RED FURY
IV.
Quelle
due settimane, tra assistenza ai feriti, nuove strategie, ordini urlati
al
vento e riorganizzazione dei battaglioni, erano volate per tutti. In
poco tempo
si erano ritrovati in piedi di buon ora, a bordo del Red
Fury, armati fino ai denti e pronti per l’ultima e
decisiva
battaglia che li avrebbe spediti dritti all’Inferno, o a
casa, privi di un
occhio, o di un braccio. In ogni caso, la bara rimaneva
l’opzione con
probabilità più alte. Andava bene in quella
maniera però, ognuno di quei
soldati si era arruolato prendendo in considerazione
l’opzione di non durare
per poter raccontare, in futuro, quegli orrori, e attendevano tutti la
Nera
Signora col cuore in pace.
All’interno
del carro armato non parlava nessuno, eccetto qualche indicazione data
dal
Sergente Eustass riguardante la strada da seguire.
Nelle
settimane passate c’era stato poco tempo per tutti per
riposare e
chiacchierare, ma la verità era che gli argomenti erano
pochi e la voglia di
dare aria alla bocca per niente non allettava nessuno.
Wire
sussurrava parole a bassissima voce che solo Law poteva udire e
riconoscere
come i misteri del Santo Rosario ed era talmente svuotato di qualsiasi
emozione
che, quasi quasi, si sarebbe messo a recitarlo pure lui, in memoria dei
vecchi
tempi, quando da piccolo andava in chiesa con la sua sorellina per il
catechismo. La loro maestra era una suora molto gentile e si domandava
spesso
se si ricordasse di dire una preghiera per la sua salvezza. Lui, di
certo, non
ne aveva il tempo.
Killer
sembrava irrequieto, come se gli prudessero le mani per la voglia di
fare
qualcosa e non starsene seduto sul sedile a rigirarsi i pollici, in
attesa di
uno spiraglio di luce da acchiappare al volo per smuovere un
po’ quella
situazione piatta, silenziosa e monotona, quasi vuota. Sembrava che
tutti
avessero perso il loro cameratismo e gli effetti collaterali si
sentivano
benissimo. Li provavano tutti sulla pelle; era come una sensazione
estranea,
che non gli apparteneva e che li faceva sentire a disagio
l’uno con l’altro,
quando erano sempre stati uniti come una famiglia.
Kidd
sapeva che le cose non stavano andando bene, ma era determinato a
sistemare
tutto e a riportare nei suoi uomini la voglia di scaricare i fucili sui
tedeschi
e la complicità tra compagni d’armi. Fortuna che
Ace aveva deciso di partire
con loro, non sapeva come avrebbero reagito gli altri altrimenti,
sapendolo
sostituito da qualcun altro. Già era stato difficile
introdurre Trafalgar,
figurarsi dargli la notizia che il loro caricatore li avrebbe
abbandonati.
Sapeva
che per il giovane ragazzo non era stato facile, ma gli era grato per
averli
affiancati ancora una volta, l’ultima,
se Dio lo permetteva, contrariamente a quello che si era aspettato.
Dal
canto suo, Ace, forse, era quello più tranquillo e con
l’animo in pace.
Aveva
avuto modo di riprendersi e riposare, riflettendo su quello che era
successo da
quando si era arruolato, arrivando in alto e venendo assegnato ad una
delle
squadre più meritevoli che mai avrebbero potuto capitargli.
Aveva ripensato a
come era cambiato nel tempo, trasformandosi da ragazzino ribelle e
testardo,
con la fissa per il suicidio in grande stile, a uomo determinato,
pronto a dare
la vita per le persone che lo meritavano. Era orgoglioso di se stesso e
doveva
ringraziare solo il Sergente Eustass se era riuscito ad avere un minimo
di
autostima, per quel motivo aveva deciso di partire con loro e non
abbandonarli
sul più bello. Perché non lo meritavano e non
poteva voltare le spalle alla sua
famiglia, non se lo sarebbe mai perdonato altrimenti.
