10
Angolo
della pazza (ormai lo chiamerò così...):
Ciao
a tutte e bentornate al penultimo special della storia.
Come
potrete notare più avanti, il capitolo è dedicato interamente a
Lavi. E colgo l'occasione per ringraziare profondamente Phebe per
avermi inviato un ricordo super dettagliato! Infatti, ci tengo a
precisare, che moltissime parti sono state riprese da ciò che lei
aveva scritto perché le ho trovate PERFETTE per essere inserite.
Quindi,
si può dire, che gran parte del lavoro è merito suo :)
Ho
scritto questo capitolo in un giorno di lutto per me (manco a farlo
apposta) e spero vivamente che possa piacervi.
Buona
lettura.
Ci
vediamo venerdì o sabato sera con il capitolo finale della storia,
poi ci sarà un altro special ed infine l'epilogo.
Baci
Vic
^^
CAPITOLO
SPECIAL 10:
“Attento
a ciò che desideri”
Sfuggo
ciò che m’insegue. Ciò che mi sfugge inseguo.
(Orazio)
“Nonno,
nonno! Perché non posso andare anch'io con papà?”
Un
disperato Lavi di appena otto anni si voltò verso il distinto
signore alla sua destra, alla ricerca disperata di un qualche gesto
di conforto.
Tra
singhiozzi e lacrimoni, Lavi sembrava più piccolo di quanto già non
fosse. I pugni stretti cercavano, contemporaneamente, di trattenere
la rabbia e di cancellare le lacrime che continuava a versare.
Suo
nonno odiava vederlo in quello stato, esattamente come odiava il
fatto che dovesse gestire, quasi sempre in automatico, lui tutte le
“situazioni scomode” di famiglia. Che fossero, poi, affari o
anche solo calmare i propri nipoti in un attacco isterico, quello era
irrilevante.
A
lui era spettato l'increscioso onere di dire al nipotino che non
avrebbe potuto vedere la prima partita di suo fratello maggiore
mentre, invece, ci sarebbe andato suo padre.
E,
purtroppo per lui, Lavi non l'aveva presa bene per niente.
“Perché
sei ancora troppo piccolo, anche tuo fratello Karlos ha dovuto
aspettare a casa quando è stato il turno di Allen”
“Ma
è la sua prima partita! La vedranno sia papà che Karlos ed io no!”
Lavi tirò rumorosamente su con il naso e prese una boccata d'aria
“Non è giusto, Allen non mi vuole! Allen è cattivo!”
“Lavi,
suvvia, non dire queste cose. Allen ti vuole bene”
“Allora
perché non ha provato neanche a convincere papà? Non mi vuole in
quella stupida scuola!”
Ora
la rabbia stava prendendo il sopravvento sulla disperazione e, mai
come in quel momento, Lavi stava iniziando a provare una sorta di
risentimento per la scuola che i suoi genitori chiamavano “Hogwarts”.
Hogwarts
era la cosa più orribile che esistesse al mondo, Lavi ne era più
che convinto.
Non
solo gli aveva portato via prima Allen – anni fa - e poi Karlos, ma
ora faceva entrare suo padre e non lui.
E
Lavi non riusciva proprio a mandarlo giù.
“Allen
mi odia!”
“Lavi...”
suo nonno si inginocchiò alla sua altezza e, prendendogli le mani,
tentò di calmare il più piccolo dei suoi nipoti “...non dire
così, tuo fratello semplicemente non c'ha pensato, insomma, è
normale che gli esterni non possano entrare al castello”
“Ma
papà ci va! La verità è che non mi vogliono lì!”
“Ma
no-”
“Si
invece!” in uno scatto di rabbia, Lavi si allontanò dal nonno
indietreggiando.
Ormai
non piangeva più e le lacrime avevano smesso di scendere dal suo
volto già da buoni minuti. Quella scuola gli aveva portato via tutte
le persone della sua famiglia a cui teneva di più e, come se ciò
non fosse abbastanza, ora non lo faceva neanche entrare a vedere la
prima partita di Quidditch di suo fratello. Odiava Hogwarts ed odiava
quella stupida partita. Per questo le parole gli uscirono come un
fiume in piena:
“Vorrei
tanto che cascasse tutto lo stadio!”
