Hogwarts Horror Story
- Part 1: Fall –
10.
Death And All His
Friends
All winter
We got carried
Oh way over on the rooftops
Let's get married
All summer we just hurried
So come over
Just be patient
And don't worry
(Death And All His
Friends, Coldplay)
Aveva
raggiunto l’Infermeria in punta di piedi, di nascosto, conservando in una tasca
il necessario per la sua cura. Era arrivata e lui era sveglio come se la stesse
già aspettando, più probabilmente era solo stato tenuto desto da un brutto
sogno.
«Cos’hai in mano?»
L’amaranto aveva il profumo dell’eternità, forte
di quel che nome che lo designava come l’unico fiore destinato a non appassire.
Alcuni credevano che fosse augurio di autenticità nei sentimenti, emblema dei
legami più puri come l’amicizia, nati per perdurare nel tempo e non sbiadire
mai come quel fiore immortale.
Togliere quelle bende e rivelare, nella penombra
della stanza rischiarata appena dalla fiamma languida di una candela, quella
maschera di odio che gli sfigurava il viso sarebbe diventata probabilmente una
delle immagini che avrebbe affiancato la voce d’oltretomba di Bellatrix nei
suoi peggiori incubi.
«Ehi, Hermione.»
Togliendo via quelle fasciature, aveva rivelato
la parte malata di quel viso, dove una trama di crepe buie avvizziva la sua
pelle chiara. Oscure ragnatele del colore delle ombre, propagatesi dalla bocca,
alla guancia, all’altezza degli occhi quasi, salivano come un fitto groviglio
di serpenti pronti a dilaniare quanto di più etereo resisteva ancora in quel
volto.
Era il frutto del suo odio, il germoglio del male
che si trascinava dentro, quel rancore che aveva tanto rimproverato agli altri
e che ora doveva compatire in se stessa, quell’epidemia di sofferenza che aveva
portato a due guerre e che lei aveva contribuito a diffondere come un morbo di
pestilenza su quelle labbra intoccabili.
«Hermione?»
«Non farà più male. Niente farà più male.»
Il composto di amaranto, artemisia ed elleboro
scorreva su quelle ferite come una colata di cera, riparando a quegli squarci
inguardabili che rattrappivano il suo viso in una macabra smorfia.
Le tenebre che le alimentavano vennero
riassorbite dal sambuco, che subito si accartocciò e appassì al contatto con
quell’orrore.
Le crepe nere svanirono ad una ad una da quel
volto, lasciando solo un leggero alone rossastro che sarebbe andato via col
tempo.
Lui si accarezzò una guancia, tremante, temendo
di sentire ancora tra le dita la consistenza dell’odio e del dolore.
«Hermione!»
La ragazza quasi
si affogò col suo succo di zucca quando Harry Potter le saltò praticamente
addosso, soffocandola in un abbraccio che non le lasciò lo spazio neanche per
respirare.
«Harry» mugugnò.
«Mi uccidi.»
«Scusa, scusa»
disse l’amico, con un sorriso che gli andava da uno zigomo all’altro.
Hermione stava
quasi per chiedergli il motivo di tutte quelle effusioni quando anche Ron la
raggiunse abbracciandola da dietro e posandole un bacio sulla guancia di fronte
a tutti, in Sala Grande, in un modo che la fece arrossire d’imbarazzo perché
era la prima volta che la toccava da quella notte in cui si erano baciati.
«Che succede?»
domandò lei disorientata, non capendo che diamine prendesse a entrambi.
«Come che
succede?» ridacchiò Ron al suo orecchio, senza smettere di abbracciarla. «Buon
compleanno!»
Ah, già.
Il 19 settembre.
Il suo
compleanno.
In mezzo a tutti
i pensieri di quella notte l’aveva dimenticato.
«Hermione,
auguri!» gridò ancora qualcuno, questa volta una ragazza, raggiungendola in un
turbinare di capelli biondi e tintinnare di braccialetti e orecchini.
Luna Lovegood le
spruzzò una strana polvere dorata all’altezza del naso, facendola starnutire.
«E’ polvere di
ali di Gorgosprizzo, cancella via tutte le preoccupazioni e mette di buon
umore» spiegò allegra. «E’ quel che serve per un compleanno, no?»
Tutto
quell’affollarsi di gente attorno a lei la confuse. Presto arrivarono anche
Neville e Lavanda, più Jimmy Peakes e Ritchie Coote che non riuscirono a
trattenersi dall’intonare un Tanti Auguri A Te a squarcia gola dopo
essere saliti sulle sedie ed essersi guadagnati un rimprovero da parte di
Lumacorno.
