Capitolo riveduto e
corretto.
ATTENZIONE!
Per leggere questo
capitolo nella sua versione originale (estesa e da rating rosso) si
può andare
qui.
Personalmente consiglio
questa versione, neppure troppo erotica.
In ogni caso, la seguente
è quella da rating arancione:
«E’
così, ora sei la signora Cullen»
mormorò Edward al
mio orecchio, facendomi arrossire.
Abbassai il viso imporporato sulle
gonne. «Già»
risposi timida.
Le sue labbra si incollarono ancora
una volta alle
mie, sorprendendomi.
«Come stai?» mi
chiese dolce e sereno, accarezzandomi
una guancia.
Corrugai un attimo le sopracciglia,
presa alla
sprovvista. «Benissimo. Siamo sposati…»
dissi emozionata, baciandolo ancora. E
niente era andato storto… almeno per ora.
«Mi riferivo a questa
mattina» continuò lui,
sorridente.
Sgranai gli occhi. Poi capii.
«Mia madre» sibilai,
nascondendomi il volto fra le mani. Sicuramente lei non aveva fatto
attenzione
ai suoi pensieri, e Edward ci aveva facilmente letto lo stato
d’agitazione in
cui ero stata per tutta la mattina.
Lo sentii ridacchiare,
così non potei fare a meno di
guardarlo di nuovo in faccia, per godermi tutta la sua bellezza.
«Sai, anch’io
ero molto nervoso» ammise, prendendomi le mani fra le sue.
Lo fissai perplessa.
«Tu?».
Sospirò, avvicinandosi
con il volto al mio. «Sì, oggi
ho sposato un angelo. Sei meravigliosa».
Arrossi inevitabilmente per quel
suo complimento.
«G…grazie. B…beh, il meritò
sarà tutto di Alice… e… e
poi… anche tu… sei
stupendo…» balbettai, mordicchiandomi il labbro.
Lui si avventò ancora
sulle mie labbra, liberandole
dai miei denti. «Il merito di Alice è solo quello
di aver mostrato ancor di più
quanto sei bella» mi alitò, a due centimetri dalla
bocca. Sentivo il cuore
esplodermi ancora una volta nel petto.
Poi, ci baciammo ancora, mai sazi
di quelle
sensazioni.
Ad un tratto Edward aprì
al portiera e scese. Non mi
ero accorta del fatto che l’auto si fosse fermata. Mi porse
la mano e mi invitò
a fare lo stesso, così, mi sollevai la gonna con una mano e
con l’altra mi
appoggiai a quella di Edward.
Appena uscita dalla limousine, mi
sentii accecare da
mille flash fotografici. Neanche fossimo dei divi di Hollywood. Alice
aspettò
che prima ci torturassero un po’ con le foto, per poi riunire
tutti gli
invitati ed invitarli ad entrare nel salone di Casa Cullen. Nel salone
si
diffondeva una deliziosa melodia, suonata da un quartetto
d’archi.
Mio padre, mia madre e Phil vennero
a congratularsi
con noi, e io li abbracciai e li baciai, pur rimanendo sempre attaccata
a
Edward. Poi, fu il turno della mia nuova famiglia, quella con cui avrei
condiviso l’eternità. Alice tardò un
attimo ad arrivare: si stava accertando
che i camerieri servissero con correttezza i cocktail.
«Vuoi un
cocktail?» mi chiese Emmett, porgendomi un
bicchiere pieno di liquido colorato.
«No grazie,
passo» Mi sentivo lo stomaco pieno. Di
farfalle.
Rosalie ridacchiò,
insieme a Esme e Carlisle. «E’
meglio che Bella non beva alcolici» disse lui, facendomi
arrossire e ripensare
a com’ero agitata quella mattina.
Edward non si unì al
coro di risate, ma si voltò verso
di me, a baciarmi ancora. Mi pareva così naturale, ora, per
niente
imbarazzante.
Poi, da noi vennero i miei amici.
Angela e Jessica
avevano sicuramente pianto, si vedeva dai loro occhi arrossati. Mike
era un po’
nervoso, invece Ben era contento, accanto a Angela.
Subito dopo, fu il turno di quelli
del clan di Denali.
Edward mi presentò ai suoi amici.
«Irina, Kate, Carmen,
Elazar e Tanya» li guardai
tutti, uno per uno. Erano stupendi, e tutti gli altri umani nella sala
creavano
quasi inconsciamente una bolla di spazio intorno a loro.
