capitolo IX
E'
PASSATO TANTO TEMPO, MA NON MOLLO! ANCORA UN CAPITOLO E ANCHE QUESTA
STORIA SARA' FINITA.. CHIEDO SCUSA DI CUORE A TUTTI PER L'ORRENDA
TEMPISTICA. MARTINA
CAPITOLO
XIX
Toc.Toc.
Ancora
una volta qualcuno bussava alla porta della stanza. Cara se ne stava
in piedi di fronte allo specchio cercando svogliatamente di
sistemarsi. L'abito stretto di maglina, con i suoi colori spenti, non
stava davvero rendendo omaggio al suo incarnato. Il cerotto era ben
coperto, ma doveva comunque ricordarsi di non alzare il braccio
destro troppo in fretta o avrebbe di nuovo sofferto le pene
dell'inferno. I lunghi capelli, finalmente puliti, le scendevano
sulle spalle in onde morbide ed irregolari.
Sospirò.
Non amava ricevere visite.
Fosse
stato Joseph non avrebbe saputo cosa dirgli, ma sicuramente non si
trattava di lui. Nelle ultime settimane l'aveva evitata come la peste
e di certo non poteva biasimarlo. Buttò gli occhi allo specchio.
Anche lei avrebbe evitato sé stessa fosse stato possibile. Nel lungo
tempo speso tra quelle quattro mura non aveva fatto altro che
rimuginare sulla morte di William. Le parole di Joseph risuonavano
spesso nella sua testa
“E'
una lunga storia, ma non ha importanza.
Ciò
che importa è che sia finita...
William
non esiste più. Siamo liberi.”
William
non esiste più.
Come
se gli ultimi nove anni della sua vita fossero svaniti in un batter
d'occhio, ora si ritrovava con nulla più d'un pugno di mosche in
mano. Chi era Cara Phillis senza la sua vendetta? Cosa avrebbe fatto
adesso della sua inutile vita? Cosa avrebbe mai potuto fare?
Finì
ancora una volta a fissare il pavimento. Nella casa di Elia e
Katrina. Nella proprietà della famiglia Michaelson.
Erano
una famiglia. Nonostante i mille contrasti erano sempre una famiglia
e tolto il padre di mezzo, avrebbero comunque avuto l'un l'altro, le
cene di rito attorno ad un tavolo ed il traffico d'armi da
organizzare. Lei non aveva nessuno, tanto meno una casa dove tornare.
Avrebbe forse potuto avere nuove missioni da compiere, non fosse per
il piccolo dettaglio che aveva fallito nel suo unico e fondamentale
compito d'ammazzare William Michaelson. Nemmeno Robert l'avrebbe più
voluta.
Persa
in quei pensieri non s'accorse nemmeno che l'interlocutore alla sua
porta aveva bussato di nuovo. Solo lo scricchiolio della maniglia la
riportò alla realtà. Voltandosi di scatto maledisse ancora una
volta il profondo taglio che andava guarendo sulla sua pancia.
“Stai
bene?”
Katrina
solcò la soglia con la legittima sicurezza di una padrona di casa,
buttando immediatamente gli occhi alla pila di vestiti stropicciati
sul letto
“Hai
trovato qualcosa che ti piace?”
Cara
sottolineò il suo nuovo outfit con la mano sinistra, ma senza alcun
entusiasmo per l'abito a righe, bianco e blu, che le accarezzava la
figura fin sotto le ginocchia
“Uscirai
da questa stanza oggi?”
L'altra
sbuffò, iniziando a piegare distrattamente quegli stessi indumenti
“Posso
dirti che Joseph non c'è, se questo è problema.”
Le
pallide guance di Cara s'accesero di colpo, ciò che Katrina andava
implicando era del tutto ridicolo. Non era certo Joseph il problema,
lei non voleva vedere nessuno, assolutamente nessuno.
“Sto
bene qui.”
Rispose
senza neanche guardarla. Katrina sollevò il sopracciglio seguendo i
suoi movimenti raffazzonati.
“E'
stato qui tutto il tempo...”
Stavolta
fu Cara a sollevare uno sguardo confuso
“...Finché
non ti sei svegliata.”
Ignorando
lo scivolone del suo stomaco, scosse il capo e riprese la sua
attività
“Appena
il dottore mi darà l'ok me ne andrò.”
“Dove?”
Cara
si congelò per un istante. Bella domanda.
“Tornerai
da lui?”
Robert
Mancini. Non c'era bisogno di domandare a chi si riferisse e quella
stessa ovvietà le fece saltare i nervi
“Non
sono affari tuoi.”
Nonostante
gli abiti sobri e i capelli raccolti, Katrina sfoderò lo stesso
sguardo aguzzo e sicuro di quando lavoravano insieme
“Mangi
e dormi nella mia casa da settimane. Puoi essere più gentile.”
Il
primo istinto fu di ribattere che non aveva chiesto nulla di tutto
ciò, ma dopo un lungo respiro realizzò che la russa aveva ragione.
Davanti allo studio di William aveva chiesto il suo aiuto e Katrina
non si era tirata indietro, difendendo quella porta fino all'ultimo
secondo. Ma non l'aveva fatto per lei.
“Hai
ragione. Ed è l'unico motivo per cui non sto cercando di
strangolarti.”
L'altra
sollevò le sopracciglia
“Ricordati
che ho sfidato Joseph ed Elia per te.”
Cara
non trattenne una risatina sardonica
“Già...
Elia... Non mi pare che lo odi poi tanto.”
Katrina
tornò presto sull'attenti
“Ti
ho già raccontato tutto quanto. Non devo altre spiegazioni.”
Nonostante
Cara non avesse nessuna voglia o nessun interesse nell'ascoltarla, la
russa aveva comunque rivelato tutto il suo passato alla complice,
senza tralasciare alcun dettaglio sulla sua gravidanza e sulle
minacce di William. Avrebbe dovuto ammorbidirla, ma in realtà tutto
ciò che Cara aveva letto tra quelle parole era il tradimento, le
bugie con cui Katrina era riuscita ad intrufolarsi nel suo gruppo e
portarla fino a quel punto. Non aveva mai avuto una vera intenzione
di uccidere i Michaelson, voleva solo liberarsi di William per
potersi riprendere regno e marito. Per qualche oscura ragione questa
verità le rodeva dentro, così come la placida soddisfazione che ora
andava ostentando senza alcuno scrupolo.
“Avresti
dovuto dirmelo allora.”
Katrina
scosse la testa
“Se
l'avessi detto allora, non mi avresti presa con voi.”
Cara
squadrò le spalle di fronte a lei
“Esatto.
E nulla di tutto questo sarebbe successo.”
Aggiunse
sollevando le braccia a mezz'aria per indicare ciò che aveva
attorno. Katrina sollevò il mento ed affilò lo sguardo, in casa sua
non temeva rivali
“Nulla
di tutto questo?”
Era
palesemente sarcastica
“Intendi
forse innamorarti di Joseph?”
“Smetti
di dirlo!”
