CAPITOLO
21: UN PADRE E UN FIGLIO
Tarble
ansimò profondamente mentre se ne stava immobile davanti
alla porta
del palazzo.
Era
una mattina fredda d'inverno e nessuno usciva da quel palazzo.
Dopotutto...
chi usciva con un clima del genere?!
Continuò
a intrecciarsi nervosamente le dite.
Adesso
che era lì... cosa doveva fare?
Si
guardò intorno.
Temeva
che arrivasse qualche amica di Gure e lo riconoscesse...
Sarebbe
stato molto imbarazzante spiegare che non stava molestando quella
ragazzina ma che stava cercando di trovare il coraggio di citofonare
al padre che se n'era andato quando lui non era nemmeno nato!
TRRRIIIINNN
Tarble
sussultò per lo spavento e si nascose dietro a un lampione.
Ma
perché mi sto nascondendo come un ladro?!
Pensò, sconsolato, il giovane.
Non
si sarebbe di certo stupito se qualcuno l'avesse scambiato per un
maniaco...
La
porta del palazzo si aprì e un uomo uscì.
Tarble
sgranò gli occhi, sorpreso.
Quell'uomo...
era identico a Vegeta.
Stessi
capelli a fiamma, stessi occhi neri e stesso sguardo orgoglioso ma
allo stesso tempo triste...
Le
uniche differenze erano il colore dei capelli, suo fratello li aveva
neri mentre quelli di quell'uomo erano castani, e, inoltre,
quell'uomo era più alto di Vegeta e aveva la barba.
Non
c'era alcun dubbio.
Quell'uomo
doveva essere suo padre!
Finalmente,
avrebbe avuto l'occasione di conoscerlo...
Col
cuore che continuava a battere forte per l'emozione, Tarble si
avvicinò a suo padre e sussurrò:
“Scusa...”
L'uomo
si voltò e si mise a fissare in silenzio quel ragazzo basso,
mingherlino, con gli occhi neri e i capelli a spazzola neri, con un
piccolo ciuffo sulla fronte.
Dopo
qualche minuto di silenzio, Tarble gli domandò:
“Ti... ti chiami
Vegeta?” “Sì.” “E...
e hai un figlio che ha il tuo stesso
nome che ha una figlia di tre anni con i capelli turchini di nome
Bra?” “Sì.” “E
questa bambina... ti chiama il signor Lupo
Cattivo?” “Sì...”
annuì suo padre e, senza smettere di
fissarlo, gli chiese: “Chi sei?” “Io...
sono tuo figlio... mi
chiamo Tarble...” si presentò il ragazzo.
Per
tanti minuti, tra padre e figlio vi fu il completo silenzio.
Nessuno
dei due sapeva che cosa dire.
Tarble
era nervoso al pensiero della risposta di suo padre...
Suo
padre, dal canto suo, continuava a fissarlo in silenzio.
Per
giorni si era domandato quale fosse il nome che Echalotte aveva
deciso di dare al loro secondo figlio.
Aveva
pensato a tantissimi nomi eppure, non aveva assolutamente pensato a
quel nome.
Non
si sarebbe mai aspettato che sua moglie decidesse di usarlo...
L'onda
si allungò ancora un po' sulla sabbia bagnata e, poi, si
asciugò
del tutto.
La
fredda brezza marina scompigliò i capelli neri della ragazza
con la
pancia enorme seduta sul vecchio asciugamano azzurro.
“Fa
molto freddo oggi, eh?” domandò Echalotte al
marito, che era a sua
volta seduto su un asciugamano, e che leggeva il giornale, nonostante
il vento gli facesse muovere le pagine.
Vegeta,
prontamente e senza nemmeno alzare la testa dal giornale, le rispose:
“Siamo in autunno, Echalotte. E' naturale che fa freddo anche
se
siamo al mare!”
Echalotte
si alzò in piedi e, respirando più aria marina
possibile, disse:
“Ho letto su una rivista che l'aria marina fa bene ai polmoni
e
voglio che nostro figlio abbia il meglio!” “Non
iniziare a
viziarlo o è la fine.” sbuffò lui da
dietro il giornale.
Echalotte
si avvicinò a lui e, sorridendo, esclamò:
“Ma ci pensi? Fra due
mesi diventiamo genitori.” “Lo so, Echalotte.
Credimi, che lo
so.” “Sai... voglio essere una madre migliore della
mia.”
Per
un attimo, il silenzio, rotto soltanto dal rumore del mare, si mise
tra i due coniugi.
Poi,
Echalotte continuò: “A mia madre non è
mai importato niente di
me... come a mio padre...” “Ci riuscirai di
certo.” le disse,
all'improvviso, Vegeta.
