and we'll be good tredici ok
13. Battle
Daryl
Sono.
Fottuto.
Fu
questa la prima cosa che pensai quando le labbra di Beth sfiorarono
le mie. Un istante dopo, realizzai che, in realtà, ero
già fottuto
da tempo. Quel bacio ebbe lo stesso effetto di uno schiaffo in faccia
e un pugno nello stomaco, contemporaneamente: avevo passato il segno.
Abbassato la guardia, fine. Capolinea. Si era avvicinata più
del
dovuto, definitivamente, ed io non avevo fatto nulla per impedirlo.
La sera prima, insieme, sul suo divano a parlare, la notte passata a
dormire l'uno accanto all'altra... Tutti quei gesti a cui, sul
momento, non avevo dato eccessivo peso, li riconsiderai sotto una
luce nuova. Non ero mai stato così vicino a lei, prima di
allora e
sicuramente non di mia spontanea volontà. Che cazzo mi era
preso? Per quale fottuto motivo non riuscivo nemmeno a trovare
la forza di interrompere quel bacio? Per quale fottutissimo motivo la
stavo ricambiando?! Dovevo essermi fritto il cervello in qualche
modo. Qualcuno doveva avermi drogato nel sonno peggio dei tossici che
frequentava Merle. Perché nel modo in cui stavo baciando
Beth a mia
volta, nel modo in cui le mie braccia la stavano stringendo per
trattenerla a me, nel mio petto che quasi stava per aprirsi in due,
non c'era niente di razionale.
È solo una ragazzina,
fottuto viscido bastardo, provò a protestare una
voce
nell'angolo del mio cervello. La ignorai bellamente, troppo impegnato
a non lasciarmi travolgere dalla foga come un animale. Era
dall'inizio dell'apocalisse che non avevo più toccato una
donna,
certo, ma non avrei mai permesso che la ragazzina ne pagasse le
conseguenze. Io le donne le avevo sempre e solo baciate per poi
farmele, nulla di più. Quelle con cui ero stato
non
erano state niente, nessuno per me; se il bacio non fosse stato un pretesto per
arrivare a scoparci, in alcuni casi lo avrei evitato volentieri.
Ma
questo bacio era tutta un'altra storia. Non era possibile che fosse
una ragazzina come Beth a mettermi sotto scacco così. Io non
sapevo
nulla di quelle stronzate sdolcinate da liceali con cui si era sempre
misurata lei, eppure non potevo ignorare il cuore che mi si
schiantava in petto e quel familiare formicolio nei pantaloni. Ero
come un fottuto adolescente alle prime armi e Beth ne sapeva
sicuramente molto più di me, riguardo a quello che stavo
provando.
Quelle sensazioni totalmente sconosciute mi arrivarono addosso tutte
in una volta, a sopraffarmi. Il suo sapore era dannatamente buono, la
sua lingua era calda e morbida contro la mia, le sue mani stavano
bruciando le mie guance e il suo corpo piccolo stretto contro il mio
stava per scatenarmi delle reazioni non proprio innocenti.
Il
bussare improvviso alla porta arrivò come un salvagente. Ci
allontanammo repentinamente l'uno dall'altra, come se avessimo preso
la scossa. Beth aveva gli occhi spalancati, due biglie azzurre che mi
fissavano, smarrite. Le sue labbra erano socchiuse e leggermente
arrossate. Guardai altrove, deglutendo a vuoto.
«Beth,
sono Maggie».
La
voce della maggiore delle Greene arrivò attutita dalla porta
e dal
salotto che ci dividevano - grazie a Dio. Chissà in quanti
modi
diversi mi avrebbe torturato Maggie, se mi avesse beccato a baciarmi
la sua sorellina.
«V-Vado
ad aprire», farfugliò Beth con un'espressione
smarrita. Quasi si
mise a correre, per raggiungere il prima possibile la porta di
ingresso.
Rimasto
solo, un pensiero urgente mi riempì il cervello: devo
uscire da
qui. Avevo l'assoluto bisogno di rimanere per conto mio,
calmarmi, pensare a tutto quello che era successo. Sicuramente Beth
avrebbe voluto parlarne e io non ne ero assolutamente in grado, al
momento. Feci un respiro profondo e mi incamminai verso la porta di
ingresso. Beth e Maggie stavano ancora parlando di non so cosa sulla
soglia e fui grato di quella fortunata coincidenza: la ragazzina non
mi avrebbe mai fermato, con sua sorella lì. Le seguii al
funerale di
Reg senza dire una parola; arrivati lì, cercai di
confondermi tra le
altre persone per poter sparire senza che Beth se ne accorgesse. Mi
dileguai senza sapere bene dove andare. Mentre camminavo in fretta,
mi ricordai del laghetto che avevo intravisto la prima volta che
Aaron ci aveva fatto fare il giro di Alexandria. Era abbastanza
lontano dal cimitero della cittadina, quindi sarei riuscito a
starmene tranquillo per un po'.
Mi
piazzai sotto un albero, nel punto più nascosto possibile e
mi
accesi una sigaretta. Il silenzio che mi circondava rendeva tutto
quello che mi passava di mette fottutamente rumoroso. In testa avevo
una matassa informe di pensieri che mi colpivano tutti
insieme,
tutti nello stesso momento e tutti in disaccordo l'uno con l'altro.
Ma cosa cazzo mi era successo, per arrivare a farmi tutte quelle
seghe mentali per una ragazzina che aveva quasi vent'anni in meno di
me? Cosa mi era passato per la testa?
L'avevo
baciata, cazzo. E tanti saluti ai miei propositi di
tenerla a
giusta distanza. Mi era bastato vederla a casa di Deanna, sconvolta e
con le mani insanguinate, per rammollirmi come un idiota. Non
contento, avevo accettato di andare a casa sua e di dormire con lei,
tenendola stretta. La cosa che veramente mi lasciava incredulo era
che l'iniziativa l'avevo presa io. A parte il bacio, certo.
Sul
momento ero rimasto sorpreso, ma, riflettendoci col senno di
poi, tutto aveva riacquistato una logica precisa.
Si
parlava di Beth, che provava - assurdamente - qualcosa per me e che
non si era mai arresa, in quei mesi, nonostante i miei tentativi di
allontanarla in diverse occasioni. Non solo le avevo mandato dei
segnali, ma le avevo offerto su un piatto d'argento il pulsante che
avrebbe sganciato la bomba, l'occasione perfetta per farsi avanti.
Avrei dovuto far recuperare quello zaino a qualcun altro,
merda.
Cosa cazzo mi aspettavo, una pacca sulla spalla e un vassoio di
biscotti come ringraziamento? Non in quei giorni, non in quel
momento.
Idiota,
idiota, idiota. Ci ero caduto con tutte le scarpe ed era tutto un
dannatissimo, gigantesco errore nella quale non mi sarei dovuto
infilare. Avrei dovuto respingerla, allontanarla, impedirle anche
solo di provarci. Come potevo sperare che Beth dimenticasse quello
che era successo, se avevo praticamente ammesso che anche io provavo
qualcosa per lei?