Le
urlò in faccia Cara, con un tono troppo alto e troppo veloce, senza
riuscire a controllare le sue emozioni. L'altra sorrise del suo volto
arrossato, non solo perché aveva colto nel segno, ma soprattutto per
il gusto di rivedere una scintilla accesa negli occhi della donna che
aveva di fronte. Cara Phillis, la Barbie forte e letale, era ancora
lì da qualche parte, aveva solo bisogno di essere svegliata.
La
moglie di Elia indietreggiò tenendosi quell'espressione in viso
“Non
saremmo mai arrivati a questo punto se non ti avessi incontrata. Tu e
tuo implacabile desiderio di vendetta. Non capisco perché ora tu
voglia comportarti così.”
Cara
schiuse le labbra, ma non disse nulla. Katrina le si parò davanti
“Siamo
solo io e te. Puoi parlare.”
La
bionda arricciò il naso apparentemente disgustata
“Non
siamo amiche.”
Katrina
sospirò
“Vero.
Ma tu sai del mio matrimonio e di mio bambino... Potresti
ricambiare.”
“Sai
già della mia famiglia. Non c'è altro da dire.”
Cara
cercò di scansarla e tornare alla sua precedente occupazione, ma
Katrina non mollò il colpo
“Perché
sei così arrabbiata?”
“Non
potresti capire. Tu hai avuto quello che volevi.”
“E
tu no?”
Cara
inspirò profondamente e, sgonfiatasi il petto, scosse la testa.
Katrina sollevò il suo sopracciglio sottile
“Lui
è morto. Che altro vuoi?”
Cara
ricambiò il suo sguardo curioso col silenzio, sbattendo le palpebre
con insistenza. Avrebbe voluto confessare, sputarle in faccia ciò
che le bruciava dentro, avrebbe voluto liberarsi di un po' di quel
peso insistente, ma Katrina le stava davanti e non sembrava più la
complice di un tempo. Niente più abiti aderenti, niente più
ombretto scuro ad incorniciarle lo sguardo, nulla più di quella
donna arrabbiata e cattiva che riusciva ad uccidere con uno sguardo.
Non poteva più dirle ciò che pensava.
Abbassò
il viso
“Non
ha importanza.”
L'altra
arricciò le labbra e per un istante quel fuoco si vide ancora, le
attraversò gli occhi come un lampo nel mezzo di una notte senza
stelle. Katrina squadrò le spalle e la fissò dritta negli occhi
“Io
so cosa vuoi.”
Le
loro pupille s'incrociarono a mezz'aria in quel ritrovato clima di
sfida, Cara drizzò il mento accennando un sorriso sarcastico
“Davvero?”
Finalmente
qualcosa di caldo le stava attraversando le vene, finalmente sentiva
le dita calde ed il cuore che batteva. Quell'emozione, quella voglia
di stringere i pugni ed azzannare qualcuno, ecco cosa voleva. Ma
Katrina non era della stessa opinione
“La
sola cosa che vuoi...”
E
si prese la libertà di avanzare di un passo ancora, perché quelle
parole le arrivassero dritte in faccia
“...ha
occhi azzurri, morbide labbra rosse e addominali scolpiti.”
Stavolta
fu lei a sfoderare un sorriso sfottente, ogni parola pronunciata con
un'enfasi più che voluta. Cara ingoiò il boccone amaro cercando di
trattenere l'onda di rabbia, incredulità o imbarazzo che fosse, che
su dai piedi minacciava d'infiammarle le guance. Avrebbe tanto voluto
chiudere le dita attorno a quel collo sottile e stringere, stringere
tanto forte da farle uscire gli occhi dalle orbite.
Strinse
i pugni invece, mordendosi la lingua, aspettando e sperando che
Katrina si lavasse dal viso quell'aria di vittoria. Non era ancora
abbastanza forte da reggere uno scontro corpo a corpo.
“Vattene.”
Fu
l'unica risposta che riuscì a darle, permettendole ancora per un po'
di galleggiare nella sua bolla di trionfo. Nella sua voce tutto
l'odio ed il veleno di cui si sentiva capace. Si era forse tolta la
divisa da merlo, ma non era certo meno agguerrita o potente di prima.
“Potresti
averlo, lo sai vero?”
Cara
contrasse la mandibola aguzzando lo sguardo. Nonostante il dolore al
fianco che trafiggeva i suoi addominali tesi, stava davvero valutando
l'idea di sferrare un pugno sul suo zigomo perfetto
“Voglio
solo andarmene da qui.”
Rispose
tra i denti, fumante come un calderone sul punto di esplodere.
Katrina sbatté le palpebre e tutto il suo fervore sembrò svanire in
un secondo, le sue spalle si rilassarono e, lisciando l'orlo della
sua camicetta bianca, si fece indietro
“La
rabbia è un'emozione sai?”
Cara
aggrottò le sopracciglia, totalmente spiazzata dal repentino cambio
d'umore di Katrina. Ingoiò il boccone d'istinto omicida che serbava
in gola e la squadrò
“Cosa?”
Katrina
inspirò
“Dici
sempre di non avere emozioni, ma se puoi arrabbiarti così, potresti
anche essere felice.”
Felicità?
La bocca dello stomaco le si strinse. Certo che poteva essere felice,
riusciva benissimo a ricordare come ci si sentisse ad essere
felici... i regali sotto l'albero, il pigiama party a casa di Brenda
Stone, l'applauso finale al musical della scuola, un biglietto di San
Valentino infilato nell'armadietto... Ma quelli erano solo i ricordi
di una bambina, una bimba ingenua e lontana che ormai non esisteva
più. Non è che non sapesse come essere felice, solo non voleva
esserlo, non più. L'ultima volta che lo era stata, l'ultima volta
che sua madre lo era stata, ogni cosa era svanita in una pozza di
sangue. La sua vita era finita in una serata felice, in un bagno
immacolato.
In
quel momento bussarono delicatamente alla porta. La reverie di Cara
s'interruppe immediatamente ed i suoi occhi si rivolsero alla testa
scura che faceva capolino dalla soglia. Gregory, il dottor Gregory
McCanzie, attese il suo tacito permesso per entrare nella stanza,
avvolto nella sua solita camicia a quadri, valigetta nella mano e
sorriso sulle labbra. Aveva più o meno quarant'anni e nelle ultime
settimane era già passato più volte a visitarla, la sua gentilezza
in completa antitesi al loro contesto
“Posso
visitarti?”
Domandò,
perfettamente consapevole di aver interrotto qualcosa. Cara tirò
subito un respiro di sollievo ed annuì
“Certo.
Katrina stava andando.”
Quest'ultima
le rivolse un ultimo sguardo affilato ed uscì dalla stanza, conscia
di aver perso una battaglia, ma di certo non la guerra.
Cara
seguì la solita prassi e subito sfilò le braccia dalle maniche del
suo abito e lo arrotolò fino alla vita, abbastanza da poter mostrare
al medico la ferita in via di guarigione
“Ti
senti bene?”
Domandò
lui staccando lentamente il cerotto. Nonostante Cara mostrasse la sua
biancheria, Gregory non la guardò nemmeno, professionale ed
impeccabile come sempre. Non era abituata a uomini così.