«Sei davvero carina
Bella. Edward ha fatto un’ottima
scelta» quel commento, giunto con quella voce dolce di Tanya,
non me lo sarei
mai aspettato.
«G…grazie…»
balbettati arrossendo. «Per tutto»
aggiunsi, in riferimento al fatto che si erano messi a nostra
disposizione
contro Jacob.
«Noi l’avevamo
detto che i licantropi non sono
affidabili» disse quella che mi sembrava Edward avesse
chiamato Kate.
Elazar rabbonì
l’aria con una risata, cambiando
discorso «E comunque, ci dispiace davvero tanto di non essere
intervenuti
durante la battaglia. Siamo stati degli sciocchi».
«Oh, non ve ne
preoccupate, tutto è andato bene, ed è
questo quello che conta».
Mentre Edward parlava, scovai il
lontananza la mia
amica Amber, che se ne stava in disparte, a braccetto con quello che
capii
subito essere Lucas, il suo fidanzato. Mi sbracciai per salutarla, e le
feci segno
con una mano di avvicinarsi. Quando mi notò sul suo volto
comparve un ampio
sorriso e strattonò il suo fidanzato verso di me. Edward
intanto si era
congedato dal clan di Denali.
«Bella!»
esclamò stritolandomi nella sua morsa.
Ridacchiai, tossicchiando, tentando
di liberarmi dalla
sua presa.
Si staccò immediatamente
quando vide che stavo per
soffocare «Oh, scusa, ti sto stritolando!».
«No, non ti
preoccupare» ansimai riprendendo fiato.
Mi presentò il suo
fidanzato e io gli presentai
Edward, che gli strinse la mano con cortesia. Mi sembrava un tipo
timido e
riservato, aveva le mani sudate per l’imbarazzo.
Finito con gli auguri e le
congratulazioni, il momento
aperitivi declinò deliziosamente in un buffet. Alice fece
sedere me e Edward al
centro della sala, ad un tavolo tondo coperto da una tovaglia addobbata
con
nastri e merletti. Ma, davvero, passava il secondo piano, in confronto
al
meraviglioso volto di Edward che mi sorrideva raggiante, stringendomi
la mano
fra le sue. Lo baciai ancora, prima di essere nuovamente interrotta da
un flash
fotografico. Tutti volevano parlare con noi, dirci qualcosa di
importante, che
poi davvero importante non era, ma io volevo solo rimanere sola con
Edward. Non
mangiai nulla, nonostante le sue insistenze. Non me la sentivo, ero in
fibrillazione, troppo felice in quel momento.
Poi, Alice, dopo aver fatto
disporre in fila le
ragazza nubili, mi chiamò per lanciare il mazzo di fiori.
Mentre Edward mi
rivolgeva un sorriso incoraggiante, lanciai con entrambe le mani i
fiori all’indietro,
e questi andarono a finire in testa alla povera Angela.
«Oh, scusa!»
dissi portandomi le mani alla bocca,
impacciata, mentre tutti gli invitati ridevano; lei compresa.
Successivamente avvenne una cosa
molto più
imbarazzante. Tutti gli uomini, a partire da Emmett e Jasper,
cominciarono a
battere le mani. Edward mi venne accanto, con un sorriso, mentre io,
capendo
cosa stava succedendo, avvampai fino alla radice dei capelli. Lui, con
estrema
disinvoltura e delicatezza, si piegò sulle gambe, alzandomi
un poco la gonna,
per consentire alle sue mani di avventurarsi sotto il tulle. Mi sentii
esplodere il cuore nel petto, e, quando Edward strinse con estrema
delicatezza
la mia gamba con una sua mano fredda, mi dovetti sorreggere a lui per
non
cadere.
Poi, lo fece. Mi rivolse un
sorrisino malizioso, e
inoltratosi con la testa sotto la mia gonna, mi lasciò un
bacio sulla coscia,
facendomi fremere, per poi prendere un lembo di giarrettiera fra i
denti. Fra
gli strilli e gli applausi della folla, me la sfilò dalla
gamba, e la fece
volare in faccia a Mike Newton.
Quando si voltò verso di
me mi rivolse un sorrisino
malizioso, facendomi diventare più rossa di quanto
già non fossi.
«Eh-eh, fratellino, visto
niente?» scherzò Emmett tra
le risate di Jasper. Ricevettero uno scappellotto a testa,
rispettivamente da
Rosalie e Alice.