Pensarlo
apertamente mi aprì una voragine nello stomaco e mi
assalì un
panico sottile.
Io
non andavo bene per lei e non c'entrava solo la differenza di
età:
Beth e io eravamo troppo diversi. Lei non aveva sperimentato che una
piccola parte della merda che sa essere il mondo; io, quella merda,
me la portavo dentro da ben prima che lei nascesse. Lei era
così
gentile, pura e ancora integra. Migliorava la vita delle persone che
aveva attorno col suo ottimismo e le sue assurde idee sulla
bontà
della gente - che erano riuscite a cambiare le mie convinzioni. Io,
invece, ero solo uno zoticone che se la cavava con la balestra, si
incazzava ogni tre per due e non riusciva a far avvicinare nessuno.
Sapevo riconoscere le brave persone, per questo io non pensavo di
esserlo fino in fondo. Certo, ero migliorato rispetto all'inizio, ma
la parte più buia di me non mi avrebbe mai abbandonato.
Anzi,
probabilmente, col passare del tempo, avrebbe solo oscurato la luce
che c'era nella ragazzina, se lei avesse continuato a ronzarmi
intorno. Tutti quei sentimenti positivi che Beth aveva conosciuto fin
da bambina, io non sapevo nemmeno cosa fossero. Avevo avuto una
parvenza di famiglia solo quando era iniziata l'apocalisse e a
malapena avevo capito cosa significasse avere un rapporto di amicizia
o fraterno sani.
"Romanticismo",
"dolcezza" o "innamoramento" per me erano solo
parole vuote, cazzate di cui avevo sentito parlare in uno di quei
film sentimentali che si sorbiva Merle quando, da strafatto o
ubriaco, si metteva a fare zapping. Non avrei mai potuto offrire
niente di tutto quello a Beth e rabbrividivo alla sola idea di fare
la parte del... fidanzato. Ugh. Ruolo che non avrei
comunque
interpretato a lungo perché, tanto, Maggie mi avrebbe ucciso
e dato
in pasto ai vaganti molto prima, non appena avesse scoperto di noi.
Con buona pace del resto del gruppo. Lo zotico che ha finito
per
traviare una ragazzina innocente: mi avrebbero ricordato
così,
nella storia di Alexandria.
Non
potevo permettere che accadesse. Allo stesso modo, non era nemmeno
possibile illudersi di riuscire a far tornare le cose come erano
prima. Ormai eravamo arrivati al maledetto "punto di non
ritorno" e le opzioni erano due: andare avanti o fermarsi. E
fermarsi significava fare finta di nulla. Fare incazzare talmente
tanto la ragazzina, con la mia indifferenza, da indurla a togliermi
anche il saluto. Dopotutto, Beth era giovane e tutto ciò che
non
avrebbe dovuto provare le sarebbe passato presto. Prima o poi sarebbe
arrivato ad Alexandria un ragazzo come Zach, coetaneo di Beth o poco
più grande e si sarebbero naturalmente trovati, senza troppi
problemi e senza troppo vociare. Tanto, anche se avessimo continuato
a parlare, prima o poi saremmo arrivati sempre allo stesso punto. La
piccola Greene sapeva essere testarda: se non ci avessi dato un
taglio netto, lei magari avrebbe pazientato ancora e ci avrebbe
riprovato più avanti.
I
primi due giorni era stato facile rimanere nelle mie convinzioni e
proseguire con i miei propositi: l'avevo ignorata tutto il tempo -
tenendomi lontano anche dal resto del gruppo, a dire il vero e lei
non era mai venuta a parlarmi. Inoltre, Rick che aveva trovato
quella dannata cava piena di vaganti mi aveva offerto la scusa
perfetta per rimanere fuori dalle mura. Lo sceriffo mi aveva anche
comunicato la sua idea di non accogliere più nuove
persone
nella zona sicura, lasciandomi con il culo per terra. Stavo
riflettendo sulla sua decisione, quando Beth mi trovò in
riva al
laghetto. Come un coglione, mi ero domandato - senza nemmeno
accorgermene - quale sarebbe stata la sua opinione riguardo ai piani
di Rick, e lei mi era comparsa alle spalle con una
puntualità
terrificante. A quel punto, urlarci addosso fu inevitabile. Sempre
la stessa storia. L'avevo trattata di merda, lo sapevo.
Avevo
esagerato, sicuramente. Ma era l'unico modo per mantenere le distanze
senza crearle spiragli di speranza.
"È
per il suo bene", ripetei a me stesso, osservando la figura
di spalle di Beth mentre si allontanava, delusa e incazzata. E ne ero
convinto, al cento percento; allora perché non riuscivo a
scacciare
quel peso che mi era strisciato sullo stomaco? Merda.
Tornai
a casa dopo un bel po' e incrociai Rick che teneva la Piccola
Spaccaculi in braccio, sul dondolo del portico. Salii gli scalini e
mi avvicinai a loro.
«Non
riesce a dormire?», domandai, sfiorando quella testolina
bionda.
«È
incredibile, sembra sempre capire quando qualcosa non va. Si agita e
fatica ad addormentarsi», spiegò Rick, iniziando a
cullarla. «Beth
è molto più brava di me, a fare addormentare
Judith».
Ignorai
la pesantezza al petto che avvertii al nome della ragazzina,
concentrandomi sulla piccola. «Forse sa che domani saremo col
culo
in una cava piena di vaganti».
«Sei
preoccupato?», domandò, quasi provocatorio.
Feci
spallucce. «Nah. Piuttosto, andrò a farci un giro
all'alba, per
vedere come sono messi gli autoarticolati». Avevo fatto in
modo che
fosse un'affermazione, più che una domanda. Non volevo il
suo
permesso e lo avrei fatto comunque, perché avevo bisogno di
sparire
prima che gli altri si radunassero davanti ai cancelli, prima della
partenza. Beth sarebbe di sicuro venuta a salutare e non era il caso
di farmi trovare. Anche se, ne ero consapevole, quello era il modo
per farmi odiare definitivamente.
Lo
sguardo dubbioso di Rick mi trapassò da parte a parte.
«Non è
necessario che tu vada là prima. Soprattutto, non da
solo».
«Ti
preoccupi per me, mammina?».
«Daryl...».
«Rick.
È solo uno scrupolo mio, okay? Guarderò il sole
sorgere assieme a
quei bastardi, sarà un'esperienza. Tu tieniti addosso la
ricetrasmittente, così ti informo in tempo reale della
situazione»,
lo liquidai, muovendomi verso la porta d'ingresso. Lui
sospirò, ma
non cercò di dissuadermi ulteriormente. Non poteva certo
dimenticare
quanto me la cavassi meglio di chiunque altro, là fuori.
Avevo
già la mano sulla maniglia, quando lo sceriffo
richiamò nuovamente
la mia attenzione. «Ehi». Tornai a
guardarlo, notando
l'espressione poco convinta che aveva ancora stampata in faccia.
