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Autore: Blakie    04/08/2018    4 recensioni
«Mi sei mancato così tanto mentre non c'eri, Daryl Dixon».
Una versione alternativa in cui Beth e Daryl si ritrovano tra le mura di Alexandria.
[bethyl | alexandria what if]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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13. Battle

Daryl

Sono. Fottuto.

Fu questa la prima cosa che pensai quando le labbra di Beth sfiorarono le mie. Un istante dopo, realizzai che, in realtà, ero già fottuto da tempo. Quel bacio ebbe lo stesso effetto di uno schiaffo in faccia e un pugno nello stomaco, contemporaneamente: avevo passato il segno. Abbassato la guardia, fine. Capolinea. Si era avvicinata più del dovuto, definitivamente, ed io non avevo fatto nulla per impedirlo. La sera prima, insieme, sul suo divano a parlare, la notte passata a dormire l'uno accanto all'altra... Tutti quei gesti a cui, sul momento, non avevo dato eccessivo peso, li riconsiderai sotto una luce nuova. Non ero mai stato così vicino a lei, prima di allora e sicuramente non di mia spontanea volontà. Che cazzo mi era preso? Per quale fottuto motivo non riuscivo nemmeno a trovare la forza di interrompere quel bacio? Per quale fottutissimo motivo la stavo ricambiando?! Dovevo essermi fritto il cervello in qualche modo. Qualcuno doveva avermi drogato nel sonno peggio dei tossici che frequentava Merle. Perché nel modo in cui stavo baciando Beth a mia volta, nel modo in cui le mie braccia la stavano stringendo per trattenerla a me, nel mio petto che quasi stava per aprirsi in due, non c'era niente di razionale.
È solo una ragazzina, fottuto viscido bastardo
, provò a protestare una voce nell'angolo del mio cervello. La ignorai bellamente, troppo impegnato a non lasciarmi travolgere dalla foga come un animale. Era dall'inizio dell'apocalisse che non avevo più toccato una donna, certo, ma non avrei mai permesso che la ragazzina ne pagasse le conseguenze. Io le donne le avevo sempre e solo baciate per poi farmele, nulla di più. Quelle con cui ero stato non erano state niente, nessuno per me; se il bacio non fosse stato un pretesto per arrivare a scoparci, in alcuni casi lo avrei evitato volentieri.

Ma questo bacio era tutta un'altra storia. Non era possibile che fosse una ragazzina come Beth a mettermi sotto scacco così. Io non sapevo nulla di quelle stronzate sdolcinate da liceali con cui si era sempre misurata lei, eppure non potevo ignorare il cuore che mi si schiantava in petto e quel familiare formicolio nei pantaloni. Ero come un fottuto adolescente alle prime armi e Beth ne sapeva sicuramente molto più di me, riguardo a quello che stavo provando. Quelle sensazioni totalmente sconosciute mi arrivarono addosso tutte in una volta, a sopraffarmi. Il suo sapore era dannatamente buono, la sua lingua era calda e morbida contro la mia, le sue mani stavano bruciando le mie guance e il suo corpo piccolo stretto contro il mio stava per scatenarmi delle reazioni non proprio innocenti.

Il bussare improvviso alla porta arrivò come un salvagente. Ci allontanammo repentinamente l'uno dall'altra, come se avessimo preso la scossa. Beth aveva gli occhi spalancati, due biglie azzurre che mi fissavano, smarrite. Le sue labbra erano socchiuse e leggermente arrossate. Guardai altrove, deglutendo a vuoto.

«Beth, sono Maggie».

La voce della maggiore delle Greene arrivò attutita dalla porta e dal salotto che ci dividevano - grazie a Dio. Chissà in quanti modi diversi mi avrebbe torturato Maggie, se mi avesse beccato a baciarmi la sua sorellina.

«V-Vado ad aprire», farfugliò Beth con un'espressione smarrita. Quasi si mise a correre, per raggiungere il prima possibile la porta di ingresso.

Rimasto solo, un pensiero urgente mi riempì il cervello: devo uscire da qui. Avevo l'assoluto bisogno di rimanere per conto mio, calmarmi, pensare a tutto quello che era successo. Sicuramente Beth avrebbe voluto parlarne e io non ne ero assolutamente in grado, al momento. Feci un respiro profondo e mi incamminai verso la porta di ingresso. Beth e Maggie stavano ancora parlando di non so cosa sulla soglia e fui grato di quella fortunata coincidenza: la ragazzina non mi avrebbe mai fermato, con sua sorella lì. Le seguii al funerale di Reg senza dire una parola; arrivati lì, cercai di confondermi tra le altre persone per poter sparire senza che Beth se ne accorgesse. Mi dileguai senza sapere bene dove andare. Mentre camminavo in fretta, mi ricordai del laghetto che avevo intravisto la prima volta che Aaron ci aveva fatto fare il giro di Alexandria. Era abbastanza lontano dal cimitero della cittadina, quindi sarei riuscito a starmene tranquillo per un po'.

Mi piazzai sotto un albero, nel punto più nascosto possibile e mi accesi una sigaretta. Il silenzio che mi circondava rendeva tutto quello che mi passava di mette fottutamente rumoroso. In testa avevo una matassa informe di pensieri che mi colpivano tutti insieme, tutti nello stesso momento e tutti in disaccordo l'uno con l'altro. Ma cosa cazzo mi era successo, per arrivare a farmi tutte quelle seghe mentali per una ragazzina che aveva quasi vent'anni in meno di me? Cosa mi era passato per la testa?

L'avevo baciata, cazzo. E tanti saluti ai miei propositi di tenerla a giusta distanza. Mi era bastato vederla a casa di Deanna, sconvolta e con le mani insanguinate, per rammollirmi come un idiota. Non contento, avevo accettato di andare a casa sua e di dormire con lei, tenendola stretta. La cosa che veramente mi lasciava incredulo era che l'iniziativa l'avevo presa io. A parte il bacio, certo. Sul momento ero rimasto sorpreso, ma, riflettendoci col senno di poi, tutto aveva riacquistato una logica precisa.

Si parlava di Beth, che provava - assurdamente - qualcosa per me e che non si era mai arresa, in quei mesi, nonostante i miei tentativi di allontanarla in diverse occasioni. Non solo le avevo mandato dei segnali, ma le avevo offerto su un piatto d'argento il pulsante che avrebbe sganciato la bomba, l'occasione perfetta per farsi avanti. Avrei dovuto far recuperare quello zaino a qualcun altro, merda.  Cosa cazzo mi aspettavo, una pacca sulla spalla e un vassoio di biscotti come ringraziamento? Non in quei giorni, non in quel momento.