“Benissimo.”
Rispose,
sperando che l'entusiasmo mostrato aiutasse ad avere l'ok da parte
del dottore. Lui tastò i bordi della ferita e le tirò un po' la
pelle, valutando l'elasticità del tessuto cicatriziale. Spinse poi
sul fianco e stavolta, finalmente, Cara non sentì né fitte tremende
né troppo dolore.
“Direi
che anche la ferita va piuttosto bene.”
“Vuol
dire che posso andarmene?”
Chiese
subito senza nemmeno dargli il tempo di finire, lui si tirò indietro
facendole cenno di rivestirsi e scosse appena il capo sorridendo
“Non
vedi l'ora di andartene eh?”
Cara
sospirò
“Non
sai quanto.”
Gregory
raccolse le sue cose e gettò i guanti in lattice nel cestino. Perché
quella donna fosse lì e perché volesse tanto fuggire non era affar
suo, tanto più che a nessun Michaelson sarebbe piaciuta una sua
intrusione. Lo pagavano esclusivamente per i suoi servizi e tanto
doveva bastare.
“Sì...”
Finalmente
esordì
“...Se
stai attenta agli sforzi e ai movimenti repentini, se continui a
prendere le medicine e non ti strapazzi troppo, credo tu possa
andare.”
Un
sorriso spontaneo e vivace le si aprì in viso
“Davvero?”
Lui
scrollò le spalle
“Se
pensi di non poter più aspettare, direi di sì.”
Avrebbe
tanto voluto abbracciarlo, ma sarebbe stato davvero fuori luogo.
Finalmente la sua detenzione poteva finire, addio Michaelson e addio
a quella stronza manipolatrice di Katrina.
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Mezz'ora
dopo aver salutato Gregory era già fuori dalla stanza, per la prima
volta dopo tutte quelle settimane, senza contare il bagno ovviamente.
Negli ultimi dieci minuti era rimasta con l'orecchio spalmato contro
la porta, aspettando di sentire null'altro che silenzio. Non voleva
vedere nessuno, voleva solo uscire da lì e sparire nel nulla, la sua
specialità. Nel corridoio, dipinto di bianco, si respirava profumo
di pulito. La luce era soffusa e non era certa di che ora fosse, ma
si diresse subito, con passo felpato, verso le scale. Non aveva nulla
con sé se non l'abito che portava addosso, ogni cosa usata ed
indossata negli ultimi tempi proveniva infatti da Katrina e,
fortunatamente, quella miseria le avrebbe reso la fuga più rapida e
leggera. Le poche cose che possedeva erano rimaste della sua stanza
d'albergo e subito prese mentalmente nota di dover passare di lì
prima di raggiungere la stazione più vicina.
Un
passo dopo l'altro si trovò presto al piano di sotto. La scala
scendeva infatti nel salotto, di fronte ad un grande divano beige,
accanto a cui si trovava un tavolino basso di vetro, contornato da
sedie scomposte ed adornato da bicchieri usati, segno che qualcuno
era lì poco prima. Trattenne il respiro gettando gli occhi alla
porta d'ingresso. Presto sarebbe stata di nuovo libera, quella
libertà che nulla aveva a che vedere con la morte di William, quella
stessa libertà che Joseph non poteva capire. Scosse la testa, non
era proprio il momento di pensare a lui. Prendendo una grossa boccata
d'aria si avviò a grandi passi verso il portone.
“Signorina
Phillis?”
Si
morse le labbra. Stupido pensare che sarebbe stato tanto semplice.
“Lieto
di vedere che si sente meglio.”
Le
sue intenzioni sarebbero state ovvie anche agli occhi di un bambino,
ma Elia Michaelson, avvolto nel suo completo nero di Armani, non le
sottolineò.
Cara
si schiarì la voce. Quell'uomo, impeccabile nella sua postura e
nell'utilizzo del lei, la spaventava più degli altri.
“Gregory
ha detto che posso andare.”
Lui
annuì pronunciando un suono di approvazione. Coi suoi occhi scuri e
profondi, pareva studiarla attentamente in ogni sua piccola mossa,
capace di paralizzarla col suo solo sguardo. L'idea che proprio lui
tra tutti, il figlio leale e prediletto, avesse ucciso William, le
gelava il sangue.
“Non
ha intenzione di perdere tempo vedo.”
“Credo
di aver già approfittato abbastanza della vostra ospitalità.”
Lui
sollevò l'angolo della bocca
“Ci
siamo a malapena accorti della sua presenza in realtà.”
Cara
abbassò lo sguardo senza riuscire a controllarsi, Elia continuava a
squadrarla come fosse una specie di fenomeno da baraccone.
“E'
sicura di volerci lasciare così presto?”
Lei
inspirò a pieni polmoni. Anche se non lo era, suonava certo come una
minaccia. Ciononostante annuì con decisione. Inaspettatamente il
maggiore dei Michaelson si limitò a ruotare il busto ed indicarle,
con un palmo aperto, la via verso l'uscita. Cara esitò per un
secondo, possibile che la lasciasse andare così? Senza alcun
ammonimento o avviso? Nessun “Stia lontano dalla mia casa e
dalla mia famiglia se desidera continuare a vivere?”
Approfittando della sua fortuna resse lo sguardo di Elia per un
momento, cercando sul suo viso qualcosa di Joseph che non riuscì a
trovare. Sospirò e continuò la sua marcia verso la porta,
fermandosi però a mezza strada. Poteva correre lontano da lì più
veloce della luce, ma non avrebbe dimenticato ciò ch'era successo.
Si voltò lentamente verso Elia
“Grazie.”
Lui
sollevò un sopracciglio
“Per
cosa?”
Domandò,
come non fosse ovvio. Cara accennò un sorriso che stentava a farsi
vedere
“Per
avermi salvato la vita.”
Elia
annuì in silenzio, ripensando al momento in cui era entrato nello
studio di suo padre. L'odore pungente di sangue, la furia
incontrollata di Joseph, il viso massacrato di William. Voleva
prendersene il merito, perché di certo quel po' di gratitudine
avrebbe mitigato il peso della sua colpa, ma c'era il cuore di suo
fratello in ballo, non solo il suo
“Non
sono stato io...”
Confessò,
guardando il viso di Cara incresparsi di confusione
“...E'
stato Joseph. Avrebbe ucciso nostro padre a mani nude se non fossi
arrivato.”
Quell'immagine
la colpì al petto del tutto inattesa. Perché non gliel'aveva detto?
Perché le aveva lasciato credere che avesse fatto tutto Elia? Si
prese un attimo per assorbire l'informazione e di nuovo annuì
“Grazie
comunque.”
Stavolta
fu lui ad abbassare gli occhi, smettendo finalmente di studiare ogni
sua più piccola mossa. Non ne aveva più bisogno, il fremito delle
sue palpebre nel momento in cui aveva nominato Joseph abbastanza per
lasciarla andare.
“Buona
fortuna Signorina Phillis.”
E
stavolta Cara non si fermò.
