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Autore: keska    08/06/2009    31 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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-E’ così, ora sei la signora Cullen…- mi mormorò Edward all’orecchio, facendomi arrossire

Capitolo riveduto e corretto.

 

ATTENZIONE!

Per leggere questo capitolo nella sua versione originale (estesa e da rating rosso) si può andare qui.

Personalmente consiglio questa versione, neppure troppo erotica.

In ogni caso, la seguente è quella da rating arancione:

 

«E’ così, ora sei la signora Cullen» mormorò Edward al mio orecchio, facendomi arrossire.

Abbassai il viso imporporato sulle gonne. «Già» risposi timida.

Le sue labbra si incollarono ancora una volta alle mie, sorprendendomi.

«Come stai?» mi chiese dolce e sereno, accarezzandomi una guancia.

Corrugai un attimo le sopracciglia, presa alla sprovvista. «Benissimo. Siamo sposati…» dissi emozionata, baciandolo ancora. E niente era andato storto… almeno per ora.

«Mi riferivo a questa mattina» continuò lui, sorridente.

Sgranai gli occhi. Poi capii. «Mia madre» sibilai, nascondendomi il volto fra le mani. Sicuramente lei non aveva fatto attenzione ai suoi pensieri, e Edward ci aveva facilmente letto lo stato d’agitazione in cui ero stata per tutta la mattina.

Lo sentii ridacchiare, così non potei fare a meno di guardarlo di nuovo in faccia, per godermi tutta la sua bellezza. «Sai, anch’io ero molto nervoso» ammise, prendendomi le mani fra le sue.

Lo fissai perplessa. «Tu?». 

Sospirò, avvicinandosi con il volto al mio. «Sì, oggi ho sposato un angelo. Sei meravigliosa».

Arrossi inevitabilmente per quel suo complimento. «G…grazie. B…beh, il meritò sarà tutto di Alice… e… e poi… anche tu… sei stupendo…» balbettai, mordicchiandomi il labbro.

Lui si avventò ancora sulle mie labbra, liberandole dai miei denti. «Il merito di Alice è solo quello di aver mostrato ancor di più quanto sei bella» mi alitò, a due centimetri dalla bocca. Sentivo il cuore esplodermi ancora una volta nel petto.

Poi, ci baciammo ancora, mai sazi di quelle sensazioni.

Ad un tratto Edward aprì al portiera e scese. Non mi ero accorta del fatto che l’auto si fosse fermata. Mi porse la mano e mi invitò a fare lo stesso, così, mi sollevai la gonna con una mano e con l’altra mi appoggiai a quella di Edward.

Appena uscita dalla limousine, mi sentii accecare da mille flash fotografici. Neanche fossimo dei divi di Hollywood. Alice aspettò che prima ci torturassero un po’ con le foto, per poi riunire tutti gli invitati ed invitarli ad entrare nel salone di Casa Cullen. Nel salone si diffondeva una deliziosa melodia, suonata da un quartetto d’archi.

Mio padre, mia madre e Phil vennero a congratularsi con noi, e io li abbracciai e li baciai, pur rimanendo sempre attaccata a Edward. Poi, fu il turno della mia nuova famiglia, quella con cui avrei condiviso l’eternità. Alice tardò un attimo ad arrivare: si stava accertando che i camerieri servissero con correttezza i cocktail.

«Vuoi un cocktail?» mi chiese Emmett, porgendomi un bicchiere pieno di liquido colorato.

«No grazie, passo» Mi sentivo lo stomaco pieno. Di farfalle.

Rosalie ridacchiò, insieme a Esme e Carlisle. «E’ meglio che Bella non beva alcolici» disse lui, facendomi arrossire e ripensare a com’ero agitata quella mattina.

Edward non si unì al coro di risate, ma si voltò verso di me, a baciarmi ancora. Mi pareva così naturale, ora, per niente imbarazzante.

Poi, da noi vennero i miei amici. Angela e Jessica avevano sicuramente pianto, si vedeva dai loro occhi arrossati. Mike era un po’ nervoso, invece Ben era contento, accanto a Angela.

Subito dopo, fu il turno di quelli del clan di Denali. Edward mi presentò ai suoi amici.

