01
Il
mangiatore di sogni
|| 01 - il primo caso
||
« Seidou!
» sua madre irruppe nella sua stanza senza neanche bussare,
un'espressione afflitta sul viso. « Quando andrai a
presentarti
ai nostri vicini? Non puoi passare tutta la giornata qui dentro.
»
Sì che
posso, tacque il
pensiero il ragazzo. Con le dita tamburellò il proprio
nervosismo sulle pagine del libro aperto davanti a sé.
«
Mamma, non
vedi che sto studiando? »
«
Ma il
signor Nakano Isao
è così gentile, e ha un figlio della tua
età. E
poi è un uomo geniale! Ha lavorato in un settore importante
in
passato, facendo grandi scoperte. Quando gli ho raccontato di te e dei
tuoi studi infatti è rimasto molto impressionato e si
è
complimentato. Tu e tua sorella vi state comportando proprio da
maleducati. »
Sbuffò,
consapevole che sua madre sarebbe uscita difficilmente senza ottenere
quel che voleva.
«
Andrò questo
pomeriggio, okay? » la rassicurò e lo fece
davvero,
sprecò un'ora del suo pomeriggio per andare a chiacchierare
con
questo nuovo vicino di cui i suoi genitori si erano invaghiti. Per
quanto il signor Nakano fosse davvero simpatico, si promise –
e
giurò a sua madre – che una volta tornato a casa
non
avrebbe più tollerato altre interruzioni durante il suo
studio.
Mancava
un solo mese
all'esame
finale e questo, nonostante tutte le volte in cui l'avesse ribadito,
pareva non averlo capito nessuno nella sua famiglia. Seidou Takizawa,
al suo penultimo anno all'Accademia di Investigatori di Ghoul, vedeva
il suo obbiettivo sempre più tangibile: sarebbe diventato il
primo della classe, e professori e compagni avrebbero scoperto quanto
valesse davvero. Per questo motivo la prima settimana di studio si era
barricato in casa, trascorrendo le ore chino sui libri, passeggiando
per la sua stanza a ripetere ad alta voce, e ignorando l'idea che il
sole primaverile là fuori esistesse ancora e splendesse
anche
per lui.
Non
avrebbe
più assaggiato
il gusto amaro della sconfitta. Soprattutto, non avrebbe visto quel
nome scritto sopra il suo durante lo sfoggio dei risultati, a
ricordargli come una nenia fastidiosa – bisbigliata
all'orecchio
con perfidia – che lui era l'eterno secondo. No, questa volta
le
cose sarebbero andate diversamente: lui avrebbe ottenuto il podio che
bramava, e Akira Mado – che se l'era sempre cavata battendolo
per
qualche millesimo di punto in più – sarebbe stata
al
secondo gradino, laddove meritava d'essere.
“Porta il
cane fuori.”
Ecco, di nuovo: queste erano il genere di scuse che gli rifilavano per
obbligarlo a uscire di casa. Era vero che stava esagerando, che non
aveva motivo di rinunciare all'aria per una semplice soddisfazione a
livello di studio, ma a lui non importava. Se solo l'avesse capito
anche la gente che lo circondava! E invece no, Seidou fai quello,
Seidou fai quell'altro; così, all'infinito.
Uscì
e
aspettò
svogliato che Rocky facesse quel che doveva fare, lanciando un'occhiata
esausta al cielo trapunto di stelle.
Il
loro quartiere era
silenzioso,
quieto, eppure lui era convinto che non fosse sempre stato
così.
Un tempo, quando era ancora piccolo, camminava per quelle vie con altri
suoi coetanei per giocare e divertirsi. Tutto prima
dell'“incidente”. Dopo che una loro vicina di casa
era
stata vittima di un ghoul la zona si era di colpo rabbuiata. I bambini
non avevano più attraversato quelle strade, privandole delle
loro gaie risate, e gli adulti avevano preso a spiare da dietro le
pesanti tende alla ricerca di chissà cosa. C'era stato chi
si
era trasferito, chi caparbio aveva negato l'esistenza dei ghoul, chi
come la sua mamma era rimasto turbato e intimorito. E poi c'era stato
lui, che si era accorto che qualcosa non andava in quel mondo e che
avrebbe voluto dare il suo contributo per migliorarlo.