Idiota, idiota, idiota. Ci ero caduto con tutte le scarpe ed era tutto un dannatissimo, gigantesco errore nella quale non mi sarei dovuto infilare. Avrei dovuto respingerla, allontanarla, impedirle anche solo di provarci. Come potevo sperare che Beth dimenticasse quello che era successo, se avevo praticamente ammesso che anche io provavo qualcosa per lei?

Pensarlo apertamente mi aprì una voragine nello stomaco e mi assalì un panico sottile.

Io non andavo bene per lei e non c'entrava solo la differenza di età: Beth e io eravamo troppo diversi. Lei non aveva sperimentato che una piccola parte della merda che sa essere il mondo; io, quella merda, me la portavo dentro da ben prima che lei nascesse. Lei era così gentile, pura e ancora integra. Migliorava la vita delle persone che aveva attorno col suo ottimismo e le sue assurde idee sulla bontà della gente - che erano riuscite a cambiare le mie convinzioni. Io, invece, ero solo uno zoticone che se la cavava con la balestra, si incazzava ogni tre per due e non riusciva a far avvicinare nessuno. Sapevo riconoscere le brave persone, per questo io non pensavo di esserlo fino in fondo. Certo, ero migliorato rispetto all'inizio, ma la parte più buia di me non mi avrebbe mai abbandonato. Anzi, probabilmente, col passare del tempo, avrebbe solo oscurato la luce che c'era nella ragazzina, se lei avesse continuato a ronzarmi intorno. Tutti quei sentimenti positivi che Beth aveva conosciuto fin da bambina, io non sapevo nemmeno cosa fossero. Avevo avuto una parvenza di famiglia solo quando era iniziata l'apocalisse e a malapena avevo capito cosa significasse avere un rapporto di amicizia o fraterno sani.

"Romanticismo", "dolcezza" o "innamoramento" per me erano solo parole vuote, cazzate di cui avevo sentito parlare in uno di quei film sentimentali che si sorbiva Merle quando, da strafatto o ubriaco, si metteva a fare zapping. Non avrei mai potuto offrire niente di tutto quello a Beth e rabbrividivo alla sola idea di fare la parte del... fidanzato. Ugh. Ruolo che non avrei comunque interpretato a lungo perché, tanto, Maggie mi avrebbe ucciso e dato in pasto ai vaganti molto prima, non appena avesse scoperto di noi. Con buona pace del resto del gruppo. Lo zotico che ha finito per traviare una ragazzina innocente: mi avrebbero ricordato così, nella storia di Alexandria.

Non potevo permettere che accadesse. Allo stesso modo, non era nemmeno possibile illudersi di riuscire a far tornare le cose come erano prima. Ormai eravamo arrivati al maledetto "punto di non ritorno" e le opzioni erano due: andare avanti o fermarsi. E fermarsi significava fare finta di nulla. Fare incazzare talmente tanto la ragazzina, con la mia indifferenza, da indurla a togliermi anche il saluto. Dopotutto, Beth era giovane e tutto ciò che non avrebbe dovuto provare le sarebbe passato presto. Prima o poi sarebbe arrivato ad Alexandria un ragazzo come Zach, coetaneo di Beth o poco più grande e si sarebbero naturalmente trovati, senza troppi problemi e senza troppo vociare. Tanto, anche se avessimo continuato a parlare, prima o poi saremmo arrivati sempre allo stesso punto. La piccola Greene sapeva essere testarda: se non ci avessi dato un taglio netto, lei magari avrebbe pazientato ancora e ci avrebbe riprovato più avanti.

I primi due giorni era stato facile rimanere nelle mie convinzioni e proseguire con i miei propositi: l'avevo ignorata tutto il tempo - tenendomi lontano anche dal resto del gruppo, a dire il vero e lei non era mai venuta a parlarmi. Inoltre, Rick che aveva trovato quella dannata cava piena di vaganti mi aveva offerto la scusa perfetta per rimanere fuori dalle mura. Lo sceriffo mi aveva anche comunicato la sua idea di non accogliere più nuove persone nella zona sicura, lasciandomi con il culo per terra. Stavo riflettendo sulla sua decisione, quando Beth mi trovò in riva al laghetto. Come un coglione, mi ero domandato - senza nemmeno accorgermene - quale sarebbe stata la sua opinione riguardo ai piani di Rick, e lei mi era comparsa alle spalle con una puntualità terrificante. A quel punto, urlarci addosso fu inevitabile. Sempre la stessa storia. L'avevo trattata di merda, lo sapevo. Avevo esagerato, sicuramente. Ma era l'unico modo per mantenere le distanze senza crearle spiragli di speranza.

"È per il suo bene", ripetei a me stesso, osservando la figura di spalle di Beth mentre si allontanava, delusa e incazzata. E ne ero convinto, al cento percento; allora perché non riuscivo a scacciare quel peso che mi era strisciato sullo stomaco? Merda.

Tornai a casa dopo un bel po' e incrociai Rick che teneva la Piccola Spaccaculi in braccio, sul dondolo del portico. Salii gli scalini e mi avvicinai a loro.

«Non riesce a dormire?», domandai, sfiorando quella testolina bionda.

«È incredibile, sembra sempre capire quando qualcosa non va. Si agita e fatica ad addormentarsi», spiegò Rick, iniziando a cullarla. «Beth è molto più brava di me, a fare addormentare Judith».

Ignorai la pesantezza al petto che avvertii al nome della ragazzina, concentrandomi sulla piccola. «Forse sa che domani saremo col culo in una cava piena di vaganti».

«Sei preoccupato?», domandò, quasi provocatorio.

Feci spallucce. «Nah. Piuttosto, andrò a farci un giro all'alba, per vedere come sono messi gli autoarticolati». Avevo fatto in modo che fosse un'affermazione, più che una domanda. Non volevo il suo permesso e lo avrei fatto comunque, perché avevo bisogno di sparire prima che gli altri si radunassero davanti ai cancelli, prima della partenza. Beth sarebbe di sicuro venuta a salutare e non era il caso di farmi trovare. Anche se, ne ero consapevole, quello era il modo per farmi odiare definitivamente.

Lo sguardo dubbioso di Rick mi trapassò da parte a parte. «Non è necessario che tu vada là prima. Soprattutto, non da solo».

«Ti preoccupi per me, mammina?».

«Daryl...».

«Rick. È solo uno scrupolo mio, okay? Guarderò il sole sorgere assieme a quei bastardi, sarà un'esperienza. Tu tieniti addosso la ricetrasmittente, così ti informo in tempo reale della situazione», lo liquidai, muovendomi verso la porta d'ingresso. Lui sospirò, ma non cercò di dissuadermi ulteriormente. Non poteva certo dimenticare quanto me la cavassi meglio di chiunque altro, là fuori.