«Irina, Kate, Carmen, Elazar e Tanya» li guardai tutti, uno per uno. Erano stupendi, e tutti gli altri umani nella sala creavano quasi inconsciamente una bolla di spazio intorno a loro.

«Sei davvero carina Bella. Edward ha fatto un’ottima scelta» quel commento, giunto con quella voce dolce di Tanya, non me lo sarei mai aspettato.

«G…grazie…» balbettati arrossendo. «Per tutto» aggiunsi, in riferimento al fatto che si erano messi a nostra disposizione contro Jacob.

«Noi l’avevamo detto che i licantropi non sono affidabili» disse quella che mi sembrava Edward avesse chiamato Kate.

Elazar rabbonì l’aria con una risata, cambiando discorso «E comunque, ci dispiace davvero tanto di non essere intervenuti durante la battaglia. Siamo stati degli sciocchi».

«Oh, non ve ne preoccupate, tutto è andato bene, ed è questo quello che conta».

Mentre Edward parlava, scovai il lontananza la mia amica Amber, che se ne stava in disparte, a braccetto con quello che capii subito essere Lucas, il suo fidanzato. Mi sbracciai per salutarla, e le feci segno con una mano di avvicinarsi. Quando mi notò sul suo volto comparve un ampio sorriso e strattonò il suo fidanzato verso di me. Edward intanto si era congedato dal clan di Denali.

«Bella!» esclamò stritolandomi nella sua morsa.

Ridacchiai, tossicchiando, tentando di liberarmi dalla sua presa.

Si staccò immediatamente quando vide che stavo per soffocare «Oh, scusa, ti sto stritolando!».

«No, non ti preoccupare» ansimai riprendendo fiato.

Mi presentò il suo fidanzato e io gli presentai Edward, che gli strinse la mano con cortesia. Mi sembrava un tipo timido e riservato, aveva le mani sudate per l’imbarazzo.

Finito con gli auguri e le congratulazioni, il momento aperitivi declinò deliziosamente in un buffet. Alice fece sedere me e Edward al centro della sala, ad un tavolo tondo coperto da una tovaglia addobbata con nastri e merletti. Ma, davvero, passava il secondo piano, in confronto al meraviglioso volto di Edward che mi sorrideva raggiante, stringendomi la mano fra le sue. Lo baciai ancora, prima di essere nuovamente interrotta da un flash fotografico. Tutti volevano parlare con noi, dirci qualcosa di importante, che poi davvero importante non era, ma io volevo solo rimanere sola con Edward. Non mangiai nulla, nonostante le sue insistenze. Non me la sentivo, ero in fibrillazione, troppo felice in quel momento.

Poi, Alice, dopo aver fatto disporre in fila le ragazza nubili, mi chiamò per lanciare il mazzo di fiori. Mentre Edward mi rivolgeva un sorriso incoraggiante, lanciai con entrambe le mani i fiori all’indietro, e questi andarono a finire in testa alla povera Angela.

«Oh, scusa!» dissi portandomi le mani alla bocca, impacciata, mentre tutti gli invitati ridevano; lei compresa.

Successivamente avvenne una cosa molto più imbarazzante. Tutti gli uomini, a partire da Emmett e Jasper, cominciarono a battere le mani. Edward mi venne accanto, con un sorriso, mentre io, capendo cosa stava succedendo, avvampai fino alla radice dei capelli. Lui, con estrema disinvoltura e delicatezza, si piegò sulle gambe, alzandomi un poco la gonna, per consentire alle sue mani di avventurarsi sotto il tulle. Mi sentii esplodere il cuore nel petto, e, quando Edward strinse con estrema delicatezza la mia gamba con una sua mano fredda, mi dovetti sorreggere a lui per non cadere.

Poi, lo fece. Mi rivolse un sorrisino malizioso, e inoltratosi con la testa sotto la mia gonna, mi lasciò un bacio sulla coscia, facendomi fremere, per poi prendere un lembo di giarrettiera fra i denti. Fra gli strilli e gli applausi della folla, me la sfilò dalla gamba, e la fece volare in faccia a Mike Newton.

Quando si voltò verso di me mi rivolse un sorrisino malizioso, facendomi diventare più rossa di quanto già non fossi.