Camminò
con
gli occhi bassi,
lasciandosi trascinare passivo dal suo animale domestico. Questo
finché Rocky non cominciò di botto a correre,
strattonando il guinzaglio così forte da far barcollare
Seidou
in avanti. Lui soffocò un urlo, accigliandosi, poi
incrociò quel che era divenuto l'oggetto d'interesse del suo
inseparabile amico. Sarà stato un gatto o una lucertola,
pensò prima che notasse una sagoma umana ergersi
nell'oscurità.
Deglutì.
In
un quartiere come il suo la gente non usciva più dopo un
certo orario.
Gli
balenò
il pensiero
d'indagare più a fondo, per scoprire chi potesse essere il
misterioso individuo, ma lo scacciò in un batter d'occhio.
Sicuramente, si disse, non era nessuno per cui temere per
l'incolumità delle persone a lui care. Si diede dello
stupido
per aver anche solo ipotizzato delle teorie simili, dettate da ansie
infondate. Strattonò il guinzaglio e fece per tornare sulla
via
di casa.
Fece
il primo passo,
fece il
secondo; poi si bloccò. Un brivido gli percorse la schiena
come
se un'ombra aleggiasse alle sue spalle, e una spiacevole realizzazione
che aveva tentato d’ignorare si concretizzò: era
spaventato, per questo non aveva osato avvicinarsi. Si
vergognò
di se stesso e delle sue sciocche preoccupazioni. Che modo c'era di
scoprire se quello laggiù fosse un malintenzionato, se non
che
andando a dare un'occhiata personalmente? Deglutì e
disseppellì il coraggio sepolto in lui, poi, con flemma,
girò il capo nella direzione di prima. Non c'era
più
niente.
Restò
per
qualche attimo a
fissare quel punto con occhi vacui. Si era immaginato tutto: la notte,
le ombre rilasciate dai muri di cinta degli appartamenti, e le ore di
sonno che si era sottratto per studiare gli avevano giocato un brutto
scherzo. Rise di se stesso e riprese la via verso casa con
serenità.
Stava
per svoltare
all'angolo di
una stradina minore, seguendo il perimetro delle abitazioni, quando si
ritrovò davvero una figura umana davanti, e 'sta volta a
soli
due centimetri da sé. Non ebbe il tempo di urlare e correre
nella direzione opposta che la bocca gli venne tappata e lui fu
trascinato indietro.
Takizawa,
gli occhi
sbarrati e il
sudore a imperlargli la fronte, tentò di riprendere a
respirare
regolarmente per riflettere sul da farsi. Si era immobilizzato per lo
spavento, e si era accorto solo ora che la presa che lo stringeva non
era poi così forte – anzi, tutt'altro. Le mani
sulle sue
labbra erano state celeri, pronte, ma non brutali e ora si levavano dal
suo viso con una delicatezza disarmante.
«
Calmati,
sono io. »
Riuscì in breve a riconoscere la voce del suo sequestratore.
« Quando ti ho visto arrivare immaginavo che avresti urlato e
ti
saresti spaventato, ma non credevo tanto. »
Stava
ancora
respirando ansante,
mentre i tasselli di un puzzle complicato provavano a incastrarsi nella
sua mente. Che ci faceva Akira lì?
«
Ti
è dato di volta
il cervello?! » riuscì solo a urlare, aggrottando
la
fronte. La ragazza si portò immediatamente l'indice sulle
labbra, facendogli segno di zittirsi.
«
Non urlare
così, ti
sentirà » lo intimò, prima di spingerlo
di lato per
sbirciare al di là del muretto.
Quella
situazione era
bizzarra
all'inverosimile: non poteva credere d'essersi spaventato per via
dell'ombra di Akira! Ma poi, che ci faceva lei nel suo quartiere?
«
Cosa
diamine ci fai qui? » sbottò, cercando la sua
attenzione.
«
Cosa ci
fai tu qui »
ribatté atona. Era come se non lo stesse ascoltando,
concentrata
da tutt'altra parte: gli occhi vigili, le labbra serrate.
«
Io ci vivo
qui. »
«
Capisco.
» Se solo
quella ragazza lo avesse preso un po' in considerazione,
anziché
fuggire dalla conversazione in quel modo!
Akira
assottigliò lo sguardo
e le sue ciglia brillarono sotto la luce artificiale dei lampioni.
Notare dettagli insulsi come quello fu ciò che
restò da
fare a Seidou, conscio che parlarle fosse impossibile.