Avevo già la mano sulla maniglia, quando lo sceriffo richiamò nuovamente la mia attenzione. «Ehi». Tornai a guardarlo, notando l'espressione poco convinta che aveva ancora stampata in faccia. «Va tutto bene?», domandò, ma sembrava conoscere già la risposta—no.

Mi infilai le mani nelle tasche, stringendomi nelle spalle. «Va, sceriffo».

Rick soppesò le mie parole qualche secondo: il suo sguardo era preoccupato, ma capii che non avrebbe indagato oltre e gliene fui grato. 

«Stai attento, domattina», si raccomandò, per poi aggiungere: «buonanotte». Gli risposi con un cenno del capo e mi infilai in casa, il sollievo che mi inondò non appena varcata la porta.

Provai lo stesso sollievo qualche ora più tardi quando, in sella alla mia moto, uscii dal cancello principale di Alexandria. La trascinai a mano oltre la cancellata, parcheggiandola un attimo per riuscire a sistemare la balestra sul retro. Il rumore dell'inferriata che si richiudeva mi fece alzare lo sguardo e rimasi qualche istante a fissare le lamiere di rinforzo, come se aspettassi qualcuno. O come se quello che avevo davanti fosse tutto sbagliato e in realtà il cancello dovesse essere aperto, mentre salutavo la ragazzina che mi raccomandava di fare attenzio—basta, cazzo! Montai in sella alla moto con un movimento brusco, partendo in quarta con la speranza di lasciarmi indietro tutte quelle fottute seghe mentali.

Alla cava, neanche a dirlo, era tutto a posto. Mi sedetti su un masso, a distanza, per non attirare l'attenzione dei vaganti e mi accesi una sigaretta. L'aria del mattino era fresca e un toccasana per la mia mente incasinata. Riuscii a non pensare a nulla per un po', osservando quell'orda di non-morti e fumando in pace. E la cosa più bizzarra fu rendermi conto che non ne avevo paura. Forse ero diventato un non-morto anche io.

E invece col cazzo. Perché realizzai, solo qualche ora più tardi, che di paura ne avevo ancora da vendere. Era bastata quella sola, maledetta frase, pronunciata da Rick e arrochita dalle interferenze della ricetrasmittente, a farmi rendere conto di quanto ancora fossi capacissimo di provare terrore. Non-morto un paio di palle.

«Si sono divisi. La metà sta andando verso Alexandria».

Smarrimento, il cervello che si scollega dal resto del corpo.

Un tempo infinito dopo, il buio momentaneo nella mia testa viene rischiarato dall'immagine del volto Beth, che mi lampeggia davanti agli occhi come un'insegna luminosa.
La metà sta andando verso Alexandria.

La metà sta andando verso Beth.

Gli ingranaggi ripresero a funzionare. Una paura viscerale mi fece contorcere le budella, mentre accostavo il pensiero di quell'orda immensa al corpo piccolo e fragile di Beth. Non mi ci volle molto per arrivare ad una sola conclusione: dovevo tornare indietro. Per me non fu più ammissibile nessun'altra opzione. Poco importava degli ordini di Rick o delle proteste di Sasha e Abe. Dovevo tornare ad Alexandria ad ogni costo, 'fanculo le quindici miglia che ci mancavano da percorrere per far disperdere la mandria. Le mie remore - sicuramente provocate dagli occhioni da Bambi di Sasha - durarono un istante e morirono nel momento esatto in cui superammo un vecchio cartello che stava per essere inghiottito dal verde del bosco.

"Un nuovo inizio: Alexandria, il principio della sostenibilità".

«Nah. Ho fiducia in voi due», e accelerai, sperando di correre più veloce dei miei rimorsi. 




***


Beth

Siamo fottuti.

Eppure le cose, fino al pomeriggio, erano scivolate via tranquille. Il ritorno di Rick ci aveva dato un'enorme sicurezza in più: era stato confortante vederlo aggirarsi per le mura sin dal mattino per rafforzare le recinzioni. I vaganti si erano ammassati contro di esse e ne sentivo i versi vibrare oltre il ferro, ronzanti come uno sciame d'api. Ero con Maggie sulla torretta di guardia, ad aspettare un segnale di Glenn.

«Questo rumore mi angoscia», borbottai, lanciando uno sguardo più in basso. Le teste dei vaganti ciondolavano e le loro mani battevano contro le lastre di ferro che li tenevano fuori.

Lei ridacchiò, per allentare la tensione. «Rick dice che penseremo ad allontanarli con calma. Fortunatamente sono sparsi e le recinzioni reggono ancora».

Annuii. «Purtroppo c'è il rumore che mi ricorda della loro presenza, quando cammino per la città».

«A me un po' ricorda di quando infilzavo i vaganti oltre la rete, alla prigione».

«Ma se eri sempre sulla torretta di guardia con Glenn», replicai, lanciandole un'occhiata maliziosa. «Lo sapevamo tutti come passavate il vostro tempo. Altro che guardia».

Il volto di Maggie si aprì in un'espressione scandalizzata, ma le labbra erano piegate in un sorriso. Stava per rispondermi, quando qualcosa alle mie spalle attirò il suo sguardo, più in alto del mio volto, fino al cielo. Gli occhi le si accesero di confusione, incredulità e speranza. La guardai perplessa per un attimo, poi mi voltai a guardare anche io. In lontananza, fuori dalle mura e oltre i tetti delle case di Alexandria, un gruppo di palloncini verdi si stava librando nell'azzurro di quella giornata serena.

«Glenn... Quello è il segnale di Glenn!», esclamò mia sorella.

Mi voltai a guardarla, gli occhi spalancati.

«Cosa?».

Ma lei non rispose, anzi, scattò per scendere gli scalini della torre di guardia in tutta fretta. Mi limitai a seguirla, correndo con lei per la via di Alexandria. Raggiungemmo Rick, che stava fortificando le mura assieme ad altri uomini, nella zona dei pannelli solari. Con lui c'erano Deanna e Tobin, tutti col naso all'insù.

«È Glenn», affermò Maggie, guardando Rick con sollievo. Lui annuì, accennando un sorriso.

Ma quell'attimo di felicità durò poco.

All'inizio si sentì uno scricchiolio strano e non capii subito da dove provenisse. Poi il rumore di qualcosa che vacillava, di legno che si spezzava... Il mio udito si accorse da quale direzione provenivano quei rumori e guidò il mio sguardo, molto prima che me ne rendessi conto. I miei occhi corsero alla torre esterna, quella che il giorno prima era stata colpita dal camion guidato da quei selvaggi. Sentii qualcuno - forse Maggie? - afferrarmi un braccio e trascinarmi via, mentre continuavo a guardare, incapace di smettere. Ogni altro rumore si azzerò, ogni pensiero venne congelato dall'incredulità di quello a cui stavo assistendo: la torre oscillò verso la nostra recinzione e, dopo un tempo breve e infinito contemporaneamente, crollò rovinosamente su essa, con un frastuono assordante.

