Zabimaru (io ululo alle stelle)
Faceva
caldo, e la sua anima era un gran casino. Me lo ricordo nitidamente, del giorno
in cui lo incontrai. Mi ringhiò contro, ma io lo costrinsi subito a darsi una
calmata, e così finimmo con lo studiarci per ore, odorarci, sospesi in quel
cumulo amazzonico di idiotici ideali e certezze di adolescente che animavano la
sua testa calda.
Scimmia
Gli ero
di gran lunga superiore, e sarei stata pronta a dimostrarglielo, ma lui si fidò
del suo istinto e mi offrì il ventre in segno di pace. Non potevo davvero non
prenderlo in simpatia, era solo un cucciolo rognoso che si atteggiava a
capobranco di sé stesso e della sua ombra. Il giorno in cui accettò di farsi
addomesticare da ordini e catene, fu il giorno in cui anch’io mi trasformai in
una bestia ammaestrata, un’acrobata da circo, stupenda da vedere, ma poi, in
sostanza… Quel brutto muso che si ritrova si addolciva troppo spesso con le
persone, alle quali si affeziona in modo tutto suo, sanguigno e talvolta
diffidente, ma sempre, sempre rumoroso.
Cane
Proprio
come un cane, i padroni lo hanno reso debole.
Gli amici
che ha sono quelli che si porta dietro da anni, quelli che non sono morti,
perché non è capace di lasciarsi alle spalle nessuno. Contrae con chiunque una
forma di debito d’onore, “la tua mano in cambio della mia spada”, ed è con
questo algoritmo in mente che è andato avanti fino ad oggi, certo di lottare
per qualcosa di ben chiaro. Ma io so. So com’è arrivato ad artigliare il più
grande potere fin dentro alle mie viscere. So a cosa stava pensando. Sul suo
cammino si sono parati all’improvviso due limpidi occhi d’aquila, e per quanto
forte lui gli abbaiasse contro, per quanto in alto si sforzasse di saltare,
l’aquila volava via verso le nuvole, talmente in alto che lui ha finito con lo
scambiarla per una stella.
Renji.
Mi
piaci perché mi hai accolto senza fare domande, come io ho accolto te.
Dopotutto non mi hai mai dato veramente ascolto, e la tua ossessione ha finito
con il diventare anche la mia. Ma mi piace, mi piace così: è un modo come un
altro per scacciare la noia. A lei vuoi bene, a quella fanciullina là, tutta
bianca. Ed ai tuoi compagni, che assieme a te hanno camminato lungo la strada
per giungere fin qui. Mi hai levata spesso in loro difesa. Uno di loro ti ha
addirittura spaccato dentro.
Ma
quell’uomo è ben altro, e tu lo sai.
La
sua luce nitida e triste è quella che rincorri con veemenza, quella a cui
uggioli e latri senza sosta, per ricavarne niente, in fin dei conti, solo che
ti guardi e ti benedica per un istante.
È
quello che vuoi, Renji. Più di ogni altra cosa al mondo, e non sarò io a
disilluderti.
-
Ulula, Zabimaru! –
Ti
sei mai chiesto, Abarai Renji, perché la tua Zampakuto somigli ad un serpente
senza spina dorsale?
ANGOLINO!
Sono in preda a gocce di
cioccolato, perciò, ecco, argh. Farò il possibile perché le note abbiano un
senso.
NOTE: allora. Questo capitolo potrebbe a prima vista
contraddire i miei buoni propositi in quanto a shonen-ai. Lo so, lo so. Ma
vorrei spiegare perché non credo sia così. Punto primo, nel momento in cui
Renji si trova faccia a faccia con Byakuya, lo elegge a sua ossessione
personale. Lo dice Kubo sensei, non io. È sbagliato pensare che Rukia passi in
secondo piano, naturalmente, solo che il suo confronto con Byakuya si svolge su
un piano completamente diverso e, questo sì mi permetto di dirlo, superiore.
Detto questo, Zabimaru mi ha
impegnata non poco. Perché da un punto di vista prettamente visuale, potrebbe
essere la cosa più solida e ossea del mondo, ed allo stesso tempo una
creatura tutta spezzata, che non sta insieme, che va in pezzi, un po’ come
Senbonzakura. Una spina dorsale che, perdonatemi l’immagine orrenda, viene
sparacchiata in ogni direzione come fosse fatta di tanti frisbee, non è una
vera spina dorsale. E non è che Renji dimostri di avere molta spina dorsale.