Guarda chi sono 2
Guarda
chi sono
Capitolo Secondo:
qualcosa di nuovo
Quella mattina mi
svegliai con un terribile mal di testa e il naso gocciolante.
Freia, tutta felice e
canticchiante, fece irruzione in camera mia aprendo le finestre per far
cambiare l’aria e io iniziai a starnutire a ripetizione.
«Ti sei presa
il raffreddore Stellina?»
Quanto la odiavo quando
mi chiamava con quel ridicolo diminutivo, ma in quel momento era troppo
intenta a combattere contro il dolore lancinante che avevo alle tempie
per poterla rimproverare e così mi rigirai nel letto
mettendo la testa sotto le coperte.
La mano gelida di Freia
si posò sulla mia fronte e, spostando le coperte per farsi
strada, sulle guance.
«Forse non
è ancora il periodo per stare mezze nude nel bosco sotto
l’acqua, eh piccola mia?»
Mamma uscì
dalla mia camera per tornare pochi minuti dopo con in mano il
termometro e un panno umido che mi mise sulla fronte.
Non avevo la febbre
alta, giusto un po’ a causa del raffreddore, nonostante
ciò decedemmo che per quella mattina sarei rimasta a casa.
Mamma mi
preparò una tisana a base di calendula e petali di rosa,
utile contro le infiammazioni secondo i suoi studi e, in effetti, dopo
averne bevuto mezza tazza il lieve bruciore che avevo il gola era quasi
passato del tutto anche se il senso di rintontimento c’era
ancora.
La mamma mi diede poi
da tenere al collo un ciondolo con un bellissimo lapislazzuli. Noi
eravamo così, usavamo le medicine solo nel caso in cui tutti
i rimedi naturali e, come direbbe mia cugina, alternativi non avevano
funzionato.
«Oggi allora
vai a trovare i nuovi vicini con Clara?» buttò li
Freia mentre guardavamo una soap stravaccate sul divano
un’oretta più tardi.
«Forse, se mi
sento meglio...». In realtà non ne avevo alcuna
voglia.
«Allora ti
conviene mandarle un sms così vi mettete
d’accordo. Se andate vi porto io mentre vado a lavorare verso
le tre.»
Svogliatamente andai a
prendere il cellulare che avevo abbandonato da un paio di giorni sulla
credenza.
Quando lo accesi non mi
stupii di trovare degli sms vecchi di giorni che mi avvisavano che
avevo ricevuto delle chiamate da Freia mentre il cellulare era spento.
In fondo alla lista
trovai, poi, un sms di Cecilia che mi chiedeva se stavo meglio e se
oggi sarei andata a scuola. Appena tornai sul divano le spiegai che
avevo preso il raffreddore ma che il giorno seguente sarei tornata
sicuramente.
successivamente aprii
un messaggio vuoto e scrissi a mia cugina.
“Ciao
Clarè, oggi non sono venuta a scuola però dopo,
se vuoi, andiamo a trovare i nuovi vicini. Ci porta mamma alle 3pm.
Fammi sapere. Stella”
Nemmeno dieci minuti
dopo il cellulare squillò due volte, un caso eccezionale per
lui.
Clara diceva che per
lei andava bene e che ci avrebbe aspettate alle tre, mentre Cecilia mi
augurava di guarire presto, aggiungendo che Jamie mi mandava i suoi
saluti. Mi sentii avvampare.
Come osava parlare con
la mia migliore amica, quel presuntuoso!?
«È
successo qualcosa?» chiese mia mamma, probabilmente notando
il mio colorito.
Feci cenno di no e
risposi alla mia amica ringraziandola.
Quando tornai a seguire
il telefilm, il cellulare trillò di nuovo.
«Sbaglio o
è il record del mese?» ironizzò mia
madre. A lei sembrava non pesare il fatto che a scuola non ero inserita
in nessun gruppo particolare e ciò mi aiutava a non perdere
del tutto la poca stima che avevo di me stessa.
Quando finii di leggere
il messaggio, per poco non rischiai di stritolare il mio Nokia tra le
dita.
“Ciao sono
Jamie, visto che anche io sono preoccupato per la tua
salute?”, rilessi nella mia mente mentre cercavo una
plausibile risposta non particolarmente offensiva a quell’
sms.
Alla fine optai per il
ringraziarlo, senza aggiungere una parola di più.
Come immaginavo, il
telefono suonò ancora una volta, provocando le risate di mia
madre che sicuramente aveva intuito che qualcosa non andava.
Questa volta Jamie mi
assicurava che era un piacere poter messaggiare con me e immaginai che
pure lui si stesse piegando dalle risate, proprio come Freia, felice di
prendermi in giro anche se non poteva vedermi.
