Uppsala,
462 d.C.
Dalla
massiccia porta di legno della camera della regina provenivano rumori
ovattati.
Solo
di tanto in tanto una serva usciva per andare a prendere altra acqua
o dei panni puliti; ma apriva la porta solo quel tanto che le bastava
per passare, poi la richiudeva immediatamente.
Gareth
stava in piedi davanti alla porta, ma nessuno gli prestava
attenzione. Guardava speranzoso ognuna di quelle donne, sperando che
qualcuna di loro si accorgesse della sua presenza e gli desse qualche
notizia. Gli sembrava di essere invisibile ai loro occhi.
Alla
fine si era gettato a sedere irritati sulla panca accanto alla porta,
e tentava invano di sbirciare oltre le spalle delle serve che
facevano avanti e indietro.
Se
fosse stato in grado di alzarsi con prontezza forse sarebbe riuscito
a vedere qualcosa, ma il tentativo gli sarebbe costato una fitta di
acuto dolore.
Sebbene
fossero trascorsi ormai sette mesi dalla battaglia, la ferita che gli
attraversava il fianco non era ancora del tutto guarita. Lo avevano
ricucito il giorno stesso, mentre era ancora svenuto. Quando aveva
ripreso i sensi, il dolore sordo che gli pulsava all’altezza
del
fianco gli aveva fatto stringere i denti e imperlare la fronte di
sudore; tuttavia non gli aveva impedito di notare che Arianrhod era
sempre lì accanto a lui a tenergli la mano, pronta a
porgergli
dell’acqua o asciugargli la fronte.
Morcant
gli aveva prestato le sue cure e forse era solo grazie alla sua
abilità di guaritore che era sopravvissuto e che la ferita
non si
era infettata. Aveva perso molto sangue, ma quando erano riusciti ad
arrivare ad Uppsala era già fuori pericolo.
Anche
se non velocemente, Gareth si era ripreso del tutto, e lo doveva
anche alle amorevoli cure di Arianrhod.
Anche
se, a distanza di sei mesi, doveva ancora fare attenzione a non
compiere movimenti bruschi e a non sforzare troppo la parte lesa,
poteva dirsi ormai completamente guarito. Era stato quasi un
miracolo, considerata l’entità e la
gravità della ferita.
Cinque
mesi prima...
Da
Uppsala la notizia che la legittima regina di Svezia era di nuovo sul
trono si era diffusa in fretta e, dopo pochi giorni dal loro arrivo,
una folla di persone era affluita al castello da luoghi vicini e
lontani per acclamare la nuova sovrana.
Il
giorno dell’incoronazione sarebbe stato ricordato da tutti
per
molto tempo ancora, come se lo avessero avuto ancora davanti agli
occhi: di fronte all’intera nobiltà svedese e a
moltissima gente
comune, l’Arcidruido Sveigder aveva posato la corona sul capo
di
Arianrhod nel tempio di Uppsala, senza riuscire a nascondere una
buona dose di commozione.
Arianrhod
era splendida quel giorno: la bella veste tinta d’azzurro
dalla
scollatura alta, finemente ricamata, stretta in vita da una cinta
metteva in risalto la sua figura snella e nascondeva quasi del tutto
la lieve rotondità della gravidanza, giunta al quarto mese.
La
sopravveste dalle ampie maniche era di un azzurro leggermente
più
scuro, e i lunghi capelli biondi, lasciati sciolti, sembravano una
cascata di seta argentata e quasi offuscavano lo splendore della
preziosa corona.
Dopo
che Sveigder l’aveva incoronata, Arianrhod aveva giurato
solennemente sulla spada del drago di proteggere e servire sempre la
Svezia. Gareth si era sentito ancora più orgoglioso di lei,
e si era
unito con trasporto all’ovazione generale che era seguita
alle sue
parole.
Morcant
e i suoi guerrieri erano ripartiti subito dopo la cerimonia, ansiosi
di tornare nella loro terra. Arianrhod aveva provato a persuaderli a
restare , ma loro avevano rifiutato. Non potevano stare lontani per
molto tempo da Avalon e dal loro popolo.
“Quando
avrai bisogno di noi mandaci a chiamare”, le aveva detto
Morcant,
“e noi accorreremo dalla nostra sorella di sangue.”
Arianrhod
aveva offerto loro ricompense, ma già sapeva che il Piccolo
Popolo
non aveva interesse per l'oro o le terre. Aveva affidato loro un
messaggio per Viviana in cui raccontava il successo della loro
impresa e li aveva osservati allontanarsi all'orizzonte.
