Capitolo
Nove: Who is the first to burn?
“There's
a rumble in the floor
So
get prepared for war
When
it hits it'll knock you to the ground”
~
Thousand Foot Krutch, “Courtesy Call”
02
Gennaio, Punto imprecisato dello spazio aereo sopra l'Oceano
Atlantico.
Il
suo sguardo adamantino analizzò ancora una volta le pareti bianche
asettiche della piccola stanza, si soffermò poi sulle manette
rinforzate che gli serravano i polsi ai braccioli del lettino, una
spessa cinghia di metallo gli pesava sul petto ampio e sulle gambe
robuste; un tubicino trasparente, collegato ad una sacca piena per
metà, penetrava nella vena del braccio facendo sì che l'agente
dell'Hydra restasse incosciente.
Bucky
Barnes chiuse gli occhi massaggiandosi con le dita la radice del
naso.
Fuggire
da Ca' Belgioia non si era rivelato una passeggiata, non quando
dovevi trasportare un pericoloso agente nemico che avrebbe potuto
svegliarsi da un momento all'altro, e a quanto pare i Belgioioso non
avevano solo degli squadroni di combattimento, ma anche la villa
stessa aveva sistemi di sicurezza che impediva a eventuali ospiti,
merci vive o intrusi di lasciare quel posto incolumi. Senza contare
che prima di dileguarsi aveva ben pensato di farla pagare ad
Alessandro Belgioioso per aver avuto l'ardire di avvicinarsi troppo a
Sharon, mentre Allegra oltraggiata strepitava vendetta.
Riaprì
gli occhi guardando oltre il vetro protettivo l'agente catturato e
sedato.
Non
riusciva a fare a meno di stare lì a fissarlo, cercando di
ricordare. Perché sapeva di averlo già visto, non solo perché quel
ragazzo aveva dato segno di riconoscerlo, ma lui stesso aveva
avvertito una sensazione di dejà vu.
L'aveva
chiamato 'maestro'. Possibile che fosse legato alla Red Room?
Che ne fosse stato l'addestratore? Eppure lui rimembrava solo
ragazzine... Malgrado il tempo la sua memoria continuava a vacillare,
sarebbero rimasti dei vuoti che probabilmente non sarebbe mai
riuscito a colmare.
Due
braccia sbucarono da dietro avvolgendogli la vita, si irrigidì per
pochi istanti prima di rilassarsi un poco contro il corpo di Sharon.
«James,
che succede?» gli chiese mentre con la fronte sprofondava fra le sue
scapole.
Bucky
le accarezzò distrattamente le mani che gli serravano il busto.
«Io...
non lo so» sospirò infine, distogliendo lo sguardo dal vetro.
L'agente
13 lo fece voltare e lo guardò in viso.
Com'era
bella la sua
Sharon, con il volto dolce e tondeggiante, gli occhi scuri ed
espressivi, ora corrucciati e imbratti di trucco sbavato, le labbra
rosse in quel momento leggermente dischiuse; James saggiò con il
polpastrello la morbidezza del labbro inferiore, più carnoso
rispetto a quello superiore. In trans la strinse a sé, così forte
da farle quasi male, come se non avesse più appigli all'infuori di
lei.
Sharon
ne fu spaventata, ricambiò la stretta e quando riuscì nuovamente a
guardarlo in volto le sembrava un bambino spaventato. Le si strinse
il cuore.
«Jame-»
«Credo
di averlo già conosciuto...» confessò piano, spostando lo sguardo.
«Ma
non ricordi...»; lui scosse il capo, allargò le braccia in un gesto
disperato;
«Non
è una buona cosa, non lo è mai!».
La
biondina lo fissava con apprensione, lui si muoveva come un animale
in gabbia.
«Lui
mi ha riconosciuto»
«La
Red Room?»;
Bucky
si passò una mano fra i capelli, nervoso.
«Non
ne ho idea. Sharon lui è... è come-»
«Te.»
affermò lei, avendo avuto durante lo scontro, nei depositi di Ca'
Belgioia, la stessa preoccupante sensazione.