Avrei tanto voluto non
rispondere, ma le mie dita si mossero da sole sulla tastiera del
vecchio e, oramai superato, cellulare.
“Spero che ti
stia divertendo alle mie spalle perché sappi che non
sprecherò un secondo di più per risp ad un altro
tuo mess. Sono stata chiara?”
Ovviamente,
però, la discussione non si concluse a quel punto.
Jamie continuava a
mandare messaggini con cui cercava di assicurarmi che non voleva
assolutamente prendermi in giro ma, al contrario, era davvero felice di
sapere che stavo meglio.
Chiesi perfino a
Cecilia di costringerlo a smetterla di importunarmi, la quale mi
garantì che avrebbe fatto del suo meglio.
Destino volle che il
mio cellulare si scaricasse sul più bello della mia
conversazione con il nuovo compagno e, così, fui costretta a
liquidarlo con un semplice: “Scusa ma ho la batteria a terra,
ci vediamo domani”.
«Vedo che hai
fatto delle nuove amicizie! Sono tutti così preoccupati da
scriverti tanto?»
Senza pensarci,
fulminai mia madre con uno sguardo assassino e lanciai il cellulare
sulla poltrona nell’angolo del salotto.
«Si infatti,
sembra strano pure a me…», sbottai, «Ora
comunque è meglio che me ne vada un po’ a letto
che tra qualche ora arriva Clara.»
Così mi
diressi su per le scale scricchiolanti verso la mia stanza.
L’intenso
odore di violetta caratteristico della cameretta mi avvolse non appena
varcai la soglia.
Non feci caso al
disordine che infestava il pavimento e mi lanciai sul letto.
Allungandomi verso la
finestra, ne tirai le tende indaco in modo da creare una certa penombra
e, dopo aver acceso una candela, mi accoccolai come un gattino sotto le
coperte.
In pochi minuti caddi
tra le braccia di Morfeo che mi condusse di nuovo nello stesso bosco
della notte precedente.
Questa volta ero da
sola, vestita con la mia tunica nera e i piedi scalzi.
Rimasi immobile, come
la natura intorno a me.
Non volava un filo di
vento e quasi mi mancava l’aria.
Mi chiesi dove fosse
finita la piccola lince dal pelo candido e iniziai a guardarmi intorno.
Niente.
Tutto taceva immobile.
Allora decisi di muovermi e così m’ incamminai ed
attraversai in lungo ed in largo il bosco in pochi secondi, come capita
spesso quando si sogna.
Ad un tratto il
silenzio venne rotto. Un fruscio alle mie spalle mi fece sussultare e
mi voltai, allarmata.
«Chi
c’è?»
Non ottenni nessuna
risposta. Attesi finché il fruscio non si
presentò di nuovo.
Questa volta vidi in
lontananza una luce dorata e i miei piedi mi trascinarono verso di lei.
Sentii il mio stomaco
contorcersi, come se qualcuno mi avesse appena tirato un pugno, non
appena capii che di fronte a me si trovava lo stesso serpente che la
notte precedente si era divorato il maestoso orso tutto d’un
fiato.
Non osai muovere un
muscolo per paura che quella creatura mi attaccasse ma, nonostante
ciò, questa si avvicinò a me.
Trattenni il respiro
mentre strusciava il suo manto squamoso sulle mie gambe nude.
La sua pelle era gelida
e liscia a contatto con la mia. Lentamente il serpente
iniziò a salire lungo il mio polpaccio fino ad avvolgermi
completamente.
Oramai il suo muso
triangolare era alla stessa altezza del mio volto e io chiusi gli occhi
in attesa che finisse il suo lavoro, in attesa che aprisse le fauci e
mi mangiasse.
«Ti
aspetto...» sentii bisbigliare in un orecchio e, quando
riaprii gli occhi, vidi che l’enorme serpente era sparito
lasciandomi i muscoli tutti indolenziti.
Alle tre in punto, io e
Freia ci trovavamo a casa di sua sorella sorseggiando un the ed
aspettando che Clara si finisse di preparare.
«Bello il
ciondolo, Stella.» disse mia zia osservando il lapislazzuli
che portavo al collo.
Le spiegai che quella
mattina non stavo molto bene e così la mamma aveva provato a
proteggermi con quello.
Rosy mi sorrise, ma
notai una vena di amarezza nel suo sguardo. Ovviamente lei non godeva
di tutta le libertà che invece io lasciavo a mia mamma.
Per la zia era stato un
duro colpo scoprire che sua figlia la considerava una pazza e, da quel
giorno, si era chiusa sempre più in se stessa, lasciandosi
andare solo quando veniva a praticare qualche rito a casa
nostra insieme ad alcuni membri della congrega di mia mamma.