«
È stato stupido da
parte tua uscire con il cane. I ghoul, a differenza nostra, hanno un
olfatto sopraffino. È una lezione basilare; no, Takizawa?
»
Lui
roteò
gli occhi, infastidito. Che c’entravano ora i ghoul?
«
Sono
stanco di te e delle
tue stupidaggini. Sai una cosa? Non mi importa neanche
perché tu
sia venuta qui nel mio quartiere, anzi è meglio che io non
lo
sappia, perché probabilmente mi arrabbierei solo di
più.
» Le sue parole andavano via col vento, non arrivando nemmeno
a
sfiorare i lobi di Akira. Questo lo irritò di
più, ma
proseguì con il suo monologo: « me ne torno a
casa, e
farò qualcosa di utile al contrar- ».
«
Viene di
qua! » Akira
sussultò, afferrò il polso di Takizawa e
iniziò a
correre verso una meta sconosciuta. Lui, sebbene continuasse a ripetere
lamenti e disapprovazioni a oltranza, si lasciò trascinare
dalla
sua rivale. Si ritrovarono presto ben lontani dal quartiere stesso, in
un qualche parco giochi.
Era
un’area
dedita al
divertimento dei bambini, dai colori sgargianti e con giochi zoomorfi.
Tuttavia, essendo quasi notte fonda, le foglie degli alberi che
producevano un debole fruscio e l'altalena sospinta dal vento, con le
catene arrugginite che cigolavano, facevano sì che persino
quel
luogo risultasse inquietante. O forse era solo un'impressione, il
brutto di trovarsi in una situazione della quale stava capendo poco e
niente. Con una ragazza che, o aveva ereditato la pazzia del padre
– non c'erano termini più gentili per descrivere
Kureo
Mado –, o li aveva appena fatti scappare da qualcosa di
reale.
Deglutì, lo struggeva non poterne sapere di più.
«
Dovremo
essere al sicuro
qui, purtroppo temo che se ne sia accorto. » Akira si
rivolgeva
più a un interlocutore invisibile che a lui,
perché da
quando si erano incontrati non lo aveva degnato di uno sguardo neanche
per sbaglio. I suoi occhi glaciali si spostarono su Rocky. «
Ha
contribuito a farci scoprire, ma pazienza »
sospirò e si
passò una mano tra i lunghi capelli con disinvoltura.
«
Ora mi
spieghi cosa sta
succedendo? » inveì Seidou. Lei parve accorgersi
della sua
presenza solo in quel momento.
«
Ah
» disse. «
Già, tu vivi qua » continuò, portandosi
pollice e
indice sul mento. Sembrò riflettere a lungo su qualcosa, poi
sospirò.
«
Non ha
importanza,
Takizawa. Torna a casa. » Si strinse nelle spalle e
cominciò a camminare, allontanandosi dal parco.
Lui
strabuzzò gli occhi.
Com'era possibile che, dopo minuti interi che lo aveva trattenuto
lì, se ne uscisse così?
«
Scherzi,
vero? » le
urlò dietro, ma fu ignorato. Richiamò il suo nome
più di una volta, ma non ottenne nulla. Akira
continuò il
suo cammino senza voltarsi e lui, totalmente inebetito e adirato,
rimase lì a fissarla mentre svaniva nell'oscurità.
-
—∞— -
« Te
l'ho già detto » cominciò svogliato,
sorseggiando
il proprio caffè tra una frase e l'altra. « I tuoi
capelli
sono perfetti così, non hai bisogno di tingerli. »
Seina,
con i gomiti
puntati sul
tavolino tondo e bianco del bar, alzò fulminea lo sguardo
dalla
rivista che stava sfogliando. Aggrottò le sopracciglia,
contrariata. « Eh? Ma com'è che non capisci
niente?!
»
Seidou
levò
gli occhi al
cielo. Quel bar a Shinagawa gli era sempre piaciuto, con quel pizzico
di eleganza e tranquillità che vi regnava, eppure essere
lì con sua sorella non era che una di quelle uscite forzate
e
sgradite. E, purtroppo, anche inevitabili, dato che lei doveva vedersi
con delle compagne e aveva insistito affinché lui
l'accompagnasse al punto d'incontro. Seidou aveva sperato che la
faccenda richiedesse poco, e invece erano lì da svariati
minuti
ormai: lei che sfogliava uno dei tanti giornaletti sulla moda a cui era
abbonata, lui ad annoiarsi e a riflettere sul paragrafo che avrebbe
dovuto studiare. Il tutto perché le amiche avrebbero
ritardato.