«Credevi che ce
lo fossimo dimenticato?» chiese Harry, sorridendole. «Volevamo darti quest’impressione. Così saresti stata ancora più
sorpresa.»
«Mamma ha
preparato dei biscotti di zucca per te, me li ha fatti arrivare con Errol
questa mattina. In realtà il gufo ha sbagliato destinazione e invece che a me
sono arrivati a Euan Abercrombie e agli altri ragazzi del quarto che hanno la
camera vicino la nostra, ma l’importante è che siano arrivati, no?»
«E ti abbiamo
lasciato anche un regalo, abbiamo detto a Lavanda di fartelo trovare sul letto
ma stamattina quando si è svegliata già non c’eri» aggiunse anche Harry. «Hai
festeggiato per conto tuo e non ci hai detto niente?»
«Stasera abbiamo
organizzato un piccolo ritrovo in Sala Comune, abbiamo ordinato due vassoi di
dolci di Mielandia e Dennis ci mette a disposizione la sua vecchia radio»
continuò Ron. «Sarà divertente, vedrai!»
«A proposito,
dove sei sparita ieri sera? Ti abbiamo aspettata dopo cena ma non ti sei fatta
vedere.»
Per quanto fosse
lusingata da quel mare di attenzioni, Hermione non poté fare a meno di passarsi
con stanchezza una mano sulla fronte, scostandosi dalla presa gentile di Ron e
accasciandosi a sedere al tavolo dei Grifondoro.
«E’ tutto
magnifico, davvero» disse, sospirando. «Vi ringrazio, siete meravigliosi, però,
per favore… potete abbassare un po’ la voce? Ho un’emicrania che mi uccide.»
«Oh, certo,
certo» disse subito Ron, sedendosi accanto a lei mentre Harry e Luna facevano
lo stesso. «Possiamo darti qualcosa? Acqua? Latte? Succo di zucca? Caffè?
Firewhisky?»
«Sto bene così,
grazie» rifiutò lei, rabbrividendo al pensiero.
«Hai un aspetto
orribile» le fece notare Luna, con quella sua sincerità ingenua e disarmante.
«Dovresti fare qualcosa per quelle occhiaie, sai? Sembra che ti abbiano presa a
pugni.»
«Ehm, grazie del
consiglio, Luna» disse la Grifondoro, con un sorriso stentato.
«Magari oggi
dovresti saltare le lezioni» propose Ron, facendole sbarrare gli occhi. «E’ il
tuo compleanno, e se ti senti poco bene è perché hai bisogno di riposo, è
evidente con tutto quello che è successo, io e Harry potremmo tenerti
compagnia, sai, potremmo…»
«Noi non
salteremo una lezione, Ron Weasley» lo redarguì più severa della McGranitt e di
Molly Weasley insieme. «Non provare a cercare una scusa per risparmiarti due
ore di Trasfigurazione!»
«Va bene,
d’accordo, come non detto» si arrese lui. «Ti consiglio di assaggiare uno dei
biscotti di mia madre, sono buonissimi.»
Continuarono a
strillarle nell’orecchio e a sventolarle la scatola di biscotti sotto il naso
per tutta la durata della colazione. Lei si sforzò di sciogliersi in un sorriso
e di rispondere cordialmente a tutti quelli che le si avvicinavano per farle
gli auguri, ma la verità era che sentiva la stanchezza premere e che avrebbe
desiderato solo andare a dormire e svegliarsi l’indomani.
Qualunque suo
pensiero venne interrotto dall’ingresso in Sala Grande di Draco Malfoy. Pansy
Parkinson gli camminava accanto tenendolo per mano e sussurrandogli qualcosa
all’orecchio. Andarono a sedersi al loro tavolo con Theodore, Blaise, Goyle,
Daphne e Barry, che lo accolsero con diverse pacche sulle spalle.
Lui prese posto
in silenzio e senza troppe cerimonie, sorvolando sui commenti entusiasti dei
suoi compagni. Non la degnò di uno sguardo né del più piccolo cenno.
Non aveva detto
molto a Malfoy, di tutto quello che aveva fatto la notte precedente per lui.
Non voleva che lui dovesse sentirsi in dovere di ringraziarla o di pensare a
quanto Hermione avesse rischiato, trasgredendo praticamente a tutti i punti del
regolamento scolastico per procurarsi la cura che lo avrebbe salvato dalla
fattura di Sinead. Gli aveva rivelato appena lo stretto necessario riguardo la
Foresta Proibita, il banchetto e l’incontro con le fate. Sorvolò del tutto sul
capitolo Adrian Pucey.