La
sera stessa dell'incoronazione, prima del grande banchetto che si
sarebbe tenuto al castello per festeggiare, il duca Fjölnir
era andato nella stanza di suo figlio.
Stranamente
per lui, Gareth lo aveva trovato a corto di parole.
“Padre...”
gli aveva detto infine, imbarazzato, “così mi
preoccupate. Cosa
dovete dirmi?”
“Gareth,
è molto tempo che mi sono reso conto di averti fatto un
grande torto
quando sei nato. Non avrei dovuto negarti l'amore a cui avevi
diritto, nemmeno per le pretese di mia moglie. Sono stato io a far
soffrire tutti: tu, mia moglie, tua madre... tu non avevi nessuna
colpa e non avresti dovuto patirne. Non ti ho mai chiesto di
perdonarmi, e quindi lo faccio ora.”
Il
duca rimase con il capo chino, come se i loro ruoli fossero
ribaltati, come se fosse lui il figlio che aspettava di ricevere una
benedizione dal proprio padre.
“Padre,
non vi biasimo”, gli rispose Gareth commosso, mettendogli le
mani
sulle spalle. “So che non era vostra intenzione ferire
nessuno, so
che lo avete fatto per amore di vostra moglie. E avete provveduto a
me sempre, anche a distanza. Avete riposto fiducia in me in questi
ultimi mesi, e io l'ho tradita. Anch'io devo chiedervi
perdono.”
E
così dicendo si inginocchiò davanti al duca, il
capo chino a sua
volta.
Il
padre lo fece rialzare gentilmente e, dopo averlo squadrato per un
momento, lo abbracciò.
“Figlio
mio”, disse commosso. “Sono fiero di te. Non sai
quanto di me
stesso da giovane rivedo in te. Non commettere l'errore che io ho
commesso con te e tua madre: non lasciarla andare via. Troveremo un
modo per sistemare le cose.”
Gareth
lo aveva guardato stupito. “Come...? Non vuoi che sia Domaldr
a
sposare Arianrhod?”
“Voglio
che lei sposi un uomo di sua scelta. Che sia anche mio figlio mi
rende ancora più felice.”
Ma
Gareth non aveva seguito il consiglio di suo padre, se non diversi
giorni dopo.
Davanti
alla porta dello studio della regina aveva incontrato Hrolf che ne
usciva sottobraccio a Ragnhild. Il principe stringeva in mano una
pergamena, che mostrò entusiasta a Gareth.
“Congratulazioni!”
gli disse Gareth scorrendo brevemente il documento. “Ora
siete
ufficialmente il duca di Vingåker. Immagino che partirete
presto per
i vostri nuovi domini...”
“E'
così...” rispose Hrolf lanciando uno sguardo
adorante a Ragnhild,
che lo ricambiò. “Ma non prima del nostro
matrimonio.”
“E
quando vi sposerete?”
“Domani”,
rispose Ragnhild, aggiungendo a mo' di spiegazione: “Non
vogliamo
aspettare un giorno di più, dopo aver atteso
tanto.”
“Ci
chiedevamo...”, continuò Hrolf,
“Arianrhod ci ha già dato la
sua benedizione e il suo permesso, come nostra sovrana, di sposarci e
farà da testimone a Ragnhild. Voi vorreste essere il mio
testimone?”
“Sarà
un grande onore, vostra grazia”, disse Gareth sinceramente,
chinando il capo. “E vi auguro davvero di essere felici
insieme.”
Gareth
osservò con un po' d'invidia la coppia raggiante di
felicità
allontanarsi a braccetto e, preso un respiro profondo, entrò
nella
stanza.
Arianrhod
era seduta alla sua scrivania, ma quando lo vide si alzò in
piedi e
corse ad abbracciarlo e baciarlo.
“Vacci
piano”, rise lui. “Non sono ancora così
in forma.”
“Scusami”,
arrossì lei. “Dimentico sempre che devo stare
attenta alla tua
ferita.”
“Vedo
che stai davvero lavorando sodo per rimettere in sesto il
paese”,
commentò osservando la pila di pergamene che si erano
accumulate sul
suo tavolo.
Arianrhod
prese quella in cima e gliela mostrò. Aveva appena posto il
suo
sigillo regale perché il bianco della ceralacca* non si era
ancora
del tutto asciugato.
“Hai
abolito la tassa che i cristiani dovevano pagare per essere esentati
dalle cerimonie religiose...” disse Gareth. “E
quest'altra?”
chiese prendendone in mano un'altra.