«A
quanto pare il passato non ne vuole sapere di lasciarmi in pace –
ridacchiò isterico, esasperato – ma forse è questo che merito...»
«Non
dire così James!» sbottò Sharon a pugni serrati con occhi lucidi,
angosciata perché l'uomo che amava non era ancora al sicuro, perché
l'ombra dell'assassino che era stato non attenuava la sua morsa.
«Sharon...»
sospirò il supersoldato dispiaciuto di causarle sofferenza,
avvicinandosi nuovamente a lei. Le sue mani risalirono dolcemente le
braccia, indugiando sulle spalle per poi fermarsi a coppa sul suo
viso.
«Mi
fa male vederti così» sussurrò la ragazza annegando in quelle
iridi chiarissime, tirò su impercettibilmente con il naso, poi
dichiarò:
«Non
sappiamo niente di questa storia, l'unico che può dircelo è proprio
lui»
«Non
so se lui riuscirà a dirci qualcosa di utile...» sospirò poco
convinto Bucky, se era davvero come lui, allora c'era poco da stare
allegri. Farlo parlare sarebbe stato più di un'ardua impresa.
«Beh
il tuo atteggiamento disfattista non ci porterà da nessuna parte!»
lo rimbrottò lei, con tono lievemente canzonatorio. James sorrise
appena.
«Qualcosa
ci inventeremo, fidati di me, d'accordo?» continuò tentando di
mascherare con ogni fibra del suo corpo le sue paure.
«D'accordo»
sussurrò lui. Si voltarono, allontanandosi da quell'area dell'aereo.
«James...»
mormorò lei talmente piano che credette che lui non l'avesse
sentita.
«Sì?»
chiese invece lui prontamente, alle sue spalle.
«Abbracciami»;
Bucky
non se lo fece ripetere.
*
I
passi riecheggiarono lungo il corridoio grigio e spoglio.
D
stava canticchiando una melodia che non avrebbe saputo dire da quale
anfratto della sua mente provenisse, accarezzando attenta i lunghi
capelli scuri di K, sopita.
Al
sentore di quei passi la bionda scosse la compagna, ridestandola.
K
ci impiegò cinque secondi netti per comprendere ciò che stava
accadendo, mentre D si ritirava contro la parete, nell'angolo del
letto.
La
porta si aprì lasciando emergere la figura alta e intimidatoria di
L. I suoi occhi tersi vagarono appena sulla stanza scarna poi si
posarono inquisitori sulle compagne.
«Siamo
stati convocati» disse solamente.
La
mora sospirò gettando un'occhiata veloce a D, che aveva l'aria
frastornata ed impaurita.
«Che
seccatura».
«Ti
conviene tenere sotto controllo la pazza stavolta – frecciò L
facendo un cenno col mento verso D – se veniamo nuovamente puniti a
causa sua è la volta buona che l'ammazzo» sibilò mellifluo.
K
represse ogni tipo di emozione e si strinse nelle spalle;
«Sempre
che tu ci riesca» replicò indifferente.
Ma
un attimo prima di varcare la soglia della sala centrale, la ragazza
strinse gentilmente il polso esile dell'altra.
«Cerca
di non dare di matto.» fu tutto ciò che riuscì a dirle.
La
sala era ampia e dipinta di un bianco quasi accecante. Aleksander
Lukin osservava con lucida furia Sinthea Schmidt a capo chino e con i
pugni chiusi costretti lungo i fianchi.
I
celesti occhi dell'attuale capo dell'Hydra vibravano di collera, non
poteva tollerare un fallimento da parte sua; si sentiva quasi
disgustato dalla sua presenza.
Lo
schiaffo arrivò rapido, potente e sopratutto atteso, ma questo non
impedì di gelare tutti sul posto. Brock Rumlow, alla destra di
Lukin, inarcò semplicemente un sopracciglio; Grant Ward non distolse
lo sguardo malgrado il brivido che gli aveva solleticato la nuca; K,
D e persino L – che solitamente godeva della sofferenza altrui –
scattarono impercettibilmente sull'attenti per quel gesto che a loro
era amaramente famigliare.