Ancora
infuriato, Lavi girò sui tacchi e corse nella vecchia camera di sua
madre ignaro di quello che sarebbe successo da lì a poco. Difatti,
il weekend successivo Trent tornò a casa tanto sorpreso quanto
confuso. Aveva appena varcato la porta quando si era soffermato nel
salone di casa per raccontare alla moglie l'evento: gli anelli del
campo da Quidditch della scuola erano crollati senza motivo apparente
e nessuno era riuscito a ritirarli su in fretta. Di conseguenza, la
partita era stata annullata.
Lavi,
che stava giocando con il suo calderone giocattolo proprio sul
tappeto del salone, sentì per filo e per segno il racconto di suo
padre e non poté fare a meno di provare una sorta di piacere in
tutto ciò.
Qualcuno
aveva fatto sì che il desiderio di Lavi fosse esaudito. Ed il fatto
che qualcuno l'avesse ascoltato, lo soddisfò ancora di più.
Proprio
come ho desiderato.
Fu
questo il suo pensiero. Un pensiero che, a lungo andare, si perse nei
meandri della sua memoria...
25
Marzo...
La
funzione era finita. Ormai non c'era più nulla né da dire né da
fare.
I
suoi fratelli, sua madre ed i suoi nonni erano rimasti in piedi, di
fronte alla lapide ed alla terra smossa, tra un singhiozzo e l'altro
mentre Lavi si era dovuto allontanare per non collassare al terreno.
Seduto
su una panchina del cimitero, riviveva mentalmente quella volta in
cui gli anelli del campo di Quidditch erano crollati. E, mai come in
quel momento, si stava dando dell'idiota perché... Dannazione doveva
saperlo che non era opera di nessuno! Doveva saperlo che era sempre
stata opera sua e di nessun altro! E poi...
Perché
ho detto quelle parole a mio padre?
Il
suono di quella frase gli ronzava in testa come il ritmo fastidioso
di una chitarra elettrica. Rozzo e graffiante e forse, sotto sotto,
era così che dovevano essere risultate le sue parole quando la sua
voce le aveva emesse.
“Non
voglio vederti mai più, per tutta la vita!”
Al
ricordo, contrasse la mascella mentre le mani gli iniziarono a
tremare ed il cuore iniziò a martellargli forte nel petto.
Doveva
dirlo ai suoi fratelli.
Doveva
sfogarsi con qualcuno, anche solo per alleggerire di poco quel peso
all'altezza del torace.
Come
un condannato al patibolo si avvicinò ai suoi fratelli e li tirò
piano per le maniche della giacca, guadagnandosi un'occhiata spenta e
interrogativa che non fece altro che prolungarsi fino alla fine della
sua confessione, mischiandosi allo stupore, al fastidio e alla
rabbia.
Allen lo guardò, per tutto il tempo, con la superiorità
con cui gli adulti guardano i bambini: una smorfia sprezzante in viso
che lo colpì come uno schiaffo.
“Non
dire cavolate, non lo hai ucciso tu, non ne sei in grado Lavi. Papà
era un Tiratore Scelto, ha affrontato tanti combattimenti e ha
rischiato tante volte la vita, il suo fisico era debilitato, ha avuto
un infarto. Tu non sei materialmente capace di uccidere nessuno, sei
solo un bambino ed hai i rimorsi per aver litigato con lui. Punto.
Non ti azzardare a dire nulla del genere a mamma o ai nonni, hanno
già abbastanza problemi al momento, non gli servi anche tu con le
tue richieste di attenzione”
E,
detto ciò, si allontanò da lui, dandogli le spalle senza voltarsi
mai.
E
Lavi sentì come se il suo cuore si fosse spezzato, ancora, quel
giorno.