Quasi
immediatamente Katrina venne fuori dall'angolo della cucina e sospirò
appoggiandosi alla parete
“Se
n'è andata?”
Elia
la raggiunse scuotendo il capo in assenso. Sua moglie arricciò le
labbra
“Codarda.”
Apostrofò
Cara, generando un inatteso sorriso sulle labbra del marito
“Disse
la donna che ha preferito allearsi al mio peggior nemico piuttosto
che parlare con me.”
L'espressione
di Katrina si rilassò subito e, con un lungo respiro, attese la mano
calda di Elia sul suo viso. Tanto era stato detto, ma ancora tanto
c'era da dire. Lentamente prese la mano di Elia nella sua e si staccò
dal muro
“Vieni
con me?”
Lui
sorrise di nuovo leggendo tra le righe, ma trattenne la voglia di
strapparsi i vestiti di dosso ancora per un attimo
“Arrivo
tra un minuto, devo fare una telefonata.”
“Non
metterci troppo.”
Guardando
sua moglie sfilare verso la stanza da letto ripensò alle parole di
suo padre. Costruisci una grande gabbia d'oro attorno alla tua donna
e tienicela dentro, così diceva, ma il mondo intero non è forse una
prigione troppo grande? Per quanto ancora avrebbe cercato Katrina in
lungo e in largo se non fosse stata lei a tornare? Quando si sarebbe
finalmente stancato? Cosa non avrebbe mai saputo? E cosa si sarebbe
perso? Tirò fuori il cellulare dalla tasca e compose velocemente il
numero
“Elia?”
La
voce di Joseph suonò stanca e preoccupata
“Tutto
bene fratello?”
All'altro
capo il Lupo posò il bicchiere mezzo vuoto sul bancone dello Sweet
Lorraine. Negli ultimi giorni l'alcool aveva fatto da compagno alle
sue riflessioni, al suo tempo perso e alle sue incertezze. Non sapeva
ancora se poteva restare in una città che non gli offriva più nulla
se non brutti ricordi e tristi rimpianti.
“Tutto
bene. Che succede?”
Elia
si domandò ancora una volta se parlare o tacere. Sua moglie
l'aspettava tra le lenzuola e la vita è troppo breve per restare a
guardare. Non sarebbe stato un capo freddo e crudele come suo padre,
non avrebbe preso decisioni per nessuno dei suoi fratelli
“Se
n'è andata.”
Venne
dritto al punto, senza bisogno di aggiungere il soggetto. Joseph
strinse il bicchiere tra le dita, cercando disperatamente un atteso
senso di liberazione che però non riuscì a provare. I suoi
maledetti sentimenti non sarebbero spariti con lei galoppando verso
il tramonto. Non l'avrebbe più vista. Davvero non l'avrebbe più
vista.
“Grazie
Elia.”
Chiudendo
la chiamata balzò in piedi. Non se ne sarebbe andata a modo suo.
----------
Ed
eccola lì, intenta a preparare la milionesima valigia della sua
vita. Un paio di telefonate erano bastate per trovarla nella sua
vecchia stanza d'hotel. Raccoglieva le sue poche cose una ad una,
perdendo il suo tempo a piegare ogni t-shirt ed abito con grazia e
pazienza. Era così diversa dall'ultima volta che aveva assistito a
quella scena, così calma e distaccata. I lunghi capelli color
platino, lasciati sciolti sulle spalle, accompagnavano ogni suo
movimento, spiccando come oro contro le righe del suo vestito.
Si
mosse piano per non distoglierla ancora da quella lenta attività, ma
tanto bastò per farle sollevare lo sguardo verso il suo. Lunghe
ciglia nere ornavano i suoi grandi occhi blu, ancora non abbastanza
riposati. Smise di piegare l'ennesimo paio di anonimi pantaloni
lasciandoli cadere sul letto.
Se
solo non fosse stata così dannatamente bella.
Cara
pensò per un momento che la sua immaginazione la stesse fregando,
quell'immagine una boccata d'aria fresca per i suoi polmoni. Non lo
vedeva da giorni, settimane perfino e dio, dio se quel viso le era
mancato.
Se
solo fosse rimasto così, un'apparizione zitta e ferma, balsamo per i
suoi occhi stanchi.
“Te
ne vai?”
Esordì,
sottolineando l'ovvio. Cara rimase in piedi ad assorbire il suono di
quella voce. Avrebbe voluto non rispondere, restare ferma lì ad
ascoltarlo parlare per ore, poco importa cosa avesse da dire. Era
l'ultima volta che sentiva quella voce.
Ma
si fece coraggio
“Credevo
non volessi vedermi.”
Lui
accennò un sorriso ironico tra sé e sé ed il cuore di Cara parve
rimettersi a battere con un ritmo tutto nuovo. Il sapore di quelle
labbra l'avrebbe portato via con sé, concedendosi di tanto in tanto
la tentazione di un ricordo.
“Non
in quel modo. Non volevo vederti così.”
Lei
inclinò appena il capo, senza nemmeno rendersene conto
“Così
come?”
Joseph
rivolse gli occhi al pavimento. Fredda? Vuota? Morta dentro?
“E'
morto da settimane ormai.”
E
con quella scelta di parole il clima ovattato e sicuro in cui avevano
vissuto fino a quel momento cambiò di colpo. Cara si leccò le
labbra e scrollò le spalle
“Il
fatto che sia morto non vuol dire che sia tutto finito.”
D'istinto
riprese i suoi abiti sgualciti tra le mani, stavolta
appallottolandoli nervosamente
“Non
è forse quello che volevi?”
Cara
rivolse gli occhi al cielo, quante altre volte avrebbe dovuto
rispondere a quella domanda?
“Sì”
Rispose
secca, senza nemmeno guardarlo. Lui crucciò lo sguardo
“Allora
cosa? Perché non sei felice?”
Cara
mollò la palla di poliestere che stringeva tra le mani e si voltò
verso di lui
“Felice?
Che vuol dire felice?”
Ed
ecco che la solita rabbia malcelata tornava a montare tra loro,
pronta a farli parlare ancora una volta in due lingue totalmente
diverse.
“Dimmelo
tu.”
La
sfidò Joseph, incrociando le braccia sulla sua camicia bianca. Lei
scosse la testa nervosamente
“Felice
non esiste per le persone come me.”
Lui
la guardò dall'alto in basso, fermandosi all'altezza delle sue
pupille dilatate. Quella risposta non era abbastanza. Cara sospirò
“Sollevata...”
Lui
sollevò un sopracciglio, come non avesse capito
“...Mi
sento solo sollevata.”
Era
il massimo che poteva concedergli, a lui e a sé stessa.
Joseph
lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e le si avvicinò lento
“E'
davvero tutto ciò che senti?”
Stavolta
fu lei ad aguzzare lo sguardo perplessa, indietreggiando
inconsapevolmente. Era quello il loro solito copione dopo tutto, lui
che si avvicina e lei che gli fugge lontano.
“Che
vuoi dire?”
Era
d'improvviso così vicino che poteva sentirne il profumo, dolce ed
intenso come sempre. Così vicino che il suo corpo ne assorbiva il
calore fin sotto gli abiti.