I vaganti che ci avevano circondato tutta notte iniziarono a infilarsi nella breccia, finalmente liberi di superare la recinzione ed entrare. Emersero dalla nebbia di polveri che aveva provocato il crollo, come da un incubo. Fu allora, che guardai in faccia la spaventosa realtà. Siamo fottuti, pensai, mentre la voce rabbiosa di Rick che ci ordinava di andarcene mi riscuoteva dallo shock. Le mie gambe seguirono il suo consiglio prima che il mio cervello riuscisse ad inviare qualsiasi impulso, e cominciai ad arretrare.

Poi udii la voce di mia sorella che urlava qualcosa e tornai completamente lucida: Maggie. Dovevo mettere in salvo lei e mio nipote. Iniziammo a correre fianco a fianco, per allontanarci da quell'orda di non-morti. Quando uno di quelli si avvicinava troppo a mia sorella o a me, mi voltavo per sparargli in fronte, senza mai smettere di indietreggiare e lasciando sempre più avanti Maggie. Non dovevano nemmeno sfiorarla.

Dopo qualche metro, intravidi la torretta di guardia più vicina e capii cosa avrei dovuto fare. I vaganti non erano solo alle nostre spalle, ma ci stavano circondando anche sul lato destro.

«Maggie, la torre!», urlai, fermandomi ad abbattere alcuni vaganti in testa all'orda.

«Sì!», rispose a sua volta, imbracciando il fucile e aiutandomi ad ucciderli. Il nostro obiettivo era davvero vicino e, quando finalmente ci fummo avvicinate abbastanza, mi fermai nuovamente per rallentarli, dando le spalle a mia sorella.

«Sali!», le ordinai.

Avvertii il suo sguardo pieno di preoccupazione incollato alla nuca. «Beth...».

«Prima sali tu, poi mi arrampico anche io!», la incitai, ricaricando la pistola e sparando un altro colpo.

In realtà, non avevo la minima intenzione di salire assieme a lei. Innanzitutto, perché non saremmo riuscite ad arrampicarci entrambe prima di essere circondate totalmente da vaganti, erano troppo vicini. Inoltre, se quei non-morti si fossero accalcati in massa attorno alla fragile struttura della torretta, quella sarebbe crollata nel giro di niente. Sarebbe servito che qualcuno ne allontanasse buona parte e dovevo farlo io. Non mi rasserenava l'idea di lasciare Maggie da sola, ma se fossi rimasta per terra sarei potuta andare a cercare aiuto. Anche con una sola persona, forse quella torretta non avrebbe retto a lungo. Avrei dovuto fare in fretta.

Sparai ai vaganti vicini, mentre mia sorella si arrampicava sulla scaletta. Lanciai un'occhiata in alto, verso di lei, incontrando il suo sguardo apprensivo. Si era sporta verso di me, guardando in basso da sopra la torre. Era al sicuro. «Beth, sali subito!».

Respinsi un vagante con un calcio. «Cerco di allontanarne il più possibile, poi andrò a cercare aiuto».

«Cosa?! Beth, NO!», gridò Maggie.

«STAI GIÙ, quelli più avanti non ti hanno ancora visto! Tornerò presto», promisi, concitata.

Distolsi lo sguardo da quello angosciato di mia sorella ed iniziai a sbracciarmi e a urlare, attirando l'attenzione dei vaganti per allontanarli dalla torre. Molti di loro mi seguirono ma, in un attimo di distrazione, inciampai e mi ritrovai per terra. Il cuore iniziò a battermi furiosamente nel petto, le orecchie mi fischiavano. Strisciai all'indietro, sparando verso i quattro vaganti che stavano per sopraffarmi. Quando premetti il grilletto a vuoto, mi riempì la testa un solo pensiero: sono morta.

Poi, all'improvviso, udii una lama sibilare, del sangue mi schizzò addosso e quei vaganti caddero ai miei piedi. Guardai in alto, al mio fianco: Michonne.

«Alzati, Beth!», gridò, parandosi tra me e altri che stavano arrivando. Obbedii, portandomi alle sue spalle e guardandomi attorno. Notai che, poco distante da me, Deanna stava zoppicando aggrappata a Rick. Mi voltai e incontrai lo sguardo di Michonne.

«VAI!».

Raggiunsi Rick e Deanna, circondandomi le spalle con l'altro braccio della donna per aiutarli. Ci allontanammo di fretta, ben presto seguiti da Michonne. Incontrammo Jessie, che ci fece segno con urgenza di entrare da lei. Una volta chiusa la porta, mi accorsi che casa sua era piuttosto affollata: c'eravamo io, Rick, Deanna, Michonne e lì vi trovai padre Gabriel, Carl, Judith e i figli di Jessie. Mentre trascinavo Deanna su per le scale per farla stendere, gli altri si occuparono di barricare le finestre e le porte. La feci stendere sul primo letto disponibile che trovai. Nello stendersi, Deanna si lasciò scappare un singulto di dolore.

«Dove ti sei ferita?», domandai, sistemandole meglio i cuscini dietro alla testa.

«Alla gamba. E al fianco. Sono caduta su qualcosa di affilato, vicino al cantiere», boccheggiò.

In tutto quel casino e sorreggendola dalla parte opposta, non mi ero resa conto della grossa macchia scura che si stava espandendo sul suo fianco sinistro. Strappai un pezzo di lenzuolo per pulire le ferite e cercare di tamponarle. Mi sforzai di ignorare il pensiero che Denise o Josie sarebbero state molto più utili di me, in quel momento. Il taglio alla gamba era abbastanza profondo: non era gravissimo, ma sarebbe servita una garza per fermare l'emorragia. Corsi in bagno, rivoltando i cassetti di Jessie e per fortuna trovai quello che cercavo. Medicai la gamba di Deanna al meglio delle mie capacità, lanciandole un'occhiata di scuse ogni volta che sussultava dal dolore.

«Tranquilla, piccola. Stai andando alla grande», mi rassicurò, tentando di trasformare quella smorfia di tormento in un sorriso incoraggiante. «Mi stai facendo un male cane, ma posso perdonarti».

Le sorrisi, stringendole una mano. «Devi portare pazienza, un'altra medicazione e poi ti lascerò in pace», la rassicurai, spostandomi per essere più vicina al suo addome. Le sollevai con delicatezza la maglia, posandoci subito sopra le garze. Quando diventarono zuppe, ne preparai altre per cambiarle. Fu allora che me ne accorsi, proprio mentre Rick e Michonne entravano.

