Fly to a dream Far across the sea All the burdens gone Open the chest once
more
[Dark Chest Of
Wonders, Nightwish]
***
Le notti argentine erano calde e
afose, piene di rumori e
profumi che a lei sarebbero sempre rimasti estranei. Il frinire dei
grilli, la
fragranza del vento, e perfino i fruscii delle piante… Non
era casa sua.
Ricordava la sua Finlandia, Kitee, e
quei paesaggi dai
colori surreali che l’avevano guardata crescere. Ricordava
l’aria fresca della
brezza estiva quando, in qualche notte insonne, usciva sulla terrazza a
guardare il sole di mezzanotte brillare pallido su campi e colline,
sull’acqua
del mare o del fiume. Ricordava, in mezzo a tutto questo, le lunghe ore
trascorse a chiacchierare con qualcuno che ora non era che un fantasma
del suo
passato, impalpabile ma eternamente incombente su di lei, su ogni suo
passo,
ogni suo gesto.
C’era un oceano in mezzo a
loro, eppure, da quando si erano
separati per sempre, non c’era stato giorno in cui Tarja non
avesse pensato a
Tuomas, in cui non avesse sentito la sua sorda mancanza.
Era tramontata, ora,
l’epoca in cui loro due abitavano la
stessa favola, perché la favola era finita, e nessuno dei
due aveva trovato un
lieto fine. Forse lo avevano cercato nei posti sbagliati –
nelle persone
sbagliate – o forse lo avevano sì trovato, ma non
erano stati in grado di
riconoscerlo.
Il senso di colpa che le bruciava
dentro non la avrebbe mai
abbandonata.
Con un sospiro, posò la
spazzola sulla grande ed elegante
specchiera del bagno e ritornò nella stanza da letto.
Marcelo già dormiva,
steso su un fianco tra le lenzuola. La finestra che dava sul giardino
era
chiusa. A lui dava fastidio l’aria notturna.
Si avvicinò al letto, la
seta leggera della camicia da notte
che frusciava ai suoi piedi. Non aveva sonno, ma preferiva dormire
piuttosto
che rimanere sveglia a pensare. C’erano vuoti coperti di
bugie dentro di lei
che lottava quotidianamente per mantenere chiusi e non voleva rischiare
di
infrangere il delicato equilibrio che teneva in piedi la sua vita.
Ma prima di coricarsi voleva fare
ancora una cosa.
Scese al piano di sotto e
aprì la porta a vetri della
veranda. Uscì. I piedi nudi si posarono con piacere
sull’erba, più fresca e
morbida di come lei la ricordasse. Si guardò intorno e con
sgomento si rese
conto che l’intero giardino non era come avrebbe dovuto
essere. Non sembrava
nemmeno un giardino. Le alte mura di recinzione erano svanite,
così come gli
ulivi e i salici, che avevano lasciato posto ai sottili tronchi sinuosi
di
bianche betulle, che si estendevano davanti a lei a perdita
d’occhio su prati
rigogliosi.
Tarja rimase senza fiato. Non era un
paesaggio argentino,
quello. Era una foresta finlandese.
La luce della luna piena rischiarava
ogni cosa e,
all’improvviso, il canto dei grilli era scomparso,
così come la villa alle sue
spalle. C’era soltanto lei, nel bel mezzo di un bosco che non
poteva essere
reale.
È
un sogno,
ragionò, muovendo qualche passo incerto.
Non molti metri più
avanti, notò uno specchio d’acqua
limpida, un lago abbracciato su ogni lato da schiere di alberi silenti.
Una
brezza fresca soffiava dolcemente tra le loro fronde.
Se non era un sogno, allora doveva
essere un’allucinazione,
o un miraggio. E tutto, in quel miraggio, sembrava essere stato dipinto
da una
musica, da melodie familiari e lontane, dolorose per ciò che
raccontavano e
rappresentavano. Era come se ciascuno di quei particolari portasse
impressa in
sé una firma ben precisa.
Tuomas.
Avanzò fino alle rive del
lago, guardandosi intorno. Si
sentiva bene, serena, in pace con se stessa, i suoi demoni erano
assopiti
dentro di lei, lasciandola libera di respirare senza oppressioni. Si
sentiva a casa.
Si sporse al di sopra della
superficie immobile dell’acqua e
si ritrovò di fronte a se stessa, ma anche lei era diversa.
