Capitolo
trentasei
Il
castello
Silye
si fermò a guardare con un'espressione interdetta Ashild,
che,
subito dopo aver pronunciato quella frase, si voltò verso di
lei e
la superò con aria apparentemente indifferente. Era ovvio
che
sapesse che la ladra l'avesse ascoltata, ma questo fatto non
sembrò
affatto interessarla, sebbene, dal modo in cui aveva detto quelle
poche parole, pareva che quelle rappresentassero qualcosa di molto
importante per lei.
Rivolse
un ultimo sguardo all'oste Edwin, che si era girato per tornare
dietro al bancone della locanda, per poi uscire e raggiungere i suoi
due compagni, che si erano fermati ad aspettarla poco fuori dal
locale.
«Silye,
muoviti. Dobbiamo riuscire ad entrare nel castello prima che sorga il
sole, tra qualche ora, e non possiamo sapere quanto tempo
impiegheremo nel liberarci delle sentinelle.»
«Lo
so bene» ribatté lei. All'improvviso la colse un
pensiero:
«Promettemi una cosa.»
«Quale?»
chiese Vidar, aggrottando le sopracciglia chiare.
«Non
ucciderete nessuna guardia reale.»
«Sei
diventata matta? Sono soldati esperti. Se non lo faremo noi, saranno
loro ad ucciderci» proruppe Ashild, rivolgendole uno sguardo
interdetto.
«Questo
è l'unico favore che vi chiedo. Nelle ultime settimane la
mia vita è
stata in balìa del destino e del volere di altre persone.
Stavolta
voglio agire a modo mio ed evitare che avvenga la stessa cosa
accaduta nel Døkkr
Vargr»
ribatté Silye, determinata a convincerli. «I Liði
saranno anche dei soldati addestrati, ma non meritano di morire solo
perché sono al servizio del re per ottenere qualche denaro
con cui
vivere.»
«Ci
farai uccidere tutti quanti» sibilò Ashild, che
evidentemente non
condivideva il suo punto di vista.
«Va
bene» intervenne Vidar, sorprendendo entrambe le ragazze.
«Faremo
come dici. Ci limiteremo a stordire i Liði,
senza arrivare ad ammazzarli.»
«Non
avrai davvero intenzione di darle retta!» esclamò
la guerriera,
guardandolo in cagnesco.
«Ha
ragione. Quegli uomini non meritano la morte.»
«D'accordo,
voi fate come volete. Io, invece, agirò a modo
mio.»
Ashild
non diede nemmeno loro il tempo di controbattere, che si
girò e
riprese il cammino verso il palazzo. Dopo un momento di silenzio,
Silye e Vidar la raggiunsero.
Di
notte le vie della capitale erano poco meno affollate del giorno;
sebbene la maggior parte del popolo si trovava chiusa in casa a
dormire, tante erano le persone, sia nobili, sia di basso rango, che
uscivano per andare a bere, a giocare d'azzardo o a trascorrere
qualche ora con una o più prostitute.
Le
torri del castello erano visibili in ogni parte e vicolo della
città,
anche quando l'intera struttura era parzialmente o quasi tutta
coperta dalla moltitudine di abitazioni di Gudir. La notte regalava
all'edificio un'aria tetra, creata dal gioco di ombre che si veniva a
creare con la poca luce proveniente dalla luna, anche se offuscata
dalle nuvole, e dalle fiaccole. Svoltarono l'ultimo angolo e si
ritrovarono di fronte all'immenso palazzo. Proprio come Ashild aveva
loro detto, vi era solo un unico grande portone che dava al cortile
interno del castello, difeso da due Liði,
vestiti nelle loro usuali armature nere.
«Iniziavo
a credere che non avrei più rivisto questo posto
infernale»
sussurrò la guerriera, ma le parole giunsero ugualmente alle
orecchie di Silye, che le stava accanto. «Mi ero ripromessa
di non
mettervi più piede dentro, ma prima o poi tutti dobbiamo
combattere
i mostri del nostro passato.»
«Già...»
assentì l'altra. In fondo, anche lei stava andando incontro
al suo
passato e a quello che aveva sempre identificato come il suo maggiore
nemico dopo la morte del padre.
«Andremo
là insieme, ma il primo a parlare e ad agire sarà
Vidar, intesi?