Notando che la
situazione iniziava a farsi pesante, pensai a qualcosa per poter
deviare il discorso.
«Zia, mi sa
che non posso ancora portare Clara a scuola con la moto. Se non ci sono
altri problemi sarà meglio che per un mese non rischi di
farmela sequestrare, ok?»
Lei annuì.
Mancava solo un mese prima che io compissi diciotto anni,
così da poter portare un passeggero, e la mattina precedente
era stato un rischioso strappo alle regole.
«A proposito
di compleanno! Cosa vuoi che ti regali?» chiese Rosy travolta
da un’improvvisa allegria. Cambiava umore come se niente
fosse e, in questo, era molto simile a mia madre.
Spesso capitava,
comunque, che la gente le confondesse. Erano magre con i capelli biondi
e gli occhi chiari, quasi fossero gemelle. Però la zia era
di qualche annetto più vecchia di mamma.
«Rosy non
voglio niente per il compleanno, al massimo una bella torta!»
Mia madre
scoppiò a ridere. «Ma dai Stella! È il
tuo diciottesimo! Se non ti facciamo un bel regalo di cui ti puoi
vantare a scuola, che parenti saremmo?»
Io la guardai
accigliata e scuotendo la testa rassegnata.
«Beh, allora
se volete proprio farmi un regalo, fate in modo che sia una
sorpresa!»
Le due sorelle si
scambiarono uno sguardo d’intesa e scoppiarono a ridere
facendomi sentire esclusa dai loro pensieri.
Freia mi
accarezzò i capelli e mi diede un bacio sulla fronte
dicendomi di stare tranquilla, «Penseremo a tutto
noi!».
Non so
perché, ma quelle parole suonarono quasi come una minaccia
alle mie orecchie, ma non poteri fare a meno di unirmi alle loro risate.
«Che succede?
Voglio ridere un po’ anche io!»,
annunciò Clara con la sua vocina squillante andandosi a
sedere accanto a sua madre.
«Stiamo
organizzando la festa di tua cugina.» le spiegò
allegra sua zia.
A Clara si illuminarono
gli occhi.
«Qualunque
cosa tu abbia in mente di fare, vedi di cambiare idea!», la
minacciai io sorridendo.
«E dai
cuginetta!» mi supplicò lei congiungendo le mani
sul petto e sporgendosi verso di me col viso rattristato.
«Su Stella.
Facci felici…» si unirono poi mia zia e mia madre
a lei.
«Ma che
noiose che siete!» sbottai io esasperata e loro intuirono che
mi ero arresa e, così, scoppiarono a ridere entusiaste della
loro vittoria.
«In fondo
c’è ancora un sacco di tempo no?» le
interruppi, cercando di sviare il discorso dato che c’era fin
troppa attenzione concentrata su di me in quel momento.
Clara annuì
e, rassegnata, propose di partire prima che venisse troppo tardi.
Si era vestita molto
bene per l’occasione e la cosa non mi sorprendeva. Per lei
era molto importante fare bella impressione sulle persone. Infatti si
era messa un vestitino a fiori molto grazioso. In confronto io
sembravo, come sempre, una barbona con i jeans tarocchi e una maglietta
lillà che metteva in risalto il decolté
praticamente inesistente nonostante la mia età.
«Dai, voi
salite intanto in macchina. Io vi raggiungo immediatamente.»
ordinò mia madre e noi le ubbidimmo.
Dal sedile posteriore
sentivo mia cugina fischiettare allegra un motivetto e le chiesi il
perché di tanta allegria.
«Sono
contenta! Oggi a scuola è stata una bella giornata e ora
andiamo a fare una cosa divertente!»
Era veramente su di
giri e un pochino la invidiavo per questo suo carattere sempre allegro
e solare. A differenza sua, io non riuscivo a vedere tutto
‘sto gran divertimento nell’andare a trovare i
nuovi vicini di casa.
«Ti avviso
che io sto poco perché stamattina non stavo molto bene e non
vorrei ingerminare le case altrui, ok?»
Grugnendo, Clara
annuì evidentemente delusa da quanto avevo appena detto e,
di tutta risposta sospirai rumorosamente.
In pochi minuti mia
madre salì in auto e ci scaricò di fronte alla
villetta appena ristrutturata mettendoci in mano un vassoio stracolmo
di biscotti a testa.
Prima di ripartire,
Freia si scusò con noi per il fatto di non poterci venire a
prendere al ritorno, per cui saremo dovute tornare a casa da sole. Noi
la rassicurammo dicendole di non stare a preoccuparsi e così
lei partì dopo averci abbracciate entrambe.
