6
♦♦♦
Varie centinaia di milioni di anni or sono… ♦♦♦
«Giuro
che non avrò mai altre
che te, finché avrò vita».
«Abbiamo
solo vent’anni, e tu
sei immortale».
«Non
vedo il problema, lo sarai
anche tu!»
«…hm».
Il
giovane Hakaishin la guarda,
mascherando con un sorriso la vaga inquietudine che inizia a
serpeggiare nel
suo petto. «Anise, devo preoccuparmi? Pensavo che volessimo
farlo, insomma, tu…
non hai cambiato idea, vero?»
Un
brevissimo momento di
silenzio e la lince solleva lo sguardo, mentre la presa sulle mani di
Beerus si
fa più decisa. «No, è solo…
tu sei proprio sicuro? Whis aveva detto di
aspettare».
«Sì,
ma ho io l’ultima parola! Non
importa se siamo giovani, io non cambierò mai idea. So che
la mia Neiē puoi essere solo tu.
Whis deve
farsi gli affari suoi, è una cosa che riguarda noi e quel
che vogliamo, non lui».
Lo
dice con tale incrollabile
sicurezza da indurla quasi a pensare che un lieto fine come sua Neiē -compagna
per l’eternità-
sia possibile, nonostante
la giovanissima età in cui lei e un dio si stanno scambiando
un simile voto. «Io-»
Si
sente un rumore sordo e
Beerus crolla in avanti tramortito, finendo tra le braccia di Anise.
«Più
gli dico di aspettare a
fare qualcosa, più ha fretta di farla!
C’è ben poco peggio di un Hakaishin a
malapena ventenne. Per fortuna ha preso tempo, Lady Anise»
sospira Whis, e
solleva il suo allievo con la magia «Lei è la sua Iarim Neiē»
“futura” Neiē
«È già molto ufficiale
così, e per adesso è sufficiente.
Concorda?»
I
sentimenti sono forti, ma quella che avrebbe finito per commettere se
Whis non fosse
intervenuto resta una grossa imprudenza in cui non è da lei
cascare. Anise lo guarda
negli occhi e, sentendosi un po’sollevata e proprio per
questo altrettanto in
colpa, annuisce. «Concordo. Beerus però ha
già giurato, conta?»
«Lui
magari si sentirà
vincolato, ma tecnicamente non lo è. Non è stato
reciproco».
Un
ben poco romantico “Capisco” di
Anise conclude il tutto.
♦♦♦
Il
presente
♦♦♦
«Bastardo
che sei» bofonchiò
Lord Beerus all’indirizzo di Whis, per poi fare uno sbadiglio.
«Prego?»
Whis
si stupì non poco per
quell’epiteto ingiustificato che il suo Hakaishin gli aveva
rivolto appena
sveglio, e anche se non si notava iniziò a sentirsi
leggermente agitato. Che
Beerus avesse avuto un altro dei suoi sogni profetici sul futuro, e
avesse
visto la messa in atto del machiavellico piano di Anise?
No,
si disse subito dopo, non
poteva essere per quello, fosse stato così non sarebbe stato
tanto calmo.
«Ho
fatto un sogno ambientato
nel passato…»
«Non
c’è da stupirsi, visto
quant’è accaduto oggi» si
affrettò a dire Whis.
Non
gli risultava che Lord
Beerus fosse in grado di fare anche sogni diversi da quelli premonitori
-o da
quelli veri e propri- ma non era detto che fosse davvero
così: quelle
riguardanti i sogni non erano abilità comuni tra gli
Hakaishin, erano un’esclusiva
che Beerus non condivideva neppure con Champa, e che nessuno si era
curato di
sviluppare o conoscere a fondo.
«Ricordi
la volta in cui lei stava per
giurare a sua volta, e tu
mi tramortisti?»
Bulma
e compagnia erano
impegnati a farsi i fatti propri, per fortuna, e non stavano
ascoltando. Ormai
erano talmente abituati ad averli lì sul terrazzo che in
certi momenti facevano
sì e no caso alla loro presenza, e a Lord Beerus in quel
momento stava più che
bene.
«Ricordo».
«Ho
sognato che ti lamentavi
della mia fretta, e dicevi era già tutto abbastanza
“ufficiale”. Lei ha
concordato, e sembrava perfino sollevata, ancor più quando
le hai detto che il
mio giuramento non era valido -il che
è
opinabile. Che sogno stupido» sbuffò
«Ma al di là di
quest’assurdità, tu mi
hai tramortito sul serio. Da qui,
“bastardo”».