La
voce di suo fratello era infastidita e lapidaria. Non l' aveva
lasciato parlare, lasciato spiegare che invece era proprio colpa sua,
che lui ci riusciva, come quando aveva fatto crollare il campo.
Allen
non gli aveva dato possibilità di replica e Lavi odiava, odiava
davvero che suo fratello maggiore pensasse che quello fosse solo un
patetico tentativo di attirare l'attenzione mentre tutti erano in
lutto per Trent Polaris.
Strinse i denti e mandò giù un singulto
amaro a cui solo in futuro avrebbe saputo dare un nome: umiliazione.
Lavi
si era sentito mortalmente umiliato dal pensiero di suo fratello,
ferito nel profondo come lo era stato nel veder lui e Karlos sparire
sul treno per Hogwarts e abbandonarlo a casa.
Come
quando sua madre e suo padre gli avevano sorriso, dispiaciuti,
annunciandogli che non sarebbero tornati a casa presto perché
dovevano fare dei turni doppi.
Come
quando suo padre gli aveva detto che non sarebbe potuto rimanere
ancora con lui, come quando gli aveva detto che non voleva più
vederlo e come quando dopo lo aveva ritrovato morto nel giardino di
casa.
Le lacrime minacciarono di cadere dai suoi enormi occhi
cangianti.
Avrebbe
voluto piangere disperato e solo lo sguardo altrettanto ferito di
Karlos gli impedì di farlo.
Lui,
a differenza di Allen, era sempre stato il fratello più schivo,
quello che non voleva abbracci o coccole perché erano roba da
femmine o perché lui era grande, ma in quel momento gli sorrise con
la stessa disarmante dolcezza con cui lo faceva suo padre.
Si
piegò sulle ginocchia, prendendogli le mani, e disse:
“Non
lo ascoltare...” la sua voce era carica di dolcezza “... non lo
pensa davvero è solo molto triste come tutti quanti noi. Lo sai poi
com'è fatto, crede di doversi prendere il peso di tutto. E' già in
modalità “sono io l'uomo di casa e sono grande” ma sta soffrendo
come tutti noi Lav, è solo il suo modo di dimostrarlo. Non ce l'ha
con te, fratellino”
“Ma....” la voce di Lavi tremò.
Voleva
davvero che quello che fosse successo fosse solo un brutto scherzo
del destino e non opera sua. Eppure, più ripensava all'accaduto di
anni prima e più se ne convinceva. E suo fratello Karlos doveva
saperlo ad ogni costo.
“...
ho detto la verità Karlos, non mi sono inventato niente, non voglio
attirare l'attenzione. Ho litigato con papà e gli ho detto che non
lo volevo vedere mai più ed è successo….”
“Lavi!” Karlos
portò le sue mani sulle spalle di suo fratello e, scandendo con
precisione le sue parole, continuò:
“Non.
Sei. Stato. TU” e le disse con una convinzione tale da far nascere
in Lavi un minimo di speranza.
Forse
era vero che non fosse colpa sua.
Forse
era stato davvero un brutto scherzo del destino.
“Quello
che senti si chiama senso di colpa. Hai litigato con lui e non ti sei
potuto spiegare, non hai fatto in tempo e ora ti senti responsabile.
Magari pensi che se non aveste litigato saresti stato con lui in quel
momento ma, ehi Lav, non avresti potuto far nulla comunque. Un
infarto è il cuore che si ferma e non si può far niente” le iridi
di Karlos si velarono di un sentimento di tristezza, dopo aver
pronunciato quelle parole. Ma il ragazzo era intenzionato a far star
meglio il suo fratellino, per questo dopo pochi istanti riprese il
suo discorso guardandolo con più fermezza:
“Papà
lo sapeva. Papà sapeva che gli volevi un bene dell'anima, che gliene
volevi più di tutti, che lui era il tuo preferito. Papà lo sapeva e
lo sa ancora. Lui non ti incolpa di niente, te lo giuro”
“D-davvero?”