Un pochino intimorita,
mi avviai così lungo il vialetto che conduceva
all’ingresso della villetta grande pressappoco quanto la mia
ma messa decisamente in condizioni migliori.
L’esterno era
di un delicato color panna e il portone era decorato con un
motivo floreale in ferro battuto molto fine e di buon gusto.
Clara suonò
il campanello ed aspettammo qualche secondo che ci venissero ad aprire.
«Sicura che
tua madre li abbia avvisati del nostro arrivo?» bisbigliai
all’orecchio di mia cugina qualche istante prima che un
ometto non molto alto con i capelli castani pettinati
all’indietro aprisse la porta.
«Voi dovete
essere le nostre vicine?» disse quel signore poco
più alto di me sfoderando un sorriso bianchissimo.
Clara ed io annuimmo e
il padrone di casa ci fece segno di entrare.
«Grazie
mille, signor Fruner.»
Alle parole di mia
cugina, il mio corpo ebbe un fremito.
“Fruner? Quel
Fruner?!” si stava chiedendo la mia mente.
Il mio dubbio,
comunque, non restò irrisolto a lungo.
Appena entrata nel
bellissimo salotto arredato con mobili pregiati in legno, una voce roca
ma allo stesso tempo incredibilmente armonica irruppe nella stanza.
«Stella! Che
piacere vederti!»
Jamie si diresse verso
di me sorridendomi con quel suo ghigno che sembrava prendermi in giro.
«Ciao
Jamie…» salutai a mia volta facendo un lieve cenno
con la mano.
“Ma quanto
sono stupida?” continuavo a chiedermi nella mia testa. Non ci
voleva un genio per intuire che il nuovo vicino e il nuovo compagno
fossero la stessa persona. Mi sentii avvampare non avendo capito prima
una cosa così ovvia.
“Probabilmente
il mio cervello non voleva avere proprio niente a che fare con quel
ragazzo”.
«Non mi avevi
detto che lo conoscevi già.» si lamentò
mia cugina al mio fianco tirandomi una gomitata tutt’altro
che amichevole.
La guardai emettendo
una risatina isterica e le spiegai che era il mio nuovo compagno di
classe e ci eravamo visti solo il giorno prima, dato che quella mattina
ero rimasta a casa perché non mi sentivo bene.
Facendo segno di
accomodarci sul divano, Jamie mi chiese se mi ero ripresa e io feci
cenno di si con la testa.
Mia cugina sembrava
molto interessata a farsi amica il nuovo vicino e lo si capiva dal
fatto che non chiudeva bocca un secondo informandosi di un sacco di
cose insulse.
Per fortuna, qualche
minuto dopo spuntò di nuovo il signor Fruner ad interrompere
la sua loquela.
«Mia moglie
è andata a fare la spesa, spero possiate aspettare il suo
ritorno.»
Clara rispose
prontamente di si, mentre io mi scusai dicendo che dovevo tornare a
casa dato che non volevo rischiare di attaccare il raffreddore a
nessuno.
«No ti prego
Stella, resta ancora un po’! Ti faccio almeno visitare la
casa.» mi supplicò Jamie con uno sguardo
volutamente rattristato.
Clara sorrise,
così come il padre del ragazzo che definì la
proposta del figlio come un’idea eccellente.
La sensazione di
sentirmi di nuovo al centro dell’attenzione si
ripresentò come poco prima a casa di mia zia e,
così, mi sentii costretta ad accettare l’idea di
aspettare la madre di Jamie.
Il ragazzo si
alzò dalla poltrona di fronte a noi prendendo un paio di
biscotti dal vassoio e ci invitò a seguirlo per il giro
turistico della casa.
Le stanze erano molto
luminose e grandi, arredate in stile antico come il salotto e disposte
pressappoco come quelle di casa mia. Al piano terra si trovava la zona
giorno con la cucina, il salotto e un bagno, mentre a quello superiore
erano sistemate le camere da letto, un bagno molto grande e una
stanzetta adibita a studio.
Quando passammo per il
corridoio del primo piano, notai che vi erano stati appesi dei quadri
molto belli, rappresentanti un paesaggio dipinto nelle diverse stagioni.
«Questi li ha
fatti mamma quando era giovane. Le piaceva dipingere ma ora ha perso un
po’ la mano.»
Io ne rimasi
affascinata, specialmente da quello raffigurante l’estate. Il
rosso era il colore predominante e il sole, riflesso
sull’acqua del lago raffigurato al centro del quadretto,
creava dei riflessi, realizzati con varie tonalità di colori
caldi, che si univano armonicamente con i colori freddi della
superficie dell’acqua.
Probabilmente Jamie si
accorse che mi ero imbambolata nell’osservare i dettagli del
dipinto e mi si avvicinò da dietro e mi mise una mano sulla
spalla.