Aveva
parlato per ore con Kidd della questione, scusandosi ad ogni frase per
il
casino che aveva combinato e per il rischio che aveva fatto correre a
tutti, ma
il rosso, a parte l’averlo steso quando aveva dato di matto
per le condizioni
del Sergente Phoenix, non aveva infierito e gli aveva assicurato che
per lui ci
sarebbe sempre stato posto all’interno del Red
Fury.
Perciò
non aveva perso il lavoro e non serviva che se ne tornasse a casa a
mani vuote.
L’altro
problema che lo aveva quasi fatto impazzire, poi, era stato Marco.
Ecco, quando
era stato il momento di andare a parlargli si era sentito come se il
coraggio e
la spavalderia della giovane età lo avessero di colpo
abbandonato, lasciandolo
insicuro e teso. Fortuna che era bastata un’occhiata di Law
per costringerlo a
muoversi. Non gli era piaciuto per niente il modo in cui Doc.
lo aveva guardato e si era sbrigato ad andare a chiarirsi col
biondo prima che l’altro potesse spifferare qualcosa in giro.
Non
era stato facile ed era rimasto a fissarlo per parecchi minuti,
soffermandosi
fin troppo sulle ferite, constatando che era stato davvero un miracolo
il fatto
che fosse ancora vivo. Trafalgar era davvero uno bravo e con le palle.
Era
stato Marco a rompere il ghiaccio per primo, così lui si era
avvicinato ed era
rimasto altre ore a parlare di tutto e di niente in particolare,
scusandosi
ancora e implorando il biondo affinché gli facesse rapporto
e lo facesse
congedare con disonore perché, a detta sua, se lo meritava.
Si era sentito
ancora più un verme quando aveva dato retta
all’uomo, avvicinandosi a lui
credendo che dovesse dirgli qualcosa di importante, venendo colto
invece alla
sprovvista e ricevendo un bacio con tanto ardore che Ace si
domandò dove
l’avesse trovata tutta quell’energia, dato che era
moribondo.
Insomma,
lui combinava disastri e nessuno lo incolpava, anzi, lo baciavano
perfino.
Però
si era sentito tanto bene ed era stato così bello che, per
quella unica volta,
aveva smesso di auto colpevolizzarsi e si era goduto il momento,
pensando solo
al presente, alla piacevole sensazione di calore e
all’affetto che si era reso
conto di provare per Marco.
Più
complicato era stato spiegargli che aveva deciso di partire per
quell’ultima
missione, dovendogli mentire spudoratamente sul fatto che sarebbe
tornato
presto. Sapevano entrambi che, con ogni probabilità, non si
sarebbero rivisti,
ma lui avrebbe conservato il ricordo di tutte le sere che avevano
passato
assieme come ultimo pensiero prima di morire. Qualcosa di bello e
luminoso nel
buio più totale.
“Wire.”
disse Eustass ad un tratto, spezzando il silenzio che si era protratto
per
tutto il tragitto.
“Si,”
rispose l’altro, “L’ho visto.”
“Ferma
tutto!”
Gli
altri si erano tutti guardati domandandosi il motivo di quella tappa
non
prevista, ma non avevano fatto in tempo a chiedere spiegazione
perché il rumore
di un’esplosione aveva fatto sobbalzare il carro prima ancora
che Wire
spegnesse i motori. Allarmati, temendo un attacco come
l’ultima volta, erano subito
usciti per capire da dove li stessero attaccando, rendendosi conto che
si
trovavano ad un crocevia dove svettava in bella mostra una baracca
grande come
un edificio abbandonata e dall’aria di aver subito un
incendio su buona parte
della facciata frontale. Il botto che avevano sentito da dentro e che
aveva
fatto saltare un cingolo del Red Fury
era stato dovuto da una mina antiuomo fino ad allora inesplosa.
“Maledizione!”
aveva sbottato Killer, il quale, di solito, non si lasciava mai tanto
prendere
la mano, quello, semmai, lo faceva Ace. “Se sono fortunato mi
ci vorranno
giorni per ripararlo.” Disse sconsolato, con il corvino al
suo fianco che
controllava il danno, mentre Wire si mordeva le unghie per non essere
stato un
po’ più a sinistra e Kidd si passava una mano
sugli occhi stanchi.
