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Autore: keska    05/06/2009    30 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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-Bella

Capitolo riveduto e corretto.

 

«Bella? Bella?». Carlisle.

Mossi il capo di lato, infastidita da quella voce lontana.

«Bella! Ti prego, apri gli occhi, non fare la bambina!» Alice… e il suo ennesimo rimprovero.

Una voce più dolce e melliflua, a cui solo recentemente mi ero abituata. «Alice, forse dovremmo chiamare Edward. È la terza volta che sviene, non è normale». Rosalie.

«No, abbiamo già chiamato Carlisle, il dottore c’è. Bella non ha nulla, sta solo facendo i capricci» protestò la piccola vampira. Sentii dei colpetti sul volto. «Bella?! Lo so che mi puoi già sentire. Insomma, ti stai per sposare, e sembra che tu debba andare al patibolo!».

Ad un ennesimo colpetto mossi di nuovo la testa.

«Non ha nulla che non va, è solo l’agitazione. Al massimo le posso fare un’iniezione di ansiolitici…».

Spalancai gli occhi, sollevandomi seduta, per poi ricadere all’indietro colpita da un capogiro. «Sto benissimo» biascicai.

Sentii Carlisle ridacchiare. Aveva un’espressione tranquilla sul viso. «Su Bella, non fare così».

«Davvero Carlisle, non ne ho bisogno» protestai determinata. Mi massaggiai le tempie doloranti.

Mi aiutò a mettermi seduta. «Va bene, come vuoi tu».

Realizzai in breve tempo quello che poteva essere accaduto. «E’ successo di nuovo?» domandai titubante.

«Sì!» esclamò Alice in tono accusatorio, facendo scoppiare a ridere Carlisle. Era già la terza volta che svenivo quella mattina. Ogni volta che passavo davanti all’abito da sposa, ogni volta che vedevo gli inviti sparsi qua e là, ogni volta che vedevo gli addobbi del corridoio del piano superiore, gli unici che potessi ammirare, andavo nell’ansia più totale. Ma, il vero problema, era quando qualcuno pronunciava la parola “sposa” ed io, mi ricordavo del mio matrimonio.

E il ricordo del mio matrimonio, portava al ricordo che mio marito sarebbe stato presto Edward.

Ecco, dopo il ricordo di Edward, non ricordavo più nulla, solo il buio e due mani fredde che mi afferravano. Avevo i nervi a fior di pelle.

Mi mordicchiai il labbro inferiore. «Lui non sa niente, vero?!».

«Non ti preoccupare, lui è lontano da qui. Se non vuoi non gli diremo nulla» mi rassicurò Alice, tentando di essere rassicurante. Tuttavia, le leggevo in faccia l’impazienza.

«Sì, grazie! Non ditegli nulla per favore. Se no poi sapete com’è, si agita…e… non voglio rovinare il giorno del nostro matrimonio con tutte queste cose assolutamente stupide… come se non avessimo già abbastanza cose di cui preoccuparci… e mi rendo conto di quanto sia stupido il mio comportamento… se solo potessimo farne a meno… fare a meno e andare avanti e basta…».

Carlisle posò le sue mani sulle mie, che si muovevano frenetiche fra loro, bloccandole e facendole fermare, in un mio sussulto. «Certo Bella, calmati. Mi sembri un po’ troppo agitata. Sicura di non volere i calmanti?» mi chiese serio.

«Sì!» mi affrettai a rispondere. «Davvero, ora mi calmo… è che…».

«È che?» m’incalzò Rosalie.

Quasi urlai. «È che mi sto per sposare, diamine!».

«Bella!» sbottò Alice, smettendola di fare avanti e indietro per la stanza di Edward. «Forza e coraggio, ancora non abbiamo fatto niente. E mancano solo tre ore e mezza! Dimmi se posso finalmente cominciare a truccarti e a farti l’acconciatura o se dobbiamo aspettare che tu svenga ancora una volta» mi accusò, puntandomi un dito contro.

Mandai gli occhi in gloria. «Certo Alice, prevedo di svenire ancora due o tre volte, che ne dici per le “undici e mezza” a te va bene? Oppure si può fare a “e trentacinque”, come vuoi tu» la scimmiottai, sarcastica.

Carlisle ridacchiò sotto i baffi, tentando inutilmente di nasconderlo.

Alice mi fulminò con lo sguardo. «Tutti fuori» sbottò dopo due secondi.

«Ma…cosa… Non ti sarai mica offesa?» le chiesi preoccupata.