“Con
questo decreto ho restituito tutte le terre che erano state
confiscate ingiustamente da Ale. Le prime sono quelle che
appartengono ad Östen”,
sorrise Arianrhod. “Vorresti accompagnarmi da lui? Voglio
consegnargli di persona i documenti e dargli la notizia.”
“Ahem!”
Il
rumore improvviso colse Östen
e Gerda nel mezzo di un profondo bacio. I due si staccarono
imbarazzati, e Gerda arrossì fino alla radice dei capelli.
Arianrhod
e Gareth erano davanti a loro e li guardavano, tentando di apparire
sorpresi.
“P-perdonatemi,
mia signora”, disse Gerda, non osando alzare lo sguardo.
Arianrhod
si piantò davanti a lei. “Ti perdonerò
ad una sola condizione...”
“Quale?”
chiese Gerda stupita.
“Che
sposi al più presto questo seduttore di povere fanciulle, e
che lo
renda molto felice”, disse con un grande sorriso.
La
ragazza era ancora senza parole, quindi la regina si rivolse a Östen.
“Non
hai più scuse per rimandare. Ti ho assegnato le terre che
Ale aveva
tolto a tuo padre, ed anche quelle confinanti, visto che non c'era
nessuno a reclamarle. Come vedi ora hai i mezzi per prenderti cura di
Gerda...”
Östen
la fissò a bocca aperta, poi s'inginocchiò di
fronte alla sua
sovrana.
“Mia
regina, non so come ringraziarti...” le disse baciandole
l'anello.
Ma
lei lo fece rialzare e lo strinse a sé. “Sei il
più caro amico
che ho al mondo, Östen”,
gli bisbigliò in un orecchio. “Non provare mai
più a inchinarti
davanti a me. Io sono e sarò sempre Arianrhod per te,
chiaro?”
Lo
allontanò da sé quel tanto che bastava per
studiarne l'espressione.
“Chiaro”,
rispose Östen
con un
sorriso, mentre Gareth osservava la scena felice.
Il
matrimonio di Hrolf e Ragnhild li vide tutti riuniti il giorno
seguente, al tramonto. Si tenne nella sala dei banchetti. Oltre alla
coppia di sposi, ad Arianrhod e Gareth, e Östen
e Gerda, c'erano anche il duca, Domaldr e Vanlande.
L'arcidruido
pronunciò la formula di rito in presenza dei testimoni, e
Ragnhild e
Hrolf bevvero dalla stessa coppa, furono uniti dalla stessa cintura e
vennero dichiarati marito e moglie. Gli invitati si diressero alla
tavola già imbandita per festeggiare quella cerimonia
privata.
Infine gli sposi furono accompagnati alla loro stanza, e la regina
salutò la sua amica e suo cugino che sarebbero partiti per i
loro
domini la mattina seguente.
“Torneremo
presto, non temere”, promise Ragnhild abbracciando stretta
Arianrhod. L'assemblea si disperse, augurandosi l'un l'altro la
buonanotte. Quando anche l'ultimo degli invitati fu sparito dietro
l'angolo Arianrhod trattenne Gareth per un braccio.
“Devo
parlarti”, gli disse. “Puoi venire con
me?”
Raggiunsero
le stanze di Arianrhod, e lei chiuse la porta alle loro spalle.
“C'è
una cosa che devo chiederti... speravo lo facessi tu, ma non posso
più aspettare. Non possiamo più
aspettare”, si corresse
carezzando la lieve rotondità del ventre. “Vuoi
sposarmi?”
Gareth
trasse un respiro profondo. “Arianrhod, lo sai che non vorrei
niente di più al mondo, ma lo sai che non... non posso. Non
ti ho
chiesto nulla perché aspettavo che tu annunciassi il tuo
fidanzamento da un giorno all'altro. Con Domaldr o con qualche altro
nobile...”
“E'
questo che ti preoccupa?” chiese lei, con le mani sui
fianchi. “Che
non sei nobile? Allora, tieni. C'è un altro decreto che
ancora non
hai letto.”
Andò
alla propria cassapanca, la aprì e ne estrasse un documento
che
Gareth prese con espressione corrucciata.
Nel
leggerlo quasi lanciò un grido. “Io, duca di
Skyllingarid? Non
puoi dare questo titolo a me!”
“Perché
non posso? Apparteneva ad un usurpatore, a un traditore. Io sono la
regina e posso scegliere di darlo a chi ritengo più
degno.”