Deanna si era tagliata, sì: e il taglio, poco profondo, era collocato... subito sopra un morso di vagante. Mi sentii sbiancare, anche Michonne - che stava dicendo qualcosa - si interruppe. Alzai di scatto il volto, guardando Deanna con espressione stralunata. Quello che lessi nei suoi occhi mi fece male: era lo sguardo addolorato e rassegnato di una donna fiera che si rendeva conto che il suo tempo stava per scadere.

«Beh... cazzo».

***


Tenevo in braccio Judith, sbirciando dalla fessura di una tenda i vaganti che avevano invaso le strade. Rick mi aveva chiesto di prendermi cura di lei, mentre gli altri bloccavano le entrate al piano di sotto. In un primo momento, tentennai, perché avrei preferito rimanere assieme a Deanna. Lei, con uno sguardo, lo aveva capito e mi aveva rassicurata: «resisterò ancora per un po', Beth. Quando avranno finito, potrai salutarmi».

Avevo cercato di essere forte, in presenza di Deanna: avevo trattenuto le lacrime il più possibile ma, una volta chiusa la porta della camera di Jessie, mi ero lasciata andare, stringendo Judith al mio petto. Deanna si sarebbe trasformata in uno di quei mostri, mentre Alexandria aveva ancora bisogno di lei e delle sue idee. Ripensai inevitabilmente al giorno in cui l'avevo conosciuta, a come mi era sempre sembrata forte e materna al tempo stesso, specialmente con me e Noah. Non riuscivo ad immaginarmi una Alexandria senza Deanna e invece sarebbe andata proprio così. Sempre se fossimo riusciti a sopravvivere a quell'inferno.
Come se le mie emozioni negative la stessero disturbando in qualche modo, Judith si agitò appena tra le mie braccia. La cullai, accarezzandole i capelli ricciuti, cercando di tranquillizzare lei e me stessa. Mi sedetti sul bordo del letto, asciugandomi le lacrime e provando a calmare i miei singhiozzi. In quel momento, la porta si aprì, piano. Alzai lo sguardo, allarmata, e scattai in piedi, sfoderando il coltello. Da dietro la porta spuntò Deanna, aggrappata allo stipite e col volto smunto madido di sudore.
«Posso?», domandò, stiracchiando un sorriso.

Sussultai, muovendomi in fretta per adagiare Judith nella culla e aiutare Deanna a stendersi.

«Non ti saresti dovuta alzare», la redarguii, con voce spenta, mentre si adagiava sui cuscini.

«Sarà la mia ultima fatica», sdrammatizzò. «Volevo vedere la piccola».

Io rimasi in piedi accanto al letto, in silenzio, guardandola col tormento che mi si agitava nel cuore, nello stomaco, in ogni cellula. Non sapevo bene cosa dire. Probabilmente Deanna si accorse dei miei occhi arrossati e gonfi, perché non riusciva a distogliere lo sguardo dal mio. «Perché piangi, Beth?», domandò con dolcezza. Sentii gli occhi inumidirsi di nuovo e strinsi le labbra.

«Vieni qui», mi invitò, tamburellando il materasso al suo fianco con una mano. Io obbedii, sedendomi accanto a lei con le spalle incurvate e lo sguardo incollato al pavimento.

«Non devi essere triste, bambina mia. L'ho detto anche a Michonne: me ne vado sentendomi fortunata, perché ho fatto tutto quello che volevo, assieme alla mia famiglia. Non ho rimpianti», mi rassicurò, appoggiandomi la mano sulla coscia. La febbre la stava consumando al punto da impedirle di riuscire ad alzare un braccio per accarezzarmi la guancia. Strinsi la sua mano bollente tra le mie.

«Mi dispiace farmi vedere così, ma... Non ci riesco», mi scusai, la voce rotta dai singhiozzi che mi stavano scuotendo. «Dopo tutto quello che hai fatto per me, per il mio gruppo, per la gente di Alexandria... non è giusto».

Deanna sorrise debolmente, gli occhi improvvisamente più lucidi. «Io sono felice di essere riuscita a farlo. Adesso tocca a voi e sono sicura che ce la farete. Alexandria è le persone che la abitano, Beth. Non sono solo io, non è solo Rick. Devo lasciare a te il compito di fare aprire gli occhi a chi ancora non vuole vedere quanto nel profondo, in realtà, facciamo già tutti parte della stessa famiglia».

«Io n-non so se ne sarò in grado», mormorai, abbassando lo sguardo.

«Se non ne fossi in grado, non te lo chiederei», replicò Deanna, con la voce sempre più sottile, ma sempre più dolce. «Tu sei sempre stata il comune denominatore dell'alleanza che io e Rick abbiamo provato a mettere insieme. Sei la prima, tra tutti noi, che ha capito quanto ci apparteniamo tutti. Devi solo credere un po' di più nel tuo ruolo all'interno del gruppo».

Mi passai un braccio sul volto, per asciugare le lacrime nella stoffa e farmi vedere forte. Annuii, aumentando la presa attorno alla sua mano. «Ti prometto che ce la farò. Te lo giuro sulla mia vita»
Le sue labbra pallide si aprirono in un sorriso. «Brava la mia ragazza».

Le sorrisi, il cuore addolorato ma pieno di affetto. «Deanna, io... volevo solo dirti grazie. Grazie per avermi accolta. Grazie per aver dato una possibilità alla mia famiglia. Sei stata una grande leader».

Deanna annuì, commossa. Si sforzò di darmi una carezza sul viso, con la mano tremante. La afferrai per aiutarla a sostenerla. «Prenditi cura di te e della nostra famiglia, Beth». Poi, improvvisamente, i suoi occhi si fecero più furbi, così come il suo sorriso. «E, mi raccomando, prenditi cura del signor Dixon».

Io mi sentii avvampare, colta di sorpresa, ma non riuscii a trattenere un sorriso. Annuii. «Ci puoi giurare».

Presi in braccio Judith e, con cautela, la avvicinai a Deanna, che non riuscì a far altro che darle una lieve carezza tra i capelli biondi. A quel punto, Rick entrò nella stanza, scuro in volto. «Dobbiamo andare. Al piano di sotto si sta mettendo male, siamo circondati».

Mi voltai istantaneamente verso Deanna, cercando di non ricominciare a piangere. Lei stiracchiò un sorriso, comprensiva e annuì nella mia direzione. «Mi raccomando, Beth».