«Hanno dimesso
Malfoy stamattina» disse Ron, indovinando la direzione dello sguardo di
Hermione. «Evidentemente non stava poi così male, se si è ripreso tanto
in fretta. Voleva solo metterti nei guai, Hermione» borbottò il ragazzo, senza
accorgersi del rabbuiarsi dello sguardo della sua amica. La ragazza non disse
nulla mentre mescolava il suo cappuccino, decisa a tacere su tutti i fatti di
quella notte, anche con Harry e Ron.
Parlarono del
suo compleanno per il resto della mattinata.
Le lezioni di
quella giornata furono interminabili, perfino per Hermione che riusciva a
seguire con diligenza anche le soporifere ore di Storia di Rüf.
Al termine
dell’ora di Pozioni, ultima di quell’estenuante giornata, Harry e Ron
insistettero per trascinare Hermione con loro invece che al suo solito ritiro
spirituale in biblioteca per anticipare almeno i compiti dei tre giorni
successivi. Anche quel giorno, tuttavia, la ragazza si dimostrò irremovibile, e
lasciò i due amici con la promessa di raggiungerli in tempo per pranzare
insieme, pur sapendo che, tutto sommato, forse la biblioteca non sarebbe
rientrata nei suoi piani per la mattinata.
Impiegò più
tempo del dovuto a riporre il suo calderone nell’armadio in fondo all’aula. Per
tutto il tempo, lanciò occhiate veloci in direzione di Draco Malfoy, che
intercettò più d’una volta il suo sguardo costringendola ad abbassare gli
occhi.
Goyle fu il
primo a lasciare l’aula, seguito da Blaise, Pansy, Daphne e Barry. Theodore
Nott disse qualcosa a Draco, il quale fece un segno di diniego col capo, poi
anche lui uscì.
Quando erano
rimasti praticamente solo Jimmy e Ritchie nella stanza, Hermione si accorse che
anche Malfoy stava impiegando un tempo sconsideratamente lungo a lucidare la
sua bacchetta.
I due Grifondoro
salutarono Hermione con uno squillante “A stasera!” e un sorriso a trentadue
denti.
Andati via loro,
Draco e Hermione rimasero soli nell’aula.
Hermione chiuse
la sua borsa, pesantissima per tutti i libri che ci stavano dentro,
sollevandola con sforzo e poggiandola sul banco. Tenne gli occhi ostinatamente
bassi e, anche quando sentì risuonare i passi di Malfoy sul pavimento, non fece
nulla per guardarlo. Solo quando lui le fu di fronte, porgendole qualcosa a cui
lei a una prima occhiata non fece caso, Hermione fu costretta a fissarlo.
«Puoi riportarli
alla Pince» disse Draco seccamente, poggiando sul banco i due libri di
Incantesimi che lei aveva preso per lui quel primo giorno di scuola in
biblioteca. «Non mi servono più.»
Hermione guardò
prima i due pesanti volumi, poi il viso sano e di nuovo perfetto di Malfoy.
«Va bene» riuscì
a dire soltanto, aprendo di nuovo la borsa e cercando di infilarci a stento
anche quei libri.
Malfoy non aprì
bocca né mosse un dito mentre la guardava impegnata in quell’operazione. Pur
sentendo lo sguardo pungente del ragazzo addosso, non osò alzare gli occhi fino
a quando non fu riuscita a sistemare tutto e a chiudere le cinghie della sua
tracolla con notevole difficoltà.
A quel punto,
osservare Malfoy e sprofondare in un silenzio disarmante fu inevitabile.
Soprattutto considerato che il Serpeverde non accennava ad andarsene.
«Non saresti
dovuta tornare nella Foresta Proibita» disse d’un tratto, con la voce più
incolore e gelida che Hermione gli avesse mai sentito. «Tantomeno trascinare
quelle due con te. Io non devo niente a nessuno, chiaro?»
Suo malgrado,
non volendo assolutamente fare la parte della ragazzina compiacente e
intimidita, Hermione si limitò ad annuire.
«Mi avrebbero
portato al San Mungo e mi avrebbero guarito lì, anche se non fossi intervenuta
tu» aggiunse ancora, sempre più freddo. «Il tuo aiuto non era richiesto né
necessario.»
Hermione annuì
di nuovo. Poi qualcosa, ovvero quella sua vena saccente che non poteva fare a
meno di veni fuori anche nei momenti più inopportuni, la costrinse a replicare.