“Sai
cosa voglio dire.”
Sì,
lo sapeva. Joseph non stava più parlando di William, ma di sé
stesso. Le si seccò la gola. Avrebbe semplicemente potuto prenderla
e baciarla, senza mettere in mezzo tutte quelle maledette parole,
facendo sembrare ancora una volta che fosse solo colpa sua. Ed i suoi
occhi caddero sulla bocca di Cara per un paio di secondi,
stringendole la gola ancor di più.
Le
sue labbra tremavano, mentre cercava di apparire il più convincente
possibile
“No...”
Cercò
i suoi occhi azzurri
“...Non
c'è altro.”
Avrebbe
dovuto sentirsi ferito e rifiutato ancora una volta, ma il modo in
cui il corpo di Cara fremeva davanti ai suoi occhi e l'amara
consapevolezza che non l'avrebbe più vista, gli fornirono l'audacia
per sollevare il braccio ed accarezzarle il viso con il dorso della
mano. Lei non si mosse nemmeno
“Te
ne andrai per sempre. Puoi anche dirmelo adesso.”
Cara
controllò con la coda dell'occhio che quella mano non proseguisse
alcun tragitto sulla sua pelle scoperta. Raccolse abbastanza forze
per risollevare il suo scudo
“Dirti
cosa?”
“Cosa
provi per me.”
L'inconsueta
sicurezza con cui le torreggiava davanti riaccese in Cara la fiamma
della sfida
“Non
provo niente per te.”
Sputò
immediatamente scuotendo la testa. Lui rimase del tutto impassibile
“Allora
dillo di nuovo...”
insisté
“...guardandomi
negli occhi.”
Cara
strinse i pugni. Da dove arrivava tanta spavalderia? Dov'era finito
l'uomo incerto ed irascibile che era riuscita a smontare pezzo per
pezzo? Accolse la sua richiesta
“Non
provo niente per te.”
Lui
non si mosse ancora
“Di
nuovo...”
Ribatté
“...Stavolta
senza tremare.”
Aveva
già visto quegli occhi sull'aereo. Aveva visto il Lupo e di nuovo lo
stava guardando. Il Joseph triste e sconsolato che annegava sé
stesso nel sangue e nell'alcool era apparentemente morto e sepolto
con William.
Le
venne da sorridere. Stava provando a vincere il suo gioco. Ma bisogna
essere in due per giocare
“Non
ho intenzione di farlo.”
Rispose
dando voce ai suoi pensieri. Con una mossa fulminea scappò dalla sua
morsa.
Lui
la guardò fuggire all'altro lato della stanza
“Sii
onesta per una volta!”
Si
fece più forte senza alzare la voce. Non l'avrebbe lasciata
allontanarsi di nuovo
“Non
hai fatto altro che mentire dal momento in cui ti ho incontrata...”
Affilò
lo sguardo e la lingua
“...Prova
ad essere coraggiosa per una volta...”
Incalzò
“...coraggiosa
come il merlo che vuoi così disperatamente essere.”
Sputò
con sdegno e disprezzo. Cara sentì le mani formicolare ed il cuore
pulsarle nelle orecchie. E' davvero la verità che vuoi?
“E'
vero.”
Lui
vacillò per un istante appena, tornando immediatamente fermo e
vitreo
“E'
vero...”
Ribadì
guardandolo dritto negli occhi
“...Ma
non ha nessuna importanza.”
E
lo lasciò lì, col suo bel contentino.
Joseph
raccolse quell'osso da terra come il cane che sentiva di sentire.
Come riusciva a sbatterglielo così in faccia senza nemmeno fare una
piega? Lui aveva il vento ed il mare che gli si scontravano dentro,
violentemente sbattuto tra la voglia di baciarla a sangue e quella di
picchiarle la testa contro il muro. Provò a muoversi, ma lei sollevò
l'indice e tanto bastò per rimetterlo al suo posto
“No...”
Lo
bloccò
“Non
muoverti...”
E
finalmente abbassò gli occhi, afferrando qualcosa a caso dal
tavolino
“...Non
saremo mai quello che vorresti.”
Lui
si mosse lo stesso, deciso ad ignorare quell'ordine
“Perché?”
Cara
ficcò quell'inutile qualcosa nella sua valigia, cercando di
soffocare la voglia di rispondergli. Possibile che non capisse da
solo? L'aveva accontentato, aveva ammesso di provare qualcosa per
lui, non era forse sufficiente? Non aveva forse dimostrato abbastanza
la sua debolezza? Era fragile, vuota, instabile ed inaffidabile, cosa
avrebbe mai potuto farsene di lei?
“Smetti
di parlare. Devo andarmene.”
Gli
sfilò davanti tornando alla sua occupazione originaria, spingendo
dentro il trolley le ultime cose prima di tirare la zip
“Aspetta.”
Un
ordine, non certo una supplica, ma Cara scosse il capo e proseguì
“Non
capisci... devo andarmene.”
E
quella fastidiosa immagine tornò a far capolino nella mente di
Joseph. Robert Mancini. Quel pensiero divenne di colpo l'unico nella
sua testa e prese a pompargli come un martello pneumatico nelle
tempie. Quello stronzo poteva averla, quel vecchio bastardo sì e lui
no.
“Non
sei sua.”
Sentenziò,
disgustato dal solo pensiero del contrario. Cara rispose al suo
sguardo, c'era il Lupo dentro ai suoi occhi e per un attimo concesse
a sé stessa di sentire nella pancia quell'onda di piacere ed
eccitazione. Quello era l'uomo che aveva desiderato, per cui aveva
vacillato, per cui il suo corpo continuava a scaldarsi.
“Mi
ha salvato la vita. Gli devo ogni cosa.”
La
fiamma della gelosia divampò ancor più alta nel petto di Joseph.
Senza timori e senza controllo le si fece di fronte e le afferrò il
viso tra le mani
“Non
sei niente per lui. Nulla più che un soldato sacrificabile.”
Cara
provò a scuotere la testa, ma lui non glielo concesse
“Ti
ha solo usata per il suo scopo, fregandosene del fatto che ti avrebbe
resa sola e fredda come il ghiaccio...”
Si
bagnò le labbra affondando gli occhi il più a fondo possibile nelle
sue iridi blu
“...Se
torni da lui non cambierà nulla, non avrai nessun futuro.”
Cara
sembrò contemplare quell'evenienza, le sue piccole mani fredde si
strinsero attorno ai polsi di Joseph
“E
potrei averne uno con te?”
Domandò,
speranzosa e sarcastica allo stesso tempo, come se lui le avesse
proposto di fare il giro del mondo a bordo di un elefante volante e
lei riuscisse quasi a crederlo possibile. Joseph ammorbidì la presa
“Potremmo.”
Totalmente
fuori contesto lei sorrise, senza scoprire i denti, e le gambe di
Joseph minacciarono di crollare
“Sarebbe
bello...”
Rispose,
accompagnando le mani di lui lontano dal suo viso. Si batté le dita
sullo stomaco
“...Ma
queste cose, queste cose che sento dentro...”