Echalotte
si voltò e si accorse, con stupore, che Vegeta non stava
più
leggendo il giornale ma che la stava guardando.
Dopo
un po', però affermò, ridacchiando:
“Anche perché, una madre
peggiore della tua...” “Grazie, Vegeta. E bello
poter contare
sulla tua sensibilità.” ribatté,
seccata, Echalotte e Vegeta,
mentre tornava a leggere il suo giornale, le rispose, divertito:
“Prego.”
Echalotte,
decisa a riavere la sua rivincita, gli propose:
“Perché, invece,
non mi racconti di tua madre?”
Vegeta
smise di leggere il giornale e, girando la testa da un lato,
sussurrò: “Ti ho già detto tutto su di
lei.” “Mi hai solo
raccontato come è morta e le informazioni che hai letto sul
tuo
fascicolo quando eri in istituto... ma ci dev'essere qualcosa che ti
ricordi di lei...” insistette la moglie ma l'uomo la
interruppe:
“Avevo tre anni quand'è morta... non posso
ricordarla.”
Echalotte,
capendo che suo marito non si sentiva ancora pronto a ricordare sua
madre, si sedette sul telo accanto a lui e gli chiese: “E di
tuo
padre che mi dici?”
Vegeta
alzò gli occhi nel cielo e guardò il volo di
alcuni gabbiani.
Ad
un tratto, sussurrò: “L'unica cosa che ricordo di
lui è il
nome...” “E qual'era?” “Non te
lo dico.” “E perché?!”
“Non voglio che mio figlio porti il suo nome.”
Echalotte
rimase in silenzio.
Vegeta,
nonostante le avesse raccontato tutto, si sentiva ancora in colpa per
quello che era successo anni fa...
Ma
non era stata colpa sua! Era stata una cosa orribile, certo, ma lui
non aveva nessuna colpa...
Purtroppo,
Vegeta non riusciva a perdonarsi... e chiamare suo figlio col nome di
suo padre dopo tutto quello che era successo... l'avrebbe fatto
sentire in colpa nei suoi confronti...
Purtroppo,
lei non poteva fare niente.
Era
una cosa che Vegeta doveva affrontare da solo.
Tuttavia,
lei gli sarebbe stata accanto fino alla fine.
Lei
e il loro bambino.
“Prometto
che non lo chiamerò così... ma tu
dimmelo.” promise la donna,
guardando.
Dopo
qualche minuto di silenzio, Vegeta si decise e sussurrò:
“Si
chiamava Tarble.”
E,
adesso, si trovava davanti al figlio che non conosceva e che aveva lo
stesso nome di suo padre.
Si
domandò per quale motivo Echalotte aveva deciso di chiamarlo
come
suo padre.
Forse,
per vendicarsi di lui e del suo abbandono...
Alla
fine, trovò il coraggio di dire a suo figlio:
“Vegeta mi ha
parlato di te.” “Già... ecco... io...
volevo... volevo un po'
conoscerti.” rispose Tarble, terribilmente teso e nervoso.
Fortunatamente,
Vegeta sembrava avergli rivelato della sua esistenza e ciò
rendeva
le cose un po' più facili...
Però...
in tutta quella storia c'era qualcosa di strano...
Vegeta
non aveva nessuna intenzione di creare un approccio con suo padre,
sua cognata Bulma glielo aveva detto chiaramente... ma allora...
quando e come Vegeta aveva detto a suo padre che esisteva?!
Suo
padre, intanto, si voltò e gli disse:
“Seguimi.”
Tarble
non credeva alle sue orecchie... suo padre gli aveva detto di
seguirlo... questo significava... che volesse tentare un approccio
con lui?!
Erano
lì, faccia a faccia, nella sala di un elegante ristorante.
Nel
frattempo, il cameriere aveva preso le loro ordinazioni e, dopo un
quarto d'ora d'attesa, glieli aveva portati.
Tarble
e suo padre non riuscivano ancora a dirsi qualcosa per tentare un
approccio...
Entrambi
erano molto tesi e non sapevano cosa dirsi.
L'uomo
guardava suo figlio in silenzio.
Cosa
poteva dirgli?
Non
sapeva niente di lui!
Qualsiasi
cosa gli avrebbe detto, molto probabilmente, avrebbe fatto pesare a
entrambi la sua fuga e avrebbe rovinato tutto.
Tarble,
dal canto suo, non riusciva ancora a credere di essere in un
ristorante e di essere davanti a suo padre... l'uomo che se n'era
andato quando non era nemmeno nato... l'uomo che, fin da quando era
bambino desiderava conoscere...