«Non voglio che
tu mi dica niente» mise in chiaro. «Non l’ho fatto per te. Voglio dire, è
naturale che l’abbia fatto per trovare un rimedio alla fattura che ti aveva
colpito, ma se sono tornata nella Foresta è stato solo per far tornare i conti
con me stessa. Avevo causato quel danno e dovevo ripararlo, come faccio sempre
quando commetto uno sbaglio» spiegò, con altrettanto distacco. Sperò che i suoi
toni controllati bastassero ad alleggerire un po’ quella tensione.
Sapeva dove
stesse il problema: come gli aveva ripetutamente rinfacciato Hermione, Malfoy
aveva già parecchi debiti di vita nei confronti suoi e dei suoi due migliori
amici. Non avrebbe sopportato di averne sulla coscienza un altro. Erano già
abbastanza tesi i rapporti tra di loro senza che si intromettesse lei ad
aggiungere un ulteriore patina di sensi di colpa e imbarazzo.
«Bene» sbottò
lui, dopo alcuni secondi. «Allora, adesso che ti ho restituito questi libri,
non voglio più avere nulla a che fare con te. Pertanto, nei prossimi giorni e
per tutto il resto della vita, vedi di starmi alla larga» sibilò, mentre le sue
mani si stringevano attorno al bordo del banco.
«D’accordo»
rispose Hermione, di fronte alla pressione di quelle iridi gelide. «Però, solo
una cosa, Malfoy…»
Lui si fece
teso, quasi irritato da quell’ulteriore precisazione, ma non la interruppe.
«Non voglio
dovermi sentire a disagio ogni volta che sei nei paraggi, e vorrei che lo
stesso valesse per te. Abbiamo già chiarito che non ci dobbiamo nulla, no?»
fece, cercando nel suo volto inflessibile una conferma che non trovò. Deglutì.
«Perciò… nemici come prima?»
Aggiunse un
sorrisetto nervoso a quella battuta, che non smorzò per nulla la tensione,
semmai la appesantì ancora di più.
Malfoy, tuttavia,
non si mostrò particolarmente contrariato.
«Nemici come
prima» confermò, con voce incolore. Si aggiustò il mantello sulle spalle, senza
smettere di guardarla. Poi tornò al suo banco e raccolse i suoi libri.
«Auguri di buon
compleanno» le disse infine, senza il minimo calore nei toni. Si voltò e senza
aggiungere nient’altro si lasciò Hermione e quell’aula alle spalle.
No,
I don't want to battle from the year to end
I
don't want to cycle and recycle revenge
I
don't want to follow death and all of his friends.
(Death And All His Friends, Coldplay)
***
La vecchia radio di Dennis Canon rimandò l’ultimo pezzo delle Sorelle
Stravagarie. Jimmy, Ritchie e Vicky si esibirono in un esaltato karaoke che
fece ridere tutti i presenti, compresa Lavanda che nessuno sentiva sorridere da
parecchio tempo.
Erano presenti tutti i Grifondoro del settimo e anche alcuni ragazzi che
non conoscevano direttamente Hermione ma ai quali Ron non aveva disdegnato di
offrire qualche dolce e invitare a restare attorno al camino.
Hermione sedeva al solito posto vicino al fuoco, il suo preferito. Le
fiamme riflettevano bagliori rossastri tra i suoi ricci.
La musica cambiò. Da lontano, la festeggiata sorrise in direzione di
Lavanda, che con un bicchiere di Acquaviola in mano per la prima volta non
cercava di nascondere la sua cicatrice con foulard o sciarpe improbabili.
Accolse l’invito di Jimmy che la convinse a salire su un tavolo per intonare lo
sdolcinato ritornello della hit del momento, un singolo dell’affascinante e
prosperosa Celestina Warbeck.
Trasse un profondo respiro, rigirandosi tra le mani il suo bicchiere di
Burrobirra, mentre sentiva al suo fianco la presenza rassicurante di Harry,
appena sedutosi accanto a lei con le mani intrecciate e i gomiti poggiati sulle
gambe. Lui si girò a guardarla, mentre Hermione, che lo fissava già, gli
rivolse un bel sorriso.
Per qualche motivo, sentì il bisogno di stringergli la mano. Una delle
tante cose buone di Harry era che non faceva mai domande, evidentemente temeva
le risposte, così ricambiò quella stretta in silenzio.
«Come vanno le cose con Ron?» le chiese Harry, non senza un certo
imbarazzo. I suoi occhi verdi puntarono il Weasley in questione, che dopo aver
convinto Euan Abercrombie e altri suoi amici del quarto a restare, si era avvicinato
a Lavanda, dicendole qualcosa a voce alta per sovrastare gli acuti di Celestina
Warbeck. La ragazza sorrise serena, portandosi la mano al collo in un gesto
quasi automatico.