Mentre io me ne stavo ancora mezza
sconvolta e
imbambolata, notai distrattamente che tutti gli invitati si stavano
muovendo
verso i lati del salone, lasciandoci soli al centro della stanza. La
musica
cambiò, rallentando il ritmo ed adattandosi ad una nuova
atmosfera. Guardavo
Edward, rapita dal suo sguardo, mentre lui mi teneva stretta a
sé, ricambiando
il mio stesso sorriso intriso di gioia.
Sapevo cosa dovevo fare in quel
momento, e in qualsiasi
altra circostanza mi sarei opposta con tutte le mie forze. Ma non
quella volta.
Quella volta, io ballavo tra le braccia di Edward, mio marito. E
volteggiando
mi sembrava quasi di volare, sorretta dalle luminose ali bianche che
Edward
portava con sé, e nulla mi poteva sembrare migliore. Era un
momento magico, il
più bello che avessi mai vissuto.
Edward mi baciò una
guancia, asciugandomi una lacrima
e mi accorsi che stavo piangendo.
«Sei felice
amore?» mi chiese dolcemente.
«Sì»
risposi in un sussurro.
Il suo sorriso si
allargò. «Allora perché
piangi?»
Posai il capo sul suo petto. Dove
volevo che fosse per
l’eternità. «Perché sono
troppo felice» mormorai, la voce rotta dal pianto.
La sua, invece, divenne soave.
«Spero che non ti
accontenterai mai della felicità, perché io non
mi accontenterò mai di
dartela».
«Oh,
Edward…» ansimai, facendo cadere altre lacrime, e
sporgendomi per farmi baciare.
Anche Carlisle e Esme, Alice e
Jasper, e Rosalie e
Emmett si unirono alla pista. E a seguire più o meno tutti
gli ospiti. Anche
mia madre con Phil.
Ballai quindi, anche con mio padre,
con Emmett, mentre
Edward volteggiava insieme a Rosalie, e con Carlisle. Mi stavo
divertendo da
matti, tutta l’agitazione della mattina sembrava come
svanita. Emmett mi faceva
ridere in continuazione e Alice si muoveva per tutta la stanza sui
tacchi
correndo qua e là con estrema grazia. Ovviamente, quando
potevamo, io ed
Edward, non esitavamo a scambiarci una carezza, un bacio, o
semplicemente uno
sguardo.
Poi fu la volta della torta. Una
meravigliosa torta a
tre piani che faceva bella mostra di sé su un tavolino
adibito appositamente.
In cima, una coppia di sposini identici a me e Edward. Ovviamente ad
Alice
piaceva fare le cose in grande stile. Ci fece mettere in posa per
tagliarne una
fetta. Edward mi stringeva da dietro, e con una mano sulla mia,
impugnavamo il
coltello. Mi feci imboccare da lui, che sotto il mio sguardo
sbalordito, mangiò
il suo pezzo di torta, che gli porgevo con il cucchiaino. Poi, bevemmo
lo
champagne, con le braccia intrecciate, folgorati da un nuovo flash.
Jasper
venne a rapirmi per riaprire le danze con lui, mentre Edward
magicamente sparì
per cinque minuti.
«Grazie di tutto Jasper,
ti voglio bene» confessai,
ricordandomi delle parole di Alice quella mattina.
Mi lasciò un leggero
bacio sulla guancia. Restai un
po’ scossa. Mai aveva compiuto un gesto del genere nei miei
confronti.
«Anch’io, Bella» fece, lasciandomi
andare, per poi farmi ritrovare a
volteggiare insieme a Edward.
«Mi sei mancata Signora
Cullen» disse raggiante.
«Anche tu».
Arrossii, per quello che stavo per dire.
«Voglio stare con te. Sola».
Lo sentii ispirare profondamente.
Sollevai lo sguardo
per fissarlo negli occhi. Era preoccupato.
«Non avrai cambiato idea,
spero».
Scosse il capo. Deglutii.
«Sai che te l’ho promesso
più volte».
«Allora?»
domandai impaziente.
Mi fece un sorriso nervoso.
«Allora, questo non toglie
che io possa essere agitato».
«Ansia da
prestazione?» scherzai, tentando di
sdrammatizzare.
Ridacchiò.
«Diciamo di sì».
Chinai il viso, arrossendo.