Le lacrime che aveva trattenuto per tutto quel tempo, iniziarono a
scendergli lungo le sue guance arrossate mentre una sorta di senso di
leggerezza si faceva largo in lui.
“Davvero”
A
quel punto Lavi ricominciò a piangere senza neanche accorgersene,
lasciandosi stringere in uno dei rarissimi abbracci di suo fratello
mentre continuava a ripetergli, all'infinito, che Trent gli avrebbe
sempre voluto bene e che li controllava da ovunque fosse ora.
Quando
tornò a casa Lavi giurò a sé stesso che non avrebbe mai più
desiderato nulla.
Si
sarebbe sforzato e non sarebbe successa mai più una simile tragedia.
Né nelle sua vita né in quella di nessun altro.
Non
accadrà più. Non voglio che accada più.
Eppure
gli anni passavano ed il suo “potere” non accennava ad andarsene.
Ed anche se lui si concentrava al massimo per tentare di
controllarlo, le cose che anche indirettamente desiderava, non
facevano che avverarsi.
E
ciò lo spaventava a morte.
Tick,
tack.
Tick,
tack.
Tick,
tack.
Lavi
sedeva irrequieto, e piuttosto in ansia, nella sala d'aspetto del San
Mungo, reparto patologie mentali, nell'attesa di essere chiamato.
Era
arrivato con dieci minuti d'anticipo e, mentre continuava a
torturarsi le mani con le unghie, la sua attenzione non poteva che
essere focalizzata sul vecchio orologio a pendolo della sala.
Rigorosamente
di legno pregiato, intarsiato, esso si ergeva in tutta la sua
maestosità, regale e perfettamente ben saldato al terreno. Tutto ciò
che Lavi non era in quel momento. E più passavano i minuti e, le
lancette non facevano che muoversi ritmicamente in avanti, più non
vedeva l'ora di incontrare il suo psicomago.
Probabilmente
gli avrebbe prescritto di nuovo varie pozioni da prendere e Lavi
sperava vivamente che, questa volta, riuscissero a produrre un
qualsiasi effetto prorompente nel suo organismo.
Insomma,
come era possibile che le pozioni che gli assegnava il Dott. Jensen
non funzionassero su di lui?!
Lavi
non sapeva spiegarlo, esattamente come non se lo spiegava il
medimago. E sperava davvero che questa
volta
funzionassero.
Sospirò
affranto.
“Vedi
di tacere, sei solo una ragazzina!”
“Ragazzina
a me?! Come ti permetti, brutto decerebrato! Il mio gatto è più
intelligente di te!!”
“Ah,
maledetto il giorno che ti ho chiesto in moglie. Ma cosa mi diceva la
testa, scommetto che mi hai rifilato l'amortentia, lurida
mezzosangue!”
“Mezzosangue?
A ME! Tu gran figlio di una-”
“Signori
Mcdouglas, vi prego, state dando anche fin troppo spettacolo!”
Un'infermiera
del reparto si intromise nella discussione fra quelli che sembravano
essere due coniugi, con il tentativo di placarli. Purtroppo, però,
tutto quello che ricevette furono solo insulti della peggior specie.
E
la situazione fece adirare non poco Lavi.
Ma
dico, io... ma si può fare una scenata del genere in un luogo
pubblico? Sono proprio dei maleducati.
Vorrei
proprio che la smettessero di rompere le scatole!
E,
senza neanche rendersene conto, il desiderio di Lavi fu esaudito.
I
due coniugi smisero all'istante di parlare. Con gli occhi spalancati
ed entrambe le bocche aperte, tentavano in vano di emettere un
qualsiasi tipo di suono dalle loro gole. Ma niente.
Come
costretti a tacere, nessun verso uscì fuori dalle loro labbra.
E,
solo quando il silenzio si fece spazio nella sala, solo allora Lavi
si rese conto di quel che era appena successo.
E
brividi di paura lo invasero all'istante.
Il
fiato iniziò a mancargli mentre dei tremori si impossessarono delle
sue mani.