«Oh, per piacere, Harry, piantala» lo rimbrottò Hermione.
Lui alzò le spalle. «Cosa c’è di male? Chiedevo solo perché non ci
capisco più niente.»
Dopotutto, lei non poté biasimarlo. Non aveva più pensato a Ron. Non ce
n’era stato il tempo. Naturalmente quel sentimento riaffiorava, certe volte,
quando lui l’abbracciava scherzando o le schioccava un bacio sulla gota come
quella mattina, ma l’assenza di interesse del ragazzo nei suoi confronti aveva
fatto svanire in lei ogni speranza. Molte cose erano cambiate, in lui, dopo la
morte di Fred. Hermione sapeva che, in fondo, l’atteggiamento di Ron non
differiva poi molto da quello di Ginny.
«Nemmeno io» ammise Hermione a bassa voce, fissando il fuoco. Harry ebbe
la bontà di non aggiungere altro sull’argomento.
«Sai, quando io e Anthony siamo tornati indietro nella Foresta per
cercarti, la sera del duello, lui mi ha raccontato alcune storie riguardo l’anno
scorso» disse Harry. «Sui Carrow. Il modo in cui punivano gli studenti.»
Fissava le fiamme anche lui, mentre Hermione evitava il suo sguardo.
Harry assunse un’aria distratta, mentre affondava tra i suoi pensieri.
«Ho capito una cosa» replicò a un certo punto Hermione, proprio quando
Harry pensava – e forse un po’ sperava – che nonostante tutto
quell’ultima frase venisse lasciata cadere in sospeso. «Non voglio che
ricadiamo nello stesso circolo vizioso di odio e rancore degli anni passati.
Questa volta andrà bene, Harry, me lo sento» aggiunse.
Harry strinse la sua mano, fredda nonostante il calore della stanza.
«Quest’anno andrà bene» ripeté Hermione. «E io, tutto sommato, credo di
sentirmi felice. Anche se abbiamo perso tanto, abbiamo fatto molto. Dovresti
essere fiero di te stesso.»
Diede un sorso al suo bicchiere ancora quasi del tutto pieno.
Harry scacciò via l’immagine dei cadaveri di Lupin, Tonks e Fred. Si
chiese come si potesse andare fieri di tutto quello.
«Secondo te cosa è successo davvero a Malfoy?» le domandò Harry.
Lei s’irrigidì.
«Quello che ha detto Lumacorno» mentì. «Qualcuno che lo odiava ha
cercato di fargli del male.» Realizzò dopo che, in fin dei conti, era
esattamente la verità.
«Che ci fate seduti qui?» esclamò d’un tratto Ron, rosso in volto per il
caldo o forse per qualcosa che aveva bevuto. «Alzatevi, miseriaccia!»
Hermione sorrise, posò il suo bicchiere sul tavolino e si alzò.
«Mi spiace, ma credo che andrò a dormire. E’ mezzanotte e domani abbiamo
lezione.»
Ron era incredulo. «Ma Hermione, è la tua festa!»
«E mi è piaciuta un sacco.» Rise della sua espressione contrariata.
«Sono davvero stanca.»
«D’accordo…» fece Ron, accarezzandole un braccio. «Ehm, buonanotte, allora.»
«Buonanotte, Ron. Harry.»
Rivolse un cenno di saluto a entrambi con la mano, superò Ritchie e
Victoria che non riuscivano a credere che stesse già andando a dormire e infine
riuscì a raggiungere la sua stanza.
Trovò Ginny seduta a gambe incrociate sul letto mentre accarezzava
Grattastinchi. Sobbalzò quando sentì la porta aprirsi di scatto, e l’animale le
scese dalle gambe, saltando giù dal letto e raggiungendo la sua padrona.
«Ciao» disse la più piccola, un po’ sorpresa. «Come mai già di ritorno?»
«Come mai non sei scesa?» replicò Hermione. Non sembrava un’accusa, il
suo tono lasciava trasparire solo una leggera preoccupazione.
Ginny si sfilò le scarpe e si distese sul suo letto, con le mani dietro
la nuca.
«Non ero dell’umore per festeggiare. Scusa.»
«No, non importa» si affrettò a dire Hermione. «Non volevo dire questo.»
«Lo so» rispose l’altra. «Però scusa lo stesso. E’ il tuo compleanno. E
non ho avuto il tempo di comprarti un regalo. Abbiamo avuto tre compiti di
inizio semestre nel giro di una settimana.»