«Va
tutto bene?», domandò, ma sembrava conoscere
già la risposta—no.
Mi
infilai le mani nelle tasche, stringendomi nelle spalle. «Va,
sceriffo».
Rick
soppesò le mie parole qualche secondo: il suo sguardo era
preoccupato, ma capii che non avrebbe indagato oltre e gliene fui
grato.
«Stai
attento, domattina», si raccomandò, per poi
aggiungere:
«buonanotte». Gli risposi con un cenno del capo e
mi infilai in
casa, il sollievo che mi inondò non appena varcata la porta.
Provai
lo stesso sollievo qualche ora più tardi quando, in sella
alla mia
moto, uscii dal cancello principale di Alexandria. La trascinai a
mano oltre la cancellata, parcheggiandola un attimo per riuscire a
sistemare la balestra sul retro. Il rumore dell'inferriata che si
richiudeva mi fece alzare lo sguardo e rimasi qualche istante a
fissare le lamiere di rinforzo, come se aspettassi qualcuno. O come
se quello che avevo davanti fosse tutto sbagliato e in
realtà il
cancello dovesse essere aperto, mentre salutavo la ragazzina che mi
raccomandava di fare attenzio—basta, cazzo! Montai
in sella
alla moto con un movimento brusco, partendo in quarta con la speranza
di lasciarmi indietro tutte quelle fottute seghe mentali.
Alla
cava, neanche a dirlo, era tutto a posto. Mi sedetti su un masso, a
distanza, per non attirare l'attenzione dei vaganti e mi accesi una
sigaretta. L'aria del mattino era fresca e un toccasana per la mia
mente incasinata. Riuscii a non pensare a nulla per un po',
osservando quell'orda di non-morti e fumando in pace. E la cosa
più
bizzarra fu rendermi conto che non ne avevo paura. Forse ero
diventato un non-morto anche io.
E
invece col cazzo. Perché realizzai, solo qualche ora
più tardi, che
di paura ne avevo ancora da vendere. Era bastata quella sola,
maledetta frase, pronunciata da Rick e arrochita dalle interferenze
della ricetrasmittente, a farmi rendere conto di quanto ancora fossi
capacissimo di provare terrore. Non-morto un paio di palle.
«Si
sono divisi. La metà sta andando verso Alexandria».
Smarrimento,
il cervello che si scollega dal resto del corpo.
Un
tempo infinito dopo, il buio momentaneo nella mia testa viene
rischiarato dall'immagine del volto Beth, che mi lampeggia davanti
agli occhi come un'insegna luminosa.
La metà sta andando
verso Alexandria.
La
metà sta andando verso Beth.
Gli
ingranaggi ripresero a funzionare. Una paura viscerale mi fece
contorcere le budella, mentre accostavo il pensiero di quell'orda
immensa al corpo piccolo e fragile di Beth. Non mi ci volle molto per
arrivare ad una sola conclusione: dovevo tornare indietro. Per me non
fu più ammissibile nessun'altra opzione. Poco importava
degli ordini
di Rick o delle proteste di Sasha e Abe. Dovevo tornare ad Alexandria
ad ogni costo, 'fanculo le quindici miglia che ci mancavano da
percorrere per far disperdere la mandria. Le mie remore -
sicuramente provocate dagli occhioni da Bambi di Sasha - durarono un
istante e morirono nel momento esatto in cui superammo un vecchio
cartello che stava per essere inghiottito dal verde del bosco.
"Un
nuovo inizio: Alexandria, il principio della sostenibilità".
«Nah.
Ho fiducia in voi due», e accelerai, sperando di correre
più veloce
dei miei rimorsi.
***
Beth
Siamo
fottuti.
Eppure
le cose, fino al pomeriggio, erano scivolate via tranquille. Il
ritorno di Rick ci aveva dato un'enorme sicurezza in più:
era stato
confortante vederlo aggirarsi per le mura sin dal mattino per
rafforzare le recinzioni. I vaganti si erano ammassati contro di esse
e ne sentivo i versi vibrare oltre il ferro, ronzanti come uno sciame
d'api. Ero con Maggie sulla torretta di guardia, ad aspettare un
segnale di Glenn.
«Questo
rumore mi angoscia», borbottai, lanciando uno sguardo
più in basso.
Le teste dei vaganti ciondolavano e le loro mani battevano contro le
lastre di ferro che li tenevano fuori.
Lei
ridacchiò, per allentare la tensione. «Rick dice
che penseremo ad
allontanarli con calma. Fortunatamente sono sparsi e le recinzioni
reggono ancora».
Annuii.
«Purtroppo c'è il rumore che mi ricorda della loro
presenza, quando
cammino per la città».
«A
me un po' ricorda di quando infilzavo i vaganti oltre la rete, alla
prigione».
«Ma
se eri sempre sulla torretta di guardia con Glenn», replicai,
lanciandole un'occhiata maliziosa. «Lo sapevamo tutti come
passavate
il vostro tempo. Altro che guardia».
Il
volto di Maggie si aprì in un'espressione scandalizzata, ma
le
labbra erano piegate in un sorriso. Stava per rispondermi, quando
qualcosa alle mie spalle attirò il suo sguardo,
più in alto del mio
volto, fino al cielo. Gli occhi le si accesero di confusione,
incredulità e speranza. La guardai perplessa per un attimo,
poi mi
voltai a guardare anche io. In lontananza, fuori dalle mura e oltre i
tetti delle case di Alexandria, un gruppo di palloncini verdi si
stava librando nell'azzurro di quella giornata serena.
«Glenn...
Quello è il segnale di Glenn!», esclamò
mia sorella.
Mi
voltai a guardarla, gli occhi spalancati.
«Cosa?».
Ma
lei non rispose, anzi, scattò per scendere gli scalini della
torre
di guardia in tutta fretta. Mi limitai a seguirla, correndo con lei
per la via di Alexandria. Raggiungemmo Rick, che stava fortificando
le mura assieme ad altri uomini, nella zona dei pannelli solari. Con
lui c'erano Deanna e Tobin, tutti col naso all'insù.
«È
Glenn», affermò Maggie, guardando Rick con
sollievo. Lui annuì,
accennando un sorriso.
Ma
quell'attimo di felicità durò poco.
All'inizio
si sentì uno scricchiolio strano e non capii subito da dove
provenisse. Poi il rumore di qualcosa che vacillava, di legno che si
spezzava... Il mio udito si accorse da quale direzione provenivano
quei rumori e guidò il mio sguardo, molto prima che me ne
rendessi
conto. I miei occhi corsero alla torre esterna, quella che il giorno
prima era stata colpita dal camion guidato da quei selvaggi. Sentii
qualcuno - forse Maggie? - afferrarmi un braccio e trascinarmi via,
mentre continuavo a guardare, incapace di smettere. Ogni altro rumore
si azzerò, ogni pensiero venne congelato
dall'incredulità di quello
a cui stavo assistendo: la torre oscillò verso la nostra
recinzione
e, dopo un tempo breve e infinito contemporaneamente, crollò
rovinosamente su essa, con un frastuono assordante.