“Doveva
iniziare a sognare il
passato proprio ora?!” pensò Whis
“Fortunatamente non crede nemmeno lui in
quello che ha visto, il che mi consente di stroncare la cosa sul
nascere”. «Ha
fatto proprio un sogno bizzarro, Lord Beerus, non è certo
andata così».
«Ovvio,
questo lo so» ribatté il
dio «Quanto manca? Quel maledetto sole è ancora
troppo alto, per i miei gusti!»
“Quasi
quasi…”
«Non
starà pensando di
distruggere il sole per far sì che diventi tutto buio,
spero!» lo rimproverò
Whis «Sono le nove, siamo alla fase clou del tramonto,
ormai».
«Se
anche fosse come hai detto,
avrei tutto il diritto di farlo sparire. Sono o non sono il Dio della
Distruzione?»
«Oh,
non dica sciocchezze! I
terrestri non potrebbero sopravvivere senza sole, il che
significherebbe dover
rinunciare alla pizza, al sushi, al ramen, al daifuku, al
gelato…» elencò
l’angelo «Considerando quel che potrebbe accadere,
mi sembra assurdo farlo
prima del tempo».
«Menagramo!»
sibilò Beerus.
«Realista»
replicò Whis.
Il
dio si passò una mano sul
volto. «Sento di star sprecando
tempo, cosa che mi fa
innervosire, e al pensiero di essere innervosito mi innervosisco ancora
di
più!»
Tra
l’idea del Torneo e il dover
attendere, anche se ormai mancava poco, gli sembrava di star diventando
matto.
Non lo dava a vedere, guardandolo non lo si sarebbe notato, ma aveva
una gran
voglia di prendersi a pugni il cranio -o di prendere a pugni il cranio
di
qualcun altro- pur di sfogarsi in qualche modo.
«Nessun
impedimento fisico o
inerente a questioni di importanza universale glielo impedisce,
né glielo
impediva prima. Vuole andare? Vada!» disse Whis, facendo
spallucce.
Beerus
strinse i pugni. «A volte
ho l’impressione che tu tragga soddisfazione dal mettermi in
certe situazioni!»
«Io
non ho fatto nulla, ci si è
messo da solo. Non che sia una novità» aggiunse
l’attendente, con voce
leggermente più bassa come a “non volersi far
sentire”.
«Non
intendo darti spago, in
questo momento ho altro per la testa, e in generale non ne vale la
pena» si
massaggiò le tempie «Io qui, e lei in casa di
Goku…»
«In
verità, è tornata a casa
propria» lo informò Whis «Dieci minuti
fa».
Lord
Beerus si voltò di scatto verso Whis, pensando che saperla
ancor più
vicina di quanto fosse prima non
lo stava affatto aiutando a resistere al “Vai!”
urlato da ogni fibra del suo corpo. «E tu me lo dici
adesso?!»
«Non
volevo metterla in
agitazione, Lord Beerus».
«Ma
quanta premura! Basta. Io
vado» disse il dio, alzandosi bruscamente dal lettino
«Non intendo aspettare
oltre, l’ho fatto già a sufficienza».
«Lord
Beerus, se ne sta
andando?» gli domandò Bulma, accorgendosi delle
sue mosse.
«Sto
decidendo se distruggere o
meno il vostro sole, e mi serve un luogo tranquillo, privo di
chiacchiere e
schiamazzi di bambini» rispose «Quindi
sì, me ne vado».
«Decida
per il meglio, mi
raccomando. La casa di Anise comunque è quella
laggiù!» esclamò, indicandone
una a poca distanza.
«Bulma!
Non impicciarti!» sbottò
Vegeta.
Per
un attimo Beerus fu
fortemente tentato di disintegrare quella donna che più
volte si era dimostrata
tanto insolente, ma infine lasciò stare, e si
alzò in volo senza proferire
verbo, puntando dritto verso casa di Anise. La sfrontatezza di Bulma
era
un’altra cosa per la quale in quel momento non valeva la pena
perdere tempo.
«Ma
se lo seguissimo?... io sono
un po’curiosa di vedere come andrà a finire, dopo
tutto il trambusto di oggi»
ammise la scienziata.