La
porta d'ingresso si
aprì
tintinnando per l'ennesima volta, infrangendo le sue speranze che
fossero finalmente arrivate e lasciandolo attonito. Gli andò
di
traverso il caffè a quella vista, e si ritrovò a
tossire
sotto lo sguardo disgustato di sua sorella.
Akira
Mado, di nuovo.
Com'era possibile?
C'era
qualcosa di
assurdo
nell'incontrare la persona che meno sopportava ogni volta che metteva
piede fuori di casa. Erano giusto passati quattro giorni dal loro
ultimo e singolare incontro.
Akira
non gli rivolse
neanche uno
sguardo, forse non l'aveva visto. Era lì con la sua
peculiare
espressione seria, i capelli raccolti di lato in una treccia e un
vestitino blu. Si sedette da sola e quando un cameriere le si
avvicinò lo cacciò via con un gesto della mano.
«
È carina. » Il commento di sua sorella lo fece
trasalire. « Hai una cotta per lei? »
Le
sue guance si
imporporarono
senza che potesse capire il perché. Sì, Akira
Mado era
carina, ma la bellezza non cambiava quanto fosse insopportabile. Lui
non avrebbe mai potuto provare qualcosa per lei.
Seina
ridacchiò civettuola. « Dovresti andare a
parlarle. »
Seidou
allentò il colletto
della camicia che sembrava improvvisamente troppo stretto, soffocante.
Sarebbe andato a parlarle, ma di certo non per discutere
d’improbabili e inesistenti interessi amorosi. « Ci
vado,
ma non per quel che credi. »
Si
mise in piedi, si
schiarì
la voce e fece per andare al tavolo di Akira. Si bloccò
ancora
prima che potesse fare un singolo passo.
Un
ragazzo era entrato
nel locale,
aveva avvistato Mado e le si era avvicinato. Lei si era alzata
salutandolo con un sorriso – con un sorriso!
– e in
seguito
i due si erano seduti cominciando a chiacchierare.
Seidou
cadde di peso
sulla sua sedia, la bocca aperta e l'espressione turbata.
Vedendolo
in quello
stato, Seina scoppiò in una fragorosa risata, ma lui la
zittì guardandola torvo.
«
Che
delusione! È la ragazza che ti piace. »
«
La mia
espressione non
è così per delusione. » Già,
era solo
sconvolto di vedere quella ragazza che credeva di ghiaccio sorridere
come una persona normale, con un’enfasi a lui sconosciuta.
« E Akira non è la ragazza che mi piace!
»
puntualizzò. Era diventato paonazzo e lo sguardo
canzonatorio di
Seina non faceva che peggiorare la situazione.
«
Peccato,
avreste fatto una bella coppia » continuò,
sbattendo le ciglia grondanti di mascara.
Il
campanellino alla
porta
d'ingresso tintinnò di nuovo, e questa volta fecero la loro
entrata le amiche di Seina. Lei balzò in piedi. «
Grazie
di tutto fratellone, io vado! »
Rimasto
solo, Seidou
non
poté evitare di far cadere lo sguardo su quei due. Con
fugaci
occhiate constatò che lo sconosciuto era più alto
di lui,
e a giudicare da come faceva ridacchiare Akira doveva saperci fare con
le parole. Sentì un buco nel petto a quella vista, senza
comprenderne il motivo.
Tirò
la
rivista abbandonata
da Seina verso di sé e tentò di fingere interesse
per
quella. Non ci riuscì.
Avrebbe
voluto
andarsene, ma Akira
era pericolosamente vicina all'ingresso, e lui non aveva la
benché minima intenzione di farsi notare. Non voleva essere
umiliato.
Decise
di aspettare.
Dovevano andarsene prima o poi, no?
Gli
parve di rimanere
seduto ore intere a studiare le venature del suo tavolo.
A
un certo punto, dopo
l'ennesima
fugace occhiata, vide che i due si stavano salutando. Poggiò
la
testa sulla superficie lignea e benedì il cielo. Ora avrebbe
dovuto attendere giusto un paio di minuti, dopodiché sarebbe
stato libero di tornare a casa e di dimenticare l'intera faccenda.