«Non devi giustificarti, sai bene che non è questo che mi interessa»
disse Hermione, prendendo in braccio Grattastinchi e andando a sedersi sul
bordo del suo letto. Il gatto si accoccolò in braccio a lei, cominciando a fare
le fusa.
«Demelza e Vicky sono simpatiche» disse Ginny, continuando a fissare il
soffitto. «Magari qualche volta potresti uscire con noi, se ti va.»
«Ginny…»
«Potremmo andare a fare compere da Mondomago. E’ appena arrivata la
nuova collezione e…»
«Ginny» la bloccò di nuovo Hermione. «Non c’è nulla di male se ti sei
fatta delle nuove amiche. Davvero» aggiunse, notando il modo in cui gli occhi
marroni della ragazza si erano offuscati.
Ginny si tirò nuovamente a sedere.
«E’ normale» continuò Hermione. «Non devi sentirti in colpa.»
Ginny la guardò per diversi istanti; per un momento Hermione credette di
rivedere quella complicità che avevano un tempo e che sembrava essere svanita
in un’estate.
«Voglio solo che le cose vadano finalmente bene» mormorò la minore,
squadrando la vecchia amica con uno sguardo triste.
«Lo so, Ginny» le sorrise Hermione, tentando, senza successo, di non far
risultare quel sorriso troppo amaro. «Lo so.»
***
So come over
Just be patient
And don't worry
(Death And All His Friends, Coldplay)
Tracey Davis era sempre stata una
ragazza strana.
Era un cosetta pallida e smunta, con
capelli flosci e un’espressione scialba costantemente dipinta in quegli anonimi
occhi castani. Era una mezzosangue e neanche di famiglia agiata, aveva imparato
col tempo che se voleva sopravvivere a Serpeverde la sua unica via di fuga era
attaccarsi alle gonne di Pansy Parkinson e Daphne Greengrass, che seguiva
ovunque come una fedele valletta. A parte le due reginette della loro Casa e
Millicent, non sembrava avere altre amicizie nel castello. Era mattiniera e
andava a letto presto tutte le sere, ma non senza aver prima scritto una lunga
lettera che, come aveva scoperto Daphne, prendendola in giro per una settimana
buona, era sempre indirizzata a sua madre. A differenza di Pansy e Daphne, che
ricevevano continuamente lettere da amici sparsi per tutto il Paese, ragazzi
che morivano loro dietro, inviti a feste di compleanno e a volte anche fiori e
regali, la sua unica corrispondenza era rappresentata dalla madre.
A tutto questo si aggiungeva il fatto
che la piccola e minuta Tracey fosse anche una ragazza incredibilmente timida,
che veniva subito paralizzata da una ventata di imbarazzo ogni volta che
Theodore Nott, Blaise Zabini o Draco Malfoy erano nei paraggi, non riuscendo a
spiaccicare neanche la più piccola parola. Da lì, la fama che fosse una persona
insulsa e anche vagamente stupida.
Quella sera, ad esempio, sedeva alla
destra di Pansy e Daphne, vicino al camino dalle fiamme verdi. Di fronte a
loro, c’erano Draco, Theodore, Blaise e Barry, che stavano giocando una partita
a poker con le carte magiche. Gregory se ne stava in disparte su una poltrona,
in silenzio, e come al solito dava l’impressione che gli mancasse qualcosa,
come sempre da quando era morto Vincent.
Barry fece uscire un asso dalla manica
della sua camicia, Tracey se ne accorse ma tacque.
La ragazza si incantò a osservare il
modo in cui Pansy fissava Draco mentre lui pizzicava le sue carte. I suoi occhi
esprimevano una dolcezza che non le apparteneva, e Tracey pensò che avrebbe
dato qualunque cosa perché qualcuno guardasse lei nel modo in cui Pansy
guardava Draco.
Daphne assisteva alla partita con
disinteresse, l’aria annoiata e il pensiero sicuramente rivolto a
qualcos’altro. L’attenzione di Tracey si focalizzò su Gregory, che con un
sospiro guardava le fiamme languire nel camino, sconfitto.
Augustus Barrett, il ragazzo nuovo,
vinse quella mano, con estremo disappunto degli altri tre. Tracey non aveva mai
parlato con lui, perché era una di quelle persone esuberanti e indiscrete che
la mettevano terribilmente a disagio, facendola balbettare e rispondere a
monosillabi. Anche in quel momento, non vedeva l’ora di potersi ritirare in
camera per rispondere alla lettera che le aveva inviato quella mattina sua
madre, insieme a una piccola confezione di caramelle mou.