Tra di noi è sicuramente il meno riconoscibile.»
«Perché
non io? Ho una certa esperienza nel raggirare i Liði»
domandò Silye. Iniziava a sentire la stessa sensazione di
adrenalina
che le percorreva le vene quando sceglieva la sua vittima da
derubare. I suoi piedi e le sue mani fremenano perché
cominciassero
il prima possibile a muoversi. Desiderava l'azione.
«Tesoro,
ti sei mai specchiata? Con quei capelli, anche sul più
lontano e
sperduto dei ghiacciai Kala riuscirebbero a riconoscerti» la
zittì
Ashild, rivolgendole uno sguardo che non ammetteva repliche.
La
ladra fu tentata di risponderle per le rime, ma non le sembravano le
circostanze adatte per iniziare una lite; poteva solo fidarsi della
decisione della ragazza e sperare che tutto sarebbe filato liscio.
Si
posizionò meglio il cappuccio in modo che quasi tutte le
ciocche
fossero nascoste all'interno e, quando posò di sfuggita lo
sguardo
su Vidar, si accorse che anche lui la stava guardando.
«Pronta?»
mormorò.
Affatto.
Il loro piano era audace, pericoloso. Una mossa sbagliata e avrebbero
messo in allarme l'intero castello; e allora non avrebbero
più avuto
l'opportunità di incontrare il re e di avvalersi
dell'effetto
sorpresa. Però, doveva rimanere positiva e pensare che ce
l'avrebbero fatta. Annuì a Vidar, prima che si avviassero
verso la
porta delle mura.
Come
le guardie li avvistarono da lontano, sguainarono le spade e attesero
che si ponessero maggiormente alla loro vista. Se avessero fatto
rumore, avrebbero fatto scattare i soldati che dall'alto delle
torrette in quel momento osservavano ogni loro movimento.
Silye
sentì il proprio respiro accelerare sempre più
man mano che le mura
del castello si facevano più vicine, ma cercò di
controllarlo per
non darlo a vedere ad Ashild, che accanto a lei appariva tranquilla
come sempre. Non poteva sapere se quella era solo una maschera o era
davvero così calma, ma certamente, se lei si fosse trovata
al suo
posto e nelle sue condizioni, non si sarebbe comportata con la sua
stessa apparente imperturbabilità.
«Mostrate
i vostri volti» disse una delle guardie, prendendo una
fiaccola dal
supporto affisso alla parete delle mura, per poterli osservare
più
chiaramente anche in mezzo a quel fitto buio. «Identificatevi
ed
esplicitate quali sono le vostre intenzioni.»
«Vorremmo
entrare nel castello» affermò Vidar, ma senza
scoprirsi. Questo
loro atteggiamento avrebbe iniziato a far insospettire le sentinelle
e dovevano affrettarsi se volevano arrivare al Konungr prima che
fosse troppo tardi.
«Non
così in fretta. Scopritevi» ingiunse l'altra
guardia, con una voce
più profonda e adulta di quella che aveva prima parlato loro.
Vidar
stavolta non diede loro alcuna risposta, ma passò
direttamente
all'azione. Sferrò un pugno alla prima guardia, facendole
colpire le
mura di pietra. Quello sbatté la testa e si
accasciò a terra,
incosciente.
Senza
dare il tempo all'altra sentinella di chiamare altre sentinelle,
Ashild sfoderò un coltello e gli tagliò la gola
quando era troppo
preso a guardare il compagno.
Silye
lanciò uno sguardo rabbioso alla principessa, che, dopo aver
trascinato il corpo più vicino alla porta di legno,
pulì il pugnale
dal sangue sulla gamba.
«Ti
avevo già avvertita» sussurrò la
bionda, «che non avevo
intenzione di rispettare la tua stupida condizione.»
La
ladra guardò per un'ultima volta il cadavere del guerriero.
Per
fortuna il tutto era avvenuto nella rientranza delle mura,
cosicché
i Liði
che si trovavano sulle torrette non avevano potuto vederli.
«Questa
porta non è serrata. Quella per entrare nel castello,
invece, lo è.
Ma noi non passeremo dalla principale. Seguite me.»