La
resistenza di Gareth era stata intaccata, ma ancora non
rinunciò ad
obiettare: “Non
hai bisogno di me
per governare. Non hai bisogno di un marito per essere
regina.”
“Non
ti sposo perché ho bisogno di te per governare, o
perché mi fanno
pressioni affinché mi sposi. E neppure perché
aspetto tuo figlio.
Voglio sposarti perché ti amo.”
Gareth
aveva colmato la distanza che li separava, le aveva insinuato la mano
nei capelli e l'aveva tratta a sé per baciarla. Si era
fermato
alcuni attimi, con la bocca già sulla sua.
“Allora
siamo d'accordo”, aveva detto con un sorriso.
La
prima notte di nozze era stata davvero particolare per Gareth e
Arianrhod.
Lei
si era gettata tra le morbide coltri del suo grande letto con un
sospiro di soddisfazione. Ora finalmente potevano stare insieme senza
paura di essere scoperti, senza tendere l'orecchio ogni momento in
ascolto di passi o voci, senza guardare all'alba con timore.
Gareth
l’aveva guardata, immersa tra le calde pellicce che coprivano
il
letto, e aveva sentito il sangue accendersi di fronte allo spettacolo
meraviglioso che era sua moglie. Ma come aveva fatto per chinarsi su
di lei, una fitta di dolore gli aveva squassato il fianco. Era
ricaduto sul materasso imbottito di paglia con un’espressione
di
sofferenza, e Arianrhod era saltata subito su allarmata.
“Perdonami”,
aveva detto lui. “La ferita…”
Lei
aveva sorriso. “Dal momento che è stata mia la
colpa di quello che
ti è successo, è anche mio dovere porvi rimedio,
non trovi?”
Lui
l’aveva guardata interrogativamente. Poi Arianrhod aveva
incominciato a spogliarlo con delicatezza, e infine anche lei si era
tolta i vestiti.
Era
salita sopra di lui, e avevano fatto l’amore così.
Arianrhod con
delicatezza, attenta a non fargli male; Gareth completamente
dimentico – almeno per un po’ – della sua
ferita.
Dopo
aver raggiunto il piacere, Arianrhod si era chinata su di lui,
appoggiando la guancia morbida a quella ispida di lui; i suoi lunghi
capelli erano ricaduti su Gareth, come una morbida cascata di seta
argentea.
In
quei mesi Arianrhod aveva letteralmente rimesso in piedi la Svezia,
riparando ai torti compiuti da Ale.
In
poco tempo era divenuta amatissima tra il suo popolo, e veniva
trattata con rispetto e devozione perfino dai nobili. Tra i suoi
consiglieri aveva voluto Fjölnir e Sveigder, ma anche
Vanlande;
oltre naturalmente a suo marito Gareth. Domaldr aveva lasciato che
suo padre occupasse il posto che gli spettava a corte, ed era tornato
a Silverdalen ad amministrare in sua vece i possedimenti che un
giorno sarebbero stati suoi.
Ragnhild
le scriveva spesso da Vingåker,
raccontandole di come Hrolf si comportava nel suo nuovo ruolo di duca
e di come stava amministrando con successo le loro terre. Sarebbero
tornati a corte per le festività del Blót
di primavera,
l'anno seguente.
Östen
era già partito per rimettere in sesto le proprie terre, che
erano
state trascurate, e riparare la casa in cui avrebbe vissuto con
Gerda. La ragazza però era stata ferma sul non voler
abbandonare la
sua regina finché il bambino non fosse venuto al mondo.
Avrebbe
raggiunto Östen non appena il principino fosse stato al sicuro
tra
le braccia della madre. Arianrhod, pur non avendo fatto alcuna
pressione su di lei per spingerla a prendere una simile decisione ne
fu segretamente grata. Il parto che si avvicinava la spaventava,
anche se non osava ammetterlo neppure con se stessa, e avere accanto
a sé un'amica era una prospettiva tranquillizzante.
Oggi...
Quando
una delle serve uscì per l’ennesima volta dalla
stanza della
regina, Gareth si sentì esasperato.
“Possibile
che debba essere all’oscuro di tutto? Perché
nessuno può fermarsi
un momento a dirmi se va tutto bene?”, sbottò.
Il
Duca Fjölnir gli batté una mano sulla spalla.