Sospirò, facendo roteare gli occhi. «Tutti fuori» ribadii.

«Come vuoi, Alice» fece Carlisle, sollevandosi dal letto di Edward. «Mi raccomando, Bella, calmati».

Rosalie scrollò le spalle, apparendo indifferente e un po’ annoiata dalla situazione, come se non la toccasse più di tanto.

Quando la porta fu chiusa alle loro spalle, Alice gridò «Tutti fuori da casa, grazie».

Mi voltai verso di lei. «Ma, Alice, cosa…?».

«Bella» iniziò, seria, prendendomi le mani fra le sue, minuscole, e sedendosi accanto a me sul letto. «Ora, mi dici cosa c’è che non va?».

Spostai lo sguardo, fuggendo dai suoi occhi indagatori e mordendomi il labbro. Non volevo rispondere.

«Sorellina, ascoltami» mi prese il viso in una mano e me lo fece girare, fino ad incontrare i suoi occhi che curiosi mi squadravano. «Dimmi cosa c’è che non va’. Perché c’è, qualcosa che non va’». Fece una pausa. «Sei felice?».

«Sì!» mi affrettai a rispondere, non volendo esitare.

Prese un respiro, e si fece ancora più seria. «Tutta questa agitazione non centra niente con quello che hai detto a Jasper?».

Corrugai la fronte, pensierosa, tentando di ricordare. Non riuscivo a capire a cosa stesse alludendo.

Improvvisamente sgranai gli occhi, colpita da quel ricordo. «Oh, no, Alice, no, no, no!» urlai, portandomi le mani alla bocca, scioccata, alzandomi dal letto e retrocedendo, spaventata. «No, tu non puoi pensarlo! Non è così! Diamine, non so neppure come possa essermi venuto in mente, è stato un momento, uno stupido pensiero transitorio!».

Lei non parve sorpresa dalla mia reazione. Si alzò dal letto e avanzò piano verso di me, mantenendo comunque qualche passo di distanza «Bella. Io vedo Esme e Rosalie. Loro… hanno Carlisle e Emmett, ma comunque sentono che la loro esistenza è incompleta. Non è come per me. Io non ne sento la necessità, e…beh… pensavo che anche per te potesse essere così…» concluse malinconica.

Feci i tre passi che mi dividevano da lei e l’abbracciai. La sentii sussultare. «Ma è così Alice, te lo giuro. Io amo Edward. Cosa mi importa del resto?! Nulla. Io lo amo…»

«Quindi, ti senti pronta a rinunciare alla possibilità di diventare madre?» chiese ancora, leggermente sollevata.

«Sì» dissi decisa. Non volevo più che quell’argomento venisse fuori. Mai più. «E’ stato…?».

Non mi fece concludere la domanda, che già mi aveva risposto. «No, non è stato Jasper a dirmelo. L’ho visto. Lui sicuramente si starà sforzando per non pensarci, ti vuole bene sai» mormorò, la voce intenerita «anche se non te lo dimostra sempre, ti vuole tanto bene».

Mi abbracciò ancora. Restammo così alcuni minuti.

«Grazie» sussurrai poi.

«Di cosa?».

«Di essere mia sorella».

«Oh, andiamo, non fare le smielata!» protestò, staccandosi. Sospirò ancora. «Me lo vuoi dire cosa c’è che non va?».

Abbassai gli occhi.

«Centra il cane?» Fuoco.

«Hai paura?» Colpita e affondata.

La sentii sospirare ancora. «Non devi averne! Ascolta, ne sono sicura, Edward è insieme a Jasper, Emmett e quelli del clan di Denali. Tu sei ben protetta insieme a noi. I licantropi stanno facendo dei turni di guardia nel territorio. Ce lo devono. Abbiamo anche spostato il matrimonio in chiesa!».

Già, quella era una novità. Questa volta, realizzando che Jacob poteva realmente rappresentare un minaccia, tutta la famiglia si era mobilitata per  far andare tutto per il meglio. Esme aveva trovato una bella chiesetta in cima ad una collina, vicino Forks, a cui si accedeva attraverso una porticina stretta in fondo alla valle per poi proseguire in un lungo corridoio di pietra. Jacob non sarebbe potuto arrivare a me in forma di licantropo, e se si fosse anche solo avvicinato in forma umana, i miei angeli custodi ne avrebbero subito sentito l’odore. Poi, il rinfresco si sarebbe svolto all’interno di casa Cullen, con le meravigliose vetrate aperte che davano libera visione a tutto il paesaggio.

