con tutta la lentezza che potevo
permettermi. Sentivo che il respiro mi usciva incostante dalla gola,
opera del
mio cuore che da troppo tempo faceva gli straordinari. La marcia
nuziale andò
sempre più rallentando, finché non arrivai
sull’ultimo gradino, e lo vidi.
In tutto il suo immenso splendore,
Edward mi guardava,
perso nei miei occhi.
Le sue iridi erano completamente
dorate, chiarissime,
quasi liquide. Il volto etereo risaltava, splendendo della sua
bellezza. Il suo
corpo era fasciato da uno smoking nero, con una fascia di seta bianca
sulla
vita. Era una spettacolo divino.
Sentii le guance imporporarsi e gli
occhi, quasi a
volermi oscurare la visione di quel miracolo, si appannarono di lacrime.
Sentivo una potentissima attrazione
verso di lui. Di
nuovo, mi ritrovai nelle mia personale bolla, senza avere la cognizione
di
come, dove, quando o cosa stessi facendo. Sapevo solo che, questa
volta, nella
mia bolla, c’era Edward, insieme a me.
Mi sembrò quasi di
veleggiare, ma quando, finalmente,
sentii il contatto con la sua pelle freddissima la bolla si ruppe
improvvisamente, catapultandomi nella realtà. Accanto al mio
Edward.
Mi sorrideva raggiante, in tutta la
sua
incomprensibile bellezza. Mi persi completamente nella
profondità dei suoi
occhi, considerando che solo quello nell’universo aveva
importanza in quel
momento, e lo sapevo, per lui era lo stesso.
«Isabella
Swan…» mossi il capo verso il pastore Weber,
quando sentii quelle parole, e, quando una goccia mi cadde sulla mano,
capii
che avevo le guance inondate di lacrime.
«Sì, lo
voglio» la mia voce era uscita rotta dalla
commozione e dal pianto, ma allo stesso tempo, non poteva davvero
essere più
determinata di così.
«Sì, lo
voglio» quella frase, pronunciata con la
meravigliosa voce di Edward, sembrò del tutto diversa dalla
mia, ma con la
stessa intenzione e intensità, che può unire solo
due amanti di un amore vero.
La mia mano tremante, non so per
quale miracolo,
adempii immediatamente al primo tentativo di infilare la fede al dito
del mio
amore, mentre con estrema eleganza la teneva posata sulla mia.
E così, con il mio
stesso gesto, e con le parole che
servivano per unirci per sempre, agli occhi di tutti, io e Edward ci
sciogliemmo l’uno nel volto dell’altro.
Capii che ero stata una folle a non
accettare prima la
sua proposta, perché quello, e lui l’aveva sempre
saputo, sarebbe stato un
momento magico per noi, il coronamento del nostro immenso amore, il
nostro
giuramento eterno.
«Edward Anthony Cullen e
Isabella Marie Swan, vi dichiaro
marito e moglie».
Si levò un applauso per
tutta la chiesa, ma io,
contrariamente a quanto avrei fatto in qualsiasi altro caso, non
arrossii. La parte
più maliziosa di me stava aspettando le parole del prete.
«Ora, può
baciare la sposa».
Con il suo sorriso, quello, che
ormai io chiamavo
“nostro”, mi sollevò con estrema grazia
il velo e si avvicinò, senza più
aspettare, alle mie labbra.
Inaugurammo una nuova,
entusiasmante, danza,
sfamandoci uno dell’altro, del bisogno che sentivamo di
sentirci uniti.
Quando si staccò da me,
anche se le orecchie mi
fischiavano, potei sentire gli applausi e i fischi di compiacimento che
venivano dal nostro pubblico.
Avvampai violentemente, mentre
Edward, prendendomi la
mano, mi faceva voltare verso i nostri parenti e amici.
«Ti amo, Bella
Cullen» disse con un sorriso
smagliante.
«Ti amo, Edward
Cullen» risposi con le stessa
esplosiva gioia.
Mi sorrise beffardo, stringendomi a
sé. «Pronta?».
«Pronta a
cosa?» chiesi spaesata.
«A questo!»
gridò entusiasta, correndo per la navata,
ed io, felice come mai ancora ero stata nella mia vita, mi feci
trascinare,
sollevandomi l’enorme gonna con la mano libera.
Usciti dalla chiesa, fummo
investiti da una valanga di
riso e confetti bianchi.
Poi, mi ritrovai nella limousine,
le labbra di Edward
incollate alle mie.