Detto
questo, Ashild girò la maniglia e aprì la porta,
quanto bastava per
farli passare uno ad uno. «Appiattitevi alle mura»
mormorò lei.
Strisciarono
sulle pareti fin quando non arrivarono all'altro lato delle mura e la
ragazza non fece loro segno di fermarsi. Indicò la parte del
castello che avevano di fronte. «L'entrata è qui
davanti. Dovremo
correre per attraversare il cortile senza farci vedere dalle
sentinelle.»
Con
un po' di fortuna e aiutati dal buio, sarebbero riusciti a non farsi
scoprire. Vidar non avrebbe avuto problemi grazie alle sue doti
insegnategli dagli elfi, mentre lei era stata istruita da suo padre a
muoversi il più silenziosamente possibile; ce l'avrebbero
potuta
fare. «Adesso» sussurrò Ashild, poco
prima di partire.
La
guerriera fu la prima a toccare le pareti del castello, seguita da
Vidar, che si mosse veloce come un lupo. Lei cercò di
correre il più
agilmente possibile, ma qualcosa dovette tradirla, perché
all'improvviso sentì levarsi una voce dalla distante
torretta. Le
sembrò di sentire gridare la parola
«intrusi», ma lei si
constrinse a rimanere concentrata sulla sua corsa, anziché
su ciò
che accadeva a qualche chilometro da lei.
Finalmente
le sue mani entrarono a contatto con le mura di pietra del palazzo e,
quando si girò verso gli altri, udì Ashild
mormorare, mentre
tastava le piccole fessure tra i blocchi di pietra: «Non
trovo la
chiave. Di solito la nascondevo qui da piccola.»
«Sbrigati.
Ci hanno scoperti» la incitò Vidar. Dietro di
loro, le voci si
erano fatte più forti e frenetiche.
«Eccola!»
esultò la principessa, proprio nel momento in cui uno dei
soldati
scagliava contro di loro una freccia, che fortunatamente li
mancò,
andando a colpire la parete. Quindi Ashild si affrettò ad
inserirla
nel chiavistello.
«Non
so se l'hai notato, ma ci stanno attaccando»
affermò Silye,
guardando con apprensione la torretta da cui era stata lanciata la
prima freccia. Altri arcieri, molto più numerosi, si stavano
preparando a scoccarne altrettante.
Finalmente
la porta si aprì e i tre vi entrarono, proprio quando le
freccie
vennero scagliate. Una di esse colpì di striscio la spalla
di Silye,
strappandole solo leggermente la stoffa del mantello e senza
lasciarle ferite di alcun tipo. Si ritrovarono in un corridoio buio,
dalle pareti di pietra come il resto del castello e tenuemente
illuminato da qualche torcia.
Vidar
richiuse prontamente la porta, pur sapendo che quello non sarebbe
bastato a fermare i soldati reali. «Mostraci la strada,
principessa.»
Al
sentire quell'ultima parola, Ashild si voltò verso di lui,
un'espressione dura e minacciosa in volto. «Non chiamarmi mai
più
in quel modo» sibilò. «La principessa di
Midgardr è morta nel
momento stesso in cui ho messo piede fuori da questo posto e sono
scappata.»
La
ragazza si incamminò lungo il corridoio e Silye si
affrettò a
raggiungerla. Era da quando erano usciti dalla locanda che moriva
dalla voglia di farle quella domanda e, sebbene sapesse che quello
non fosse il momento migliore per una chiacchierata, decise di porla
lo stesso. «Cosa intendevi quando hai detto quella frase
all'oste?
Giungerà
l'ora in cui...»
La
ladra si interruppe, non ricordando bene il nome che lei aveva
pronunciato, e Ashild concluse la frase per lei: «...Crimilde
reclamerà la sua vendetta. È
una sorta di segno di riconoscimento.»
Poi aggiunse:
«Forse
più
di avvertimento.»
«Avvertimento
per chi?»
«Per
il Konungr.» Ashild si azzittì non appena si
sentirono dei passi
risuonare lungo il corridoio. I tre si appiattirono lungo la parete
e, quando due guardie sbucarono all'angolo, li attaccarono. La
guerriera piantò la spada sul petto di uno di loro,
tappandogli la
bocca in modo che non potesse richiamare l'attenzione di altri
soldati urlando. Vidar, invece, si occupò dell'altro,
colpendolo
alla testa con il manico del pugnale che Ashild gli aveva prestato,
in maniera talmente forte e precisa che quello stramazzò
immediatamente a terra.