O
almeno
così credette, prima che il rumore della sedia trascinata
davanti alla sua lo destasse.
Mado
sedeva dinanzi a
lui, con il suo tipico sguardo impassibile e indecifrabile.
«
Com'è possibile che ti incontro ovunque? »
domandò, ma lui non si lasciò intimorire.
«
Questo
dovrei chiederlo io a te! Sei tu che sbuchi fuori ovunque io mi trovi!
» sbottò, scocciato.
«
Io sono
qui- »
«
Sì, lo so. Stai uscendo con un ragazzo, non hai bisogno di
scuse. »
«
Ah
già, il ragazzo.
Beh; lui è un ghoul » confessò, come se
fosse la
cosa più normale di sempre. Seidou rimase interdetto e la
fissò in silenzio.
«
Come
scusa? » chiese, basito.
«
Okay,
calmati »
cercò di rassicurarlo. Aprì la zip della borsa e
iniziò a frugare là dentro.
Seidou
sentì rumore di carta
sfregata e, difatti, quel che tirò fuori la ragazza furono
dei
fogli. Dapprima lui li osservò disinteressato, poi
acuì
lo sguardo e strizzò gli occhi confuso, avvicinandosi. Erano
documenti della CCG su un certo ghoul che stava creando problemi in
quel periodo.
Glieli
strappò di mano. « E questi? »
domandò accigliato.
«
Li ho
trovati sulla
scrivania di mio padre. Prima ce n'erano un mucchio, ma poi gli altri
erano scomparsi – penso se li sia portati a lavoro, ma questo
l'ha lasciato qui. »
«
E tu l'hai
preso? »
«
Sì » spiegò, come se lo stupore di
Seidou non fosse lecito.
«
Cosa? Hai
rubato la cartella di un ghoul dalla CCG; sei pazza! »
«
Non l'ho
rubata. Mio padre
l'ha abbandonata come se non fosse nulla, quindi evidentemente non era
un caso che gli stava importando molto. »
Seidou
la
guardò con scetticismo. « Sei pazza »
ripeté.
«
Voglio
solo rendermi utile
a mio padre » chiarì. « Alleggerirgli il
carico,
anche se con un caso stupido come questo. »
«
Cosa?! Ti
sembra il caso di giocare a fare l'investigatrice? »
«
Non
è un gioco. »
«
Appunto, e
dovresti saperlo
bene tu, dopo tutti i cento che hai preso. » Takizawa si mise
le
mani sulle tempie, esasperato. « Riportalo dove l'hai preso.
Sai
che è la cosa giusta da fare. Tuo padre potrebbe
arrabbiarsi,
per non parlare che potrebbe succedere anche di peggio. »
«
Mio padre
sa che ce l'ho io. »
«
Cosa?
Gliel'hai detto e lui non ti ha fatto storie? »
«
Ovviamente
non gliel'ho
detto, ma lui non è stupido, ne avrà notato
l'assenza e
di certo avrà capito in che mani è finito. Non
penso che
lui sia in disaccordo con questa faccenda. Non è nulla di
troppo
grande, so che ne sono in grado e lo sa anche lui. »
Takizawa
la
guardò non convinto. Non gli sembrava affatto una buona idea.
«
Fa come ti
pare » disse acido. « Se finisci nei guai non
sarà colpa mia. »
«
E io che
ti stavo per
chiedere se mi volessi aiutare » sospirò.
« E va
bene, perfetto. » Si alzò, riposando la cartella.
«
Aspetta
» la
fermò. La proposta di Akira aveva qualcosa di allettante.
Primo
di tutto, perché Akira Mado gli aveva appena chiesto aiuto,
cosa
che forse non sarebbe mai più capitata. Secondo, la
prospettiva
di risolvere un caso – il suo primo caso – era
elettrizzante! Ma per quanto potesse lasciarsi trascinare
dall'emozione, sapeva di andare incontro a rischi non discutibili.
Esitò,
mordendosi il labbro inferiore.
«
È per questo che l'hai fatto vedere a me? Vuoi il mio aiuto?
» Calcò bene le ultime parole.
Lei
distolse lo
sguardo, tentando di proteggere il proprio orgoglio. « Forse.
»
Anche
lui
posò gli occhi da tutt'altra parte.
«
E va bene,
ti aiuterò, ma solo per accertarmi che tu non faccia
cavolate. »
Akira
si
voltò verso di lui sorridendo vittoriosa.
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