I
vaganti che ci avevano circondato tutta notte iniziarono a infilarsi
nella breccia, finalmente liberi di superare la recinzione ed
entrare. Emersero dalla nebbia di polveri che aveva provocato il
crollo, come da un incubo. Fu allora, che guardai in faccia la
spaventosa realtà. Siamo fottuti,
pensai, mentre la voce
rabbiosa di Rick che ci ordinava di andarcene mi riscuoteva dallo
shock. Le mie gambe seguirono il suo consiglio prima che il mio
cervello riuscisse ad inviare qualsiasi impulso, e cominciai ad
arretrare.
Poi
udii la voce di mia sorella che urlava qualcosa e tornai
completamente lucida: Maggie.
Dovevo mettere in salvo lei
e mio nipote. Iniziammo a correre fianco a fianco, per allontanarci
da quell'orda di non-morti. Quando uno di quelli si avvicinava troppo
a mia sorella o a me, mi voltavo per sparargli in fronte, senza mai
smettere di indietreggiare e lasciando sempre più avanti
Maggie. Non
dovevano nemmeno sfiorarla.
Dopo
qualche metro, intravidi la torretta di guardia più vicina e
capii
cosa avrei dovuto fare. I vaganti non erano solo alle nostre spalle,
ma ci stavano circondando anche sul lato destro.
«Maggie,
la torre!», urlai, fermandomi ad abbattere alcuni vaganti in
testa
all'orda.
«Sì!»,
rispose a sua volta, imbracciando il fucile e aiutandomi ad
ucciderli. Il nostro obiettivo era davvero vicino e, quando
finalmente ci fummo avvicinate abbastanza, mi fermai nuovamente per
rallentarli, dando le spalle a mia sorella.
«Sali!»,
le ordinai.
Avvertii
il suo sguardo pieno di preoccupazione incollato alla nuca.
«Beth...».
«Prima
sali tu, poi mi arrampico anche io!», la incitai, ricaricando
la
pistola e sparando un altro colpo.
In
realtà, non avevo la minima intenzione di salire assieme a
lei.
Innanzitutto, perché non saremmo riuscite ad
arrampicarci
entrambe prima di essere circondate totalmente da vaganti, erano
troppo vicini. Inoltre, se quei non-morti si fossero accalcati in
massa attorno alla fragile struttura della torretta, quella sarebbe
crollata nel giro di niente. Sarebbe servito che qualcuno ne
allontanasse buona parte e dovevo farlo io. Non mi rasserenava l'idea
di lasciare Maggie da sola, ma se fossi rimasta per terra sarei
potuta andare a cercare aiuto. Anche con una sola persona, forse
quella torretta non avrebbe retto a lungo. Avrei dovuto fare in
fretta.
Sparai
ai vaganti vicini, mentre mia sorella si arrampicava sulla scaletta.
Lanciai un'occhiata in alto, verso di lei, incontrando il suo sguardo
apprensivo. Si era sporta verso di me, guardando in basso da sopra la
torre. Era al sicuro. «Beth, sali subito!».
Respinsi
un vagante con un calcio. «Cerco di allontanarne il
più
possibile, poi andrò a cercare aiuto».
«Cosa?!
Beth, NO!», gridò Maggie.
«STAI
GIÙ, quelli più avanti non ti hanno ancora visto!
Tornerò presto»,
promisi, concitata.
Distolsi
lo sguardo da quello angosciato di mia sorella ed iniziai a
sbracciarmi e a urlare, attirando l'attenzione dei vaganti per
allontanarli dalla torre. Molti di loro mi seguirono ma, in un attimo
di distrazione, inciampai e mi ritrovai per terra. Il cuore
iniziò a
battermi furiosamente nel petto, le orecchie mi fischiavano.
Strisciai all'indietro, sparando verso i quattro vaganti che stavano
per sopraffarmi. Quando premetti il grilletto a vuoto, mi
riempì la
testa un solo pensiero: sono morta.
Poi,
all'improvviso, udii una lama sibilare, del sangue mi
schizzò
addosso e quei vaganti caddero ai miei piedi. Guardai in alto, al mio
fianco: Michonne.
«Alzati,
Beth!», gridò, parandosi tra me e altri che
stavano arrivando.
Obbedii, portandomi alle sue spalle e guardandomi attorno. Notai che,
poco distante da me, Deanna stava zoppicando aggrappata a Rick. Mi
voltai e incontrai lo sguardo di Michonne.
«VAI!».
Raggiunsi
Rick e Deanna, circondandomi le spalle con l'altro braccio della
donna per aiutarli. Ci allontanammo di fretta, ben presto seguiti da
Michonne. Incontrammo Jessie, che ci fece segno con urgenza di
entrare da lei. Una volta chiusa la porta, mi accorsi che casa sua
era piuttosto affollata: c'eravamo io, Rick, Deanna, Michonne e
lì
vi trovai padre Gabriel, Carl, Judith e i figli di Jessie. Mentre
trascinavo Deanna su per le scale per farla stendere, gli altri si
occuparono di barricare le finestre e le porte. La feci stendere sul
primo letto disponibile che trovai. Nello stendersi, Deanna si
lasciò
scappare un singulto di dolore.
«Dove
ti sei ferita?», domandai, sistemandole meglio i cuscini
dietro alla
testa.
«Alla
gamba. E al fianco. Sono caduta su qualcosa di affilato, vicino al
cantiere», boccheggiò.
In
tutto quel casino e sorreggendola dalla parte opposta, non mi ero
resa conto della grossa macchia scura che si stava espandendo sul suo
fianco sinistro. Strappai un pezzo di lenzuolo per pulire le ferite e
cercare di tamponarle. Mi sforzai di ignorare il pensiero che Denise
o Josie sarebbero state molto più utili di me, in quel
momento. Il
taglio alla gamba era abbastanza profondo: non era gravissimo, ma
sarebbe servita una garza per fermare l'emorragia. Corsi in bagno,
rivoltando i cassetti di Jessie e per fortuna trovai quello che
cercavo. Medicai la gamba di Deanna al meglio delle mie
capacità,
lanciandole un'occhiata di scuse ogni volta che sussultava dal
dolore.
«Tranquilla,
piccola. Stai andando alla grande», mi rassicurò,
tentando di
trasformare quella smorfia di tormento in un sorriso incoraggiante.
«Mi stai facendo un male cane, ma posso perdonarti».
Le
sorrisi, stringendole una mano. «Devi portare pazienza,
un'altra
medicazione e poi ti lascerò in pace», la
rassicurai, spostandomi
per essere più vicina al suo addome. Le sollevai con
delicatezza la
maglia, posandoci subito sopra le garze. Quando diventarono zuppe, ne
preparai altre per cambiarle. Fu allora che me ne accorsi, proprio
mentre Rick e Michonne entravano.