Tutto il piano era stato progettato per la mia serenità, che purtroppo era scomparsa ieri, non appena Edward si era allontanato da me per ordine di Alice.

«Fidati di noi e tutto andrà bene» mi assicurò mia sorella.

Alzai lo sguardo, fino ad incontrare i suoi occhi. «Va bene Alice» acconsentii. Come se potessi fare altro.

Dopo circa cinque minuti Rose e Alice erano nuovamente all’opera su di me. Mi lasciai strapazzare come una bambola, mentre ripensavo alla conversazione che avevamo avuto io e Alice. Quella stupida storia di diventare madre stava andando troppo avanti. Avevo commesso un errore, ne ero consapevole, ma perché il destino, invece di aiutarmi a mettere una pietra sopra, infieriva su di me? Era qualcosa di estremamente ingiusto.

Era ingiusto, anche perché, proprio ora che tutto era diventato perfetto con Edward, l’amore della mia vita, che aveva persino acconsentito al mio piano e a trasformarmi, il mio migliore amico rovinava tutto. Anzi, il mio ex-migliore amico. Dopo quello che mi aveva detto Edward, di come aveva curato il piano pur di anche solo uccidere un membro della mia famiglia, capii che quella volta, davvero, non potevo proprio più tornare indietro. Nemmeno la più piccola parte di me poteva perdonarlo. Non solo ero diventata totalmente insensibile nei suoi confronti, mi trovavo anche a pregare perché non esistesse più.

Mi sentii scuotere. «Bella. Va bene, concordo con te, restarsene imbambolati è meglio che svenire, ma ora mi fai il piacere di prestarmi attenzione cinque minuti, così che io ti possa infilare il vestito?». Alice sventolava a poche spanne da me una spazzola per capelli, con fare minaccioso.

Trasalii. «Mh. Sì» mi sollevai in fretta dalla sedia del bagno, per poi bloccarmi a mezz’aria quando mi venne in mente qualcosa. «Non si rovinerà se lo metto ora? Non mi vorrai mica far rimanere in piedi e ferma per tre ore, spero» mi lagnai.

Lei mi guardava scioccata. «Bella?! Sveglia, sono le nove e mezza, fra un ora ti…» i suoi occhi si fecero un attimo lontani, per una visione «oh, no eh, non svenire di nuovo, guai per te!».

Mi aggrappai a lei barcollante, deglutendo. «Fra un’ora mi sposo?» chiesi con un filo di voce.

«Sì, decisamente» disse, scuotendo il capo con disappunto e trascinandomi in camera di Edward, mentre io, inerme, la lasciavo fare.

Lì Rose e Alice m’infilarono il vestito, attente a non rovinarmi trucco e acconciatura.

Poi, sentii una voce che da decisamente troppo tempo non sentivo dal vivo!

«Mamma…» mormorai commossa mentre lei mi correva letteralmente incontro, con il solito infantilismo che la caratterizzava.

«Tesoro, mi sei mancata davvero tanto!» esclamò, fermandosi ad un metro da me. Ero rimasta ferma con le braccia aperte, pronta ad accoglierla. «No, non ti abbraccio, non se ne parla. Non voglio rovinarti l’abito… Sei davvero, davvero stupenda, Alice, hai compiuto un miracolo, vedo un angelo qui di fronte a me, e l’abito, oh, l’abito è semplicemente magnifico!». Capii, dalla sua voce incrinata, che stava per piangere. Infatti, poco dopo, singhiozzò. «Oh, la mia piccola si sp…».

«No!» strillarono in coro Rose e Alice.

Mia madre le fissò sorpresa, mentre loro le facevano gesti e si sbracciavano per impedirle di continuare la frase.

«Emm, Reneé, vuoi che ti faccia un’acconciatura? Io devo andare ancora a cambiarmi, possiamo andare di là, in camera mia…» fece Rosalie evasiva, prendendola per una mano e trascinandola via.

«Oh. Okay» rispose confusa mia madre, scomparendo dalla mia vista.

Sospirai.

«Bella. Ascoltami» mi chiamò Alice, «stattene buona, buona qui immobile e non fare niente. Io, praticamente, ci metto poco più di tre minuti a cambiarmi e sistemarmi, riesci a rimanere ferma e tranquilla?».

Annuii, incapace di parlare, imbambolata, ferma al centro della stanza.

Come promesso, dopo tre minuti fu da me. O almeno credo fossero passati tre minuti. Ormai, non pensavo più a nulla, la mia mente era come svuotata, me ne ero stata immobile, senza neppure sbattere le ciglia.