In
tutto quello, Law osservava la scena con il corpo esposto solo la
metà,
rendendosi conto che l’umore di tutti era a terra e che
quella sfiga proprio
non ci voleva. L’ultima speranza che restava loro era che il
Sergente Monkey,
che li precedeva di qualche miglio,
avesse dei pezzi di ricambio, ma qualcosa gli diceva che
il danno era
peggio del previsto e che da lì non si sarebbero schiodati
tanto in fretta.
“Che
facciamo?” chiese Wire.
“Passami
l’idiota alla radio.” Ordinò Kidd,
allungando un braccio verso Law, facendogli
intendere di sbrigarsi e porgergli l’apparecchio. Il ragazzo
obbedì senza
fiatare, non era il momento per gli scherzi, ma si ritrovò
ad ascoltare
ugualmente le maledizioni del rosso perché la mina aveva
fatto saltare pure la
ricetrasmittente, lasciandoli isolati e con il culo a terra.
“Ma
porca puttana!”
Ecco,
Ace era tornato in sé.
“Che
cazzo facciamo adesso?” chiese Killer a nessuno in
particolare, sfogando la sua
frustrazione su un sasso e calciandolo lontano con forza,
scompigliandosi i
capelli con una mano come a volersi far venire in mente qualche idea
geniale
per uscire da quel casino.
Kidd
scuoteva il capo, non sapendo nemmeno lui se incazzarsi e urlare contro
a
chiunque o se lasciarsi ormai scivolare tutto addosso, conscio che se
la
giornata iniziava di merda sarebbe finita allo stesso modo e nulla
avrebbe
potuto cambiare la situazione. Il gruppo di Monkey era irraggiungibile
e anche
tutti quelli che avevano lasciato indietro nell’ultimo
accampamento al quale si
erano fermati per una breve sosta, impossibili da contattare per
avvisarli del
loro problema. Erano esposti in una zona aperta dove chiunque avrebbe
potuto
vederli e prenderli di mira se fossero stati nemici, mentre se il Sunny fosse entrato in conflitto con
truppe tedesche loro non avrebbero potuto fornire fuoco di copertura e
andare
in soccorso.
Erano
semplicemente fottuti.
Non
poteva però non reagire davanti ai suoi uomini; loro
contavano su di lui,
sapevano che avrebbe trovato un modo per uscirne, perciò
doveva fare buon viso
a cattivo gioco e spronarli ad andare avanti senza arrendersi anche se
le
possibilità di riuscita erano basse. Quello faceva un bravo
leader e lui era il
migliore.
“Wire,
vedi cosa riesci a fare con quello che abbiamo,”
iniziò senza tentennamenti e
con un tono che trasudava autorità e determinazione.
“Se ripariamo la radio
siamo già a buon punto; Killer, tu controlla nel capanno se
trovi qualcosa di
interessante, o assicurati semplicemente che sia libero e senza
minacce; Ace,
voglio che arrivi fino a quella collina e che ti apposti tra le
sterpaglie per
controllare che non si avvicini nessuno. Il primo movimento che vedi
torni
volando qui a riferirmelo.”
Il
corvino annuì, già con un’aria
più tranquilla e partì spedito a compiere il suo
dovere come avevano fatto gli altri due.
Law
aveva osservato il tutto in silenzio, riflettendo tra sé sul
talento che aveva
Kidd a prendersi cura degli altri. Certo, non lo faceva nel modo in cui
qualunque normale essere umano si sarebbe aspettato, ma non tutti
sarebbero
riusciti ad arginare così bene un problema del genere. Non
avevano ancora avuto
delle soluzioni concrete, ma si stavano adoperando per ottenerle, tutti
assieme, aiutandosi a vicenda e sostenendosi, consci che Eustass
credeva in
loro e aveva la massima fiducia nella riuscita grazie alle loro
capacità.
Alla
fine, Law aveva imparato a conoscerlo e a rispettarlo come suo
superiore; lo
detestava come persona, era insopportabile e maledettamente bastardo,
il
peggiore di tutti, ma come capitano non avrebbe potuto chiedere di
meglio e in
quei momenti lo ammirava, anche se mai in vita glielo avrebbe detto.