“Coraggio,
figliolo”, disse con un sorriso comprensivo. “Ci
sono passato
anch’io e so cosa stai provando. Ma dobbiamo rassegnarci al
fatto
che il parto e la nascita siano faccende da donne, e che i poveri
padri in attesa rivestano un ruolo davvero marginale. Ricordo quando
mia moglie partorì il tuo fratellastro. Una notte e un
giorno ci
impiegò. E io per poco non rimasi ucciso
dall’ansia e dalla
tensione.”
“Dite
davvero?”, chiese Gareth.
“Se
dico davvero! Raccontaglielo tu, Sveigder!”, rispose il Duca
scoppiando in una fragorosa risata.
“Vostro
padre ha ragione, principe Gareth”, sorrise pacatamente
l’Arcidruido. Entrambi gli uomini sedevano sulla panca in
corridoio, accanto al futuro padre in attesa ormai da ore.
“Ricordo
che quando finalmente Domaldr venne al mondo, dovetti chiamare i
servi perché ficcassero il Duca in una tinozza
d’acqua fredda!”
“Cosa?
E perché?”, chiese Gareth.
“Perché
altrimenti sarebbe stato troppo ubriaco anche solo per prendere in
braccio il suo primogenito. Diciamo che l’attesa gioca brutti
scherzi ai giovani padri, e il vostro affogò la tensione in
ben più
di una birra!”, concluse Sveigder.
Gareth
non poté reprimere una risata che gli alleviò
momentaneamente la
tensione.
Arianrhod
era entrata in travaglio la sera precedente, e Gareth pensava che se
non avesse avuto accanto la presenza confortante di suo padre e
dell’Arcidruido, sarebbe finito per impazzire e avrebbe
già ceduto
da un pezzo alla tensione. Forse proprio nella stessa identica
circostanza in cui vi aveva ceduto Fjölnir tanti anni prima,
alla
nascita di Domaldr.
Finalmente
la porta si aprì e gli si avvicinò Gerda.
“Volevo farvi sapere
che tutto sta procedendo per il meglio, principe. Ma dovrete avere
ancora un po’ di pazienza, perché ci
vorrà ancora del tempo.”
“Non
importa, aspetterò”, rispose Gareth di slancio.
“Ma grazie per
avermi informato.”
Gerda
si congedò con un cenno e rientrò subito nella
stanza di Arianrhod.
“Visto,
figliolo?”, disse Fjölnir. “Devi stare
tranquillo. La nostra
Arianrhod è una donna forte e non avrà problemi a
mettere al mondo
questo bambino.”
Eppure
è così magra… pensò
Gareth, senza riuscire a reprimere una punta di preoccupazione.
Le
doglie erano iniziate il pomeriggio precedente, dapprima lievi e
sopportabili; ma quando la sera erano divenute più forti, la
regina
era stata subito portata nella sua stanza ed era stata chiamata la
levatrice.
Gareth
avrebbe voluto rimanere tutta la notte in attesa fuori della porta,
ma quando una delle serve lo aveva visto dormire sulla panca, con il
capo appoggiato contro il muro, aveva insistito perché
andasse a
letto.
“Andate,
vostra grazia”, gli aveva detto spingendolo affettuosamente
verso
le scale. “Non vorrete essere talmente stanco domani da non
riuscire a prendere in braccio vostro figlio, vero?”
Gareth
aveva dormito poco e male, e aveva trascorso tutto il giorno seguente
in attesa, insieme a suo padre e a Sveigder.
Era
la sera del secondo giorno quando, improvvisamente, delle voci
ovattate e dei suoni che si udivano dall’interno della stanza
di
Arianrhod, non rimase che un silenzio innaturale.
Gareth
balzò in piedi allarmato, e trattenne il fiato
finché, chiaro e
distinto, giunse il sano e potente vagito di un neonato.
“Mio
figlio!”, esclamò il giovane, con la voce rotta
dall’emozione.
Fjölnir
sembrava decisamente commosso. “Finalmente ho un nipote! E
con
buoni polmoni a quanto sembra!”
“Andate
dalla regina, duca”, disse Sveigder con un sorriso.
Gareth
seguì senza indugi il consiglio dell’arcidruido, e
bussò alla
porta. Gerda lo fece subito entrare.
Arianrhod
stava seduta nel letto, sorretta da molti cuscini; i capelli erano
raccolti in una grossa treccia, da cui sfuggivano disordinatamente
delle ciocche. Appariva stanca per la lunga lotta che aveva dovuto
affrontare, ma sorrise felice a Gareth, quando lo vide entrare.
Tra
le braccia stringeva un fagotto avvolto in un telo di lino, e Gareth,
agitato e felice com’era, impiegò qualche istante
a capire che si
trattava di suo figlio.