«Devo dedurre
che ti piace questo, vero Stella?»
Io mi voltai annuendo.
Lui mi sorrise dolcemente e io non potei fare altro che rispondere a
mia volta con un sorriso imbarazzato mentre distoglievo lo sguardo dai
suoi occhi.
Probabilmente mia
cugina aveva notato il nostro rapido scambio di sguardi e, per
distrarci, chiese a Jamie cosa vi fosse dietro ad una porta in fondo al
corridoio del secondo piano.
«La mia
stanza», rispose lui togliendomi la mano dalla spalla.
«Ti va di vederla?», continuò poi
rivolgendosi a Clara la quale, ovviamente, rispose affermativamente.
Io rimasi indietro
rispetto agli altri due e non riuscii nemmeno ad ascoltare quello che
si stavano dicendo tanto ero persa nei miei pensieri.
Continuavo a
visualizzare il quadro nella mia mente e non sapevo perché,
ma quel paesaggio mi ricordava qualcosa. La sua vista lasciò
dentro di me una sensazione di gioia e tranquillità che non
riuscivo a spiegarmi e, probabilmente, era lo stesso effetto che faceva
su Jamie.
Nessuno, che ovviamente
non fosse la mamma o un parente, mi aveva mia sorriso in quella maniera
e io ne rimasi piacevolmente sorpresa.
“Forse quello
che ha scritto stamattina è vero…”
I miei pensieri furono
interrotti, però, quando Jamie aprii la porta della sua
camera, diversa dalle altre stanze perché arredata con uno
stile moderno. Sulla scrivania, ricavata nello spazio sotto il letto al
castello, era dotata di un computer portatile di ultima generazione e,
nella libreria, era stato ricavato lo spazio per inserirci un
televisore con lo schermo piatto e il lettore DVD.
«Oh, che
bella stanza che hai!» commentò mia cugina
compiacendo Jamie che si lanciò ridendo su di una
poltroncina posta in un angolo della stanza.
«Dai Stella
accomodati pure tu!» mi incoraggiò, «E
pure tu.» continuò rivolgendosi a Clara.
Io mi sedetti sul
tappeto e mia cugina mi seguii a ruota.
«Li avete
fatti voi i biscotti? Sono veramente buoni.» si
complimentò il ragazzo che ci guardava dall’alto
in basso sorridendo.
Clara gli
spiegò che i biscotti in realtà li aveva fatti
Rosy e lui si raccomandò di ringraziarla e di farle i
complimenti.
«Se vuoi un
giorno puoi venire a pranzo da noi così mamma prepara
qualcosa di buono.»
Io sbiancai. Mia cugina
era impazzita, come poteva invitare a casa sua uno che manco conosceva?
Probabilmente Jamie
aveva notato il mio sguardo accigliato rivolto a Clara e
scoppiò a ridere.
«Tranquilla
Stella, non ti mangio la tua amichetta!»
«E’
mia cugina brutto stupido.» risposi io, nuovamente offesa dal
suo modo di fare, ma lui non sembrò fare caso
all’insulto che gli avevo lanciato poiché si mise
a ridere ancora più di gusto.
«Allora se
vuoi vieni pure tu così mi tieni
d’occhio.» mi rispose ammiccando.
Con gli occhi che
brillavano, mia cugina gli chiese se allora aveva accettato
l’invito e il ragazzo fece cenno di sì. Da quel
momento fu impossibile tappare la bocca a Clara che, come era nel suo
modo di fare, iniziò a progettare il pranzo perfetto
informandosi sui gusti del suo futuro ospite.
Fortunatamente, una
decina di minuti dopo, qualcuno bussò alla porta della
camera.
«Posso
entrare o rischio di interrompere tutte queste risate?»
chiese una voce melodiosa al di là della porta. Jamie si
alzò per andare ad aprire e una donna, la più
bella donna che io avessi mai visto, fece capolino nella stanza.
«Ragazze, vi
presento mia madre.» annunciò Jamie indicandola
con fare teatrale.
Io mi alzai a mia volta
e le porsi la mano presentandomi e lei fece lo stesso.
«Isotta Fruner, molto lieta».
Quando le nostre dita
s’incontrarono, sentii di nuovo la stessa scarica
d’energia che invase il mio corpo la mattina precedente
quando conobbi suo figlio.
Questa volta riuscii,
per fortuna, a mascherare meglio la mia reazione abbozzando un
sorrisetto intimidito che la giovane signora di fronte a me
ricambiò.
Lei e suo figlio erano
molto simili. Il fisico slanciato e snello, proporzionato. Lei aveva
lunghi capelli neri che le incorniciavano il viso candido in cui
risaltavano i grandi occhi, a differenza del figlio, neri e brillanti.