«Può
finire in una sola maniera,
ossia quella che desidera Lord Beerus. Lei non può
uscirne» commentò Vegeta.
«Non
lo dia per scontato, signor
Vegeta! Se c’è qualcosa in cui Lady Anise
è abile è proprio
“uscirne”» lo
contraddisse Whis, dando l’assalto a un cosciotto di carne
arrosto.
«Significa
che quando era da
Chichi ha trovato un modo?!» si stupì Bulma
«E come… aspetta: prima allora,
quando Lord Beerus dormiva, non sei andato di nuovo al parco per
prendere un
altro gelato! Sei andato da lei a esporle la tua idea!»
«La
“mia” idea?» Whis sollevò un
sopracciglio «Non le ho esposto idee, ne ha già
abbastanza per conto suo. Sia
come sia, ora ha una scelta, e immagino che l’esito dipenda
da come andrà
stasera. Se andrà come desidera Lord Beerus, lui
avrà quello che vuole… in caso
contrario, è probabile che domani notte debba dargli un
colpo in testa prima
che distrugga la Terra senza neppure volerlo».
«COME SAREBBE?!»
gridò Bulma «Se è così,
allora quella benedetta
lince deve fare quello che vuole
Lord
Beerus! Vedesse di comportarsi bene, non esiste che la Terra venga
distrutta
per colpa delle loro beghe, non se ne parla proprio, non può
permetterlo!»
«Per
quel che le importa, può
permettere questo e altro» replicò Whis, con
semplicità.
«Come
mai potrebbero esserci
problemi simili “domani notte”, se si incontrano
adesso?» indagò Vegeta, che
ancora ignorava la posta in gioco al Torneo.
«Perché
prima di allora non
varrebbe la pena fare alcuna mossa. Questa sera dovrebbe andare tutto
piuttosto
bene, ma la verità salterà fuori soltanto domani
notte» rispose l’angelo «Ma
credo sia inutile continuare a parlarne ora. Piuttosto dovremmo pensare
ai
guerrieri che mancano per il Torneo! Potete ricordarmi a quanti
ammontano
quelli trovati finora?»
«Sicuri
siamo io, Kaaroth, Gohan
e Junior, C18 e suo marito… e a quest’ora Kaaroth
dovrebbe aver convinto Majin
Bu. Sette» disse Vegeta «Domani dovrebbe riuscire a
portare qui anche gli
ultimi tre».
«Ottimo».
Il
giardino attorno alla casa
che Anise aveva scelto come residenza sulla Terra era grande quanto
quello di
Bulma, ma decisamente più incolto. C’erano zolle
di terra verde inframezzate da
altre su cui non cresceva un filo d’erba, grossi sassi sparsi
ovunque lungo
sentieri naturali creatisi tra cespugli di bacche e di rovi, e
grossi
alberi dalle ampie chiome, alcuni in parte soffocati da piante
rampicanti, in
grado di tenere tutto e tutti al riparo dal giorno.
“E
lei è qui fuori, la
percepisco”.
Quello
fu l’ennesimo salto
indietro nel tempo per Beerus, al quale tutto ciò ricordava
la foresta dov’era
vissuta Anise una vita fa. La domanda più logica da farsi
sarebbe stata dove
avesse trovato il denaro per comprare la proprietà, lui
invece si chiese
soltanto se il paesaggio avesse influito o meno sulla scelta.
Volle
addentrarsi tra gli
alberi, sempre volando: avrebbe potuto agire diversamente, ma si disse
che se
ormai si era tuffato nel passato, tanto valeva annegarvi completamente
dentro.
Non rischiava certo di perdersi in un posto simile, e comunque
l’aura di Anise
lo stava guidando.
Fu
tanto agile e veloce che
nessuna sterpaglia riuscì a sfiorarlo mentre volava
attraverso gli alberi,
diretto verso un chiarore rosso-aranciato sempre più
intenso, e infine rispuntò
in quella che sarebbe stata una radura, se non avesse avuto al centro
un grosso
albero privo di foglie -morto, forse?- che proiettava
un’ombra somigliante a
una mano scheletrica protesa verso di lui.
Quello
e la luce rossastra
creavano un’atmosfera degna di un brutto sogno, ma
ciò che rese tutto ancor più
irreale fu vedere Anise dondolarsi in piedi su
un’altalena
legata proprio a
un ramo di quell’albero morto.