“Trafalgar,”
iniziò poi il rosso, voltandosi verso di lui che ancora era
per metà dentro al
carro armato ad attendere di ricevere un compito per rendersi utile e
fare la
sua parte. “Prendi una pistola, molla il fucile e torna
indietro
all’accampamento. No, non voglio sentire lamentele, magari
sei fortunato e
trovi qualcuno che ci sta venendo incontro.”
“Non
può andarci Killer?” domandò, scendendo
dal Red
Fury in velocità e tallonando il rosso che gli
aveva voltato le spalle,
allontanandosi dal cingolo distrutto.
“Lui
mi serve qui.” sentenziò categorico.
“Anche
io. Se ci attaccano avrai bisogno di tutti gli uomini
e…”
“Siamo
comunque in minoranza. Uno in più non farà
differenza.”
Law
lo superò e si piazzò davanti a lui per fermare
la sua avanzata, deciso a non
demordere e sentendo lo stomaco attorcigliarsi per il disagio.
“Si invece,
insieme possiamo farcela.”
Kidd
lo guardò dall’alto in basso, sospirando esausto e
impegnandosi per non
iniziare l’ennesima faida inutile con quel detestabile
moccioso. “Sbrigati a
partire, stai perdendo tempo prezioso e ci stai anche mettendo a
rischio.”
“Oh
no.” mormorò il ragazzo, stringendo i pugni.
“Non vi lascerò qui, rimarrò con
voi.”
“Tu
andrai all’accampamento a cercare i rinforzi, discorso
chiuso.” digrignò i
denti Kidd, già sull’orlo di perdere il controllo.
“Te
lo puoi scordare, vi servo…”
“Non
abbiamo bisogno di te!” sbottò allora il rosso,
superando il limite. “Se ci
attaccano so che loro sanno difendersi e contrattaccare a dovere; di te
posso
fare a meno, perciò vai!”
Law
incassò tutte quelle parole senza battere ciglio, immobile
davanti al Sergente
Eustass senza dare segno di volersi arrendere. Sapeva che non stava
dicendo sul
serio, era chiaro e anche uno stupido l’avrebbe capito. Non
era facile per
nessuno e, anche se sapeva che gli altri suoi compagni avevano
più esperienza
di lui e sapevano cavarsela in ogni situazione estrema, era certo che
non
avrebbero rinunciato al suo supporto, non dopo tutto quello che avevano
passato, non quando ormai lo avevano accettato nel loro nucleo,
considerandolo
parte integrante del gruppo e un loro compagno a tutti gli effetti.
Ecco
perché si avvicinò a Kidd per essere faccia a
faccia con lui in modo che nessun
altro potesse sentire quelle parole, perché non le avrebbe
di certo urlate. Si
divertiva a ribattere a tono con il rosso, ma non aveva intenzione di
spiattellare al vento i loro affari e c’erano cose che
preferiva tenere tra di
loro, custodendole gelosamente.
“So
cosa stai facendo.” Sussurrò, fissandolo negli
occhi. “E se credi di tenermi
lontano da questo solo perché hai paura…”
“Io
non ho paura.” ribatté Kidd, freddamente e
irrigidendosi.
“Si,
ne hai. E ce l’ho io. E ce l’ha Wire, Killer, Ace,
tutti noi.” ripeté Law,
afferrando il viso di Eustass con le mani per obbligarlo a guardarlo,
anche se
controvoglia, dato che aveva voltato il capo. “Ce la
caveremo, resterò qui e
risolveremo il problema, ma non mandarmi via. Non farlo.”
‘Ti
prego’,
pensò, ma non lo disse, non lo
avrebbe mai fatto e sarebbe stato troppo anche per lui che non era di
certo il
tipo di persona che implorava, ma sperava che bastasse comunque per far
ragionare quella testa rossa e convincerlo a lasciarlo restare con loro
in quel
crocevia. Lui non aveva bisogno di venire messo al sicuro, sapeva
badare a se
stesso e, nonostante nel profondo un pochino avesse apprezzato il fatto
che
Kidd volesse proteggerlo, non voleva abbandonarli.