Tentò
di alzarsi dalla sedia ma le gambe non volevano saperne di muoversi,
così come la testa non la smetteva di girargli.
Volse
lo sguardo verso i due coniugi solo per assicurarsi che avessero
smesso grazie all'infermiera, e non per opera sua, ma, quando vide il
modo in cui lo stavano fissando, il cuore gli si fermò per un
attimo.
Era
colpa sua e loro lo
sapevano.
Questa
nuova consapevolezza fece sì che le gambe di Lavi si sboccassero e
lo aiutassero a sorreggerlo.
Deglutì
a fatica, alandosi in piedi e barcollando sulle gambe inferme.
Lo
sapevano,
adesso anche
quei due sconosciuti lo sapevano.
Si
mosse lento verso la porta dello studio, come se fosse
improvvisamente immerso nella melassa e i suoi movimenti fossero
intralciati da qualcosa di appiccicaticcio. Franò addosso all'uscio
e vi batté sopra il pugno, prima debolmente e poi sempre più forte,
in preda ad un panico crescente.
No, no, non andava bene, dovevano
smetterla di fissarlo così, di giudicarlo, dovevano smetterla
subito, Merlino, quanto avrebbe voluto che non lo facessero più.
Come
automi i due si voltarono, lo sgomento ancora presente nei loro volti
ed il silenzio pesantissimo che invadeva la stanza gli tolse il
respiro.
Un attacco di panico, stava avendo un attacco di panico
proprio in quel momento.
Chiuse gli occhi mentre il mondo
cominciava a girare su se stesso, una nuova voce che irrompeva nella
stasi di quella scena, un uomo che lo chiamava preoccupato mentre lui
si accasciava lentamente contro la porta.
L'ultima cosa che vide
su la figura sfocata del medimago piegarsi su di lui.
“Vorrei
solo che tutto questo smettesse...vorrei solo che non fosse mai
successo. Perché a me? Cos'ho fatto di male per meritarmi questo?”
Ad
un anno dalle selezioni...
Era
il 25 marzo e l'aria profumava di primavera. I fiori avevano
finalmente cominciato a sbocciare, dopo mesi e mesi di ghiaccio e
freddo perenne, ed il sole illuminava lo scenario con i suo raggi
solari.
Era
proprio una bella giornata, Lavi se ne rese conto fin da subito non
appena mise piede in quel posto che gli scaturiva alla mente solo
brutti ricordi.
Avanzando
lentamente nel terriccio, e stringendo la presa sul mazzo di fiori
che aveva comprato poco prima, si incamminò nella zona più
illuminata del posto.
Probabilmente
era tutta una sua impressione, anzi sicuramente lo era, eppure aveva
come la sensazione che da lassù qualcuno stesse illuminando la zona
solo per lui. Come se fossero felice di vederlo in quel luogo dove,
quasi mai, faceva ritorno volentieri.
Si
fermò a pochi metri di distanza dall'oggetto dei suoi desideri e,
senza curarsi di ciò che lo circondava, iniziò a parlare:
“Ciao
papà, come va? Spero che te la stia spassando lassù”
Il
rosso sorrise leggermente pur non ricevendo alcuna risposta. Ma non
glie ne importava. Fin tanto che stava là, con lui, tutto il resto
era eclissato ai suoi occhi. Anche il fatto che stesse parlando con
una lapide.
“Sai
un anno fa ho partecipato ad una sorta di selezione per un posto...”
continuò imperterrito “... doveva svolgersi in una maniera ed
invece per poco non ci lasciavamo le penne, tutti quanti” il solo
ricordo della figura di Shade gli fece salire i brividi.