Deanna
si era tagliata, sì: e il taglio, poco profondo, era
collocato...
subito sopra un morso di vagante. Mi sentii sbiancare, anche Michonne
- che stava dicendo qualcosa - si interruppe. Alzai di scatto il
volto, guardando Deanna con espressione stralunata. Quello che lessi
nei suoi occhi mi fece male: era lo sguardo addolorato e rassegnato
di una donna fiera che si rendeva conto che il suo tempo stava per
scadere.
«Beh...
cazzo».
***
Tenevo
in braccio Judith, sbirciando dalla fessura di una tenda i vaganti
che avevano invaso le strade. Rick mi aveva chiesto di prendermi cura
di lei, mentre gli altri bloccavano le entrate al piano di sotto. In
un primo momento, tentennai, perché avrei preferito rimanere
assieme
a Deanna. Lei, con uno sguardo, lo aveva capito e mi aveva
rassicurata: «resisterò ancora per un po', Beth.
Quando avranno
finito, potrai salutarmi».
Avevo
cercato di essere forte, in presenza di Deanna: avevo trattenuto le
lacrime il più possibile ma, una volta chiusa la porta della
camera
di Jessie, mi ero lasciata andare, stringendo Judith al mio petto.
Deanna si sarebbe trasformata in uno di quei mostri, mentre
Alexandria aveva ancora bisogno di lei e delle sue idee. Ripensai
inevitabilmente al giorno in cui l'avevo conosciuta, a come mi era
sempre sembrata forte e materna al tempo stesso, specialmente con me
e Noah. Non riuscivo ad immaginarmi una Alexandria senza Deanna e
invece sarebbe andata proprio così. Sempre se fossimo
riusciti a
sopravvivere a quell'inferno.
Come
se le mie emozioni negative la stessero disturbando in qualche modo,
Judith si agitò appena tra le mie braccia. La cullai,
accarezzandole
i capelli ricciuti, cercando di tranquillizzare lei e me stessa. Mi
sedetti sul bordo del letto, asciugandomi le lacrime e provando a
calmare i miei singhiozzi. In quel momento, la porta si
aprì, piano.
Alzai lo sguardo, allarmata, e scattai in piedi, sfoderando il
coltello. Da dietro la porta spuntò Deanna, aggrappata allo
stipite
e col volto smunto madido di sudore.
«Posso?»,
domandò, stiracchiando un sorriso.
Sussultai,
muovendomi in fretta per adagiare Judith nella culla e aiutare Deanna
a stendersi.
«Non
ti saresti dovuta alzare», la redarguii, con voce spenta,
mentre si
adagiava sui cuscini.
«Sarà
la mia ultima fatica», sdrammatizzò.
«Volevo vedere la piccola».
Io
rimasi in piedi accanto al letto, in silenzio, guardandola col
tormento che mi si agitava nel cuore, nello stomaco, in ogni cellula.
Non sapevo bene cosa dire. Probabilmente Deanna si accorse dei miei
occhi arrossati e gonfi, perché non riusciva a distogliere
lo
sguardo dal mio.
«Perché
piangi, Beth?», domandò con dolcezza.
Sentii gli occhi
inumidirsi di nuovo e strinsi le labbra.
«Vieni
qui», mi invitò, tamburellando il materasso al suo
fianco con una
mano. Io obbedii, sedendomi accanto a lei con le spalle incurvate e
lo sguardo incollato al pavimento.
«Non
devi essere triste, bambina mia. L'ho detto anche a Michonne: me ne
vado sentendomi fortunata, perché ho fatto tutto quello che
volevo,
assieme alla mia famiglia. Non ho rimpianti», mi
rassicurò,
appoggiandomi la mano sulla coscia. La febbre la stava consumando al
punto da impedirle di riuscire ad alzare un braccio per accarezzarmi
la guancia. Strinsi la sua mano bollente tra le mie.
«Mi
dispiace farmi vedere così, ma... Non ci riesco»,
mi scusai, la
voce rotta dai singhiozzi che mi stavano scuotendo. «Dopo
tutto
quello che hai fatto per me, per il mio gruppo, per la gente di
Alexandria... non è giusto».
Deanna
sorrise debolmente, gli occhi improvvisamente più lucidi.
«Io sono
felice di essere riuscita a farlo. Adesso tocca a voi e sono sicura
che ce la farete. Alexandria è le
persone che la abitano,
Beth. Non sono solo io, non è solo Rick. Devo lasciare a te
il
compito di fare aprire gli occhi a chi ancora non vuole vedere quanto
nel profondo, in realtà, facciamo già tutti parte
della stessa
famiglia».
«Io
n-non so se ne sarò in grado», mormorai,
abbassando lo sguardo.
«Se
non ne fossi in grado, non te lo chiederei»,
replicò Deanna, con la
voce sempre più sottile, ma sempre più dolce.
«Tu sei sempre stata
il comune denominatore dell'alleanza che io e Rick abbiamo provato a
mettere insieme. Sei la prima, tra tutti noi, che ha capito quanto ci
apparteniamo tutti. Devi solo credere un po' di più nel tuo
ruolo
all'interno del gruppo».
Mi
passai un braccio sul volto, per asciugare le lacrime nella stoffa e
farmi vedere forte. Annuii, aumentando la presa attorno alla sua
mano. «Ti prometto che ce la farò. Te lo
giuro sulla mia vita»
Le
sue labbra pallide si aprirono in un sorriso. «Brava la mia
ragazza».
Le
sorrisi, il cuore addolorato ma pieno di affetto. «Deanna,
io...
volevo solo dirti grazie. Grazie per avermi accolta. Grazie per aver
dato una possibilità alla mia famiglia. Sei stata una grande
leader».
Deanna
annuì, commossa. Si sforzò di darmi una carezza
sul viso, con la
mano tremante. La afferrai per aiutarla a sostenerla.
«Prenditi cura
di te e della nostra famiglia, Beth». Poi, improvvisamente, i
suoi
occhi si fecero più furbi, così come il suo
sorriso. «E, mi
raccomando, prenditi cura del signor Dixon».
Io
mi sentii avvampare, colta di sorpresa, ma non riuscii a trattenere
un sorriso. Annuii. «Ci puoi giurare».
Presi
in braccio Judith e, con cautela, la avvicinai a Deanna, che non
riuscì a far altro che darle una lieve carezza tra i capelli
biondi.
A quel punto, Rick entrò nella stanza, scuro in volto.
«Dobbiamo
andare. Al piano di sotto si sta mettendo male, siamo
circondati».
Mi
voltai istantaneamente verso Deanna, cercando di non ricominciare a
piangere. Lei stiracchiò un sorriso, comprensiva e
annuì nella mia
direzione. «Mi raccomando, Beth».
Rimasi
seduta, spostando Judith sull'altra spalla e stringendo la mano di
Deanna con la mia libera. Forte e per l'ultima volta. Annuii,
sforzandomi in ogni modo di sorriderle a mia volta, ma senza la forza
di dirle nient'altro. Poi mi alzai in fretta e mi allontanai con la
piccola in braccio, mentre Deanna chiedeva a Rick di scambiare due
parole.