Rimasi seduta, spostando Judith sull'altra spalla e stringendo la mano di Deanna con la mia libera. Forte e per l'ultima volta. Annuii, sforzandomi in ogni modo di sorriderle a mia volta, ma senza la forza di dirle nient'altro. Poi mi alzai in fretta e mi allontanai con la piccola in braccio, mentre Deanna chiedeva a Rick di scambiare due parole.

Quando ritrovai gli altri, l'ondata di lacrime che rischiava di travolgermi venne spazzata via: seguii la voce di Michonne e, in un primo momento, rimasi allibita sulla soglia. In mezzo all'anticamera, sul pavimento, trovai ammassi di roba molliccia e rossa che registrai quasi subito come interiora. Ad un'occhiata più attenta, mi resi conto che fuoriuscivano dai due vaganti che erano stati uccisi e poi sventrati che giacevano in mezzo alla stanza. Sentii un'ondata di nausea travolgermi, ero sicura di essere anche sbiancata.

Carl mi si parò davanti, distogliendomi da quella visione disgustosa. «Beth, prendi un lenzuolo. Dobbiamo andare all'armeria e coprirci con le loro interiora per passare inosservati». Abbassai lo sguardo e notai che mi stava porgendo un lenzuolo ripiegato. Ricordai che Glenn mi aveva raccontato di quella volta in cui aveva usato quell'esperienza per salvarsi dai vaganti, assieme a Rick. Il disgusto che avevo provato non era paragonabile a quello scatenato dalla consapevolezza di doverlo fare davvero.

Annui, tentando di controllare le ondate di nausea. «Okay, dammelo», risposi a denti stretti, ignorando l'odore orrendo che stava impregnando la stanza.
Quando Rick tornò, iniziammo a prepararci e a vestirci con quelle tuniche fatte di interiora. Puzzavano terribilmente, perciò iniziai a respirare con la bocca e a pensare a qualcos'altro. Sentii un ronzio nell'orecchio, mentre tentavo di controllare l'ansia che mi provocava l'idea di passare in mezzo a quei mostri. Sentivo la voce di Jessie in lontananza che cercava di incoraggiare uno spaventatissimo Sam.

Scendemmo le scale con cautela e in religioso silenzio e pregai che Judith, che avevo nascosto sotto il mio lenzuolo, non emettesse un fiato. Quando Rick scostò il materasso che ci divideva dall'orda che aveva invaso l'ingresso di Jessie, trattenni il respiro. Mi aspettai che uno di quelli lo addentasse da un momento all'altro e, come aveva pronosticato lo sceriffo, non successe: Rick iniziò ad avanzare, guardando il primo vagante negli occhi. Questo non ebbe nessuna reazione e, a quel punto, capii che potevo riprendere a respirare. Il piano di Rick funzionava, avrebbe funzionato e ce la saremmo cavata.

Il cuore iniziò a battermi all'impazzata quando fu il mio turno di attraversare quella marea di non-morti ma, ovviamente, ignorarono anche a me. Finsi di stare attraversando un locale troppo affollato durante un concerto. Presi una boccata d'aria fresca, quando ci ritrovammo sul portico. Le strade erano invase di vaganti e, per un attimo, non ebbi nemmeno più l'impressione di trovarmi ad Alexandria. Quello era un incubo fatto e finito; era come ritrovarsi di nuovo fuori dalle mura, in un mondo immenso e pericoloso.

Rick prese per mano Carl, che prese per mano Jessie e così via, fino a formare una catena umana. Io mi ritrovai penultima, tra Ron e Padre Gabriel. Scendemmo in strada, camminando in mezzo ai morti. Per non farmi prendere dal panico e per sentirmi meno sola, finsi che l'unica mano che stavo stringendo – che era di Gabriel – fosse di Daryl, per infondermi del coraggio. Immaginai le sue dita ruvide e calde strette alle mie, assieme alla sua presenza rassicurante che vegliava su di me. Chissà se ci rivedremo...

Riuscimmo a superare parecchi vaganti, prima che Rick si fermasse dietro a una siepe, di nascosto dai non-morti. Lanciò delle occhiate attorno a sé, guardingo. «Nuovo piano: non andremo più all'armeria. Ci sono troppi vaganti e troppo sparpagliati, i razzi non basteranno ad allontanarli. Riporteremo tutti i veicoli alla cava, guideremo tutti così riusciremo a circondarli. Andiamo e torniamo».

Ebbi un fremito, al pensiero di lasciare Alexandria mentre mia sorella era ancora da sola su quella torre, per nulla al sicuro. «Rick, Maggie è intrappolata su una torretta di guardia, non posso lasciarla lì».

I suoi occhi di ghiaccio incontrarono i miei, traboccanti di indecisione. «Beth...».

Jessie venne in mio soccorso. «Io ci sto per il piano. Ma Judith… È troppo pericoloso per lei, andare e tornare dalla cava». Istintivamente, strinsi la piccola – ancora nascosta – a me.

«Posso trovarle un posto sicuro e poi andare a salvare Maggie, il camuffamento ha funzionato. Ti giuro che la proteggerò a costo della mia vita ma, ti prego Rick, lasciami andare», lo pregai, mettendocela tutta per risultare convincente.

«Le proteggerò io», si fece avanti Padre Gabriel. Io, Rick, Michonne e Carl ci voltammo a guardarlo contemporaneamente, con sorpresa e diffidenza insieme. Ma lui non si scoraggiò. «Accompagnerò Beth in chiesa e lì terrò Judith al sicuro, mentre Beth va ad aiutare Maggie».

Nei suoi occhi, nonostante i precedenti, scorsi una luce nuova. Stava dicendo la verità, con un tono deciso che non gli avevo mai sentito usare. Ero molto vicina a fidarmi di lui. Rick si concesse qualche secondo per rimuginarci sopra, ma si accorse presto che il tempo a nostra disposizione era poco e correva veloce.

Scambiò una lunga occhiata prima con me, poi con Padre Gabriel. Il prete si fece più vicino a me, senza distogliere lo sguardo da quello di Rick. «Le terrò al sicuro».

Prima di lasciarci andare, lo sceriffo ci lanciò un ultimo sguardo, indugiando su quello di Gabriel e ci congedò con una sola parola: «grazie».

***

Arrivammo alla chiesa senza intoppi, grazie al cielo. Passammo dal retro senza dare nell'occhio, ma ormai, fortunatamente, eravamo al sicuro. Anche perché Judith aveva esaurito la sua pazienza e stava iniziando ad agitarsi tra le mie braccia, emettendo qualche lamento. Chiusi a chiave la porta, lasciandomi andare a un sospiro.
«Padre, si tolga quella schifezza e prenda Judith. Non ne può più, piccolina», dissi, cullando la bambina.
Lui mi rivolse un sorriso stanco, felicissimo di accontentare la mia richiesta. Sollevai il lenzuolo che ancora mi ricopriva e gli porsi Judith, che si agitò contrariata. Lui la cullò, cercando di tranquillizzarla. In quel momento, sentimmo dei rumori provenire da dietro la porta che conduceva all'altare. Io e Gabriel ci lanciammo uno sguardo allarmato e gli intimai di fare silenzio portandomi l'indice contro le labbra.