Sin
ritornò, lentamente, a guardare Lukin, la guancia gonfia ed
arrossata, lo sguardo però distante perso in quello freddo del
proprio superiore.
«Sei
un'inetta!»;
nessuna
reazione.
«Facciamo
un attimo il punto della situazione, ti va mia cara?» la sua era
ovviamente una domanda retorica sputata con tono pesantemente
sarcastico.
«Non
solo hai permesso che le armi chitauriane venissero distrutte, ma ti
sei lasciata dietro una delle mie superarmi?» Lukin
l'afferrò per i capelli strattonandola brutalmente in modo che il
suo sguardo cadesse su L, K, e D immobili tanto da sembrare statue
marmoree.
«Devo
ricordarti quanta fatica mi sono costati!? - sibilò furente –
quanti ne vedi Sinthea?»
«Tre»
«Tre!
Dovrebbero essere quattro, dannazione!» la lasciò andare malamente
mentre lei si afflosciava silenziosamente al suolo, leggera come
carta straccia. Sapeva già cosa l'aspettava.
«Ricordatelo
bene Sinthea, qui non sei niente di speciale... Non sei differente da
qualsiasi altro mio sottoposto! - si fece passare una spessa frusta
nera e lucida mentre rivolgeva un cenno a Rumlow – Mi aspetto
che tu non fallisca col tuo prossimo incarico. La mia pazienza sta
andando ad esaurirsi, sono stanco di aspettare Sinthea...» era
Johann Schmidt ora a torreggiare su di lei.
«Ich
verstehe, Vater1» le sue parole era
atone, distanti. I suoi occhi duri e vitrei come diamanti.
Non
mosse un muscolo mentre avvertiva le mani di Crossbones strapparle
impietose la maglia e lasciarle scoperta una buona porzione di
pallida schiena.
La
prima frustata calò veloce ed implacabile, la pelle si lacerò di
netto non dandole nemmeno il tempo di emettere un fiato, il sangue
schizzò impazzito prima di tingere la sua pelle nivea di rosso.
Sin
abbassò le palpebre, assaporando quella sensazione, marchiandosi a
fuoco nella testa quel dolore che aveva il potere di renderla più
lucida, più affamata di quell'oscuro sentimento che le danzava nel
petto.
«Che
sia d'esempio a tutti. L'Hydra non può permettersi fallimenti».
Sinthea
uscì da quella sala tempo dopo, malferma sui propri piedi mentre il
sangue sembrava colare da ogni parte del suo corpo tormentato.
Malgrado in quel momento non fosse altre che una creatura misera ed
umiliata, sorrideva. Di un sorriso pericoloso, bellissimo come quello
di un angelo vendicatore che prometteva le più atroci sofferenze; la
visione di se stessa non le era mai stata così nitida. Un risolino
isterico abbandonò le sue labbra, oh ora sapeva esattamente ciò che
andava fatto.
*
New
York, Avengers Tower.
Era
sera inoltrata quando Steve e i suoi compagni erano giunti all'hangar
dell'Avengers Tower.
Il
capitano insieme a James, Sharon e Sam attendeva in ascensore,
Melinda e Maria si erano occupati del prigioniero convocando Tony per
decidere il da farsi.
Una
volta che tutti e quattro si ritrovarono nel lussuoso soggiorno, i
presenti si voltarono contemporaneamente verso di loro.
Sharon
si informò su Jace ed Alexandra, Laura le assicurò che stessero
riposando nelle loro stanze così come i suoi figli. Poi, cautamente
si rivolse a Steve che con lo sguardo stava vagando per la stanza
alla sua ricerca.
«Steve,
Natasha è da... Cho.» iniziò prudente. Il supersoldato si voltò
immediatamente verso di lei, mentre Sam e James gli si fecero più
vicini.
Laura
gli toccò gentilmente il braccio sorridendogli incoraggiante, lo
sapeva che quella era una questione delicata.