Si
chinò a baciare Arianrhod. “Come ti senti, amore
mio?”
Lei
sorrise. Era pallida, e una lieve pellicola di sudore le baluginava
sul collo e sul petto.
Prima
che lui potesse aprire bocca, gli mise tra le mani il piccolo
fagottino.
“Ma,
io non so come…”, protestò debolmente
Gareth. Ma si bloccò
quando posò gli occhi sul visino grinzoso e adorabile del
suo
primogenito. Si sentì stringere il cuore dalla tenerezza,
mentre gli
accarezzava la testolina, sormontata da una coroncina di capelli
castani, come quelli di suo padre.
“E’
un maschio?”, chiese continuando a rimirare quel capolavoro,
incredulo di esserne proprio lui l’artefice.
“Un
maschio”, confermò Arianrhod.
“Ci
pensi che questo bambino un giorno regnerà sulla
Svezia?”
“E
spero che lo farà con l’aiuto e il consiglio dei
suoi numerosi
fratelli”, disse Arianrhod
“La
prossima volta avremo una bambina”, decise Gareth.
“Bella e
coraggiosa come te.”
“Perché
non vai a dire all'arcidruido che è il momento che consulti
gli dei
per conoscere il nome che questo bambino dovrà
portare?” sorrise
la regina. E guardò con amore suo marito mentre usciva con
il loro
bambino tra le braccia.
***
L’espressione
pensierosa di Viviana si distese in un largo sorriso, perché
lo
specchio sacro le aveva mostrato esattamente ciò che lei
sperava di
scorgervi.
La
limpida polla d’acqua azzurra rifletteva il viso e i lunghi
capelli
neri della Somma Sacerdotessa, rimandandole l’immagine
familiare di
una donna non più giovane.
Il
Pozzo Sacro le confermava ciò che nel suo cuore Viviana
già sapeva.
Il
piccolo principe Egil, che ora era solo un neonato, sarebbe succeduto
alla madre, governando con giustizia e saggezza.
La
Stirpe del Drago sarebbe sopravvissuta per secoli ancora, salda e
resistente come una roccia, sfidando coloro che avrebbero tramato per
rovesciarla.
*
La ceralacca colorata (comunemente il colore scelto era il rosso)
ancora non era stata inventata, perciò era ancora di colore
neutro
(ho ipotizzato qui un bianco).
Nota
dell'autrice: Ed
eccoci
arrivati alla fine della storia, e come sempre quando questo succede,
i miei sentimenti sono dolceamari. Ma è così,
tutto ha una fine, e
posso solo sperare che la storia sia piaciuta a tutti, che vi abbia
intrattenuto e lasciato qualcosa. Sarete content* che Gareth sia vivo
e vegeto e che i nostri ragazzuoli abbiano il loro lieto fine.
Tranquill* non lo avrei lasciato morire, non ce l'avrei proprio
fatta!^^ Ringrazio dal profondo del mio cuore: Innominetuo,
Crilu_98, Morgengabe, Basileus, Ele240785, franci893, Eilonwy of
Prydain, TRIX94, Framboise, Bankotsu90, _purcit_, charly, miciaSissi,
Harmony394, Stella cadente, vento di luce... spero
di non aver dimenticato nessuno! Grazie per avermi lasciato i vostri
pareri, per aver seguito con tanta dedizione, per tutti i complimenti
e le meravigliose parole che mi hanno sempre spinto ad andare avanti
con rinnovata fiducia.
Ringrazio
tantissimo anche tutti coloro che hanno letto, ricordato, seguito e
preferito.
Piccola
nota storica: Il
neonato Egil che compare alla fine del capitolo è il
successivo
sovrano svedese in ordine cronologico (tolta ovviamente Arian, che
è
una mia invenzione).
Prossimi
progetti: Per
ora prenderò una piccola pausa dalle long, ma ho
già qualche idea
per la prossima. Solo non so quando la inizierò. Prima ho in
mente
due OS che spero di pubblicare a breve. Sto anche continuando a
pubblicare una long di genere fantasy, di cui vi lascio di nuovo il
link se ci fosse qualcuno interessato.
Breaking the Mist
Vi
segnalo anche una OS che ho pubblicato pochi giorni fa sempre di
genere storico. Se vi dovesse interessare potete darci un'occhiata
qui: Wind from the North
Un
grande grandissimo abbraccio a tutti e... alla prossima! ;)
Eilan
|