«Sai, dovrei essere io
quella nervosa, credo. Con la questione della prima volta e tutto il
resto»
borbottai, sollevando gli occhi al cielo, rossa in viso.
Quando riportai lo sguardo su
Edward stava sorridendo
dolcemente. «Farò del mio meglio. Te lo
prometto» disse Edward sorridendomi e
arrendendosi, finalmente.
Annuii, felice. «Lo
so». Tutto era ormai deciso.
In quel momento, notai qualcosa che
mai avrei voluto
vedere. Alice aveva lo sguardo perso nel vuoto; fissava dinanzi a
sé, con un espressione
terrorizzata e rabbiosa.
Mi voltai velocemente verso Edward,
in un istante che
parve durare un’eternità, e vidi un espressione
seria sul suo viso, senza più
il sorriso che lo aveva contraddistinto per tutta la sera. Sentii tutta
la
stanza girare troppo velocemente, non più a ritmo dei nostri
passi, e sentii le
ginocchia cedermi.
Edward mi afferrò dal
bacino, repentino, prima che
potessi cadere a terra. Immersi il volto nel suo petto, respirando il
suo odore
e riacquisendo lucidità, mentre aspettavo che tutto tornasse
di nuovo immobile
e al suo posto.
Non gli avrei permesso di rovinare
il mio matrimonio.
Io, ero, felice. La paura, che in
quei pochi istanti mi aveva sommersa, fu prepotentemente scacciata via
da me.
Fortunatamente, mi accorsi che quasi nessuno degli invitati aveva
notato il mio
momento di debolezza.
«E’ solo un
capogiro. Forse è colpa dello champagne…
ho ballato troppo» dissi a Edward, abbozzando un sorriso.
Sapevo benissimo che
quelle parole non erano vere. E anche Edward lo sapeva, ma in quel
momento
nulla avrebbe rovinato la nostra felicità.
«Probabilmente
è come dici tu, tesoro» rispose
infatti, anche se con poca convinzione. Mi sentii trasportare via dalla
pista
da ballo. «Forse è meglio se ti siedi un
po’».
«Sì, hai
ragione». Mi adagiò su una sedia e mi diede
un bicchiere d’acqua. «Grazie» sussurrai
a Edward, bevendo, mentre la testa
smetteva di girarmi.
Lui si sedette sulla sedia dinanzi
a me. «Va meglio?»
mi chiese, anche se il suo sguardo era distante.
«Sì, non ti
preoccupare» gli accarezzai la guancia «te
l’ho detto, è stata colpa dello
champagne».
Carlisle e Alice ci vennero vicino.
Potevo notare, in
tutta la stanza i vampiri schierarsi, i Cullen e i Denali.
«Edward, non ti
preoccupare per ora» disse Alice
risoluta «è stato solo un momento di buio. Ma era
lontano, molto lontano. Non
vuol dire nulla».
Dunque non ci doveva essere nulla
di cui preoccuparsi
in quel giorno per noi magico. Nulla.
«Non è
necessario agitarsi. Sta andando tutto bene»
continuò Carlisle, fissandomi con uno strano sguardo, come
in attesa che da un
momento all’altro cominciassi a urlare o a piangere come una
disperata.
«Edward…»
lo richiamai debolmente.
«Sì?»
fece, voltandosi di scatto. Mi sentivo di nuovo
benissimo.
Accennai un sorriso.
«Torniamo a ballare?».
Sospirò, sorridendo a
sua volta. «Certo».
Ci ritrovammo ancora sulla pista da
ballo, a
volteggiare.
La festa durò molto
tempo. Si era fatta sera, quando
Alice venne a disturbarmi di nuovo. «Sorellina, devo
ammetterlo, sei davvero
stata bravissima» la ringraziai.
«Finalmente ammetti che
la mia non è stata tutta
fatica sprecata. Sono contenta che apprezzi, anche
se…». Mi fece uno sguardo
strano.
«Anche se?»
chiesi curiosa.
«Mi ringrazierai ancor di
più, più tardi». Era malizia
quella che leggevo nei suoi occhi? «E non solo me, anche Esme
e Rosalie direi…»
«Ma di cosa stai
parlando, Alice?» chiesi spaesata,
quasi preoccupata.
Mi liquidò con un
«Lo scoprirai presto!», spingendomi
accanto a Edward.
Lui mi prese per mano.
«Pronta?» mi chiese.
Mi preoccupai un attimo.
«Altra corsa?».
Rise di gusto.