«Eh-eh, fratellino, visto niente?» scherzò Emmett tra le risate di Jasper. Ricevettero uno scappellotto a testa, rispettivamente da Rosalie e Alice.

Mentre io me ne stavo ancora mezza sconvolta e imbambolata, notai distrattamente che tutti gli invitati si stavano muovendo verso i lati del salone, lasciandoci soli al centro della stanza. La musica cambiò, rallentando il ritmo ed adattandosi ad una nuova atmosfera. Guardavo Edward, rapita dal suo sguardo, mentre lui mi teneva stretta a sé, ricambiando il mio stesso sorriso intriso di gioia.

Sapevo cosa dovevo fare in quel momento, e in qualsiasi altra circostanza mi sarei opposta con tutte le mie forze. Ma non quella volta. Quella volta, io ballavo tra le braccia di Edward, mio marito. E volteggiando mi sembrava quasi di volare, sorretta dalle luminose ali bianche che Edward portava con sé, e nulla mi poteva sembrare migliore. Era un momento magico, il più bello che avessi mai vissuto.

Edward mi baciò una guancia, asciugandomi una lacrima e mi accorsi che stavo piangendo.

«Sei felice amore?» mi chiese dolcemente.

«Sì» risposi in un sussurro.

Il suo sorriso si allargò. «Allora perché piangi?»

Posai il capo sul suo petto. Dove volevo che fosse per l’eternità. «Perché sono troppo felice» mormorai, la voce rotta dal pianto.

La sua, invece, divenne soave. «Spero che non ti accontenterai mai della felicità, perché io non mi accontenterò mai di dartela».

«Oh, Edward…» ansimai, facendo cadere altre lacrime, e sporgendomi per farmi baciare.

Anche Carlisle e Esme, Alice e Jasper, e Rosalie e Emmett si unirono alla pista. E a seguire più o meno tutti gli ospiti. Anche mia madre con Phil.

Ballai quindi, anche con mio padre, con Emmett, mentre Edward volteggiava insieme a Rosalie, e con Carlisle. Mi stavo divertendo da matti, tutta l’agitazione della mattina sembrava come svanita. Emmett mi faceva ridere in continuazione e Alice si muoveva per tutta la stanza sui tacchi correndo qua e là con estrema grazia. Ovviamente, quando potevamo, io ed Edward, non esitavamo a scambiarci una carezza, un bacio, o semplicemente uno sguardo.

Poi fu la volta della torta. Una meravigliosa torta a tre piani che faceva bella mostra di sé su un tavolino adibito appositamente. In cima, una coppia di sposini identici a me e Edward. Ovviamente ad Alice piaceva fare le cose in grande stile. Ci fece mettere in posa per tagliarne una fetta. Edward mi stringeva da dietro, e con una mano sulla mia, impugnavamo il coltello. Mi feci imboccare da lui, che sotto il mio sguardo sbalordito, mangiò il suo pezzo di torta, che gli porgevo con il cucchiaino. Poi, bevemmo lo champagne, con le braccia intrecciate, folgorati da un nuovo flash. Jasper venne a rapirmi per riaprire le danze con lui, mentre Edward magicamente sparì per cinque minuti.

«Grazie di tutto Jasper, ti voglio bene» confessai, ricordandomi delle parole di Alice quella mattina.

Mi lasciò un leggero bacio sulla guancia. Restai un po’ scossa. Mai aveva compiuto un gesto del genere nei miei confronti. «Anch’io, Bella» fece, lasciandomi andare, per poi farmi ritrovare a volteggiare insieme a Edward.

«Mi sei mancata Signora Cullen» disse raggiante.

«Anche tu». Arrossii, per quello che stavo per dire. «Voglio stare con te. Sola».

Lo sentii ispirare profondamente. Sollevai lo sguardo per fissarlo negli occhi. Era preoccupato.

«Non avrai cambiato idea, spero».

Scosse il capo. Deglutii. «Sai che te l’ho promesso più volte».

«Allora?» domandai impaziente.

Mi fece un sorriso nervoso. «Allora, questo non toglie che io possa essere agitato».

«Ansia da prestazione?» scherzai, tentando di sdrammatizzare.

Ridacchiò. «Diciamo di sì».