Dopo aver salutato
anche mia cugina, la signora Fruner ci invitò ad andare in
salotto a bere un the.
Attraversando il
corridoio passammo nuovmente di fronte al dipinto che aveva catturato
poco prima la mia attenzione.
«A Stella
è piaciuto molto questo qua. Te lo dicevo io che dovevi
continuare a dipingere!» la rimproverò Jamie che
si trovava al mio fianco.
«Che posto
è?» chiesi pensando ad alta voce.
«E’
un posto vicino a dove sono cresciuta, in Austria.» rispose
educatamente la signora Fruner.
Io annuii e ribadii che
era un quadro bellissimo.
Jamie ordinò
poi di andare in salotto perché voleva mangiare i biscotti
di Rosy e, avanzando, mi cinse con un braccio il fianco.
«E’
molto contenta che ti piaccia.», mi bisbigliò il
ragazzo nell’orecchio mollando poi la presa per raggiungere
la madre tutto sorridente.
La mia schiena fu
percorsa dai brividi quando lui sfiorò con le sue labbra la
mia pelle e quando mi accarezzò il fianco allontanandosi da
me.
Non riuscivo a capire
cosa mi stesse succedendo.
Il the era pronto e
già servito in tazze finemente decorate con motivi floreali
appoggiate in un vassoio argentato al centro del tavolino in salotto.
Io mi accomodai sul
divano accanto a mia cugina e nelle due poltrone a lato si sedettero
Jamie e sua madre.
Il the si stava
raffreddando ma io oramai ero talmente abituata a casa a visualizzare
il calore che si allontanava al passaggio della mia mano sulla bevanda
che, senza pensarci, iniziai a far scorrere le mie dita lungo i bordo
della tazza persa nei miei pensieri.
«Ti sei
addormentata?» mi chiese scherzosamente Clara tirandomi un
colpetto col gomito.
«No, no!
È che… mi è tornato un po’
di mal di testa.» mentii.
Jamie spiegò
a sua madre che io ero una sua compagna di classe e che dal giorno
prima non stavo molto in forma.
Io mi scusai con
Isotta, così ci aveva pregate di chiamarla, la quale mi
disse di non preoccuparmi e che se avevo bisogno di qualcosa di
avvertirla senza problemi.
Io le sorrisi ed
assaggiai un sorso della bevanda oramai fredda che tenevo ancora tra le
mani.
Era un qualcosa di
squisito. «Oltre alla mela e alla rosa che cosa
c’è?» chiesi alla bellissima signora
seduta sulla poltrona di fronte a me.
«Carcadè!»
rispose lei sorridente e sorpresa del fatto che avessi riconosciuto da
un solo sorso gli ingredienti principali.
I minuti passarono
velocemente e, senza che me ne rendessi conto, si erano fatte le sei
passate.
Jamie si propose di
accompagnarci a casa e noi accettammo più che volentieri
dato che fuori si era fatto buio.
Io e Clara salutammo i
padroni di casa mentre aspettavamo che il figlio uscisse dal garage.
«E’
stato un piacere conoscerla.» dissi io sinceramente alla
signora Fruner la quale mi prese le mani e mi diede un bacio sulla
fronte come aveva fatto con mia cugina.
In quel momento,
però, una fitta lancinante attraversò le mie
tempie e l’immagine della lince ricomparve vivida nella mia
mente.
Il dolore si fece
così forte che mi cedettero le ginocchia e il
signor Fruner fu costretto a reggermi per impedirmi di cadere in terra.
«Va tutto
bene?» chiese Isotta con la preoccupazione che le si leggeva
in volto.
Feci cenno di
sì con la testa mentre cercavo di rimettermi in piedi.
«Tranquilla,
ora Jamie ti riporta a casa e aspetta che entri, ok?»
«Si»,
dissi io riprendendomi, «Tanto mamma dovrebbe quasi essere a
casa.»
Clara mi
aiutò ad arrivare all’auto rossa al volante della
quale si trovava Jamie che ci guardava con aria interrogativa.
Sua madre, che ci aveva
accompagnate fino in fondo al vialetto, gli spiegò cosa era
successo e, così, lui partì subito per portarmi a
casa per farmi riposare.
In pochi minuti Clara
scese davanti al vialetto di casa sua e Jamie ripartì a
razzo seguendo le mie indicazioni per raggiungere abitazione diroccata.
Quando arrivammo vidi
che le luci erano ancora spente e ciò significava che Freia
non era ancora tornata dal lavoro.
«Vorrà
dire che resto qua con te per un po’.»
annunciò il ragazzo seduto al mio fianco spegnendo il motore
della sua Volkswagen.