Mi avvicinai silenziosa alla porta, aprendola senza fare rumore. Dopo aver estratto il coltello dal fodero e aver preso un respiro profondo, aprii di getto la porta e mi misi in posizione di difesa, con la lama in offensiva. La abbassai immediatamente, quando mi accorsi che, davanti a me, c'era Glenn.

«Glenn!», esclamai, piena di sollievo.

La sua espressione si distese e mi venne incontro, posandomi una mano sulla guancia Evitò accuratamente di toccarmi dal collo in giù. «Beth, stai bene?», domandò concitato, storcendo il naso per la puzza di viscere.

«Sto bene, vestito di interiora a parte».

«Ho visto Maggie sulla torre, è circondata. Dobbiamo andare a salvarla».

Repressi un fremito di terrore. «Lo so. Sono venuta qui per mettere al sicuro Judith, l'ho lasciata a Padre Gabriel per tornare ad aiutare Maggie».

Decidemmo in fretta il da farsi e scoprii che anche Enid ci avrebbe aiutati. Glenn aveva pensato di distrarre i vaganti, mentre la ragazzina si sarebbe arrampicata sulla torretta per aiutare Maggie a scendere dall'altro lato delle mura.

«Se Padre Gabriel resta qui, potremmo usare il suo lenzuolo e darlo a Maggie per camuffare il suo odore», proposi, cercando di riflettere.

Glenn ci pensò sopra. «Non so, è da molto che ce l'avete addosso? L'odore potrebbe essersi indebolito. Non posso permettere che Maggie passeggi tra quei mostri».

«Va bene, l'importante è muoverci», asserii. Con un gesto stizzito, mi liberai di quella veste disgustosa. «Facciamo le cose alla vecchia maniera. Ti aiuterò a distrarre i vaganti», replicai, con tono deciso.

Mio cognato annuì e mi porse un caricatore per la pistola. Mi ricordai in quel momento che ce l'avevo scarica. Lo afferrai senza esitazione. «Andiamo!».

Uscimmo nell'oscurità, iniziando a correre. Evitammo più vaganti possibili, muovendoci a ridosso delle mura. Quando arrivammo da Maggie, la torretta aveva già iniziato a barcollare pericolosamente, mossa dai vaganti che vi si agitavano sotto, nel tentativo di arrivare a mia sorella. Glenn urlò a Enid «va' a prenderla!» e ci separammo da lei, iniziando a sparare e a urlare per attirare l'attenzione dell'orda. Negli spazi vuoti, ne approfittai per sfoderare il mio pugnale e affondarlo nel cervello di qualche vagante.

«Ehi, venite qui! Siamo qui! Venite qui! Avanti!».

Le nostre urla e i nostri spari non attirarono solo l'attenzione dei non-morti. Ad un certo punto, sentii anche le grida di paura di mia sorella, che chiamava una volta me e una volta suo marito. Eravamo arretrati verso la direzione opposta alla torre, allontanandoci di qualche metro. Da lì riuscii a vedere Enid che si arrampicava, mentre la folla attorno alla struttura in legno si stava diradando. Il nostro piano stava funzionando, se non fosse stato per il fatto che Maggie non riusciva a smettere di disperarsi mentre ci guardava fare da esca, e per il fatto che, molto presto, io e mio cognato ci ritrovammo circondati dai vaganti e con le mura alle nostre spalle.
Mentre guardavo il muro di zombie farsi sempre più vicino, e senza nessuno spiraglio di fuga disponibile, per la seconda volta in quella giornata mi venne da pensare che ero spacciata. Non provai disperazione, ma un vago senso di rassegnazione.
I pensieri mi si ammassarono nella testa uno dopo l'altro, mentre mi preparavo a difendermi – inutilmente – solo con il pugnale, perché avevo fatto fuori anche quella ricarica di proietti.

Sono riuscita a salvare Maggie. Glenn si deve salvare, mio nipote non può crescere senza un padre. Non potrò mantenere la promessa che ho fatto a Deanna. Spero che la mia famiglia sopravviva. Spero che Daryl sia vivo e che torni presto a casa.

L'urlo di Maggie fu l'ultima cosa che udii quando venimmo sopraffatti dall'orda di vaganti. Per una frazione interminabile di secondo, vidi solo vestiti sdruciti e mani che arrancavano verso di me, mentre li spintonavo via come potevo. Ci fu un momento in cui loro ebbero la meglio ed io mi arresi, accucciandomi su me stessa, in attesa del primo morso… che non arrivò.

Un rumore assordante di fucili d'assalto squarciò l'aria e, nello stesso momento, il muro di zombie crollò, come una schiera di birilli. Una pioggia di proiettili ci stava cadendo addosso, senza ferirci, ma salvandoci. Cristo, eravamo ancora vivi!
Mi ritrovai accucciata a terra, una spalla contro la lastra di lamiera alle mie spalle, a proteggermi con le braccia mentre mi lanciavo un'occhiata esterrefatta con Glenn.
Guardai in alto, verso il cancello di ingresso: trovai Abraham e Sasha che impugnavano due grossi fucili, rivolti verso di noi. Eccoli, i nostri salvatori.

«Puoi aprire il cancello? Lo apprezzerei, amico!», urlò Abe all'indirizzo di Glenn, esibendo un sorriso cameratesco e tornando a ripulire dai vaganti lo spazio attorno a noi.
 
Quando fummo liberi di muoverci, avanzammo verso il cancello principale e lo aprimmo in tutta fretta, illuminati dai fari del grosso camion con cui avevano fatto ritorno Sasha, Abraham e… Nel momento in cui mi resi conto che c'era Daryl alla guida di quel mezzo, un'emozione indescrivibile mi si schiantò nel petto e respirare diventò improvvisamente difficile. Mi immobilizzai a fissarlo, mentre lui mi scrutava da sopra il volante, con un'espressione indecifrabile. Le sue labbra erano socchiuse, i suoi occhi sembravano avere appena visto un fantasma.

Sentivo di avere anche io un'espressione incredula, mentre i miei piedi iniziarono a muoversi verso la parte del guidatore, indipendenti dalla mia volontà. Mi arrampicai su per la scaletta, schiacciando il corpo contro lo sportello e sporgendomi nell'abitacolo grazie al vetro abbassato, mentre mi aggrappavo al finestrino.
Alla guida c'era davvero Daryl, ricoperto di sporco, ma era vivo. Ed era tornato finalmente a casa.