«Si
è sentita poco bene... ma...» ovviamente non fece in tempo a
terminare la frase che Steve si era lanciato verso le scale,
superando Clint che stava venendo proprio dal piano della dottoressa
Cho. Lo lasciò andare, scambiandosi un'occhiata d'intesa con la
moglie che sospirò ma non celando un lieve sorriso.
«Dovremo
seguirlo?» domandò Sam preoccupato.
«Non
è necessario. Lasciamo un po' di tempo ai futuri genitori» celiò
Laura con saggezza.
James,
Sharon e Sam si guardarono. Malgrado la stanchezza nessuno di loro si
sarebbe addormentato facilmente quella notte.
Bucky
per la prima volta dopo un tempo indefinito si ritrovò a pregare
qualsiasi divinità si stesse divertendo con loro. Pregò per Steve e
Natasha, almeno loro dovevano farcela.
Steve
si sentiva mancare la terra sotto i piedi mentre correva verso lo
studio della dottoressa Cho.
Una
volta giunto non si premurò nemmeno di bussare, ma spalancò la
porta con espressione grave.
«Natasha!»;
la
donna si voltò appena, il profilo del suo viso emerse oltre lo
schienale del lettino sul quale era distesa; accanto a lei stava
seduta Helen Cho.
«Capitano...
La prego la prossima volta di bussare» lo rimbrottò continuando a
preparare la spia per l'ecografia.
«Io...»
espirò Steve perplesso ma raggiungendo comunque le due donne;
«Come
stai? Laura...».
Natasha
gli poggiò delicatamente la mano sul petto, squadrandolo
intensamente;
«Come
ti sei procurato quel livido?» domandò seria, ma il capitano notò
che il suo sguardo si era schiarito, come il cielo dopo una violenta
tempesta, morbido e sollevato.
«Non
è niente. Tu piuttosto-»
«Si
è trattata di una contrazione più forte delle altre, ha avuto delle
perdite maggiori stavolta... lo stato d'ansia non ha giovato» spiegò
la dottoressa stendendo il gel sul ventre che mostrava un accenno di
rigonfiamento.
«Ans-?»
Steve spostò incerto lo sguardo su Natasha dapprima confuso, poi
iniziò a capire e si sentì immediatamente in colpa. Aveva
combattuto la sua solitaria battaglia con l'angoscia dal momento in
cui si erano separati, glielo scorgeva nel suo sguardo apparentemente
fermo ma distante; sapeva, però, che non glielo avrebbe mai
confessato a voce alta. Ma lui aveva imparato a conoscere i suoi
silenzi. Anche quel momento impregnato di parole non dette,
avvertiva, ugualmente, il suo timore di aver nuociuto al bambino.
Non
disse nulla, afferrò uno sgabello e le si sedette accanto.
Immediatamente la mano di Natasha si intrecciò alla sua, Steve si
chinò protettivo su di lei, allungando un braccio sopra la sua testa
e accarezzandole dolcemente la fronte e i capelli.
Helen,
che gli aveva osservati con la coda dell'occhio, era rimasta
affascinata da quel loro silenzio in realtà pieno di sentimenti e
parole che si rincorrevano fra loro. Li rispettava molto.
Nello
schermo si delineò il contorno dell'utero mentre il futuro bambino
aveva perso tutti i connotati informi e quasi invisibili
dell'embrione, il feto si stava andando a delineare e ben si
intravedeva la testa e il corpicino raccolto.
Lo
sguardo di Natasha cadde sul monitor e da quel momento non lo
distolse più. Steve trattenne il respiro.
Cho
si prese qualche momento per analizzare alcuni movimenti del feto, e
poi decise di ascoltare il cuore.
«Sta
battendo ad un ritmo più veloce del consueto, ma è normale, sei
entrata nel terzo mese questo significa che il bambino inizia a
percepire gli stimoli materni, come stress o agitazione...»
«Ma
sta bene?» mormorò la spia, cercando a quel punto di rilassarsi il
più possibile terrorizzata al pensiero di poter far male a suo
figlio. Helen si concesse un breve sorriso;
«Sì.