Io scesi e cercai
dietro ad un cespuglio le chiavi di riserva nascoste sotto una finta
pietra di plastica.
«Non avete
paura che n ladro le possa trovare?»
«In tal caso
ci eviterebbe il problema di comprare un vetro nuovo. Non credo che in
casa troverebbe qualcosa degno di essere rubato.» risposi
secca io facendolo scoppiare a ridere come ogni volta che aprivo bocca.
Provai il solito senso
d’irritazione, ma oramai mi ci stavo abituando e
così sbuffai sorridendo rassegnata.
Quando entrammo lo feci
accomodare sul divano dove quella mattina stavo massaggiando proprio
con lui.
Io mi stavo preparando
un bicchiere di acqua e zucchero su suo ordine quando mi chiese
perché il mio cellulare giaceva abbandonato sulla poltrona.
«E’
scarico.» risposi io molto semplicemente.
«Se lo metti
a caricare stasera ci sentiamo un po’.», disse lui,
«Così vedo se ti sei ripresa.»
«O magari per
sparare cavolate come stamattina!» battibeccai io sedendomi
dal lato opposto del divano rispetto a dove era seduto lui.
Probabilmente lo offesi
perché il suo volto si rabbuiò.
«Guarda che
tu mi stai davvero simpatica.» ammise Jamie guardandosi le
mani giunte in grembo.
Io lo osservai confusa
qualche istante e poi gli domandai scusa.
«Sai, non
sono abituata a essere considerata dagli altri…»
Jamie alzò
lo sguardo e lo incatenò al mio.
«La tua
compagna di banco ti vuole bene però. Con lei andate
d’accordo da quello che mi ha detto.»
«Lo so. E ne
sono davvero molto felice.», risposi perdendomi nel blu
profondo dei suoi occhi.
Lui mi sorrise
dolcemente e, per rovinare la bellissima atmosfera che si era creata,
disse una frase che mi fece perdere le staffe: «E, in fondo,
ti sei innamorata di me a prima vista!»
Lui scoppiò
a ridere mentre io lo obbligavo a rimangiarsi quello che aveva appena
detto a suon di schiaffi.
Quando alla fine anche
io stavo ridendo come una bambina nel vedere che non gli stavo facendo
assolutamente nulla, gli chiesi se voleva qualcosa da bere.
Mentre ero in cucina a
prendere una bottiglietta d’acqua, gli domandai da quanto
tempo avesse la patente.
«Da sei mesi
circa.» rispose lui e io, sorpresa, gli chiesi come faceva ad
averla da così tanto tempo dato che ci volevano almeno un
paio di mesi per prenderla ed eravamo solo a Marzo.
«Ho un anno
in più di te, Stella.»
«Non lo
sapevo! E come mai non sei in quinta?»
Non mi sentii una
curiosona nel porgli quella domanda e lui non sembro irritato nel
rispondere.
Mi raccontò
che aveva passato un anno intero in Austria, dove era nata sua madre,
seguendo la scuola con qualche difficoltà dato che il
tedesco non era la sua madrelingua, anche se lo parlava molto bene.
«Hai visto il
posto del dipinto?» le parole mi uscirono così
spontanee che non me ne resi nemmeno conto.
«Si.
L’ho visto. Ci ho vissuto di fronte.»
Infondo non rimasi del
tutto sorpresa nel sentire quella risposta.
«Ti manca
stare là?»
Il suo sguardo era
vitreo, perso nel vuoto.
Jamie mi fece cenno di
si con la testa e, istintivamente, mi avvicinai a lui e gli accarezzai
un braccio per consolarlo. «Vedrai che prima o poi ci
tornerai.»
Lui si voltò
verso di me sorridendo teneramente e ringraziandomi.
«Sei una
brava ragazza. Gli altri non hanno capito nulla di te.»
Nel sentire quelle
parole, il mio cuore accelerò il suo battito e sentii le
orecchie pizzicare.
Non mi era mai successo
nulla di simile.
Non feci in tempo a
spiccicare una parola, però, che mia madre entrò
in casa.
«Stella? Sei
tu?»
«E chi vuoi
che sia se no?» risposi io riprendendomi.
Quando lei
entrò in salotto e vide Jamie seduto sul divano lo
guardò con aria interrogativa e curiosa.
«Scusi il
disturbo, sono Jamie Fruner, il figlio dei vicini.» disse
Jamie andando verso mia madre porgendogli la mano che lei strinse
presentandosi.
«E’
un piacere conoscerti Jamie. Ma non doveva essere mia figlia a venire a
farvi visita?»
Io mi alzai arrossendo
nuovamente.