Sentii il sollievo travolgermi e gli occhi inumidirsi. «Bentornato, signor Dixon», sussurrai, con la voce spezzata.

Le sue labbra ebbero un fremito ed annuì, ma non parlò. Prendendomi contropiede, posò la mano che non teneva il volante sulla mia e la strinse, forte. Le nostre dita si intrecciarono, proprio come avevo immaginato quel pomeriggio, mentre Daryl mi guardava in quel modo – come alla casa funeraria.

Daryl mollò la presa quando Glenn si infilò nell'abitacolo, ma non mi importava. Avevo riacquistato la fiducia per credere che Alexandria ce l'avrebbe fatta, quella notte e che noi due avremmo potuto riparlarne. Prima avevamo un'ultima battaglia da affrontare. Daryl fermò il camion vicino alla sponda del lago, mentre Glenn, Abe, Sasha, Enid e Maggie ritornarono nel cuore della città per aiutare gli altri a resistere all'invasione. Io rimasi con Daryl, per coprirlo mentre apriva il tubo del carburante e lo faceva fluire nell'acqua.

Mi aiutò a salire sul tetto del rimorchio, mi passò un lanciarazzi che aveva trovato chissà dove – ignorando la mia reazione perplessa – e salì, sparando dritto nel lago. Il razzo, a contatto con la benzina, trasformò quello specchio d'acqua in un lago di fuoco. Il rumore e la luce attirò moltissimi vaganti, che iniziarono a camminare mollemente verso l'acqua, finendo per bruciarsi.

Osservai la scena accanto a lui, con un sorriso allibito dipinto sulle labbra. «Non ci credo… Ha funzionato! Hai avuto un'idea grandiosa!».

Non riuscii a capire se fosse la luce rossiccia dovuta alle fiamme, ma mi parve di vederlo arrossire. Raddrizzò le spalle. «Questo dovrebbe richiamarne la maggior parte», commentò, stringendosi nelle spalle.

Ritornai improvvisamente seria. «Le strade sono comunque piene. Dobbiamo andare ad aiutare gli altri», replicai. Mi voltai e feci per scendere da lì, ma sentii la sua mano afferrarmi il polso.

«Beth, ascolta un secondo – », proferì, ma scossi la testa, sollevai una mano e abbozzai un sorriso.

«Ne parliamo più tardi, okay? E so cosa stai pensando, che non è detto che vedremo entrambi l'alba con tutto il casino che c'è. Invece, sai che ti dico? Ce la faremo, tutti e due». Prima che potesse replicare, gli circondai il collo con le braccia e mi strinsi a lui, forte. Quando, timidamente, posò le sue mani sui miei fianchi, mi scostai per guardarlo. «Non ho la minima intenzione di fartela passare liscia e stai pur certo che non ti basterà un secondo», aggiunsi, con un sorriso serafico prima di sciogliere l'abbraccio.

Daryl non riuscì a trattenere uno sbuffo, ma sembrò più che altro una risata. Alzò gli occhi al cielo e mi seguì giù per l'abitacolo, scendendo in strada al mio fianco.

Abbattemmo un vagante dopo l'altro, facendoci strada per ricongiungerci agli altri. Li trovammo fare lo stesso ed eravamo inarrestabili. Un corpo e una mente unici, mentre difendevamo casa nostra con le unghie e con i denti perché non ci venisse portata via. La determinazione che ci smuoveva tutti era tale che sembrava quasi di assistere ad una coreografia. Io stessa, ad un certo punto, mi sorpresi di quanto fosse diventato meccanico, come schema: schiva, afferra, affonda la lama. Schiva, afferra, affonda la lama…

Volevamo tutti vivere, non soltanto sopravvivere. Mentre mi avventavo su un vagante, su quello dopo e su quello dopo ancora, alimentata da una forza di cui non mi credevo capace, si susseguirono nella mia testa i volti di tutte le persone per cui stavo combattendo così duramente: mio padre, mia madre, Noah, Maggie, Carl, Lori, Judith, Rick, Samantha, Reg, Deanna, Daryl; per tutti quelli che avevamo perso e per quelli che avrei continuato a proteggere con tutte le mie forze.

Mi piace ricordare quella notte come quella in cui si dissolse qualsiasi confine tra i due gruppi. Mentre combattevamo fianco a fianco, cessò di esistere un “noi” e un “loro”, perché eravamo tutte persone che stavano combattendo per riconquistare Alexandria e il diritto di vivere al sicuro tra le sue mura.
E, per la prima volta, lo stavamo facendo tutti insieme.



| Note autrice |
E anche questo capitolo infinito è andato! Ho fatto il possibile per non tardare moltissimo con l'aggiornamento, ma purtroppo sono in piena sessione d'esame e il tempo è quello che è.
Come avete letto a inizio capitolo, sì: ho deciso di cimentarmi nuovamente con il POV di Daryl. O almeno, ci ho provato ed è stato abbastanza impegnativo. Quando ho rivisto la puntata e mi sono ricordata che Daryl ha voluto fare marcia indietro, ho gongolato e ho voluto rigirare la frittata, facendo intendere che in realtà voleva solo correre a casa da Beth. Però, come avete capito, anche in questa versione il nostro biker ha dei ripensamenti e alla fine resta con Abe e Sasha. Anche perché il suo incontro con Dwitght nella foresta bruciata servirà anche a me, quindi non potevo farglielo evitare.
Un'altra cosa che volevo specificare: lo scorso capitolo ho creato dell'attesa menzionando una parte fluffy tra i nostri beniamini. Beh, quello che avete letto non è quello a cui mi riferivo. Come al solito il capitolo mi è cresciuto tra le mani mentre lo scrivevo e ho deciso di posticipare il chiarimento tra questi due. Il prossimo capitolo sarà incentrato quasi esclusivamente su Beth e Daryl, questa volta posso garantirvelo al 100%. Inoltre, l'ho già praticamente scritto tutto, mi mancano solo degli aggiustamenti e integrare delle parti (=aggiornamento più veloce). Per il resto, sarà davvero tutto cuore e ammore. Spero che l'assaggino di questo capitolo vi sia comunque piaciuto :)
Direi che ho finito di ammorbarvi. Ringrazio di cuore cuorissimo Tracey, keplerf62, Sil94 e ovviamente vannagio per le recensioni allo scorso capitolo. Mi hanno fatto felicissima, appena ho qualche secondo libero in più vi rispondo come si deve!
Spero che abbiate apprezzato anche questo capitolo e che mi farete sapere cosa ne pensate :) un bacio e alla prossima!
Blakie



   
 
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