Chinai il viso, arrossendo. «Sai, dovrei essere io quella nervosa, credo. Con la questione della prima volta e tutto il resto» borbottai, sollevando gli occhi al cielo, rossa in viso.

Quando riportai lo sguardo su Edward stava sorridendo dolcemente. «Farò del mio meglio. Te lo prometto» disse Edward sorridendomi e arrendendosi, finalmente.

Annuii, felice. «Lo so». Tutto era ormai deciso.

In quel momento, notai qualcosa che mai avrei voluto vedere. Alice aveva lo sguardo perso nel vuoto; fissava dinanzi a sé, con un espressione terrorizzata e rabbiosa.

Mi voltai velocemente verso Edward, in un istante che parve durare un’eternità, e vidi un espressione seria sul suo viso, senza più il sorriso che lo aveva contraddistinto per tutta la sera. Sentii tutta la stanza girare troppo velocemente, non più a ritmo dei nostri passi, e sentii le ginocchia cedermi.

Edward mi afferrò dal bacino, repentino, prima che potessi cadere a terra. Immersi il volto nel suo petto, respirando il suo odore e riacquisendo lucidità, mentre aspettavo che tutto tornasse di nuovo immobile e al suo posto.

Non gli avrei permesso di rovinare il mio matrimonio. Io, ero, felice. La paura, che in quei pochi istanti mi aveva sommersa, fu prepotentemente scacciata via da me. Fortunatamente, mi accorsi che quasi nessuno degli invitati aveva notato il mio momento di debolezza.

«E’ solo un capogiro. Forse è colpa dello champagne… ho ballato troppo» dissi a Edward, abbozzando un sorriso. Sapevo benissimo che quelle parole non erano vere. E anche Edward lo sapeva, ma in quel momento nulla avrebbe rovinato la nostra felicità.

«Probabilmente è come dici tu, tesoro» rispose infatti, anche se con poca convinzione. Mi sentii trasportare via dalla pista da ballo. «Forse è meglio se ti siedi un po’».

«Sì, hai ragione». Mi adagiò su una sedia e mi diede un bicchiere d’acqua. «Grazie» sussurrai a Edward, bevendo, mentre la testa smetteva di girarmi.

Lui si sedette sulla sedia dinanzi a me. «Va meglio?» mi chiese, anche se il suo sguardo era distante.

«Sì, non ti preoccupare» gli accarezzai la guancia «te l’ho detto, è stata colpa dello champagne».

Carlisle e Alice ci vennero vicino. Potevo notare, in tutta la stanza i vampiri schierarsi, i Cullen e i Denali.

«Edward, non ti preoccupare per ora» disse Alice risoluta «è stato solo un momento di buio. Ma era lontano, molto lontano. Non vuol dire nulla».

Dunque non ci doveva essere nulla di cui preoccuparsi in quel giorno per noi magico. Nulla.

«Non è necessario agitarsi. Sta andando tutto bene» continuò Carlisle, fissandomi con uno strano sguardo, come in attesa che da un momento all’altro cominciassi a urlare o a piangere come una disperata.

«Edward…» lo richiamai debolmente.

«Sì?» fece, voltandosi di scatto. Mi sentivo di nuovo benissimo.

Accennai un sorriso. «Torniamo a ballare?».

Sospirò, sorridendo a sua volta. «Certo».

Ci ritrovammo ancora sulla pista da ballo, a volteggiare.

La festa durò molto tempo. Si era fatta sera, quando Alice venne a disturbarmi di nuovo. «Sorellina, devo ammetterlo, sei davvero stata bravissima» la ringraziai.

«Finalmente ammetti che la mia non è stata tutta fatica sprecata. Sono contenta che apprezzi, anche se…». Mi fece uno sguardo strano.

«Anche se?» chiesi curiosa.

«Mi ringrazierai ancor di più, più tardi». Era malizia quella che leggevo nei suoi occhi? «E non solo me, anche Esme e Rosalie direi…»

«Ma di cosa stai parlando, Alice?» chiesi spaesata, quasi preoccupata.

Mi liquidò con un «Lo scoprirai presto!», spingendomi accanto a Edward.

Lui mi prese per mano. «Pronta?» mi chiese.