«Mi
è venuto un capogiro e lui mi ha riportata a
casa.» spiegai io impacciata.
Mia madre
alzò gli occhi al cielo e ringraziò il ragazzo,
più alto di lei, che gli si trovava di fronte.
«Ho una
figlia che è una piaga!» si lamentò
Freia facendo sorridere Jamie.
Io sbuffai, ma lei non
sembrò farci caso e chiese, invece, al nostro ospite se
voleva fermarsi a cena.
Lui rifiutò
ringraziando mia madre per l’invito, «La prossima
volta mi fermerò sicuramente!»
La cosa non mi
irritò più come era successo prima quando Clara
lo aveva invitato a casa sua ma, al contrario, ne fui quasi felice.
«Allora ci
mettiamo d’accordo a scuola.» proposi io.
Mi madre mi
guardò e mi chiese se era in classe con me.
Io ammisi di essere
stata tanto stupida da non capire che il nuovo compagno, di cui le
avevo parlato, era anche il nuovo vicino.
«Perfetto
allora,» disse lui,«Domani ci mettiamo
d’accordo. Ora devo andare davvero.»
Mia madre lo
ringraziò per avermi fatto da baby-sitter e io lo andai ad
accompagnare alla sua auto.
«Ci vediamo
domani?», chiese lui abbassando il finestrino.
«Si. Spero di
stare bene…» risposi io abbassandomi per poterlo
vedere in faccia.
Lui mi sorrise e mi
diede un bacio sulla guancia.
«Allora a
domani!» mi salutò accendendo il motore. Io rimasi
senza parole e, dal vialetto, lo salutai con la mano mentre la macchina
rossa veniva avvolta dalle tenebre della sera.
«Che caro
ragazzo che è.» buttò li mia madre
mentre lavava le stoviglie dopo cena.
«Già.
Mi ero sbagliata sul suo conto.»
Mia madre si
voltò verso di me con un piatto insaponato in mano.
«Probabile.
Però avevi ragione sul fatto che ha qualcosa di
strano.»
Le sue parole
catturarono all’istante la mia attenzione.
«Anche io
quando gli ho stretto la mano ho sentito qualcosa. Non è una
persona come le altre.»
«Allora
sarà una cosa di famiglia. Oggi mi sono sentita attraversare
da una fitta assurda alla testa quando ho toccato sua madre.»
Lo sguardo di Freia si
perse nel vuoto, come tutte le volte che si concentrava intensamente su
qualcosa.
«Farò
delle ricerche su di loro.» affermò
all’improvviso.
Io ribattei che non era
una cosa giusta da fare e lei mi spense ricordandomi che in fondo anche
io avevo voluto sapere qualcosa in più su di lui cercando di
leggergli l’aura.
«Hai
più provato a rifarlo?»
Io feci cenno di no con
la testa e lei annuì, pregandomi di ritentarci per cercare
di capire qualcosa.
Rassegnata le dissi che
ci avrei provato senza, però, garantirle dei risultati.
Mentre stavo per andare
in camera, mi venne in mente di caricare il cellulare che era ancora
abbandonato sul divano. Poco prima di andare a letto, provai poi ad
accenderlo per vedere se davvero Jamie mi aveva mandato un sms.
“Sei una
sciocca” dissi a me stessa mentre premevo il tasto che
accendeva l’apparecchio.
Quando stavo per
coricarmi, lo schermò si illuminò e il cellulare
emise un trillo.
«Mi ha
scritto davvero!» bisbigliai io stupita e, in fondo in fondo,
contenta.
Jamie mi chiedeva se mi
ero ripresa e, alla fine, diceva che mi aspettava il giorno seguente di
fronte al cancello della scuola.
Io gli risposi
immediatamente che stavo meglio e che non mi stesse ad aspettare
perché, conoscendomi, sarei arrivata senz’altro in
ritardo.
“Allora c
vediamo in classe :-) buona notte e vedi di stare meglio”,
diceva la sua risposta e, nonostante fossero poche parole mi resero
davvero molto contenta.
“Ho un nuovo
amico!” continuavo a ripetere nella mia testa quando mi fui
coricata sotto le coperte.
Quella sera mi
addormentai col sorriso sulle labbra. Sentivo che era cambiato qualcosa
, in positivo, e non riuscivo a nascondere le mie emozioni.
Spero che questo secondo capitolo sia stato di vostro
gradimento e che attenderete con ansia i prossimi! :-)
Inutile dire che aspetto delle recensioni perchè mi aiutano
a capire quanto ancora devo crescere prima di imparare a
scrivere decentemente! :-) Ve ne sarei grata!
Nel frattempo potreste leggere qualche altro mio lavoro:
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=70620
Grazie!
Kajsa
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