“Tarble,
nella prossima ora ti porto a vedere un film.”
Il
bambino alzò la testa dal disegno che stava colorando e,
stupito,
domandò: “Signora maestra... perché da
settimana, nella sua ora,
mi porta a vedere un film senza gli altri?”
La
donna impallidì.
Se
n'era accorto...
Per
cercare di non rivelare al piccolo la verità, gli disse:
“Così...
per premiarti, in quanto sei un bravo bambino.”
Tarble
continuò a guardarla, silenzioso, poi chiese:
“Signora maestra,
posso andare in bagno?” “Va bene, ma fa in
fretta.”
Una
volta che ebbe finito, il bambino si lavò le mani e
sentì due
bambini più grandi fare una strana conversazione:
“Quest'anno, per
la festa del papà facciamo i sassi colorati.”
“Nel mio ci
disegno i razzi.” “Io, invece, faccio i
fulmini.” “Ciao, di
cosa parlate?” domandò Tarble, intromettendosi
nella
conversazione.
Sapeva
che non era una cosa molto educata da fare... però stavano
parlando
di una festa e a lui le feste piacevano tanto...
I
due lo guardarono malissimo, poi gli dissero: “Di cose che
non ti
riguardano, nanerottolo.” “Tu non ce l'hai neanche
il papà.”
“Cos'è il papà?” chiese
Tarble e i due scoppiarono a ridere.
Ma
cosa avevano da ridere?!
Se
non lo sapeva, non lo sapeva.
“Chiedilo
alla tua mamma, salame.” gli rispose uno dei due prima di
uscire
dal bagno e l'altro, prima di seguirlo, aggiunse: “Lei lo
saprà di
sicuro e anche molto bene...”
“Mamma,
cos'è il papà?”
Tarble
era seduto sulla macchina accanto a Vegeta.
Sua
madre fece un sospiro.
Era
giunto il momento...
Cercando
di trovare più forza possibile per quel tremendo momento, la
donna
cominciò: “Tarble... il papà...
è un uomo che dovrebbe stare
accanto alla mamma...”
Tarble
si mise a riflettere sulle strane parole della madre.
Se
un papà doveva stare accanto alla mamma, questo significava
che
anche lui aveva un papà... ma dov'era il suo papà?
Non
aveva mai visto nessuno accanto alla sua mamma, a parte Vegeta, ma
lui era un fratello e non un papà...
“Allora
anch'io ho un papà. Dov'è il mio
papà?” domandò il bambino e
Vegeta, senza smettere di guardare fuori dal finestrino, gli rispose:
“Se n'è andato.” “E dove?
Voglio conoscerlo.” gli chiese,
emozionato, Tarble e Vegeta, fissandolo con uno sguardo di fuoco, gli
urlò: “NON SI SA! CI HA ABBANDONATI! NON GLIENE
FREGA NIENTE DI
NOI!” “NON E' VERO! LA MAMMA AMA I PROPRI FIGLI E
SE IL PAPA' STA
ACCANTO A LEI, SIGNIFICA CHE ANCHE LUI LI AMA!”
“NEI FILM E NELLE
FAVOLE! NELLA VITA REALE I PADRI ODIANO I PROPRI FIGLI E LI
ABBANDONANO!”
Tarble
sentì le lacrime scendergli.
Il
suo papà... non lo amava?! Lo odiava?! Al suo
papà non importava
niente della mamma, di Vegeta e di lui e li aveva abbandonati?!
“BUAAAHHAAHA!”
si mise a piangere, disperato, il bambino e sua madre, mentre fermava
la macchina per andarlo a consolare, urlò:
“VEGETA!”
Adesso
era lì, davanti a suo padre.
Non
avrebbe mai creduto possibile questa cosa...
Eppure,
non riusciva a parlare...
Doveva
trovare qualcosa da dire, in modo da tentare un approccio con lui e
conoscere il padre di cui non sapeva niente.
“Che...
che lavoro fai?” domandò ad un tratto.
Suo
padre posò la forchetta e il coltello.
Tarble
sussultò a quel rumore improvviso, alzò gli occhi
e vide che suo
padre lo stava guardando.
Ad
un tratto, l'uomo rispose: “Lavoro in un negozio dove si
vendono
quadri.” “A me piacciono i quadri... mi farebbe
molto piacere se
potessi vederli.” “Possiamo andarci più
tardi, tanto ho le
chiavi.” rivelò suo padre, tirando fuori da una
tasca un mazzo di
chiavi.
Tarble
annuì.
Era
solo un piccolo minuscolo passo ma, con un po' di fatica e pazienza,
sarebbero riusciti a conoscersi un po' più a fondo. |