Il suo battito sta già iniziando a decelerare, è più forte di
quanto sperassi, non ci sono danni. Purtroppo è probabile che i
dolori dovuti alle contrazioni aumenteranno, saranno più forti del
normale... ti posso prescrivere qualcosa per il dolore, ma
sfortunatamente a dosi ridotte per non influire sulla crescita del
bambino-»
«Ho
capito. Va bene, il dolore non mi spaventa» replicò Natasha,
lasciando che un lieve sospiro sfuggisse dalle sue labbra tumide e
rossissime.
Steve
le baciò una tempia, avrebbe voluto poter condividere quel dolore,
fare qualcosa di più per Natasha e il loro bambino.
«State
bene» sussurrò semplicemente al suo orecchio.
«Consiglierei
riposo assoluto almeno per il resto della settimana, poi faremo
qualche altro esame. D'accordo?»; Natasha non poté fare altro che
annuire, malgrado l'idea non le andasse molto a genio.
Il
capitano diede un'ultima occhiata al monitor, suo figlio si era
appena mosso lasciandolo senza fiato; aspettò che la russa si
sistemasse e poi le passò un braccio sotto le ginocchia e l'altro
sulla schiena e se la strinse contro.
Natasha
non protestò, non quella volta, la notte insonne e l'agitazione
l'avevano lasciata spossata, più di quanto immaginasse. Si abbandonò
a Steve, poggiò il capo sulla sua spalla, lentamente gli passò le
braccia intorno al collo accarezzandoglielo piano, felice di poter
saggiare nuovamente la sua pelle, respirare il suo profumo; chiuse
gli occhi, la sua famiglia era al sicuro, almeno per il momento.
Percorsero
in silenzio i corridoi della Tower fino a giungere alla loro stanza.
Non avevano incontrato nessuno, l'ora era tarda e probabilmente
avevano voluto lasciare loro del tempo.
Si
coricarono nel comodo letto matrimoniale. Steve afferrò la trapunta
coprendo entrambi, poi avvolse il braccio intorno a Natasha
tirandosela delicatamente contro. Il suo cuore sobbalzò felice nel
sentirla muoversi contro lui, inspirò il suo profumo dolce amaro a
pieni polmoni.
«Perdonami»
bisbigliò piano contro l'orecchio della spia. Natasha voltò il capo
incontrando i suoi occhi azzurri velati di stanchezza e rimorso.
«Steve
non farlo. Ne avevamo parlato... Che ci piaccia o no siamo in guerra
e tu non puoi abbandonare la squadra per far stare meglio me.
Dobbiamo imparare a gestire questa cosa...»
«Non
sopporto l'idea di non poterti stare accanto come vorrei...» le
disse sincero stringendosela contro inconsciamente. Come fosse stato
un riflesso involontario.
Natasha
chiuse gli occhi, dio solo sapeva quanto le costava lasciarlo andare
cercando di non mandare in pezzi la sua corazza con la sua ansia.
«E
io non sopporto il fatto che tu vada in missione senza di me, che non
ci sia io a guardarti le spalle...» mormorò nascondendo il capo
contro la sua spalla. Lo sentì sospirare e sollevò nuovamente lo
sguardo, incatenandolo a quello di lui;
«Lo
so che con te ci sono James e Sam...»
«Come
io so che tu qui non sei sola, ma...»
«Non
siamo noi.» terminò semplicemente lei e lui annuì.
«Hai
ragione dobbiamo imparare a gestire la cosa.» concesse lui, entrambi
avevano una sfida da combattere ma purtroppo non sempre sarebbe stato
permesso loro di affrontarla insieme anche se questo li avrebbe
portati a soffrire; d'altronde erano pur sempre Steve Rogers e
Natasha Romanoff orgogliosi, indipendenti e pronti al sacrificio;
«Come ti senti?» le domandò poi leggermente in apprensione.
Natasha
si aprì ad un sorriso genuino e il capitano non poté non rimanerne
abbagliato;
«Molto
meglio ora.» disse solamente, non aggiunse '...che sei nuovamente
al mio fianco' ma Steve lo intuì lo stesso e si sentì in pace.