“…”
Per
qualche istante non riuscì a
fare altro che restare immobile a fissarla, preda di pensieri assurdi
tipo
“Ecco, ora la terra si aprirà e
inghiottirà lei e l’albero, e lei
morirà di
nuovo, e di nuovo io non
riuscirò a fare nulla per
salvarla”; per fortuna si riscosse abbastanza in fretta,
dandosi anche
dell’imbecille per essersi lasciato suggestionare a tal
punto. «Mi ero giusto
domandato come mai avessi scelto di vivere proprio in questo
posto» esordì
«Credo di aver avuto la risposta che cercavo».
«Sono
un’Anise semplice: vedo
un’altalena, ci salgo» replicò lei,
senza smettere di dondolare «Non ricordo se
quel che ho appena detto è o no farina del mio
sacco».
«È
un’uscita delle mie. Di una
vita fa» riuscì a dire il dio «Anche se
al momento mi sembra più l’altro ieri».
«Lei
non è il solo a pensarla
così, devo ammett-»
«Anise,
non darmi del “lei”. Te
l’ho detto prima, te lo ripeto adesso» disse, e
volò più vicino «Non lo fare.
È
un’assurdità».
Lei
non rispose.
«Vederti
dondolare così mi
riporta alla mente molte cose» riprese l’Hakaishin.
«Incontrarci
qui non è stata una
cosa voluta, ti aspettavo dopo il tramonto»
ribatté la Lusan, senza biasimo
nella voce «Bada bene, non è un rimprovero. A
dirla tutta hai resistito più di
quanto credessi: immaginavo che mi avresti raggiunta subito, ma non
l’hai
fatto, e questo mi ha sorpresa. In bene».
«Avevi
detto di voler essere
lasciata in pace fino a stasera. Non si dica che non presto attenzione
ai tuoi
desideri» disse Beerus, con un filo di sarcasmo
più del dovuto, imputabile al
nervosismo accumulato durante l’attesa. «Anche se,
in verità, avevo già
aspettato abbastanza. Centinaia di milioni di anni, più o
meno».
In
tutto questo fu solo il
dondolio dell’altalena a cambiare, rallentando, mentre
l’espressione di Anise
non subì mutamenti di alcun genere. «Centinaia di
milioni di anni» ripeté lei,
lentamente «E vari tipi di Sfere dei desideri in
circolazione. Hai avuto molto
tempo a disposizione per riportarmi in vita, ma non l’hai mai
fatto, quindi non
lo volevi poi così tanto… e ora ti
lamenti?»
Si
riteneva una carogna nel
fargli un rimprovero simile, sapendo di non essere mai morta, ma al
momento
Anise riteneva risultare credibile più importante
di come
si sentiva lei,
dunque la reazione doveva essere adeguata.
Sul
volto del dio, per un
singolo attimo, era comparsa un’espressione degna di qualcuno
accoltellato al
petto; l’abitudine a nascondere certi tipi di emozione
però riuscì a
restituirgli compostezza subito dopo, e scese a terra. «Ho
saputo delle Super
Sfere molto tardi, perché Whis prima non me ne ha parlato
affatto, e il resto
delle Sfere dei desideri è stato creato in tempi
più recenti. Inoltre, ti ho
già detto che Whis era già riuscito a convincermi
ad andare avanti, per il mio
bene. Col tempo ero riuscito più o meno a farmene una
ragione, ed era un mio
diritto farlo: non puoi rimproverarmelo».
«Io
infatti ti ho rimproverato
le tue lamentele che, se eri riuscito a fartene una ragione come dici,
non
hanno ragione di esistere».
L’altalena
ormai era ferma, e
Anise era in piedi lì sopra a guardarlo, impassibile,
oscurandolo con la sua
ombra. Non era un bel momento per Beerus, che non aveva idea di cosa le
passasse per la testa. Se provava rabbia, lui avrebbe preferito che gli
urlasse
contro, e se provava odio, lui avrebbe preferito che lo insultasse;
qualunque
altra cosa sarebbe stata migliore di quella chiusura… ma
“qualunque altra cosa”
non sarebbe stata da Anise, che in momenti come quello aveva sempre fatto così.
«Non avrei voluto che
il nostro incontro iniziasse in questo modo… ma poteva
andare peggio».