Mi preoccupai un attimo. «Altra corsa?».

Rise di gusto. «Sì, ma stavolta ti porto io!».

«Cosa…? Oh, no, no!» protestai tra le risate, scalciando, mentre Edward mi prendeva in braccio e mi portava nella Aston Martin, attraverso l’ingresso di casa, illuminato da mille lucine bianche e tra gli applausi della folla.

Mi chiuse dentro e velocemente entrò dal lato del guidatore. «Allaccia la cintura».

«Dove mi porti?» chiesi curiosa.

Prese la mia mano con la sua a velocità vampira, la baciò e diede gas. «A stare per sempre con me».

Arrossii, lasciandomi andare contro il suo petto.

L’ansia e l’agitazione, che non avevo mai provato fino a quel momento per quello che avremmo vissuto insieme, comparvero prepotentemente in me. Anche Edward mi parve piuttosto teso. Mentre mi teneva stretta a sé i suoi muscoli erano irrigiditi. Non che di solito fosse morbido, comunque.

Il viaggio fu brevissimo, per quanto potevo vedere attraverso il buio; eravamo rimasti sempre vicini al limitare del bosco. In poco tempo ci ritrovammo in uno spiazzo tra gli alberi, completamente verde e poco visibile nei suoi particolari ai miei occhi, considerando la scarsa quantità di luce. Al centro, illuminato dalla debole e fioca luna di alcune candele, riuscivo a vedere a malapena una costruzione in pietra, estremamente romantica e pittoresca. Un piccolo nido d’amore.

Mi voltai verso mio marito - ancora dovevo abituarmi a chiamarlo così - e notai che mi stava fissando ansioso. «Ti piace?».

«Ti amo» risposi solo.

«Ti amo anch’io», disse lui, prendendomi per mano e trascinandomi delicatamente all’interno.

Dentro era anche più bello. Tutto era illuminato da deboli lucine, come di lucciole, e tutti i muri erano drappeggiati di tessuti coperti da tantissimi brillantini luccicanti. Alle pareti vi erano appesi tutti i miei quadri, compresa la cortigiana. Mi concentrai a fissarli uno per uno e quando mi voltai, mi accorsi che al centro della stanza vi era un enorme letto a due piazze a mezzo, sommerso da cuscini e avvolto da una nuvola di tulle.

Era tutto davvero stupendo. Ecco cosa intendeva Alice…

«È… magnifico…» biascicai quasi senza fiato.

«È la nostra casetta dorata» mi rispose, semplicemente.

Mi voltai a guardarlo negli occhi. Eravamo solo io e lui, rinchiusi nella nostra casetta dorata. Tutto intorno a me brillava: le tende, i tappeti, le coperte, pesino i muri e…il letto.  Ma la cosa che brillava di più, con la luce che si rifrangeva dai brillantini su di lui, in uno scambio continuo e costante di luce, era il mio amato. Mio marito, Edward.

Dolcemente, avvicinò la mia mano alla sua bocca, baciandola, e facendo affiorare un dolce, semplice sorriso sulle sue labbra. Mi sarei aspettata di arrossire, di avere il respiro corto, e il cuore che batteva all’impazzata, ancora agitata, pensando a cosa sarebbe dovuto accadere di lì a poco.

Ma non fu così, o almeno, non subito. Prima, ebbi il tempo di perdermi completamente nel suo sguardo, nei suoi occhi ambra chiaro, e capire che niente in quel momento poteva essere paragonato a quello che avrei vissuto, a cominciare dalla mia prossima azione.

In quel gesto appunto, accadde qualcosa di straordinario, come la prima volta che lo baciai, fui presa da un immenso impeto d’amore, e da una passione che aspettava solo di essere corrisposta. Così, feci un ampio passo verso di lui, ritrovandomi completamente schiacciata al suo petto. I nostri respiri si trasformarono in ansiti, e così lui, con la mia stessa passione, incollò con un repentino movimento le mie labbra alle sue.

Piano, poi, passò la bocca sulla mia, per poi fare qualcosa di mai sperimentato: in un sospiro, aprì le sue labbra, facendo compiere lo stesso gesto alle mie, schiave della sua bocca; poi, insinuò, con infinita dolcezza e altrettanta passione, la sua gelida lingua fra i miei denti, al che risposi con lo stesso abbraccio, reclinando il capo.