Gli
rivolse lo sguardo dell'innocenza
“...Io
non le voglio.”
Joseph
sospirò ancora una volta. Perché diavolo doveva essere così
difficile? Stavolta l'afferrò per le spalle, cercando nei suoi occhi
quella piccola crepa in cui forse sarebbe riuscito ad insinuarsi
“E
io voglio te.”
Scandì
ogni parola perché le entrassero in quella testa dura. Cara dissentì
ancora una volta
“Non
c'è nessuna me...”
Fece
finalmente un passo indietro senza che lui la trattenesse
“...Senza
la mia vendetta, senza la mia missione... Io non sono niente.”
E
lo credeva davvero, sapeva di non avere una casa o una famiglia da
cui tornare, nessun titolo di studio da spendere e nessuna esperienza
che non contemplasse l'uso delle armi. Non aveva nulla e se si fosse
fermata a pensarci davvero, se davvero avesse permesso a sé stessa
di realizzare quanto fosse sola, allora sarebbe crollata a terra
senza più la forza di alzarsi.
Joseph
sollevò le mani a mezz'aria
“C'è
un intero mondo là fuori.”
“Non
per me. C'è un solo posto per me.”
Ed
il fuoco tornò ad ardere
“Vuoi
davvero tornare da lui?”
Cara
lo guardò
“Vuoi
davvero far finta di non capire?...”
Scrollò
le spalle
“...Sei
un killer anche tu, anche tu vivi per questo. Sai bene che non posso
fuggire alle conseguenze delle mie azioni.”
Joseph
aggrottò la fronte. Le rotelle dentro la sua testa giravano e
giravano cercando di risolvere l'enigma
“Quali
conseguenze?”
Lei
chiuse le palpebre respirando a fondo, il capo rivolto al pavimento
“Avevo
un solo compito... Uno soltanto...”
La
sua voce sembrò assottigliarsi, quasi volesse piangere
“...Ed
ho fallito. Ho fallito con William, con Robert, ho fallito con me
stessa.”
Ed
allora qualcosa nella mente di Joseph si accese
“E'
solo questo non è vero?”
La
vide muoversi nervosamente verso il letto, pronta ad afferrare la sua
valigia
“Siccome
non hai premuto tu il grilletto pensi che la morte di William valga
meno?”
Cara
rimase a fissare la coperta sgualcita
“Non
sono stata io.”
Ribadì.
Ed ogni volta era come ingoiare un sorso d'acido. Lui scosse la testa
“Non
conta niente.”
“Conta
tutto invece!”
Stavolta
la sua risposta fu secca e decisa, come un rombo nel silenzio.
Strinse il suo bagaglio tra le mani e lo sbatté a terra con forza
“Ma
tu non puoi capire...”
Riprese
con sdegno tornandogli vicino
“...Tu
hai avuto tutto quello che volevi.”
Joseph
sospirò
“Non
tutto.”
Il
suo sguardo, così intenso e potente, la incendiò da capo a piedi.
Poteva sentirlo, sentire quanto la desiderasse e con quanto ardore.
Anche senza toccarlo riusciva a sentire le sue mani addosso, le sue
labbra sulla pelle, le sue parole sconce nelle orecchie. Le viscere
le s'intrecciavano dentro ed il suo cuore batteva forte per colpa
sua, i suoi principi vacillavano davanti a quegli occhi e a quelle
labbra, la voce nella sua mente prendeva ad urlare a gran voce.
Baciami.
Gridava
quella stronza insolente
Baciami.
Prendimi. Stringimi. Costringimi a restare.
Avrebbe
voluto prendersi a pugni da sola pur di farla tacere
Amami.
Amami almeno tu in questo mondo.
Si
morse il labbro nel tentativo di zittirla e per un momento temette
che anche Joseph riuscisse a sentirla. Era sempre lì di fronte a
lei, immobile come una statua. No, non poteva più permettersi
distrazioni, doveva uscire immediatamente.
“Addio.”
Concluse,
sfilando di fretta verso la porta della stanza, ma ancor prima di
toccare la maniglia si sentì afferrare alle spalle con forza e
sbattere contro il muro. Joseph gli piombò addosso con tutta la sua
mole, ben poco delicato, le braccia avvolte attorno alla sua fragile
figura ed il viso accostato alla curva del suo collo. Cara chiuse gli
occhi, riusciva a sentire il pizzico della sua barba addosso, il
respiro di Joseph si perdeva tra i suoi capelli, caldo e frenetico
“Non
ti lascerò tornare da lui.”
Era
deciso, fermo e determinato, quasi potesse restare lì per sempre.
Cara buttò la testa all'indietro, lasciandogli inconsapevolmente
ancor più spazio. Le labbra di Joseph le sfiorarono il collo,
accennando l'ombra di un bacio, per poi raggiungere l'orecchio
“Non
ti lascerò tornare da lui.”
Ripeté,
netto quanto prima, la morsa ancora stretta attorno alla sua vita.
Lei provò a divincolarsi, ma lui non glielo concesse ancora. Se solo
avesse davvero potuto rimanere lì fermo per l'eternità, lontano da
tutto e tutti, avvolto soltanto da quel dolce profumo di fiori. Se
solo...
“Lasciami.”
Cara
si mosse ancora, provando a sguisciare come un'anguilla tra le sue
braccia. Doveva uscire, doveva uscire di lì veloce come la luce
“Lasciami!”
Ripetè
contro il muro di gomma che la stringeva. Joseph mollò la presa per
un solo secondo, giusto il tempo di voltarla e spingerla ancor più
forte contro la parete. Gli occhi di Cara gridavano rabbia, urlavano
paura, volevano morderlo e fuggire il più lontano possibile. Le sue
gambe scalciavano ed i suoi pugni gli colpivano i fianchi come quelli
di una preda spaventata
“Lasciami
andare bastardo!”
Nemmeno
le sue parole, piene d'astio e disprezzo, riuscirono a liberarla.
Joseph non si mosse, incassando ogni colpo come niente, fermo ed
impassibile finché lei rimase a corto d'insulti e di fiato e solo
allora, solamente allora, posò la fronte su quella di Cara. Il suo
respiro, corto e accelerato, gli arrivava in viso come una carezza
“Non
ti lascerò tornare da lui.”
Ripeté
ancora una volta, la voce bassa e le parole scandite. Era così
vicino che Cara non poteva evitare i suoi occhi, tanto meno ignorare
la sua bocca, la sua splendida bocca, così vicina e così
disponibile. Era il suo sogno, la sua fantasia più recondita che
prendeva vita, l'orlo del precipizio più alto da cui si fosse mai
affacciata.
Poteva
saltare, poteva lanciarsi e forse lui l'avrebbe afferrata, tenuta
stretta come in quel momento.
Maledetto
terrore dell'altezza.