La
lince si mise a sedere. «Tu
vuoi che dica “poteva piovere”, vero?»
Lord
Beerus si strinse nelle
spalle. «Che devo dirti, ci ho provato!»
«“Poteva
piovere”».
Era
il segnale di una
distensione, seppur piccola, e il dio l’accolse con un lieve
accenno di sorriso.
«Avevamo entrambi ragione nel dire che non siamo migliorati,
riguardo le uscite
infelici».
«Eravamo
messi in un modo tale
che potevamo soltanto peggiorare. Comunque» fece una breve
pausa «Mi scuso per
aver “dato spettacolo”, qualche ora fa. Fuggire
bestemmiando, ubriacarmi,
mettere in piazza la faccenda di mia sorella e tutto il resto
è stato molto
increscioso da parte mia».
«Sì,
abbastanza, ma non pensarci
più sopra. Piuttosto, riguardo la nostra breve conversazione
nella Dimensione
degli Specchi…hai presente, no?»
«Quella
in cui ti ho detto di
lasciar perdere e tu hai detto che non se ne parla? Sì, ho
presente».
Certe
volte Anise, quando voleva
farlo, rendeva veramente difficile parlare con lei,
“chiusura” o meno; già per
Beerus era arduo, visto l’argomento, ma se lei si comportava
in quel modo
diventava quasi impossibile. «Non me lo rendi facile, Anise,
per nulla!»
«Sicuro,
perché invece per me è
una passeggiata al parco».
«Falla
finita! Tu dovresti-»
«Stai
per dire che “dovrei
sentirmi onorata del fatto che una divinità dedichi del
tempo a me”? Perché se
è così, puoi anche andartene via
subito».
Effettivamente
le parole che
Beerus stava per dire erano proprio quelle, per colpa del nervosismo,
dell’orgoglio da divinità e quello puramente
personale, dell’abitudine, e anche
del profondo desiderio di poter parlare veramente
con lei, semplice quanto insoddisfatto. «Stavo per
dire che devi smetterla
di nasconderti dietro queste dannate risposte sarcastiche. Non so se te
l’hanno
mai detto, ma se vuoi che qualcuno ti ascolti devi prima parlargli
chiaramente,
perché se non lo fai poi non puoi lamentarti di
nulla!»
Anise
scese dall’altalena e si
alzò in piedi. «Le volte in cui ti rimproveravo
qualcosa non ero abbastanza
chiara, allora? Le volte in cui ti ho detto, per esempio,
“Ero la Iarim Neiē di
Beerus, ma ora mi sento la proprietà
del
Dio della Distruzione” ho espresso un concetto troppo
astruso?» fece un altro
passo «Oppure, quando ti facevo notare che avevi distrutto un
pianeta per
futili motivi -cosa che inizialmente non facevi- non ero abbastanza
diretta,
signor “Sono un Hakaishin e ne avevo il diritto, quindi non
ti riguarda”?»
avanzò di nuovo, avvicinandosi ancor di più al
dio «Io parlavo chiaramente, ma
tu recepivi solo quel che volevi, e non sono sicura che questo sia
cambiato».
«Se
non sei sicura allora dammi
modo di confermarlo o di smentirlo, magari senza essere prevenuta come
sei
stata finora» ribatté lui.
«Quando
qualche ora fa nella
Dimensione degli Specchi ho espresso il mio scarso entusiasmo e poca
convinzione, tu hai risposto che le mie erano sciocchezze. Non
è “essere
prevenuta”, mi baso su quello che ho visto e
sentito».
«Non
ti è venuto in mente che
magari l’ho detto semplicemente perché rivoglio al
mio fianco la mia Neiē?» sbottò
il dio facendo uno sforzo sovrumano nell’esporsi
così tanto, in un clima simile
«È davvero una cosa tanto difficile da
capire?!»
«Non
sono mai-»
«No,
non venirmi a dire cose del
tipo “Non sono mai stata la tua Neiē”,
perché sai benissimo quanta importanza
do a quel giuramento. Ti considero la mia Neiē adesso, ti consideravo
tale
anche allora, e ho continuato a farlo sempre. Sempre!»
esclamò afferrandole le braccia, distese lungo i fianchi
«In tutto questo tempo non ho frequentato altre,
non ho avuto altre
Iarim Neiē, non le ho neppure cercate, anche quando era passato tanto
tempo da
riuscire a mettere da parte quanto accaduto…»
Ormai
aveva iniziato, e non
riusciva a fermarsi, forse perché quelle parole erano
lì già da troppo tempo
per restare ancora non dette… e comunque non lo stava
guardando o sentendo
nessuno se non l’interessata, quindi il suo onore e il suo
orgoglio erano
salvi.