Quando
ritrovai gli altri, l'ondata di lacrime che rischiava di travolgermi
venne spazzata via: seguii la voce di Michonne e, in un primo
momento, rimasi allibita sulla soglia. In mezzo all'anticamera, sul
pavimento, trovai ammassi di roba molliccia e rossa che registrai
quasi subito come interiora. Ad un'occhiata più attenta, mi
resi
conto che fuoriuscivano dai due vaganti che erano stati uccisi e poi
sventrati che giacevano in mezzo alla stanza. Sentii un'ondata di
nausea travolgermi, ero sicura di essere anche sbiancata.
Carl
mi si parò davanti, distogliendomi da quella visione
disgustosa.
«Beth, prendi un lenzuolo. Dobbiamo andare all'armeria e
coprirci
con le loro interiora per passare inosservati». Abbassai lo
sguardo e notai che mi stava porgendo un lenzuolo ripiegato. Ricordai
che
Glenn mi aveva raccontato di quella volta in cui aveva usato
quell'esperienza per salvarsi dai vaganti, assieme a Rick. Il
disgusto che avevo provato non era paragonabile a quello scatenato
dalla consapevolezza di doverlo fare davvero.
Annui,
tentando di controllare le ondate di nausea. «Okay,
dammelo»,
risposi a denti stretti, ignorando l'odore orrendo che stava
impregnando la stanza.
Quando
Rick tornò, iniziammo a prepararci e a vestirci con quelle
tuniche
fatte di interiora. Puzzavano terribilmente, perciò iniziai
a
respirare con la bocca e a pensare a qualcos'altro. Sentii un ronzio
nell'orecchio, mentre tentavo di controllare l'ansia che mi provocava
l'idea di passare in mezzo a quei mostri. Sentivo la voce di Jessie
in lontananza che cercava di incoraggiare uno spaventatissimo Sam.
Scendemmo
le scale con cautela e in religioso silenzio e pregai che Judith, che
avevo nascosto sotto il mio lenzuolo, non emettesse un fiato. Quando
Rick scostò il materasso che ci divideva dall'orda che aveva
invaso
l'ingresso di Jessie, trattenni il respiro. Mi aspettai che uno di
quelli lo addentasse da un momento all'altro e, come aveva
pronosticato lo sceriffo, non successe: Rick iniziò ad
avanzare,
guardando il primo vagante negli occhi. Questo non ebbe nessuna
reazione e, a quel punto, capii che potevo riprendere a respirare. Il
piano di Rick funzionava, avrebbe funzionato e ce la saremmo cavata.
Il
cuore iniziò a battermi all'impazzata quando fu il mio turno
di
attraversare quella marea di non-morti ma, ovviamente, ignorarono
anche a me. Finsi di stare attraversando un locale troppo affollato
durante un concerto. Presi una boccata d'aria fresca, quando ci
ritrovammo sul portico. Le strade erano invase di vaganti e, per un
attimo, non ebbi nemmeno più l'impressione di trovarmi ad
Alexandria. Quello era un incubo fatto e finito; era come ritrovarsi
di nuovo fuori dalle mura, in un mondo immenso e pericoloso.
Rick
prese per mano Carl, che prese per mano Jessie e così via,
fino a
formare una catena umana. Io mi ritrovai penultima, tra Ron e Padre
Gabriel. Scendemmo in strada, camminando in mezzo ai morti. Per non
farmi prendere dal panico e per sentirmi meno sola, finsi che l'unica
mano che stavo stringendo – che era di Gabriel –
fosse di Daryl,
per infondermi del coraggio. Immaginai le sue dita ruvide e calde
strette alle mie, assieme alla sua presenza rassicurante che vegliava
su di me. Chissà se ci rivedremo...
Riuscimmo
a superare parecchi vaganti, prima che Rick si fermasse dietro a una
siepe, di nascosto dai non-morti. Lanciò delle occhiate
attorno a
sé, guardingo. «Nuovo piano: non andremo
più all'armeria. Ci sono
troppi vaganti e troppo sparpagliati, i razzi non basteranno ad
allontanarli. Riporteremo tutti i veicoli alla cava, guideremo tutti
così riusciremo a circondarli. Andiamo e torniamo».
Ebbi
un fremito, al pensiero di lasciare Alexandria mentre mia sorella era
ancora da sola su quella torre, per nulla al sicuro. «Rick,
Maggie è
intrappolata su una torretta di guardia, non posso lasciarla
lì».
I
suoi occhi di ghiaccio incontrarono i miei, traboccanti di
indecisione. «Beth...».
Jessie
venne in mio soccorso. «Io ci sto per il piano. Ma
Judith… È
troppo pericoloso per lei, andare e tornare dalla cava».
Istintivamente, strinsi la piccola – ancora nascosta
– a me.
«Posso
trovarle un posto sicuro e poi andare a salvare Maggie, il
camuffamento ha funzionato. Ti giuro che la proteggerò a
costo della
mia vita ma, ti prego Rick, lasciami andare», lo pregai,
mettendocela tutta per risultare convincente.
«Le
proteggerò io», si fece avanti Padre Gabriel. Io,
Rick, Michonne e
Carl ci voltammo a guardarlo contemporaneamente, con sorpresa e
diffidenza insieme. Ma lui non si scoraggiò.
«Accompagnerò Beth in
chiesa e lì terrò Judith al sicuro, mentre Beth
va ad aiutare
Maggie».
Nei
suoi occhi, nonostante i precedenti, scorsi una luce nuova. Stava
dicendo la verità, con un tono deciso che non gli avevo mai
sentito
usare. Ero molto vicina a fidarmi di lui. Rick si concesse qualche
secondo per rimuginarci sopra, ma si accorse presto che il tempo a
nostra disposizione era poco e correva veloce.
Scambiò
una lunga occhiata prima con me, poi con Padre Gabriel. Il prete si
fece più vicino a me, senza distogliere lo sguardo da quello
di
Rick. «Le terrò al sicuro».
Prima
di lasciarci andare, lo sceriffo ci lanciò un ultimo
sguardo,
indugiando su quello di Gabriel e ci congedò con una sola
parola:
«grazie».
***
Arrivammo
alla chiesa senza intoppi, grazie al cielo. Passammo dal retro senza
dare nell'occhio, ma ormai, fortunatamente, eravamo al sicuro. Anche
perché Judith aveva esaurito la sua pazienza e stava
iniziando ad
agitarsi tra le mie braccia, emettendo qualche lamento. Chiusi a
chiave la porta, lasciandomi andare a un sospiro.
«Padre,
si tolga quella schifezza e prenda Judith. Non ne può
più,
piccolina», dissi, cullando la bambina.