Chiuse
gli occhi e si riempì il petto di quel respiro fatto di menta,
d'alcool e di tentazione. Un invito unico per Joseph, le sue mani ora
strette attorno ai suoi fianchi, le sue labbra ad un solo centimetro
da quelle schiuse di lei, tanto vicina che già riusciva ad
assaporare il gusto della sua lingua. Gli sarebbe bastato muoversi
appena per averla nella sua bocca. Conosceva bene quel tremolio tra
le sue ciglia e quell'agitazione nel suo respiro, la sua pelle
vibrava e sicuramente la sua biancheria era già fradicia, ma no, non
era quello che voleva, non stavolta. Cara aveva parlato e adesso
Joseph sapeva che si sentiva come lui, ok, forse non proprio come
lui, ma era comunque un inizio e non l'avrebbe rovinato per
l'ennesima, seppur deliziosa, squallida sveltina. Ora toccava a lei
chiudere quel varco.
Di
nuovo le si strusciò addosso, senza però toccare nessuno dei posti
che lei avrebbe voluto. Perché stava facendo il prezioso? Questo
continuava a chiedersi la vocina nella testa di Cara. Perché non si
muoveva? Trattenere l'urgenza di sollevarsi sulle punte ed afferrarlo
al collo stava diventando difficile, tanto difficile che le caviglie
le tremavano. Ma avrebbe significato arrendersi, dargliela vinta,
ammettere che lo desiderava almeno quanto lui e non poteva
permetterselo, non ora, non sulla soglia di una porta che avrebbe
presto chiuso per sempre. Robert poteva forse perdonare il suo
fallimento, ma di certo non avrebbe mai potuto sopportare di saperla
innamorata di uno di Michaelson.
I
suoi occhi si spalancarono di colpo.
Innamorata?
Innamorata?? Da dove usciva quella stupida parola?
Joseph
notò immediatamente il suo cambio d'umore, ma non riuscì a leggere
cosa stesse succedendo nei suoi occhi. Si allontanò appena, ma
continuò a stringerla. Era ancora lì e le guance di Cara
s'infiammarono di rosso per l'imbarazzo e lo stupore che provava
verso sé stessa, quello stesso rosso che incendiava le voglie Lupo
più d'ogni altra cosa. Era nei guai, era davvero nei guai. Doveva
salvarsi
“Io
voglio andare da lui.”
Quella
scelta di parole non se l'aspettava. E se un secondo prima era sul
punto di esplodere fuori dai pantaloni e fregarsene delle sue
speranze, adesso Joseph era freddo come la pietra. Mollò la presa
quasi immediatamente, indietreggiando per poterla guardare da
lontano, ansimante lì dove lui l'aveva lasciata. Provò ad aprire la
bocca, ma nulla ne uscì. Mandò giù la voglia di urlare.
Cara
ritrovò l'equilibrio senza il suo peso addosso, uno strano freddo
sulla pelle. Non voleva andare da Robert o meglio sì, voleva tornare
da lui, ma no, non ancora, non senza sapere come l'avrebbe presa. Di
certo non voleva restare. O anzi sì, solo non con lui. Che
sciocchezze, certo che voleva restare in quella stanza con lui, solo
non come voleva lui. Le sue promesse luccicavano come la mela
rossa dell'eden, un solo morso e poi cosa sarebbe successo? Sarebbe
stata condannata alla sofferenza eterna? Le sarebbe andata di
traverso? L'avrebbe divorata tutta fino a scoppiare?
Mentre
il suo cervello blaterava, di fronte all'evidenza malcelata della sua
delusione, Cara sentì il dovere di pronunciare qualcos'altro
“Non
è una decisione che puoi prendere tu.”
Lui
si limitò ad annuire e l'incanto fu definitivamente spezzato.
“Va'.
Torna pure dal tuo padrone.”
Indicò
la porta che lei aveva alle spalle e, con sdegno, indietreggiò
ancora. L'onda di sicurezza e presunzione provocata dalla sua
precedente confessione s'infranse, lasciando il posto al vecchio
Joseph, quello che se ne fregava, quello perfettamente consapevole
che presto o tardi si sarebbe dimenticato anche di lei, come di ogni
altra cosa.
Cara
provò a muoversi, ma non ci riuscì. Si sentiva sollevata, ma allo
stesso tempo qualcosa le mordeva dentro. Teneva a lui. Quegli stupidi
sentimenti che aveva maldestramente confessato esistevano davvero, e
per quanto non li volesse, odiava l'espressione vuota che ora
campeggiava sul viso di lui. Doveva dirgli qualcos'altro, concedergli
almeno qualcos'altro
“Possiamo
aver vissuto allo stesso modo, ma non siamo uguali...”
Non
riuscì a guadagnare il suo interesse, non con quelle che
all'orecchio di Joseph arrivavano come chiacchiere inutili
“...Io
sono fastidiosa, e instabile, e provocatoria... Finiresti per
uccidermi.”
Lui
sollevò finalmente lo sguardo, immaginando quell'evenienza nella sua
testa una volta ancora. Quante e quante volte aveva provato e perfino
desiderato di ucciderla? Ogni singola volta la sua mano si era
fermata, sia che pensasse di avere davanti un'innocente ragazzina,
sia che sapesse benissimo di aver di fronte una, se non la peggiore,
dei Merli. Dubitava di poter mai riuscire a farle del male, anche
contando la sua lingua biforcuta.
Cara
mandò giù guardandolo negli occhi
“E
io non voglio morire. Non prima di aver vissuto.”
Quelle
parole gli fecero aggrottare la fronte
“Credevo
che la morte non ti spaventasse.”
Il
ricordo del loro primo incontro balenò nella memoria di entrambi.
Gli occhi di Cara caddero sul pavimento
“Morire
per mano tua mi spaventa.”
E
lui parve ancor più confuso di prima. Non era chiaro alle sue
orecchie quanto quella morte a cui Cara enigmaticamente accennava,
non fosse letterale, ma simbolica, quanto si riferisse a lui e alla
sua capacità di farle desiderare cose nuove e terrorizzanti, quanto
temesse di perdere la sola sé stessa che conosceva, proprio per
causa sua.
“Non...”
Sollevò
le spalle
“...Non
ti farei del male.”
Poteva
esserne sicuro? Probabilmente no. Lei accennò una specie di sorriso
continuando a guardare in basso, ma subito lo mandò giù e tornò a
fissare Joseph
“Devo
andare.”
Non
era più una protesta. Era una constatazione. E lui non si mosse. Se
tanto teneva a quell'uomo e alla sua opinione, era libera di correre
a scoprire quale fosse. La tagliente abilità che aveva quella donna
di farlo sentire un mostro ogni singola volta non gli sarebbe certo
mancata. La guardò esitare ancora per un momento, ma presto le sue
dita si chiusero attorno al manico del trolley e la porta si aprì,
presto richiusa dopo l'ultimo fugace scambio di occhi.
Era
finita. Andata. Conclusa.
Finita.
Cara
si chiuse la porta alle spalle, ma i suoi piedi non si mossero più
lontano del pianerottolo. Con lo sguardo basso ed il cuore acceso nel
petto si rese conto che davvero non avrebbe più visto gli occhi
azzurri di Joseph. Nessun uomo l'avrebbe più guardata così.