In tal punto, ritrovai le mie membra, aggrovigliate alle sue, e le sue alle mie, e prima che me ne rendessi conto, ero distesa sul letto, supina, con Edward su di me, posato sugli avambracci per non gravare con il suo peso.

Le sue labbra erano a due centimetri dalle mie, e ci misero poco a ricominciare la loro danza.

I respiri si erano trasformati in ansiti, sia per me che per lui; il cuore mi martellava furioso nel petto, e il mio viso aveva assunto un color cremisi, non per l’imbarazzo, ma per l’eccitazione che stava dominando il copioso afflusso di sangue al viso.

Mi sentii sollevare per il busto, e reclinai involontariamente il capo all’indietro, presa dalla più totalizzante emozione d’amore.

Improvvisamente rimbalzai sul materasso, con i capelli mossi sparsi sul copriletto. Edward, con un meraviglioso sorriso beato stampato in faccia, mi aveva tolto le forcine.

Inebriata dal suo profumo, come una bambino che odora una torta, mi avvicinai al suo viso, fino ad alzarmi e far sollevare anche lui. Posai il naso sul suo collo, mentre lui mi lasciava morbidi e freddi baci sulla clavicola. Allora io, con una mano, sfilai il papillon dal nodo, per poi gettarlo lontano.

«Bella…» mormorò Edward, sollevando un attimo lo sguardo dal mio corpo, per posarlo nei miei occhi.

«Edward» sussurrai, senza la necessità di aggiungere altro. Non avevamo bisogno di ulteriori prove d’amore: in quel momento volevamo solo essere uno parte dell’altra.

Le sue labbra furono ancora febbrilmente incollate alla mie. Per amarle, baciarle, morderle e torturarle, e così il mio corpo fu attirato al suo, mentre sentivo fredde mani sorreggere con infinita passione e gentilezza la mia schiena.

E così le mie mani sui suoi bottoni, e le sue, sui miei, ci ritrovammo a lavorare entrambi per disfare i nostri corpi dell’inutile pudore, mentre a vicenda ci spingevamo da una parte all’altra della stanza, in un nostro personale ballo di passione, liberandoci delle inutili calzature che ci avrebbero solo permesso di inciampare, e senza mai staccarci l’uno dalle labbra dell’altro.

Poi, sotto il mio sguardo impetuoso, si tolse la giacca e la fascia, aiutato nei movimenti dalle mie mani tremanti.

Sentii il mio corpetto, che tanto quella sera aveva stretto e fasciato, liberare il mio petto, mentre fui schiacciata con la schiena nuda contro il muro. In quel mod, non v’era più niente a contenere in mio cuore palpitante, né, tanto meno, i miei seni, ancora rinchiusi in un casto intimo di pizzo bianco.

Al modo uguale la sua camicia, con un repentino, irrazionale, quanto passionale atto, inaspettatamente da me compiuto, finì ai piedi del letto.

E seguendo sempre il nostro reciproco gioco, ci incantammo entrambi ad osservare quei corpi, che presto ne avrebbero formato un sol uno.

Poi, lui si ridestò da quel sogno incantevole, e con nuovo impeto scese con la bocca a lambire la mia pelle, le mie spalle, il mio cuore. E i brividi e le sensazioni che mi donava, fecero da corroborante alle mani, e mi liberarono da ogni velo di inibizione, così che, con la sua collaborazione, lo liberai da quegli inutili pantaloni, che fasciavano ciò che i miei palmi rivendicavano come proprio: il suo corpo.

Fui incantata da quella meravigliosa e unica visione. Un angelo, cherubino, serafino e arcangelo che fosse, sarebbe sembrato uno stupido pennuto al confronto della sua radiosa bellezza, unica inimmaginabile, di quella che solo un sogno può donare. E quel miracolo di bellezza era lì, che mi osservava. Osservava compiaciuto, e altrettanto ammirato, me, che rimiravo lui, con una mano davanti alla bocca meravigliata, e gli occhi lucidi, unici testimoni di cotanta bellezza.