«E
chi è Crimilde? Perché vuole vendetta?»
chiese Silye, mentre
Ashild recuperava la spada.
«Una
donna mitologica, anche detta Gudrun. E aveva le sue buone ragioni
per volerla, come me» disse, senza scendere nei dettagli.
Nonostante
Silye si fosse incuriosita molto da quella faccenda e da quell'ultimo
nome, che ricordava di aver già sentito da qualche parte,
capì che
quello non era il momento adatto per parlarne. Avrebbe chiesto di
più
una volta usciti di lì; ora doveva concentrarsi sul Konungr
e sulla
missione di Vidar.
Quindi
Ashild, avvertendoli di camminare sempre rasenti la parete, li
guidò
lungo una rampa di scale, che li condusse ad un altro corridoio, ma
stavolta più ampio, segno che erano entrati nel castello
vero e
proprio, dove si muovevano il re, la sua famiglia, i suoi funzionari
e altri importanti e ricchi ospiti. Nella parte inferiore, invece,
come la guerriera aveva loro attentamente spiegato, vi erano le
segrete, l'armeria e i locali dei servi.
Da
allora in poi avrebbero dovuto fare maggiore attenzione,
perché vi
sarebbe stata maggiore possibilità di incorrere in Liði
in ricognizione nei vari corridoi e stanze del palazzo.
Dovettero
attraversare diversi saloni e percorrere altrettante rampe di scale
prima di raggiungere il piano in cui si trovava la stanza del re e
non senza difficoltà. Avevano incontrato numerose guardie,
ma
stavolta avevano cercato di superarle senza attaccarle direttamente,
perché lì vi sarebbe stata maggiore
probabilità di richiamare
l'attenzione di altre sentinelle e farsi scoprire. Però,
più il
tempo passava, più il numero di Liði aumentava,
segno che dovevano
stare tutti all'erta ed essere stati avverti della loro presenza.
Dovevano affrettarsi prima che andassero ad informare anche il
Konungr.
Le
stanze reali si trovavano al secondo piano, quello più
elevato,
mentre al primo vi erano le camere degli ospiti e al piano terra le
cucine, la sala del trono, da ballo e da pranzo e lo studio dove il
re si ritirava per discutere con i suoi funzionari e più
stretti
confidenti sulle condizioni del regno.
Camminarono
nel silenzio più totale sul pavimento coperto da un lussuoso
tappeto
rosso, posto sulle ampie scale a ricoprire il marmo di cui esse erano
composte. Arrivati al piano superiore, sentirono delle voci e suoni
di passi sul lungo corridoio in cui sbucarono. Trovandosi lì
il re,
quello doveva essere il punto del castello più controllato
dai Liði.
Percorsero
l'intero corridoio e, una volta raggiunto l'angolo, Ashild fu l'unica
ad affacciarsi per vedere quanti fossero i soldati posti a presidio
della camera reale. Poi la guerriera, dopo essersene accertata, si
tirò indietro e si voltò verso di loro,
mormorando: «Sei.»
Grandioso.
Due per ognuno. Silye
dovette reprimere un sospiro esasperato. Avevano già saputo
sin
dall'inizio che quell'impresa non sarebbe stata affatto facile, ma il
pensiero che ancora sei uomini la separassero dall'uomo che aveva
firmato la condanna di suo padre la innervosiva oltre ogni dire. Alla
fine, però, si costrinse ad annuire ed attendere
pazientemente il
segnale di Ashild.
Quindi,
le labbra della guerriera scandirono la parola Ora,
senza pronunciarla ad alta voce. Come quelle si richiusero, i tre si
mossero simultaneamente e con precisa rapidità, sguainando
le loro
armi e cogliendo così del tutto alla sprovvista le guardie.
All'improvviso
Silye si pentì di non aver portato con sé il suo
arco e le freccie,
al posto del misero pugnale che usava a caccia. Quello non le sarebbe
servito a granché, in confronto alle spade dei Liði,
ben più addestrati e abili di lei. Soprattutto dal momento
che lei
non aveva alcuna intenzione di uccidere nessuno di quegli uomini, al
contrario di quelle che erano le loro intenzioni. Poteva solo
confidare nella bravura di Ashild e Vidar.