«Nessuno batte lo zio Barry a poker»
sghignazzò Barrett, facendo l’occhiolino alle tre ragazze, che ricambiarono con
un’occhiata altera, tranne Tracey che rimase impassibile.
Stizziti, gli altri Serpeverde decisero
di chiudere lì per quella sera, mentre Barry raccoglieva la sua vincita e se ne
andava trionfante a tormentare alcune piccole e stucchevoli Serpeverde del
quinto.
«Vado anch’io» mormorò debolmente
Tracey, guardando solo Daphne e Pansy, che la salutarono appena. Tracey sparì
oltre le scale del dormitorio delle ragazze. Theodore e Blaise sprofondarono di
più nelle poltrone, quest’ultimo si fece passare da Daphne una busta sigillata
il cui mittente era palesemente Adrian Pucey. Zabini la intascò in silenzio.
A quel punto, Draco si alzò,
sgranchendosi le gambe. Guardò la sua presunta ragazza, che non aveva smesso di
osservarlo per un attimo.
«Vieni, Pansy?» le disse, con un invito
che suonava più come un ordine. Pansy fece per alzarsi, ma Daphne la bloccò per
un braccio.
«Mi avevi promesso che mi avresti
aiutato a scegliere il vestito per il compleanno di Urquhart» le disse,
squadrandola a fondo. Pansy comprese al volo e scosse la testa con rammarico,
conoscendo bene la sua migliore amica e la sua mania di tenerla alla larga da
Malfoy.
«Possiamo farlo anche domani. C’è
tempo» rispose, mentre si alzava in piedi e prendeva la mano che Draco le
porgeva.
Daphne seguì la sua sagoma e quella di
Draco, mentre lui, con una mano poggiata sul fondoschiena della ragazza, la
conduceva verso la sua stanza.
Draco aprì la porta di fretta,
chiudendosela alle spalle con un tonfo, mentre spingeva Pansy verso il letto.
Nott, Zabini e gli altri suoi compagni
di stanza avevano preso l’abitudine di non andare mai a dormire prima delle
due, rimanendo fino a notte tarda a chiacchierare con gli altri ragazzi che
adesso frequentavano il settimo e con il gruppo di Astoria Greengrass, la
sorella sedicenne di Daphne che seppur più giovane aveva già la tendenza a
radunare attorno a sé uno stuolo di adepti che la vezzeggiavano con lusinghe e
premure.
Draco sfilò velocemente il maglione di
Pansy, gettandolo con noncuranza sul pavimento. Le allentò con poco garbo la
cravatta e cominciò a sbottonarle la camicia, infilando subito sotto di essa una
mano che Pansy si premette con più forza sul petto.
Fecero presto a finire entrambi
sdraiati sul letto di Draco, che la sovrastava ricoprendola di baci e carezze
frettolose.
Mentre Malfoy le strattonava la gonna
facendola scivolare morbidamente sulle gambe, lei gli prese il viso tra le
mani, sollevata al pensiero di potere ancora sfiorare la bellezza di quella
pelle con le sue dita. Lo baciò con una tenerezza che faceva a pugni con i
gesti avventati di Draco, il quale tuttavia si rassegnò a rispondere a quel
bacio, senza smettere di accarezzarle le cosce e i fianchi.
«E’ bello poterti toccare di nuovo»
mormorò lei, più a se stessa che a lui.
Draco emise un gemito in risposta,
mentre Pansy lo accarezzava.
Non riuscì comunque a risponderle
nulla. Non sapeva mai come fare, con lei.
Non era vero, come Daphne credeva, che
Pansy gli era indifferente; al contrario. Non era cieco di fronte all’amore
devoto e fedele che lei nutriva nei suoi confronti. Pansy era con lui da sempre.
Aveva preso l’abitudine di tenerlo per mano quando erano bambini e da allora
non aveva più smesso.
Draco si detestava sinceramente per la
sofferenza che le procurava, per le volte che l’aveva tradita, per i silenzi a
cui l’aveva abituata. Si sentì pervadere da una forte rabbia, fu preso quasi
dalla voglia di mettersi a piangere lì con lei in quel momento, invece le
affondò con forza le dita sui fianchi e dopo averle tolto gli ultimi vestiti
rimasti cominciò a spingere dentro di lei con forza.
Pansy si aggrappò subito alle sue
spalle, gli occhi socchiusi, il respiro spezzato.