Ancora, come un fiume in piena, la passione ci travolse, e con mano tremante, ed espressione tormentata sul viso, di un uomo che fatica ad arginare il proprio istinto, ma che costruisce infinite dighe fatte di dolcezza, si mosse sotto il tulle, sulle mie morbide cosce, scartando le mie gambe dalle calze, che ancora mi opprimevano le gambe e scatenando in me piaceri immensi e mai saggiati, mentre mi strofinavo involontariamente sulla parete per tentare in ogni modo di liberarmi di quei piaceri tentatori.

Improvvisamente mi sentii mancare il terreno da sotto i piedi. Edward mi aveva sollevato dalla vita, ed io feci aderire le gambe intorno ai suoi fianchi, e con le braccia mi artigliai alla sua schiena. Avevo i brividi, di freddo e d’eccitazione.

Inaspettatamente il freddo cessò e mi trovai a ribalzare con la schiena sul letto. Poi, la gonna, l’immensa montagna bianca, volò via, scomparendo da quella che unicamente e prepotentemente, voleva essere la mia visuale.

«Edward…» mormorai, e mi stupii, arrossendo, di quanto il mio tono fosse mutato ed eccitato.

«Dammi mille baci, poi cento

poi altri mille, poi ancora cento

poi altri mille, poi cento ancora.

Quindi, quando saremo stanchi di contarli,

continueremo a baciarci senza pensarci,

per non spaventarci e perché nessuno,

nessuno dei tanti che ci invidiano,

possa farci del male sapendo che si può,

coi baci, essere tanto felici» sussurrarono le sue labbra, partecipando della mia stessa passione. Mi strinse fra le braccia, raggelandomi e incredibilmente bruciandomi con il suo tocco, e fu un’emozione immensa, e totalmente indescrivibile sentire la sua pelle, così a contatto con la mia, come non l’avevo mai sentita. Sentivo le sue mani percorrere tutte le venature del mio.

«Baciami allora, cento, mille volte, non aspetto altro…» sfuggì dalle mie labbra, mentre la mia voce veniva soffocata dal movimento esaltante delle sue mani su di me.

Le sue gambe, nude, muscolose, erano strette contro le mie. Le sue mani vagavano sulla mia schiena e sulle mie gambe, come le mie sulle sue spalle fredde. La sua bocca lambiva il mio lobo, mentre la mia non poteva far altro che rimanere semiaperta, bloccata, per far uscire il mio respiro ansante di un corpo scosso dal profondo desiderio.

Dentro di me un’esplosione di gioia, anelo, follia, passione e eccitazione.

Edward si distanziò un attimo da me, e per un attimo la sua espressione mi parve titubante.

«Concedi a questi occhi di inebriarsi della vista di un miracolo e a questa fredda pelle di sfiorare la tua morbida e calda?» bisbigliò, con voce rotta dall’emozione.

«Il vero miracolo sei tu e i miei occhi godono della tua vista. Cosa più facile che donarti il mio corpo? Non chiedere il permesso per avere ciò che è già tuo…» non avevo idea da dove venissero quelle mie parole soffocate. Era tutto così impulsivo e incontrollato…

Tanto che mi meravigliai quando il groviglio delle nostre membra si risolse in un tenero quanto impetuoso abbraccio. Era su di me. Mi guardava, mi contemplava, osservandomi rapito, fremendo e facendomi fremere per il contatto della nostra pelle.

Mi strinse a sé, in modo che i nostri corpi combaciassero perfettamente, e si chinò sul mio orecchio a sussurrare le ultime parole che quella notte avrei udito «Concedi a questo navigatore solitario di profanare questo miracoloso porto?»

«Mai, vi fu navigatore più atteso».

Quelle furono le parole che concessero al navigatore di entrare nel mio porto, mentre io, con una lacrima, imprigionata fra le sue labbra, gli aprivo le mie chiuse.

E come, nel mare, la marea s’ingrossa sempre più, così la nostra eccitazione cresceva di secondo in secondo, mentre mettevamo via l’ansia e il dolore e la paura della tempesta, abbandonandoci sempre più alle onde alte, finché, la calma piatta del mare non sopraggiunse, lasciandoci stremati, ma felici come mai ancora lo eravamo stati.

 

   
 
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