Si scambiarono un bacio che da dolce divenne inevitabilmente
appassionato, le loro labbra non si sfioravano da troppo tempo ed ora
avevano bisogno di assuefarsi ancora una volta le une al sapore
intenso delle altre. Tutto il resto poteva aspettare.
Si
addormentarono entrambi con una mano abbandonata con fare protettivo
sul ventre di Natasha.
Poco
prima dell'alba Steve si svegliò. Si volse verso la compagna che
dormiva placidamente di lato, il respiro lieve e l'espressione
tranquilla, le depose un leggero bacio sulla spalla scoperta e le
rimboccò le coperte prima di alzarsi lentamente, facendo attenzione
a non svegliarla; non aveva intenzione di allontanarsi per molto,
giusto il tempo di dissetarsi.
Si
diresse in cucina capendo immediatamente di non essere il solo
mattiniero...
«Niko...»
«Steven,
buongiorno. Spero di non averti svegliato!» sussurrò Niko Costantin
con un sorriso gentile mentre strizzava la bustina del tè prima di
gettarla.
«No
affatto. Vieni o vai?» gli domandò incuriosito sedendosi accanto a
lui, sul bancone.
«Sono
appena tornato. Purtroppo l'attrezzatura di cui ho bisogno è
disponibile solo la notte, la lista d'attesa è parecchio affollata,
ma non mi lamento» affermò sincero. Il signor Stark era stato
davvero gentile con lui e con sua figlia, poteva fare gli orari che
più gli aggradava e lui gli era grato per questo.
«Come
va?» gli chiese con sincera curiosità, sapeva bene come quel
periodo fosse delicato per loro.
Il
capitano mantenne il sorriso ancora per un istante prima di prendere
un lungo sospiro.
«E'
dura. Natasha è stata male, era così... spaventata. Non che lei
abbia ammesso nulla, ma non ce n'è stato bisogno. La cosa che più
mi fa arrabbia è che io non ero lì. Lei si sta accollando questa
gravidanza in tutta la sua gravità mentre io...» si frizionò i
capelli con le mani, in un moto di frustrazione.
«Tu
hai una guerra da affrontare. Steve non ti devi sentire in colpa per
non essere al suo fianco in ogni momento... Tu stai combattendo anche
per tuo figlio, perché possa nascere in pace, così come Natasha sta
combattendo contro il suo stesso corpo per permettere che vostro
figlio nasca in salute, non è qualcosa in cui tu ti possa
intromettere» replicò con sguardo sereno Niko «Anche Nina non era
preparata per una gravidanza, quando mai qualcuno lo è? - sorrise
benevolo – e il mio dna modificato non le è ha semplificato le
cose, anche la sua non è stata una gravidanza semplice, ci sono
stati molti momenti in cui abbiamo avuto paura... Per quanto io mi
sentissi in colpa per aver complicato la vita di mia figlia non
ancora nata a causa di ciò che sono, Nina ha lottato da sola ed ogni
volta che potevo io ero al suo fianco» Steve lo fissò ammirato,
abbassò lo sguardo;
«Natasha
sta lottando anche contro la sua natura. È una guerriera non è
facile per lei dover restare in disparte a guardare, aspettarmi.
Anche se lo ammetto questo da una parte rassicura me» sorrise appena
e avvertì la stretta gentile di Niko sulla sua spalla.
Ridacchiò
comprensivo «La situazione è complicata, lo capisco bene, temo per
Alexandra ogni giorno... Ora devi pensare che tu hai lei a curare le
ferite del tuo corpo e lei ha te per curare i tormenti della sua
anima».
Steve
annuì guardandolo negli occhi, ricambiò la stretta sulla spalla
dell'amico;
«Grazie
davvero Niko»
«Ogni
volta che ne avete bisogno Steven, è il minimo per quello che fate
per Alexandra».
Steve
ritornò in stanza nello stesso istante in cui Natasha usciva dal
loro bagno personale con espressione stravolta a causa dell'ennesimo
attacco di nausea.