Tutte le cose belle che avevano fatto
insieme e tutto l’amore che avevano a loro modo condiviso erano continuamente
soffocati da sentimenti di gran lunga più sudici, fastidiosi e penetranti.
Draco era tutto pieno di odio. Mentre spingeva
contro di lei con molta più violenza del solito, si lasciò pervadere tutto
quanto di rabbia.
Odiò sua zia, odiò Voldemort, odiò
Silente, odiò Potter e odiò il fratello morto di Weasley.
Pansy gli mise una mano tra i capelli e
lui odiò Hermione Granger e la pena che si era data per tirarlo fuori da quel
guaio.
Pansy gli poggiò entrambe le mani sui
fianchi, premendo con decisione come per domandargli di fare più piano, e lui
odiò le sudicie mani di quella Mezzosangue che aveva osato toccarlo, togliergli
quelle bende e curarlo.
Pansy lo guardò con gli occhi profondi
e lucidi e i capelli sulla bocca e lui chinò il viso a baciarla, succhiandole e
mordendole le labbra e poi la lingua e poi una guancia.
Pansy era calda, affabile, docile,
innamorata. Senza di lei non avrebbe resistito un solo giorno.
La abbracciò e la strinse mentre continuava
a spingere con forza e, in quel modo così discreto e dolce che solo lei sapeva
usare nei suoi confronti, Pansy comprese ogni cosa, ogni singola crepa di quel
dolore che provava, in parte perché condividevano le stesse paura, in parte
perché erano Draco e Pansy, e di tutto quello che avevano
condiviso non se ne sarebbero mai liberati.
Draco poggiò il viso di fianco a quello
della sua ragazza, accostando la guancia alla sua e nascondendo la faccia
contro il cuscino. In tutta la sua vita non si era mai sentito perso come in
quel momento.
Pansy gli gettò le braccia al collo e
se lo strinse forte addosso, ignorando il fastidio del peso di Draco sul suo
corpo minuto. Avrebbe voluto che lui la baciasse, che la guardasse, che le
dicesse che era bella. Malfoy non fece nulla di tutto questo, e lei non gli
rimproverò nulla.
Più tardi quella sera, quando Pansy
tornò al suo dormitorio, Daphne era l’unica che era rimasta sveglia ad aspettarla.
Quando Pansy si chiuse la porta della loro camera alle spalle e vide Daphne a
gambe incrociate sul suo letto, con alcuni forgli di pergamena attorno e una
piccola candela sul comodino, trasse un lungo sospiro aspettandosi l’ennesima
strigliata. Fece per andare verso il suo letto e togliersi i vestiti, ma Daphne
la tirò per la gonna invitandola a sedersi sul suo letto. Poi tirò fuori un
piccolo pacchetto viola da dietro il cuscino.
«Cioccolato?» le chiese, scartando il pacchetto
e porgendoglielo.
Rischiarato appena dalla fiamma della
candela, Pansy intravide un sorriso sulle labbra della sua amica.
«Cioccolato» ripeté Pansy, poi afferrò
un dolcetto e mentre lo scartava si ritrovò a ridacchiare davanti a Daphne in
maniera un po’ sciocca, senza reale motivo, ma per riflesso rise anche l’altra
e fosse stato anche solo per quel momento, anche solo per quella sera, Pansy si
disse che andava bene così.
***
N/A
Chi non muore si rivede.
E’ passato parecchio tempo da quando ho
cominciato a scrivere questa storia ma quelle volte che mi capita di riaverla
tra le mani ritrovo l’entusiasmo che ho provato quando ho cominciato a
progettarla, scriverla e pubblicarla, e mi torna la voglia di tornare a
raccontare di Draco, Hermione e tutti gli altri.
Mi viene da sorridere rileggendo i
vecchi capitoli per alcuni errori involontari o meno e per alcuni passaggi un
po’ goffi, magari appena avrò un po’ più di tempo rileggerò e correggerò le
piccole cose che non vanno.
Anche se con estremo ritardo, vorrei
ringraziare chi – ormai anni fa – ha speso qualche parola per darmi
impressioni, consigli, correzioni, apprezzamenti. Tutti quanti mi hanno resa
felice, il vostro interesse per quello che, nel mio piccolo, ho deciso di
raccontare con questa fanfiction è già da solo una grandissima soddisfazione. A
voi un sincero grazie.
Anche se da anni ormai non pubblico
nulla e mi dedico soltanto a originali, ho intenzione di riprendere questa
storia. Ho diversi capitoli pronti e tanto vale non lasciarli in sospeso a
marcire in qualche disordinata sottocartella senza titolo.
Dejanira