Questi
ultimi, infatti, si erano subito scagliati contro il gruppo di
soldati. Il dio aveva già mandato a terra uno di loro,
aggirando la
sua difesa e facendolo cadere con un calcio. Ashild, nel frattempo,
se la stava vedendo con due Liði insieme, parando agilmente i
loro
attacchi.
Silye
fu costretta a smettere di guardare i suoi compagni per focalizzarsi
sull'uomo che le si era parato davanti e che stava tirando fuori la
sua spada proprio in quel momento.
«Ragazzina,
con quello non ci farai niente» sghignazzò,
scoprendo i denti
gialli e avvicinandosi minacciosamente a lei.
Silye
non rispose, perché già sapeva che qualsiasi
parola sarebbe stata
inutile: quel soldato aveva ragione. A cosa le serviva un pugnale, in
confronto ad una spada?
L'uomo
non le diede nemmeno il tempo di formulare quel pensiero che prese ad
agitare l'arma, provando a tirarle un fendente, che Silye
riuscì ad
evitare indietreggiando. C'era un unico modo che le avrebbe permesso
di uscire indenne da quello scontro.
Quindi
il soldato, continuando a ridere, tentò un affondo. La
ladra,
spostandosi di lato, colse subito l'opportunità datale dalla
guardia
lasciata scoperta al termine del movimento compiuto dall'uomo e
lanciò con tutta la forza che aveva nel braccio il pugnale.
Quello
si andò a conficcare precisamente sul suo fianco destro. La
ferita
non sarebbe arrivata ad ucciderlo, ma l'emorragia provocata dal
profondo taglio l'avrebbe certamente indebolito. L'unico problema era
che, per arrivare a stancarlo a tal punto da non essere più
in grado
di attaccarla, doveva colpirlo in molteplici zone, senza,
però,
arrivare a infliggergli ferite mortali. Per fare ciò,
avrebbe dovuto
prima estrarre e recuperare il pugnale e non sarebbe stato facile
avvicinarsi tanto all'uomo, ancora perfettamente in grado di
difendersi.
«Credevi
di potermi uccidermi? Dovresti migliorare la mira» disse
quello,
senza emettere nemmeno un lamento. Le uniche cose che si era limitato
a fare erano state trasalire e guardarsi la ferita.
«La
mia mira non ha nessun problema» ribatté Silye,
mettendosi in
posizione di difesa. Ora, però, era disarmata e la ferita al
fianco
non sembrava procurare alcun fastidio al soldato. Dovevano essere
addestrati alla sopportazione del dolore, oltre che all'ordine,
all'obbedienza e all'uso delle armi.
Quello
fece per ripartire all'attacco, quando la lama di un coltello
spuntò
al centro del suo petto, per poi sparire di nuovo, come risucchiata.
La guardia si guardò il torace in uno stato di confusione,
quasi non
capisse cosa fosse accaduto. Vi portò una mano e in poco se
la
ritrovò coperta dal sangue che colava dall'ampia ferita. Un
attimo
dopo perse l'equilibrio e cadde a terra.
Dietro
di lui apparve Vidar, con in mano il pugnale ormai completamente
rosso del sangue del soldato. L'aveva ucciso. Me
l'avevi promesso.
Forse
Silye doveva avere scritta in faccia la delusione che provava,
perché, come se il dio fosse riuscito a leggerla nel
pensiero, le
disse: «Mi dispiace, ma ho dovuto farlo. Preferivo morisse
lui al
posto tuo, perché, credimi, lui non ci avrebbe pensato due
volte
prima di ucciderti.»
Silye
aprì la bocca per dire qualcosa, - o forse per non dire
nulla, ma
questo non l'avrebbe mai potuto sapere -, quando la porta della
camera del re si aprì di scatto.
L'uomo
che si mostrò era proprio il Konungr in persona; e non era
solo. Ai
suoi fianchi vi erano due creature. Queste erano a metà tra
segugi e
lupi, per le loro dimensioni, ben più grandi di quelle di
normali
cani, e i denti aguzzi che entrambi avevano scoperto mentre
ringhiavano loro contro.
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