Lui
mi rivolse un sorriso stanco, felicissimo di accontentare la mia
richiesta. Sollevai il lenzuolo che ancora mi ricopriva e gli porsi
Judith, che si agitò contrariata. Lui la cullò,
cercando di
tranquillizzarla. In quel momento, sentimmo dei rumori provenire da
dietro la porta che conduceva all'altare. Io e Gabriel ci lanciammo
uno sguardo allarmato e gli intimai di fare silenzio portandomi
l'indice contro le labbra.
Mi
avvicinai silenziosa alla porta, aprendola senza fare rumore. Dopo
aver estratto il coltello dal fodero e aver preso un respiro
profondo, aprii di getto la porta e mi misi in posizione di difesa,
con la lama in offensiva.
La
abbassai immediatamente, quando mi accorsi che, davanti a me, c'era
Glenn.
«Glenn!»,
esclamai, piena di sollievo.
La
sua espressione si distese e mi venne incontro, posandomi una mano
sulla guancia Evitò accuratamente di toccarmi dal collo in
giù.
«Beth, stai bene?», domandò concitato,
storcendo il naso per la
puzza di viscere.
«Sto bene, vestito di
interiora a parte».
«Ho visto Maggie sulla torre,
è
circondata. Dobbiamo andare a salvarla».
Repressi
un fremito di terrore. «Lo so. Sono venuta qui per mettere al
sicuro
Judith, l'ho lasciata a Padre Gabriel per tornare ad aiutare
Maggie».
Decidemmo
in fretta il da farsi e scoprii che anche Enid ci avrebbe aiutati.
Glenn aveva pensato di distrarre i vaganti, mentre la ragazzina si
sarebbe arrampicata sulla torretta per aiutare Maggie a scendere
dall'altro lato delle mura.
«Se
Padre Gabriel resta qui, potremmo usare il suo lenzuolo e darlo a
Maggie per camuffare il suo odore», proposi, cercando di
riflettere.
Glenn
ci pensò sopra. «Non so, è da molto che
ce l'avete addosso?
L'odore potrebbe essersi indebolito. Non posso permettere che Maggie
passeggi tra quei mostri».
«Va
bene, l'importante è muoverci», asserii. Con un
gesto stizzito, mi
liberai di quella veste disgustosa. «Facciamo le cose alla
vecchia
maniera. Ti aiuterò a distrarre i vaganti»,
replicai, con tono
deciso.
Mio
cognato annuì e mi porse un caricatore per la pistola. Mi
ricordai
in quel momento che ce l'avevo scarica. Lo afferrai senza esitazione.
«Andiamo!».
Uscimmo
nell'oscurità, iniziando a correre. Evitammo più
vaganti possibili,
muovendoci a ridosso delle mura. Quando arrivammo da Maggie, la
torretta aveva già iniziato a barcollare pericolosamente,
mossa dai
vaganti che vi si agitavano sotto, nel tentativo di arrivare a mia
sorella. Glenn
urlò a Enid «va' a prenderla!» e ci
separammo da lei, iniziando a
sparare e a urlare per attirare l'attenzione dell'orda. Negli spazi
vuoti, ne approfittai per sfoderare il mio pugnale e affondarlo nel
cervello di qualche vagante.
«Ehi,
venite qui! Siamo qui! Venite qui! Avanti!».
Le
nostre urla e i nostri spari non attirarono solo l'attenzione dei
non-morti. Ad un certo punto, sentii anche le grida di paura di mia
sorella, che chiamava una volta me e una volta suo marito. Eravamo
arretrati verso la direzione opposta alla torre, allontanandoci di
qualche metro. Da lì riuscii a vedere Enid che si
arrampicava,
mentre la folla attorno alla struttura in legno si stava diradando.
Il nostro piano stava funzionando, se non fosse stato per il fatto
che Maggie non riusciva a smettere di disperarsi mentre ci guardava
fare da esca, e per il fatto che, molto presto, io e mio cognato ci
ritrovammo circondati dai vaganti e con le mura alle nostre spalle.
Mentre
guardavo il muro di zombie farsi sempre più vicino, e senza
nessuno
spiraglio di fuga disponibile, per la seconda volta in quella
giornata mi venne da pensare che ero spacciata. Non provai
disperazione, ma un vago senso di rassegnazione.
I
pensieri mi si ammassarono nella testa uno dopo l'altro, mentre mi
preparavo a difendermi – inutilmente – solo con il
pugnale,
perché avevo fatto fuori anche quella ricarica di proietti.
Sono
riuscita a salvare Maggie. Glenn si deve salvare, mio nipote non
può
crescere senza un padre. Non potrò mantenere la promessa che
ho
fatto a Deanna. Spero che la mia famiglia sopravviva. Spero che Daryl
sia vivo e che torni presto a casa.
L'urlo
di Maggie fu l'ultima cosa che udii quando venimmo sopraffatti
dall'orda di vaganti. Per una frazione interminabile di secondo, vidi
solo vestiti sdruciti e mani che arrancavano verso di me, mentre li
spintonavo via come potevo. Ci fu un momento in cui loro ebbero la
meglio ed io mi arresi, accucciandomi su me stessa, in attesa del
primo morso… che non arrivò.
Un
rumore assordante di fucili d'assalto squarciò l'aria e,
nello
stesso momento, il muro di zombie crollò, come una schiera
di
birilli. Una pioggia di proiettili ci stava cadendo addosso, senza
ferirci, ma salvandoci. Cristo, eravamo ancora vivi!
Mi
ritrovai accucciata a terra, una spalla contro la lastra di lamiera
alle mie spalle, a proteggermi con le braccia mentre mi lanciavo
un'occhiata esterrefatta con Glenn.
Guardai
in alto, verso il cancello di ingresso: trovai Abraham e Sasha che
impugnavano due grossi fucili, rivolti verso di noi. Eccoli, i nostri
salvatori.
«Puoi
aprire il cancello? Lo apprezzerei, amico!», urlò
Abe all'indirizzo
di Glenn, esibendo un sorriso cameratesco e tornando a ripulire dai
vaganti lo spazio attorno a noi.
Quando
fummo liberi di muoverci, avanzammo verso il cancello principale e lo
aprimmo in tutta fretta, illuminati dai fari del grosso camion con
cui avevano fatto ritorno Sasha, Abraham e…
Nel
momento in cui mi resi conto che c'era Daryl alla guida di quel
mezzo, un'emozione indescrivibile mi si schiantò nel petto e
respirare diventò improvvisamente difficile. Mi immobilizzai
a
fissarlo, mentre lui mi scrutava da sopra il volante, con
un'espressione indecifrabile. Le sue labbra erano socchiuse, i suoi
occhi sembravano avere appena visto un fantasma.
Sentivo
di avere anche io un'espressione incredula, mentre i miei piedi
iniziarono a muoversi verso la parte del guidatore, indipendenti
dalla mia volontà. Mi arrampicai su per la scaletta,
schiacciando il
corpo contro lo sportello e sporgendomi nell'abitacolo grazie al
vetro abbassato, mentre mi aggrappavo al finestrino.