Alice indossava un meraviglioso abito di chiffon giallo, mentre i capelli erano fermati sui lati con due graziosissimi nastrini dello stesso colore. Era davvero stupenda.

«Sei…sei bellissima…» squittii, squadrandola, gli occhi spalancati.

Lei sfoderò uno dei suoi meravigliosi sorrisi. «Grazie, ma tu di più».

Un istante dopo entrarono in camera mia madre e Rosalie, che ferì la mia autostima più di quanto non avesse già fatto Alice, mentre io me ne stavo ancora immobile a fissare il vuoto.

«Tesoro? Non ha una bella cera…» commentò mia madre.

«Non si preoccupi Reneé, è tutto sotto controllo. E’ normale che sia così. Ora si calma, vero?!».

«Ma la mia preoccupazione è proprio questa, è troppo calma» disse sventolandomi una mano davanti agli occhi «Bella, mi senti?».

Mi riscossi un attimo, sobbalzando. Annuii impercettibilmente.

Alice mi fissò il velo sui capelli e mi ritrovai a fissare tutto attraverso una rete intrecciata di fili d’organza. Dopo due istanti, mi ritrovai un bouquet fra le mani, e Charlie di fronte a me, che sorrideva imbarazzato. Poi baci, mani, fredde e calde, forse camminai anche.

Poco dopo, senza che neppure me ne rendessi conto, mi ritrovai seduta su un sedile in pelle, lo spazio intorno a me ampio, e il tettuccio imbottito. Ero nella limousine!

Accanto a me, mio padre sembrava molto impacciato, si rigirava le mani, non sapendo cosa dire.

«P…papà?» lo chiamai titubante, deglutendo. Lui mi fece un sorriso tirato. Notai che aveva i lucciconi agli occhi.

«Oh, papà!» esclamai, portandomi una mano alla bocca per nascondere un singhiozzo che mi pervase comunque il petto.

«Bells, non piangere, altrimenti Alice ce l’avrà a vita con me, per averti fatto rovinare il trucco» disse Charlie, la voce evidentemente commossa.

«Beh…» dissi asciugandomi con delicatezza la lacrima che era sfuggita dai miei occhi «credo abbia usato del trucco resistente all’acqua…».

Il vetro divisorio fra posto di guida e i sedili si abbassò, facendo comparire Emmett alla giuda della macchina. «Bella, mi sembra di poter sentire il tuo cuore anche da qui!» sghignazzò.

Mio padre ridacchiò di quella che sembrava potesse essere una battuta. Io deglutii, tentando di calmarmi, ma inutilmente. Non mi parvero davvero, neppure essere passati, quei minuti, che l’auto si fermò. L’agitazione era cresciuta a livelli esponenziali, fino a raggiungere il limite massimo.

Ebbi un sussulto, quando mio padre aprì la portiera dell’auto e con una mano mi invitò a scendere. Sentivo le mie gambe immobili. Sembrava che per nessun motivo al mondo volessero obbedire ai miei ordini. «Papà, ti prego… Reggimi tu» farfugliai.

Dovette rispondermi con parole di conforto, che comunque con sentii. Sentivo le orecchie fischiare, i suoni mi giungevano lontani, ovattati. Se avesse proceduto ancora a quel ritmo sostenuto, presto, il mio cuore, mi sarebbe uscito dal petto.

Fui colpita dai debolissimi raggi del sole, non più protetta dall’ombra dei vetri oscurati. Dinanzi a me, sentivo provenire un mormorio di voci. Doveva essere la mia famiglia. I miei piedi si muovevano per l’inerzia del mio corpo, mentre, non del tutto responsabile delle mie azioni, mi avviavo verso la chiesa.

Edward, Edward, Edward. Edward, mio marito. Mi sentii quasi soffocare, e capii che non stavo più respirando. Mi accorsi che mio padre mi stava guardando allarmato, così presi un bel respiro lungo, con il naso, concentrandomi sullo scalpiccio dei passi sulla ghiaia. Tutti gli alberi intorno alla chiesetta erano stati addobbati con dei fiocchi e dei nastri, piacevoli, ma non eccessivi. Solo venti metri mi separavano dalla scalinata della chiesa. Passi, passi, passi. Toc, toc, toc facevano i miei tacchi sul suolo.

Poi, il rumore prodotto dai miei piedi mi giunse più sommesso e lontano. Capii che stavo calpestando il tappeto rosso.

Contemporaneamente, accaddero due cose, la marcia nuziale partì, e io sbiancai.