Si
guardarono e il supersoldato le sorrise incoraggiante, ricordando le
parole di Niko, e si accomodò a letto aspettando che lei lo
raggiungesse. Avevano ancora un po' di tempo prima che l'intera Tower
iniziasse a ridestarsi.
Natasha
si strinse a lui poggiando il capo sulla spalla e circondandogli la
vita con le braccia.
«Ce
la possiamo fare» le sussurrò Steve contro la sua tempia.
*
03
Gennaio, Playground.
Erica
Holstein si massaggiò il collo stringendo appena le labbra,
ricacciando indietro l'odiosa sensazione di fastidio.
Si
concentrò nuovamente sui documenti che aveva davanti agli occhi,
scontenta rivolse la sua attenzione allo schermo al suo fianco,
digitò stizzita qualche comando ma non dette alcun risultato. Rimase
in sospeso per qualche istante prima di prendere la decisione finale.
Si
alzò, dandosi una veloce controllata allo specchio per assicurarsi
che il suo caschetto scuro fosse in ordine, poi percorse con
sicurezza i corridoi del Playground fino a giungere al laboratorio
dei Fitz-Simmons e di Mack.
Sorrise
deliziata nel vedere che c'era solo Leopold; fra i due era
sicuramente il più malleabile, era conscia di non piacere molto alla
dottoressa.
«Leo
buongiorno» esordì amabile.
Fitz
si voltò di scatto, preso in contropiede, e nel farlo perso il
controllo dei suoi amatissimi “nani” che svolazzarono come api
infastidite.
«Oh!
Buo-buongiorno a-agente Holstein! Posso fare qualcosa per lei?»
domandò paonazzo riprendendosi all'ultimo.
Il
sorriso di Erica si accentuò appena;
«Sì,
sei proprio la persona che cercavo – Leo deglutì a vuoto – Mi
chiedevo, sai come consulente psico-fisica è mio dovere analizzare
le cartelle personali dei vari agenti, così volevo sapere se
possedevamo anche le cartelle degli... Avengers...» il suo
sguardo si fece penetrante e il povero ingegnere si sentì annaspare
ma si schiarì la voce cercando di darsi un tono;
«Le
cartelle degli Avengers... sì... cioè volevo dire no! Non le
abbiamo, non operando per conto dell'agenzia... sai, sono gli
Avengers insomma eh eh! Di loro si occupa la dottoressa Helen
Cho...».
«Oh
ma certo, mi pare ovvio. Perdonami ma non sapevo se rientravano nelle
mie competenze... - abbassò appena lo sguardo come un'attrice
consumata – mi sei stato davvero d'aiuto Leopold!» sorrise, “Oh
sì davvero d'aiuto”.
_______________________
1 =
“Comprendo padre”
____________________________________________________________________________________________
Dunque
dunque dunque... Come avrete notato la situazione dei personaggi di
questo capitolo non è delle più rosee; James è
parecchio impensierito da N (e meno male che è svenuto) che lo
pone forzatamente nuovamente davanti al proprio passato e sembra che la
pace sia ancora lontana.
Natasha deve iniziare a confrontarsi con la gravidanza che la costringe
a cambiare la percezione di sè, questo è un tema che
comunque cercherò di affrontare più ampiamente nei
prossimi capitoli e affidarsi per forza ad altri perchè Steve
non rischi la vita (più del solito), allo stesso tempo lui
vorrebbe possedere il dono dell'ubiquità ma deve rendersi conto
che è solo un uomo ma che ha al tempo stesso un grande peso
sulle spalle... Insomma mi rendo conto che non sto rendendo le cose
facili!
E per finire Sin, credo che ormai si cominci a capire da dove salti
fuori... Per lei, oh per lei ho un'ideuzza che spero vi farà
venire i brividi ;)
Bene
detto questo, per qualsiasi dubbio non esitate a contattarmi, e per
qualsiasi altra notizia vi invito a seguire la mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" :) Vi ringrazio ancora una volta e ci vediamo tra due settimane, SABATO 08 APRILE!
ps. Mi rivolgo ai recensori dello scorso capitolo, risponderò alle recensioni quanto prima!
A presto!