Rivide
suo padre, i suoi grandi occhiali tondi ed i calli sulle mani.
L'unico uomo al mondo capace di farla sentire speciale, fosse anche
solo per una B+ al compito di algebra. Avrebbe fatto qualsiasi cosa
per lei, qualsiasi cosa per un suo sorriso.
E
lei non aveva più sorriso, non con gli occhi, non con il cuore, non
dopo quella notte terribile.
Avrebbe
voluto altro per lei, probabilmente qualsiasi altra cosa piuttosto
che questo. Il college, i palchi di Broadway, un grande matrimonio in
pompa magna, magari un paio di mostriciattoli capricciosi.
Di
certo, se poteva vederla, non era fiero di lei, né delle sue mani
sporche di sangue, tanto meno del suo cuore di pietra. Proprio lui
che di carezze non ne aveva mai risparmiate. Quanto le sarebbero
servite ora, col vuoto completo davanti e null'altro che sé stessa
da portar via, troppo spaventata per poter anche solo pensare di aver
sbagliato tutto, troppo vigliacca per ammettere di amare il figlio
del suo peggior nemico.
Non
voleva amarlo, davvero non voleva... Ma gli occhi di Joseph la
guardavano così, come fosse la creatura più bella e preziosa
dell'universo, cosi come solo suo padre era riuscito a farla sentire
quand'era bambina.
Aveva
bisogno di quegli occhi. Se davvero doveva affrontare l'ignoto sotto
forma di Robert Mancini e di un mondo in cui non aveva mai realmente
vissuto, allora aveva ancora bisogno di quegli occhi.
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Joseph
masticò i primi bocconi di libertà nella polvere di quella stanza
vuota, chiedendosi quanto tempo sarebbe passato prima di smettere di
sentire il suo profumo ovunque. Nemmeno si accorse che la porta gli
si apriva di nuovo alle spalle, riportando dentro la silenziosa
silhouette dei suoi problemi
“Joseph?”
Cara
pronunciò il suo nome con un filo di voce, aspettando immobile che
lui si voltasse. Davanti al suo visibile terrore, agli occhi lucidi e
all'imbarazzo di una bambina, Joseph trattenne l'esplosione nel suo
petto e sorrise
“Mi
piace quando dici il mio nome. Dovresti dirlo più spesso.”
Ma
lei non disse nulla, percorrendo a lunghi passi la distanza che li
separava. Gli afferrò il viso tra le mani e lo baciò, premendo le
labbra sulle sue ad occhi chiusi, dritta sulle punte. Le era mancata,
dio se quella bocca le era mancata, più dell'acqua nel deserto e
della sua stessa libertà.
Quando
si staccarono il sorriso di Joseph era ancora lì, vivo e genuino
come non l'aveva mai visto. I suoi denti, bianchi e perfetti,
brillavano allo stesso ritmo dei suoi splendidi occhi azzurri.
In
quel momento Cara ne fu certa. Era ancora capace di amare. Nonostante
il funerale dei suoi genitori, nonostante le dure lezioni di Robert,
la puzza del sangue ed i morti sul suo conto, era ancora capace di
amare.
Stavolta
fu lui a stringerla forte, cercando le sue labbra con delicatezza. Il
terrore non aveva ancora lasciato gli occhi di Cara, ma Joseph decise
che sarebbe riuscito a cacciarlo, accarezzando il suo viso come mai
prima gli era stato concesso. Con le stesse labbra le baciò le
guance, il naso, la fronte.
Le
ciglia di Cara si risollevarono, i suoi zigomi coloriti
dall'eccitazione e dalla paura. Il petto le andava su e giù senza
sosta, mentre le sue piccole mani attaccavano i bottoni della camicia
di Joseph. Lui seguì il tremore di quelle dita sottili, sentendosi
in fiamme al solo pensiero che presto l'avrebbero toccato.
Quando
i suoi occhi incontrarono quelle iridi blu, lucide e spaventate, il
suo cuore quasi si sciolse. Tremava, domandando silenziosamente il
suo aiuto. Il suo viso, come quello di una vergine, cercava di
nascondersi dietro i pochi strati di mascara.
E
davvero come una novellina si sentiva, lei che in vita sua non aveva
mai fatto l'amore con nessuno, nemmeno la prima volta, la sua
verginità venduta ad uno degli scagnozzi di Mancini per qualche
lezione extra.
Joseph
sorrise ancora, più bravo di lei a celare le proprie paure.
Baciandola di nuovo la spinse lentamente verso il letto, sollevando
ad ogni passo l'orlo del suo vestito. Più piano che poteva l'aiutò
ad alzare le braccia, cercando sul suo viso la più piccola smorfia
di dolore. Sollevato che non ve ne fossero gettò l'abito a terra,
prendendosi un secondo per apprezzare la bellezza di quel corpo, così
chiaro e perfetto per le sue mani. Le sue dita accarezzarono il
cerotto sul suo fianco destro, la certezza di averla persa per sempre
ancora cocente nel retro della sua mente.
Le
mani di Cara gli sfiorarono le spalle, prendendosi il tempo di
toccare davvero ogni centimetro della sua pelle, il liscio del suo
petto, la tensione dei suoi addominali. Accompagnò i suoi jeans
verso il pavimento ed attese che venisse fuori dagli stivali prima di
baciarlo di nuovo, ancora ed ancora, raccogliendo uno ad uno tutti i
baci che avrebbe portato con sé.
Il
letto e le mani erano esattamente gli stessi, ma ogni cosa suonava
diversa. Il corpo di Joseph che si muoveva sul suo pesava di più,
caldo e sicuro come una coperta d'inverno. Le sue labbra all'orecchio
non parlavano più, sospirando profondamente al suo stesso ritmo. Le
mani di Cara stringevano forte senza graffiare la schiena, i suoi
occhi chiusi ed il suo corpo nudo, abbandonato come mai prima.
Le
braccia di Joseph la strinsero contro il suo petto, le dita
intrecciate a quelle di lei. Cara poggiò l'orecchio sul suo cuore,
lasciandosi cullare da quel ritmo forsennato.
Il
rumore dell'amore.
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Quando
Joseph riaprì gli occhi, senza nemmeno bisogno di voltarsi dalla sua
parte, fu certo che lei non ci fosse più. Se n'era andata nel
silenzio, come sapeva fare dannatamente bene. Scostando le lenzuola
si tirò su, il ricordo della notte precedente ancora fresco addosso.
La
ragazzina dell'aereo era sua.
Indeciso
tra l'alzarsi subito o il restare a respirare il loro odore ancora un
po', quasi non si accorse del foglio perfettamente piegato che
riposava sull'altro cuscino. Immediatamente lo raccolse. La grafia di
Cara ne riempiva la metà, piccola ed armoniosa tra vocali
tondeggianti e le lettere sottili
“Quello
che ho detto ieri sera non è cambiato,
devo
ancora affrontare le conseguenze delle mie azioni.
Voglio
vivere prima di morire...
...preferibilmente
per mano tua.
Addio
PS.
Grazie per avermi salvato la vita”
E
di nuovo Joseph sorrise.
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