Alice, con un leggero svolazzamento del vestito, s’incamminò, avanzando mollemente sui piedi. Notando che restavo immobile, mio padre mi diede un leggero strattone. Mi riscossi e cominciai a salire i gradini, sollevandomi la gonna, piano, con tutta la lentezza che potevo permettermi. Sentivo che il respiro mi usciva incostante dalla gola, opera del mio cuore che da troppo tempo faceva gli straordinari. La marcia nuziale andò sempre più rallentando, finché non arrivai sull’ultimo gradino, e lo vidi.

In tutto il suo immenso splendore, Edward mi guardava, perso nei miei occhi.

Le sue iridi erano completamente dorate, chiarissime, quasi liquide. Il volto etereo risaltava, splendendo della sua bellezza. Il suo corpo era fasciato da uno smoking nero, con una fascia di seta bianca sulla vita. Era una spettacolo divino.

Sentii le guance imporporarsi e gli occhi, quasi a volermi oscurare la visione di quel miracolo, si appannarono di lacrime.

Sentivo una potentissima attrazione verso di lui. Di nuovo, mi ritrovai nelle mia personale bolla, senza avere la cognizione di come, dove, quando o cosa stessi facendo. Sapevo solo che, questa volta, nella mia bolla, c’era Edward, insieme a me.

Mi sembrò quasi di veleggiare, ma quando, finalmente, sentii il contatto con la sua pelle freddissima la bolla si ruppe improvvisamente, catapultandomi nella realtà. Accanto al mio Edward.

Mi sorrideva raggiante, in tutta la sua incomprensibile bellezza. Mi persi completamente nella profondità dei suoi occhi, considerando che solo quello nell’universo aveva importanza in quel momento, e lo sapevo, per lui era lo stesso.

«Isabella Swan…» mossi il capo verso il pastore Weber, quando sentii quelle parole, e, quando una goccia mi cadde sulla mano, capii che avevo le guance inondate di lacrime.

«Sì, lo voglio» la mia voce era uscita rotta dalla commozione e dal pianto, ma allo stesso tempo, non poteva davvero essere più determinata di così.

«Sì, lo voglio» quella frase, pronunciata con la meravigliosa voce di Edward, sembrò del tutto diversa dalla mia, ma con la stessa intenzione e intensità, che può unire solo due amanti di un amore vero.

La mia mano tremante, non so per quale miracolo, adempii immediatamente al primo tentativo di infilare la fede al dito del mio amore, mentre con estrema eleganza la teneva posata sulla mia.

E così, con il mio stesso gesto, e con le parole che servivano per unirci per sempre, agli occhi di tutti, io e Edward ci sciogliemmo l’uno nel volto dell’altro.

Capii che ero stata una folle a non accettare prima la sua proposta, perché quello, e lui l’aveva sempre saputo, sarebbe stato un momento magico per noi, il coronamento del nostro immenso amore, il nostro giuramento eterno.

«Edward Anthony Cullen e Isabella Marie Swan, vi dichiaro marito e moglie».

Si levò un applauso per tutta la chiesa, ma io, contrariamente a quanto avrei fatto in qualsiasi altro caso, non arrossii. La parte più maliziosa di me stava aspettando le parole del prete.

«Ora, può baciare la sposa».

Con il suo sorriso, quello, che ormai io chiamavo “nostro”, mi sollevò con estrema grazia il velo e si avvicinò, senza più aspettare, alle mie labbra.

Inaugurammo una nuova, entusiasmante, danza, sfamandoci uno dell’altro, del bisogno che sentivamo di sentirci uniti.

Quando si staccò da me, anche se le orecchie mi fischiavano, potei sentire gli applausi e i fischi di compiacimento che venivano dal nostro pubblico.

Avvampai violentemente, mentre Edward, prendendomi la mano, mi faceva voltare verso i nostri parenti e amici.

«Ti amo, Bella Cullen» disse con un sorriso smagliante.

«Ti amo, Edward Cullen» risposi con le stessa esplosiva gioia.

Mi sorrise beffardo, stringendomi a sé. «Pronta?».

«Pronta a cosa?» chiesi spaesata.

«A questo!» gridò entusiasta, correndo per la navata, ed io, felice come mai ancora ero stata nella mia vita, mi feci trascinare, sollevandomi l’enorme gonna con la mano libera.

Usciti dalla chiesa, fummo investiti da una valanga di riso e confetti bianchi.

 

Poi, mi ritrovai nella limousine, le labbra di Edward incollate alle mie.

   
 
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