«Sì, ma stavolta ti porto io!».
«Cosa…? Oh,
no, no!» protestai tra le risate,
scalciando, mentre Edward mi prendeva in braccio e mi portava nella
Aston
Martin, attraverso l’ingresso di casa, illuminato da mille
lucine bianche e tra
gli applausi della folla.
Mi chiuse dentro e velocemente
entrò dal lato del
guidatore. «Allaccia la cintura».
«Dove mi
porti?» chiesi curiosa.
Prese la mia mano con la sua a
velocità vampira, la
baciò e diede gas. «A stare per sempre con
me».
Arrossii, lasciandomi andare contro
il suo petto.
L’ansia e
l’agitazione, che non avevo mai provato fino
a quel momento per quello che avremmo vissuto insieme, comparvero
prepotentemente in me. Anche Edward mi parve piuttosto teso. Mentre mi
teneva
stretta a sé i suoi muscoli erano irrigiditi. Non che di
solito fosse morbido,
comunque.
Il viaggio fu brevissimo, per
quanto potevo vedere
attraverso il buio; eravamo rimasti sempre vicini al limitare del
bosco. In
poco tempo ci ritrovammo in uno spiazzo tra gli alberi, completamente
verde e
poco visibile nei suoi particolari ai miei occhi, considerando la
scarsa
quantità di luce. Al centro, illuminato dalla debole e fioca
luna di alcune
candele, riuscivo a vedere a malapena una costruzione in pietra,
estremamente
romantica e pittoresca. Un piccolo nido d’amore.
Mi voltai verso mio
marito - ancora dovevo
abituarmi a chiamarlo così - e notai che mi stava fissando
ansioso. «Ti
piace?».
«Ti amo»
risposi solo.
«Ti amo
anch’io», disse lui, prendendomi per mano e
trascinandomi
delicatamente all’interno.
Dentro era anche più
bello. Tutto era illuminato da
deboli lucine, come di lucciole, e tutti i muri erano drappeggiati di
tessuti
coperti da tantissimi brillantini luccicanti. Alle pareti vi erano
appesi tutti
i miei quadri, compresa la cortigiana. Mi concentrai a fissarli uno per
uno e
quando mi voltai, mi accorsi che al centro della stanza vi era un
enorme letto
a due piazze a mezzo, sommerso da cuscini e avvolto da una nuvola di
tulle.
Era tutto davvero stupendo. Ecco
cosa intendeva Alice…
«È…
magnifico…» biascicai quasi senza fiato.
«È la nostra
casetta dorata» mi rispose,
semplicemente.
Mi voltai a guardarlo negli occhi.
Eravamo solo io e
lui, rinchiusi nella nostra casetta dorata. Tutto intorno a me
brillava: le
tende, i tappeti, le coperte, pesino i muri e…il
letto. Ma la cosa che
brillava di più, con la luce che si rifrangeva dai
brillantini su di lui, in
uno scambio continuo e costante di luce, era il mio amato. Mio marito, Edward.
Dolcemente, avvicinò la
mia mano alla sua bocca,
baciandola, e facendo affiorare un dolce, semplice sorriso sulle sue
labbra. Mi
sarei aspettata di arrossire, di avere il respiro corto, e il cuore che
batteva
all’impazzata, ancora agitata, pensando a cosa sarebbe dovuto
accadere di lì a
poco.
Ma non fu così, o
almeno, non subito. Prima, ebbi il
tempo di perdermi completamente nel suo sguardo, nei suoi occhi ambra
chiaro, e
capire che niente in quel momento poteva essere paragonato a quello che
avrei
vissuto, a cominciare dalla mia prossima azione.
In quel gesto appunto, accadde
qualcosa di
straordinario, come la prima volta che lo baciai, fui presa da un
immenso
impeto d’amore, e da una passione che aspettava solo di
essere corrisposta.
Così, feci un ampio passo verso di lui, ritrovandomi
completamente schiacciata
al suo petto. I nostri respiri si trasformarono in ansiti, e
così lui, con la
mia stessa passione, incollò con un repentino movimento le
mie labbra alle sue.
Piano, poi, passò la
bocca sulla mia, per poi fare
qualcosa di mai sperimentato: in un sospiro, aprì le sue
labbra, facendo
compiere lo stesso gesto alle mie, schiave della sua bocca; poi,
insinuò, con
infinita dolcezza e altrettanta passione, la sua gelida lingua fra i
miei
denti, al che risposi con lo stesso abbraccio, reclinando il capo.