«Non
sarebbe mai stato lo
stesso» proseguì «A che pro
cercare altrove? Ho rivolto il mio interesse al cibo, alle dormite, ai
video di
GodTube e alla distruzione, ma non volevo un’altra compagna,
io avevo già una
Neiē, ed eri tu! Anche se non c’eri più, anche se
eri morta senza che io
facessi nulla… perché dormivo!» fece
una risata che aveva poco di savio e nulla
di allegro «Io dormivo e tu morivi, sono un dio ma non sono
neppure riuscito a
fare una cosa semplice quale essere lì per salvarti, e non
ho potuto neppure
parlarti un’ultima volta per cercare di sistemare le cose,
e-»
«Beerus»
Anise gli prese il volto
tra le mani «Sono viva, sto bene e sono qui con te. Quel
periodo è passato
molto tempo fa, non pensarci più sopra,
d’accordo?»
Tanto
bastò a Lord Beerus per
ritrovare il contegno perso, e con esso una punta di vergogna.
«Credo… ho dato
io spettacolo, questa volta».
«Non
hai dato spettacolo, qui ci
siamo solo noi due, e io non andrò a raccontarlo in giro.
Credo sia una di
quelle cose che non racconterei nemmeno dopo due bottiglie di vino, ma
nel
dubbio eviterò di bere almeno fino a dopo il Torneo. Sempre
ci sarà un “dopo”»
aggiunse la Lusan, facendo scorrere le mani dal viso al petto.
L’incontro
non era iniziato
bene, ma Beerus aveva cominciato a pensare che Anise non lo odiasse poi
così
tanto: se così fosse stato si sarebbe comportata
diversamente, dopo averlo visto perdere
compostezza come aveva fatto. «Come ho già detto
oggi, deve esserci per forza. Deve».
La
lince mosse leggermente le
orecchie, pensierosa. «La prospettiva di essere cancellato ti
spaventa davvero
così tanto?»
«Ma
che domanda è?» allibì il dio
«Sarebbe anormale non provare paura all’idea, se
mai! Non sarebbe come quando
si finisce nell’aldilà, smetteremmo completamente
di esistere. Dopo tutto
questo tempo che sono in vita, non riesco neppure a immaginare come
sarebbe la
non esistenza».
«Non
c’è bisogno di immaginarla,
perché non “sarebbe”,
semplicemente» disse Anise «Non avremmo neppure
modo di
dispiacerci per come sono andate le cose».
Nel
sentirle dire simili parole,
Lord Beerus si inquietò non poco. «Non dirlo
nemmeno per scherzo, e tantomeno
col tono di chi quasi ci spera. Ci sono tante cose per cui vale la pena
restare
in vita… come tutti i cibi che non abbiamo ancora provato,
per esempio!»
«Beerus!
Io credevo che stessi
parlando seriamente!»
«La
pizza è una cosa seria»
ribatté lui.
«Beerus»
Anise fece facepalm «Ti
preg-»
«Ah!
Quello era un sorriso, lo
ho visto!»
«Hai
visto malissimo» negò lei,
voltandosi dalla parte opposta per nascondere… un sorriso.
«Allora
perché ti sei girata
dall’altra parte?» insistette, poggiando la testa
su una spalla della lince
«Eh?»
Non
stava facendo lo scemo tanto
per gradire, ma perché si era reso conto che insieme ad
Anise era resuscitata
anche quella specie di malinconia che i Lusan chiamavano
“male di vivere”, che
lui aveva notato anche allora, e che lei non gli aveva mai nascosto.
Dai
venti ai ventidue anni aveva
finito col dare alla cosa meno peso -era abbastanza onesto da
ammetterlo-
dicendosi che quei momenti semplicemente andavano e venivano da soli, e
lasciando che li gestisse per conto proprio, ma forse si era sbagliato;
nel
dubbio, avrebbe cercato di non commettere lo stesso errore
un’altra volta.
