canto III
Stavvi
Minòs, orribilmente, e ringhia:
essamina
le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia...
Scendiam dal primo al secondo cerchio de l’Inferno dove
il dolore che si avverte è maggiore e ‘l core si spaura
nuovamente.
I’ e la mia guida ci imbattiamo in un imponente demone:
Minosse.
Il dolore che si avverte è maggiore e ‘l core si
spaura nuovamente.
«Qui
stavvi Minosse, giudice de l’anime dannate. Osserva, Dante. Minosse
ascolta la loro confessione e poi li spedisce al cerchio destinato a
loro.»
E
mentre Virgilio spiega, odo le urla del demone, peggiori di quelle
che furon di Caron dimonio.
«Gola!»
urla e si
cinge la coda tante volte
quanti
sono i cerchi che la dannata anima deve scendere.
Scorgo dinanzi
a lui in
molteplici che esplicano i lor peccati e
subito van giù.
E l’dimonio, quando
mi vede, tralasciando su alto compito, mi dice: «O tu mortale che
qui giungi, questo non è posto per te, bada a colui che ti guida,
l’usicta non è semplice come l’entrata.»
All’udir di
queste parole, Virgilio avanzò e dall’alto della sua cultura, così
rispose: «Non
impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote
ciò
che si vuole, e più non dimandare».
Or
comincian le dolenti note, sono
giunto in un luogo dove mi colpisce immensa sofferenza.
Il posto
è molto buio e vi è una bufera infernale che, incessantemente,
trascina le anime. Qui i dannati, piangono, si lamentano e
bestemmiano Dio. Come
in vita furono trascinati dalla passione, ora son trascinati da
questa violenta tempesta che non dà loro conforto, diminuzione della
pena né riposo.
Virgilio mi mostra i dannati coinvolti nella
bufera.
«Ella fu Semiramide, regina di molti popoli e dedita
eccessivamente alla lussuria.» dice, indicando una delle anime
trascinate.
«E non è sola.» - continua - «Vi sono anche
Didone che non tenne fede alla memoria del marito, Cleopatra, Elena,
causa della lunga e sanguinosa guerra di Troia, Achille, Paride,
Tristano.» dice il maestro, indicandomi altre mille anime dannate
dall’amore.
«Poeta,
se posso, vorrei parlar a quell’uniche anime che insieme sono
tormentate.»
«Pregale in nome di quell’amore che le
condannò a questo tormento eterno, Dante.»
Prego
e, come due colombe, le anime a me vengono e mi dicono che mi
ascolteranno e mi racconteranno ciò che voglio sapere perché mostro
pietà per la loro anima.
«La terra ove io nacqui» -
esordisce una delle due anime - «sorge alla foce del Po, dove il
fiume si getta in mare per trovare pace con i suoi affluenti.
L’amore,
che si attacca subito al cuore nobile, fece innamorare costui della
persona che mi fu tolta, e il modo ancora mi offende. Amor, ch’a
nullo amato amar perdona, mi prese per la bellezza di costui con tale
forza che, come vedi, ancora non mi abbandona. L’amore ci condusse
alla stessa morte: il basso inferno attende colui che ci uccise.»
Il
maestro mi guarda con viso preoccupato. Dal mio viso traspare
tristezza, cotanta che egli mi chiede: «Cosa pensi?»
«Quanto
desiderio portò costoro a codesta pena?»
Mi rivolgo, poi, alle
due anime: «Francesca, le tue pene mi rendono triste, tanto che mi
viene da piangere ma dimmi: al tempo della vostra relazione, come
Amore vi portò a conoscenza dei vostri desideri?»
«Non c’è
dolore più grande che ricalcare tempi felici quando si è miseri ma
il desiderio tuo è conoscere la storia, così sia. Per svago un
giorno leggevamo di come Lancillotto
si innamorò di Ginevra, soli eravamo né sospettavamo quel che
sarebbe successo. Mille volte tale letture ci spinse a guardar
nell’occhi e ad avere lo sguardo bianco. Quando leggemmo che la
bocca di Ginevra fu baciata dal quel desideroso amante, Paolo mi
baciò tutto tremante. Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: quel
giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre uno spirito mi
diceva questo l’altro piangeva a dirotto e, a causa del mio
turbamento, io svenni. E caddi come corpo morto cadde.
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