In tal punto, ritrovai le mie
membra, aggrovigliate
alle sue, e le sue alle mie, e prima che me ne rendessi conto, ero
distesa sul
letto, supina, con Edward su di me, posato sugli avambracci per non
gravare con
il suo peso.
Le sue labbra erano a due
centimetri dalle mie, e ci
misero poco a ricominciare la loro danza.
I respiri si erano trasformati in
ansiti, sia per me
che per lui; il cuore mi martellava furioso nel petto, e il mio viso
aveva
assunto un color cremisi, non per l’imbarazzo, ma per
l’eccitazione che stava
dominando il copioso afflusso di sangue al viso.
Mi sentii sollevare per il busto, e
reclinai
involontariamente il capo all’indietro, presa dalla
più totalizzante emozione
d’amore.
Improvvisamente rimbalzai sul
materasso, con i capelli
mossi sparsi sul copriletto. Edward, con un meraviglioso sorriso beato
stampato
in faccia, mi aveva tolto le forcine.
Inebriata dal suo profumo, come una
bambino che odora
una torta, mi avvicinai al suo viso, fino ad alzarmi e far sollevare
anche lui.
Posai il naso sul suo collo, mentre lui mi lasciava morbidi e freddi
baci sulla
clavicola. Allora io, con una mano, sfilai il papillon dal
nodo, per poi
gettarlo lontano.
«Bella…»
mormorò Edward, sollevando un attimo lo
sguardo dal mio corpo, per posarlo nei miei occhi.
«Edward»
sussurrai, senza la necessità di aggiungere
altro. Non avevamo bisogno di ulteriori prove d’amore: in
quel momento volevamo
solo essere uno parte dell’altra.
Le sue labbra furono ancora
febbrilmente incollate
alla mie. Per amarle, baciarle, morderle e torturarle, e
così il mio corpo fu
attirato al suo, mentre sentivo fredde mani sorreggere con infinita
passione e
gentilezza la mia schiena.
E così le mie mani sui
suoi bottoni, e le sue, sui
miei, ci ritrovammo a lavorare entrambi per disfare i nostri corpi
dell’inutile
pudore, mentre a vicenda ci spingevamo da una parte all’altra
della stanza, in
un nostro personale ballo di passione, liberandoci delle inutili
calzature che
ci avrebbero solo permesso di inciampare, e senza mai staccarci
l’uno dalle
labbra dell’altro.
Poi, sotto il mio sguardo
impetuoso, si tolse la
giacca e la fascia, aiutato nei movimenti dalle mie mani tremanti.
Sentii il mio corpetto, che tanto
quella sera aveva
stretto e fasciato, liberare il mio petto, mentre fui schiacciata con
la
schiena nuda contro il muro. In quel mod, non v’era
più niente a contenere in
mio cuore palpitante, né, tanto meno, i miei seni, ancora
rinchiusi in un casto
intimo di pizzo bianco.
Al modo uguale la sua camicia, con
un repentino,
irrazionale, quanto passionale atto, inaspettatamente da me compiuto,
finì ai
piedi del letto.
E seguendo sempre il nostro
reciproco gioco, ci
incantammo entrambi ad osservare quei corpi, che presto ne avrebbero
formato un
sol uno.
Poi, lui si ridestò da
quel sogno incantevole, e con
nuovo impeto scese con la bocca a lambire la mia pelle, le mie spalle,
il mio
cuore. E i brividi e le sensazioni che mi donava, fecero da
corroborante alle
mani, e mi liberarono da ogni velo di inibizione, così che,
con la sua
collaborazione, lo liberai da quegli inutili pantaloni, che fasciavano
ciò che
i miei palmi rivendicavano come proprio: il suo corpo.
Fui incantata da quella
meravigliosa e unica visione.
Un angelo, cherubino, serafino e arcangelo che fosse, sarebbe sembrato
uno
stupido pennuto al confronto della sua radiosa bellezza, unica
inimmaginabile,
di quella che solo un sogno può donare. E quel miracolo di
bellezza era lì, che
mi osservava. Osservava compiaciuto, e altrettanto ammirato, me, che
rimiravo
lui, con una mano davanti alla bocca meravigliata, e gli occhi lucidi,
unici
testimoni di cotanta bellezza.