«Magari
mi sono voltata perché
volevo guardare l’albero» replicò Anise.
«Non
capirei perché, un albero
morto non è molto interessante».
«Guarda
che non è affatto morto»
lo contraddisse lei «In questa stagione non ha foglie,
contrariamente al resto
delle piante che vedi, ma
tornano tutte…
al momento giusto. È un albero vivo e vegeto».
«Vivo
e Vegeta!»
Quello,
per la Lusan, fu il
terzo facepalm della giornata. «Sempre peggio!
Dov’è Whis, quando serve che ti
dia una botta in testa?»
«Lascia
perdere Whis, prima mi
ha fatto innervosire non poco già solo per avermi detto in
ritardo che eri qui.
Anise, ascoltami» esordì, tornando molto serio
«Pur non avendo una gran
memoria, posso ricordare senza alcuno sforzo che
c’è stato un tempo in cui
eravamo felici, molto felici. So
che
poi le cose sono finite male, so che sono passati centinaia di milioni
di anni
sia per me qui che per te dall’altra parte, e nonostante
l’impressione di
essere tornato indietro nel tempo so che non siamo più dei
diciottenni, ma io
credo veramente che si potrebbe ricostruire qualcosa, se lo volessimo
tutti e
due».
Anise
non disse nulla.
«Tu
vuoi?» insistette Beerus.
«Dopo
le volte in cui sono stata
a lamentarmi per la poca considerazione data a quel che voglio io, mi
prenderei
a schiaffi da sola per quanto sto per dire… ma in tutta
onestà, non lo so»
ammise «Avrei bisogno di tempo per capire se è
veramente il caso, tempo da passare
anche con te, oltre che da sola. Tempo che non abbiamo».
Il
dio non tolse la testa dalla
sua spalla, e lei non lo allontanò, restando semplicemente
in attesa.
«Avrei
preferito un’altra
risposta, ma se non altro non sei di nuovo scappata via bestemmiando.
È già un
miglioramento» sospirò Beerus «E
considerando che hai detto di voler passare
del tempo col sottoscritto, potrei perfino arrivare a pensare che sia
un
successo».
«L’hai
presa meno peggio di
quanto pensassi. E se invece ti avessi detto che non volevo saperne
affatto?»
«Beh,
non l’hai detto. Perché
parlarne e scatenare un potenziale processo alle intenzioni basato su
“se” e “ma”?»
L’attimo
di silenzio della lince
gli fece pensare di aver commesso un errore…
«Non
c’è nulla di più stupido
che un processo alle intenzioni, hai ragione».
Fortunatamente
però sembrava
essersi sbagliato, e tanto meglio così. «Lieto di
trovarti d’accordo».
«Stavo
pensando, perché tanto
che ci siamo non andiamo in casa? Bulma mi ha portato una torta al
limone in
tarda mattinata, è buona, possiamo finir-»
Per
qualche istante Anise non
sentì più la terra sotto i piedi, e il mondo
attorno a lei divenne confuso.
Quando tutto tornò a posto, si ritrovò davanti
alla porta principale di casa
propria.
Beerus
era veramente una saetta,
quando c’era di mezzo del cibo.
«Non
ho mai mangiato una torta
al limone!» sentì esclamare Beerus «Hai
detto che è buona, ma poi? È molto
dolce? Poco dolce? Dolceamara? E la consistenza? È molto
compatta? Spumosa?»
Anise
fece un lungo sospiro, non
infastidita, ma rassegnata al fatto che certe cose non cambiavano
veramente mai.
«Noto che l’abitudine di bombardare la povera gente
di domande culinarie non ti
è passata neppure dopo tutto questo tempo».
«Che
sapore ha una torta al
limone?!» insistette il dio, mentre entravano in casa insieme
«Dimmelo!»
«Se
continui giuro che la
finisco tutta io da sola, anche se è più di tre
quarti».
«Non
osare nemmeno pensarci» la
ammonì Lord Beerus «Ora va’ in cucina, e
porta il tributo al tuo dio!»
Anise
si fermò, e si mise
davanti a lui. «Sai dov’è che te lo
metto, il tributo?» picchettò il naso di
Beerus «Proprio qui, tutto spiaccicato».