Non portava più la
camicia da notte di seta, bensì un lungo abito bianco che
brillava luminoso
sotto a quella luna così vivida. Era un abito che conosceva
bene, nonostante
fossero ormai anni che lo teneva gelosamente rinchiuso in un armadio
del
proprio guardaroba, per non doverlo più vedere, per tenere
segregati con esso e
molti altri ricordi un sentimento che non aveva mai visto la luce,
eppure era
sempre vissuto. Era un vestito che aveva indossato spesso, anni prima,
in
numerosi concerti e nel video della versione 2005 di Sleeping Sun.
Si vide bella come lo era stata dieci
anni prima, e forse
ancora di più. Il tempo era stato generoso con lei, le aveva
donato
un’avvenenza fuori dal comune, eterea ma duratura, eppure a
lei ormai non
importava più di come appariva. Fuori era bella,
sì, ma quel che aveva dentro
era solo un deserto di opportunità sprecate. Un oceano di
rimpianti e rimorsi.
Chinò il capo e si
risollevò, e solo allora notò che il
vestito era sporco: sul lato sinistro del petto c’era una
macchia di un intenso
rosso vermiglio che si stava allargando lentamente, e più si
ingrandiva, più
lei avvertiva un intenso dolore penetrante al cuore.
Si premette una mano su quel punto,
stringendo i denti.
Avrebbe voluto chiamare aiuto, ma non c’era nessuno
lì con lei, e, anche se così
non fosse stato, l’unico nome che le indugiava sulle labbra
apparteneva a
qualcuno che probabilmente avrebbe di gran lunga preferito vederla
soffrire.
Sentì delle lacrime
nascere dentro i propri occhi serrati,
ma le trattenne in gola. Stava ansimando, e respirare era sempre
più
difficoltoso.
Ma era solo un sogno. Soltanto un
sogno.
Cadde a terra in ginocchio, come
trafitta da parte a parte
da una lama di ghiaccio. Annaspava cercando aria, ma non ne trovava.
Udiva i propri gemiti come se fossero
appartenuti a qualcun
altro, lontani e soffusi, angosciati. Era disperata.
Poi, d’un tratto,
così com’era cominciato, il dolore
cessò.
L’ossigeno tornò
a riempirle i polmoni, le fitte al petto si
dissolsero, e lei si accorse che qualcuno le aveva posato una mano su
una
spalla. Una mano forte, ma delicata, gentile, con un tocco pieno di
premura.
“Tarja,” disse
una voce maschile che lei conosceva fin
troppo bene, con una strana incrinatura. “Sei davvero
tu?”
Lei si voltò, e
ciò che vide la paralizzò. Due occhi azzurri
e malinconici la scrutavano da vicino.
Il suo cuore di colpo smise di
battere.
No…
Erano stati lontani così a
lungo che aveva dimenticato che
effetto facesse averlo accanto, il potere infinito di un suo sguardo.
Non
può essere.
Anche lui, come lei, portava gli
abiti che aveva portato per
il video di Sleeping Sun, e anche lui, alla sinistra del petto, aveva
un’inconfondibile macchia di un denso rosso pulsante.
Era così vicino che poteva
quasi percepire il male che da
troppo tempo lo logorava da dentro. Così vicino che le
sembrava che non fossero
mai stati lontani.
Sulle labbra tremanti di Tarja,
flebile e incredulo, quel suono prese vita in un sussurro, senza che lei ne fosse cosciente, e
riempì la
breve distanza tra loro come una preghiera di salvezza da un destino
già
deciso.
E così lo disse, in una
anelito soffocato misto di stupore e
sollievo, quel nome che le sue labbra tacevano da troppo tempo:
“Tuomas.”
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Note:
ebbene sì, ladies and gentlemen, _Princess_ si butta sui
Nightwish. La mia ff
d’esordio su di loro, nata dall’ispirazione che le
meraviglie scritte da LadyCassandra
e Lady Vibeke (leggetele tutte! Se
amate i Nightwish, amerete le loro
storie!) hanno suscitato in me, senza ovviamente contare la potenza
delle
sensazioni trasmesse dalle canzoni stesse dei Nightwish.
Va da sé che questa storia
è tutta frutto della mia fervida
immaginazione (anche se sarebbe ipocrita non ammettere che un certo
fondo di
verità lo abbia) ed è scritta nel massimo
rispetto delle persone di cui tratta,
senza presunzione di rispecchiare la realtà.
Prevedo che la storia sarà
al massimo di cinque capitoli,
epilogo incluso, quindi se nell’attesa del prossimo
aggiornamento vorrete
lasciare un commento a questo breve capitolo introduttivo, a me farebbe
solo
molto piacere. ^^
Grazie in anticipo a tutti!
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