Ancora, come un fiume in piena, la
passione ci
travolse, e con mano tremante, ed espressione tormentata sul viso, di
un uomo
che fatica ad arginare il proprio istinto, ma che costruisce infinite
dighe
fatte di dolcezza, si mosse sotto il tulle, sulle mie morbide cosce,
scartando
le mie gambe dalle calze, che ancora mi opprimevano le gambe e
scatenando in me
piaceri immensi e mai saggiati, mentre mi strofinavo involontariamente
sulla
parete per tentare in ogni modo di liberarmi di quei piaceri tentatori.
Improvvisamente mi sentii mancare
il terreno da sotto
i piedi. Edward mi aveva sollevato dalla vita, ed io feci aderire le
gambe
intorno ai suoi fianchi, e con le braccia mi artigliai alla sua
schiena. Avevo
i brividi, di freddo e d’eccitazione.
Inaspettatamente il freddo
cessò e mi trovai a
ribalzare con la schiena sul letto. Poi, la gonna, l’immensa
montagna bianca,
volò via, scomparendo da quella che unicamente e
prepotentemente, voleva essere
la mia visuale.
«Edward…»
mormorai, e mi stupii, arrossendo, di quanto
il mio tono fosse mutato ed eccitato.
«Dammi
mille
baci, poi cento
poi
altri mille, poi ancora cento
poi altri mille, poi cento ancora.
Quindi, quando saremo stanchi di
contarli,
continueremo a baciarci senza
pensarci,
per non spaventarci
e perché nessuno,
nessuno dei tanti che ci invidiano,
possa farci del male sapendo che si
può,
coi baci, essere tanto felici» sussurrarono le sue
labbra, partecipando della mia
stessa passione. Mi strinse fra le braccia, raggelandomi e
incredibilmente
bruciandomi con il suo tocco, e fu un’emozione immensa, e
totalmente
indescrivibile sentire la sua pelle, così a contatto con la
mia, come non
l’avevo mai sentita. Sentivo le sue mani percorrere tutte le
venature del mio.
«Baciami allora, cento,
mille volte, non aspetto
altro…» sfuggì dalle mie labbra, mentre
la mia voce veniva soffocata dal
movimento esaltante delle sue mani su di me.
Le sue gambe, nude, muscolose,
erano strette contro le
mie. Le sue mani vagavano sulla mia schiena e sulle mie gambe, come le
mie
sulle sue spalle fredde. La sua bocca lambiva il mio lobo, mentre la
mia non
poteva far altro che rimanere semiaperta, bloccata, per far uscire il
mio
respiro ansante di un corpo scosso dal profondo desiderio.
Dentro di me
un’esplosione di gioia, anelo, follia,
passione e eccitazione.
Edward si distanziò un
attimo da me, e per un attimo
la sua espressione mi parve titubante.
«Concedi a questi occhi
di inebriarsi della vista di
un miracolo e a questa fredda pelle di sfiorare la tua morbida e
calda?»
bisbigliò, con voce rotta dall’emozione.
«Il vero miracolo sei tu
e i miei occhi godono della
tua vista. Cosa più facile che donarti il mio corpo? Non
chiedere il permesso
per avere ciò che è già
tuo…» non avevo idea da dove venissero quelle mie
parole
soffocate. Era tutto così impulsivo e
incontrollato…
Tanto che mi meravigliai quando il
groviglio delle
nostre membra si risolse in un tenero quanto impetuoso abbraccio. Era
su di me.
Mi guardava, mi contemplava, osservandomi rapito, fremendo e facendomi
fremere
per il contatto della nostra pelle.
Mi strinse a sé, in modo
che i nostri corpi
combaciassero perfettamente, e si chinò sul mio orecchio a
sussurrare le ultime
parole che quella notte avrei udito «Concedi a questo
navigatore solitario di
profanare questo miracoloso porto?»
«Mai, vi fu navigatore
più atteso».
Quelle furono le parole che
concessero al navigatore
di entrare nel mio porto, mentre io, con una lacrima, imprigionata fra
le sue
labbra, gli aprivo le mie chiuse.
E come, nel mare, la marea
s’ingrossa sempre più, così
la nostra eccitazione cresceva di secondo in secondo, mentre mettevamo
via
l’ansia e il dolore e la paura della tempesta, abbandonandoci
sempre più alle
onde alte, finché, la calma piatta del mare non
sopraggiunse, lasciandoci
stremati, ma felici come mai ancora lo eravamo stati.