“Comunque
alla fine abbiamo risolto tutto, anche se non sono riuscito a
prendere quel posto. Ma, ora che ci penso bene, forse non mi
interessava veramente. Forse avevo deciso di partecipare, e non di
ritirarmi, per dimostrare a me stesso che non ero proprio il mostro
che pensavo di essere. Che forse, un giorno, sarei riuscito a
controllare il mio potere e magari l'avrei usato per fare del bene,
piuttosto che fare del male. Ed, in effetti, è proprio quello che
sto cercando di fare in questo periodo”
Strinse
di nuovo la base del mazzo di fiori e, inumidendosi le labbra,
continuò:
“E
sai papà? Ci sono riuscito. Ora lo controllo e vado in missione per
aiutare le persone che ne hanno bisogno...” le lacrime iniziarono a
scendergli dal viso mentre il fiato iniziò a farsi sempre più corto
“... mi dispiace solo di non essere riuscito a controllarmi quel
giorno...” trasse un profondo respiro e, con l'orlo della
maglietta, si asciugò gli occhi dopo aver tirato per bene su dal
naso.
Gli
anni passano ma la gente difficilmente cambia.
“Comunque
mi impegnerò per difendere le persone. Certo, non sarò un tiratore
scelto, grande e potente, come te ma... cercherò di fare del mio
meglio. Ti renderò orgoglioso di me, vedrai. Renderò tutti voi
orgogliosi di me. Hai la mia parola!”
“Noi
siamo già orgogliosi di te, Lavi”
In
quell'istante una mano gli si posò sulla spalla, ferma e decisa come
il proprietario a cui apparteneva.
Lavi
si voltò di scatto non pensando che ci fosse qualcun altro ad
ascoltare e, quando vide il volto di suo fratello maggiore, per poco
non gli venne un colpo.
“Allen...”
poi il suo sguardo incrociò la figura accanto a suo fratello “...
Karlos... non pensavo di trovarvi qui”
“Invece
ci siamo eccome, fratellino”
“E
siamo davvero fieri della persona che sei diventato oggi” insisté,
nuovamente, suo fratello Allen senza distogliere lo sguardo da lui.
Lavi
si sentì quasi sprofondare dentro.
Abbassò
la testa ed indietreggiò quel poco che bastava per far sì che la
mano di suo fratello abbandonasse la sua spalla.
Ora
sapevano che, di sicuro, era colpa sua se loro padre era morto.
Che
era lui la causa della disgrazia nella sua famiglia. Delle lacrime di
sua madre, di quelle dei suoi fratelli. E dei continui sbalzi d'umore
di Allen.
Aveva
rovinato le loro vite, per questo aveva quasi paura ad affrontare suo
fratello.
“Il
passato si chiama così perché non lo si può cambiare, Lavi”
Le
parole di Allen lo trafissero, nuovamente, quando la consapevolezza
di star a parlare con un professionista della Legilimanzia lo colpì
come un secchio d'acqua fredda.
“E
rimuginare su di esso, non ti porterà da nessuna parte fratellino”
Lavi
chiuse gli occhi proprio quando le lacrime gli scesero, di nuovo,
lungo le guance ma, proprio in quel momento, forti braccia lo
tirarono a sé rischiando di sgretolarlo.
“E
non possiamo incolparti di un qualcosa che non sapevi controllare.
Quindi basta
Lavi.
Perdona te stesso e vai avanti. Karlos ed io, l'abbiamo già fatto”
Anche
Karlos, che era rimasto in disparte per tutto quel tempo, decise di
avvicinarsi ai fratelli e contribuire all'abbraccio.
Lavi
non si era mai sentito così.
Così
fragile e bisognoso d'affetto come in quel momento.
E
quando Karlos pronunciò, anche lui, le parole “Siamo orgogliosi
della persona che sei, fratellino” quella fu la goccia che fece
traboccare il vaso.
Come
quando era piccolo, Lavi si ritrovò a piangere come un bambino.
Ma
piangere non era mai stato così liberatorio. E la consapevolezza che
i suoi fratelli l'avessero perdonato, lo fece singhiozzare ancora ed
ancora. Fino a che non ebbe più lacrime da poter versare.
In
quel misero gesto d'affetto e quella valanga di lacrime, Lavi aveva
finalmente trovato un equilibrio.
Lavi
aveva ritrovato la sua famiglia.
The
End
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