Alla
guida c'era davvero Daryl, ricoperto di sporco, ma era vivo. Ed era
tornato finalmente a casa.
Sentii
il sollievo travolgermi e gli occhi inumidirsi. «Bentornato,
signor
Dixon», sussurrai, con la voce spezzata.
Le
sue labbra ebbero un fremito ed annuì, ma non
parlò. Prendendomi
contropiede, posò la mano che non teneva il volante sulla
mia e la
strinse, forte. Le nostre dita si intrecciarono, proprio come avevo
immaginato quel pomeriggio, mentre Daryl mi guardava in quel
modo
– come alla casa funeraria.
Daryl
mollò la presa quando Glenn si infilò
nell'abitacolo, ma non mi
importava. Avevo riacquistato la fiducia per credere che Alexandria
ce l'avrebbe fatta, quella notte e che noi due avremmo potuto
riparlarne. Prima avevamo un'ultima battaglia da affrontare.
Daryl
fermò il camion vicino alla sponda del lago, mentre Glenn,
Abe,
Sasha, Enid e Maggie ritornarono nel cuore della città per
aiutare
gli altri a resistere all'invasione. Io rimasi con Daryl, per
coprirlo mentre apriva il tubo del carburante e lo faceva fluire
nell'acqua.
Mi
aiutò a salire sul tetto del rimorchio, mi passò
un lanciarazzi che
aveva trovato chissà dove – ignorando la mia
reazione perplessa –
e salì, sparando dritto nel lago. Il razzo, a contatto con
la
benzina, trasformò quello specchio d'acqua in un lago di
fuoco. Il
rumore e la luce attirò moltissimi vaganti, che iniziarono a
camminare mollemente verso l'acqua, finendo per bruciarsi.
Osservai
la scena accanto a lui, con un sorriso allibito dipinto sulle labbra.
«Non ci credo… Ha funzionato! Hai avuto un'idea
grandiosa!».
Non
riuscii a capire se fosse la luce rossiccia dovuta alle fiamme, ma mi
parve di vederlo arrossire. Raddrizzò le spalle.
«Questo dovrebbe
richiamarne la maggior parte», commentò,
stringendosi nelle spalle.
Ritornai
improvvisamente seria. «Le strade sono comunque piene.
Dobbiamo
andare ad aiutare gli altri», replicai. Mi voltai e feci per
scendere da lì, ma sentii la sua mano afferrarmi il polso.
«Beth,
ascolta un secondo – », proferì, ma
scossi la testa, sollevai una
mano e abbozzai un sorriso.
«Ne
parliamo più tardi, okay? E so cosa stai pensando, che non
è detto
che vedremo entrambi l'alba con tutto il casino che c'è.
Invece, sai
che ti dico? Ce la faremo, tutti e due».
Prima che potesse
replicare, gli circondai il collo con le braccia e mi strinsi a lui,
forte. Quando, timidamente, posò le sue mani sui miei
fianchi, mi
scostai per guardarlo. «Non ho la minima intenzione di
fartela
passare liscia e stai pur certo che non ti basterà un
secondo»,
aggiunsi, con un sorriso serafico prima di sciogliere l'abbraccio.
Daryl
non riuscì a trattenere uno sbuffo, ma sembrò
più che altro una
risata. Alzò gli occhi al cielo e mi seguì
giù per l'abitacolo,
scendendo in strada al mio fianco.
Abbattemmo
un vagante dopo l'altro, facendoci strada per ricongiungerci agli
altri. Li trovammo fare lo stesso ed eravamo inarrestabili. Un corpo
e una mente unici, mentre difendevamo casa nostra con le unghie e con
i denti perché non ci venisse portata via. La determinazione
che ci
smuoveva tutti era tale che sembrava quasi di assistere ad una
coreografia. Io stessa, ad un certo punto, mi sorpresi di quanto
fosse diventato meccanico, come schema: schiva, afferra, affonda la
lama. Schiva, afferra, affonda la lama…
Volevamo
tutti vivere, non soltanto sopravvivere. Mentre mi avventavo su un
vagante, su quello dopo e su quello dopo ancora, alimentata da una
forza di cui non mi credevo capace, si susseguirono nella mia testa i
volti di tutte le persone per cui stavo combattendo così
duramente:
mio padre, mia madre, Noah, Maggie, Carl, Lori, Judith, Rick,
Samantha, Reg, Deanna, Daryl; per tutti quelli che avevamo perso e
per quelli che avrei continuato a proteggere con tutte le mie forze.
Mi
piace ricordare quella notte come quella in cui si dissolse qualsiasi
confine tra i due gruppi. Mentre combattevamo fianco a fianco,
cessò
di esistere un “noi” e un
“loro”, perché eravamo tutte
persone che stavano combattendo per riconquistare Alexandria e il
diritto di vivere al sicuro tra le sue mura.
E,
per la prima volta, lo stavamo facendo tutti insieme.
|
Note autrice |
E
anche questo capitolo infinito è andato! Ho fatto il
possibile per
non tardare moltissimo con l'aggiornamento, ma purtroppo sono in
piena sessione d'esame e il tempo è quello che è.
Come
avete letto a inizio capitolo, sì: ho deciso di cimentarmi
nuovamente con il POV di Daryl. O almeno, ci ho provato ed è
stato
abbastanza impegnativo. Quando ho rivisto la puntata e mi sono
ricordata che Daryl ha voluto fare marcia indietro, ho gongolato e ho
voluto rigirare la frittata, facendo intendere che in realtà
voleva
solo correre a casa da Beth. Però, come avete capito, anche
in
questa versione il nostro biker ha dei ripensamenti e alla fine resta
con Abe e Sasha. Anche perché il suo incontro con Dwitght
nella
foresta bruciata servirà anche a me, quindi non potevo
farglielo
evitare.
Un'altra cosa che volevo
specificare: lo
scorso capitolo ho creato dell'attesa menzionando una parte fluffy
tra i nostri beniamini. Beh, quello che avete letto non è
quello a
cui mi riferivo. Come al solito il capitolo mi è cresciuto
tra le
mani mentre lo scrivevo e ho deciso di posticipare il chiarimento tra
questi due. Il prossimo capitolo sarà incentrato quasi
esclusivamente su Beth e Daryl, questa volta posso garantirvelo al
100%. Inoltre, l'ho già praticamente scritto tutto, mi
mancano solo
degli aggiustamenti e integrare delle parti (=aggiornamento
più
veloce). Per il resto, sarà davvero tutto cuore e ammore.
Spero che
l'assaggino di questo capitolo vi sia comunque piaciuto :)
Direi che ho finito di
ammorbarvi.
Ringrazio di cuore cuorissimo Tracey, keplerf62, Sil94 e ovviamente
vannagio per le recensioni allo scorso capitolo. Mi hanno fatto
felicissima, appena ho qualche secondo libero in più vi
rispondo
come si deve!
Spero che abbiate apprezzato
anche questo capitolo
e che mi farete sapere cosa ne pensate :) un bacio e alla prossima!
Blakie
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