«Riuscirei
ad assaggiarla in
ogni caso» replicò Beerus, facendo spallucce
«Anise, c’è un’ ultima cosa
che
dovrei dirti. Ho accettato il tuo “non lo so”, e mi
comporterò come abbiamo
stabilito, tuttavia voglio che tu sia vicino a me durante il Torneo del
Potere.
Se per disgrazia le cose dovessero andare diversamente da come auspico,
voglio
che tu sia lì».
Stava
andando bene, non voleva
rovinare tutto dicendole quell’ultima cosa, ma non aveva
proprio potuto
evitarlo: se quelli del Torneo dovevano essere i suoi ultimi momenti,
voleva
passarli con lei accanto.
«A
essere sincera, un po’ me lo
aspettavo» disse la Lusan «Mi sta bene. Presumo che
questo significhi tornare a
vestire i panni della tua Iarim Neiē almeno fino a domani
notte».
«Sì,
precisamente» annuì il dio,
sollevato di non aver trovato resistenza.
«Bene.
Accomodati nel salotto»
accese la luce della stanza attigua «Io e la torta
arriviamo».
Lord
Beerus non se lo fece
ripetere due volte, e Anise si diresse in cucina senza di lui.
“Come
potrei mettere in pratica
il piano che ho congegnato, dopo quanto mi ha detto?”
pensò, mentre tirava
fuori la torta dal frigorifero “Come potrei? Dopo centinaia
di milioni di anni
è ancora messo così, riguardo la mia presunta
morte… come reagirebbe, se dovessi
attuare i miei progetti e la finta me stessa dovesse
‘morire’ davanti a lui?”
Di
certo non avrebbe
festeggiato, tanto per usare un eufemismo, non serviva essere un genio
per
capirlo, e nonostante fosse iniziato tutto piuttosto male poi le cose
si erano
distese.
Beerus
aveva perfino accettato
una risposta diversa da “Sì, lo voglio”,
per l’amor del cielo! Se quello non
era mettersi d’impegno, come altro si poteva definire?
“Se
lo facessi, lui si
sentirebbe in colpa, e io sarei una carogna priva di giustificazioni
decenti”
si disse, prendendo un coltello da un cassetto per poi tagliare la
torta a
fette. “Come potrei?”
Guardò
il suo riflesso alla
finestra, e lo vide fare spallucce.
“Potrei
decidere che non mi
importa nulla né di lui, né di diventare una vera
e propria infame”.
Il
riflesso la guardò
severamente.
“Non
sarebbe la verità, lo so”.
Diede
le spalle al riflesso, si
gettò dietro spalle la lunga treccia argentea, e
tornò in salotto con la torta
in mano. «Eccom-»
«Ancora?! Sul serio?»
Beerus
stava tenendo sollevato
un lavoro a maglia lasciato a metà, che una volta ultimato
sarebbe diventato un
poncho di lana grossa color tiffany, inframezzato da varie perline di
vetro.
Anise alzò le sopracciglia. «Sì, faccio
ancora lavori a maglia. Con ciò?»
«Non
ho mai capito che gusto ci
provassi a-»
Il
gomitolo color tiffany
attaccato al futuro poncho cadde a terra, rotolando rapidamente via.
Entrambi
i felini lo seguirono
con lo sguardo, come ipnotizzati…
«No
eh! Siamo persone adulte e
abbiamo una torta da mangiare!» esclamò Beerus,
che si riscosse per primo «E
poi ci sono attività migliori da fare durante la sera e la
notte, rispetto all’inseguire
un gomitolo».
Anise
gli porse una fetta di
torta. «Dunque intendi fermarti qui, stanotte?»
«L’idea
sarebbe quella» confermò
lui, senza aggiungere altro.
«Ma
come, non vuoi passare la
notte a casa dell’adorabile Bulma?» finse di
stupirsi la lince, con un
sorrisetto ironico.
«E
rischiare di vederla appena
alzata al mattino, con i bigodini e strane pappe verdi sulla faccia?
Non credo
di farcela!»
Il
sorrisetto di Anise si
allargò. «Domattina appena sveglio mi vedrai
esattamente in quel modo, allora».
...eeee niente, il capitolo finisce qui! :'D con questi due che
potrebbero passare la notte a dormire, o svegli a mangiare, o svegli a
inseguire gomitoli, o chissà.
Mi limito a ringraziare di cuore chi ha letto e sta continuando a
farlo, e a lasciare a voi eventuali commenti.
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