Kidd
sospirò sconfitto, abbassando la testa e appoggiando la
fronte contro quella di
Law, chiudendo gli occhi e riflettendo per qualche istante sul da
farsi. Quando
li riaprì era deciso a mettere fine a quei discorsi e, non
lasciandosi
ammaliare dall’espressione di pura fiducia che gli occhi del
moro gli stavano
trasmettendo, fece appello al suo titolo di Sergente per liquidare ogni
protesta.
“Torna
all’accampamento.” scandì serio, vedendo
come le speranze del moro andassero in
pezzi. “Questo è un ordine,
Trafalgar.”
Così,
con un’occhiata omicida, Law gli voltò le spalle
per tornare a recuperare
l’elmo e la sua pistola che aveva lasciato sul carro,
sbrigandosi per non
cedere all’istinto di aggredire quello stronzo con i capelli
rossi e ucciderlo,
incamminandosi subito verso la direzione dalla quale erano venuti e
senza
salutare né Wire, che aveva cercato di parlargli per
rassicurarlo; tantomeno
Killer, il quale era uscito dal casolare e lo guardava stranito con il
fucile
in spalla e i capelli raccolti.
Si
incamminò a passo spedito per i primi minuti, poi
iniziò a correre come se
avesse avuto alle calcagna un plotone di tedeschi e continuò
fino a che le
gambe non gli cedettero per lo sforzo, obbligandolo a fermarsi
ruzzolando a
terra nella polvere e tossendo senza fiato. Svuotò per
metà la borraccia,
respirò a fondo per qualche istante e poi si
rialzò rimettendosi in marcia a
passo sostenuto senza perdere altro tempo dato che ne aveva sprecato
abbastanza
col rosso.
Pensarci
lo aiutava a non mollare e ripetersi nella mente quelle parole dure era
l’unico
modo per non fermarsi a causa della stanchezza. Doveva continuare a
qualsiasi
costo perché sapeva che aveva una possibilità di
raggiungere il campo e
chiedere aiuto se non avesse rallentato. Magari ci avrebbe messo
qualche ora,
forse sarebbe arrivato a notte inoltrata, ma ogni minuto era prezioso e
lui ce
l’avrebbe fatta anche solo per ripicca verso quel bastardo di
Kidd. Gli avrebbe
dimostrato che aveva portato a termine il suo compito tornando con i
rinforzi e
obbligandolo a rimangiarsi tutto quello che gli aveva detto a suon di
pugni.
Solo dopo averlo ridotto a pezzi lo avrebbe baciato, ringraziandolo per
tutto,
per non averlo mollato lungo la strada quando si era unito a loro; per
non
averlo ucciso, ma fatto crescere; per avergli mostrato come essere
forte e
affrontare i propri ostacoli; per averlo considerato un suo sottoposto
di cui
prendersi cura; per averlo fatto sentire importante come dottore e come
uomo.
Lo
avrebbe ringraziato per avergli dato un motivo per cui combattere,
ovvero la
sua squadra.
Si
morse un labbro, aumentando la velocita.
A
se stesso, almeno, poteva ammettere che avrebbe combattuto anche per
Kidd.
*
Era
ormai quasi l’alba quando li sentirono.
Killer
guardò fuori per vedere se riusciva a localizzarli, notando
col buio alcune
torce e i fari dei tre Tiger in
lontananza. Il cielo era ancora scuro, ma poteva notare un lieve
chiarore a est
e sperò di poter contare almeno in un po’ di luce
quando avrebbero iniziato
l’attacco.
Dopo
che Trafalgar se ne era andato la situazione aveva preso una piega
abbastanza
sbagliata, ma per sua fortuna erano riusciti verso sera a riprendere il
loro
equilibrio di un tempo e a mettersi a lavorare tutti quanti senza
screzi o
malumori.
Wire
era riuscito, dopo una crisi di identità e un calo di fede
verso il suo Dio, a
capire come sistemare la radio che, in quell’istante, stava
ultimando,
nonostante i tedeschi fossero in arrivo al di là della
collina.
Ace
aveva fatto un ottimo lavoro e, con una vista da cecchino, era apparso
verso
l’ora di cena, avvisandoli che, nonostante si fosse
appisolato, si era avventurato
più avanti del previsto riuscendo
in
quel modo ad individuare un convoglio tedesco, uno degli ultimi rimasti
dopo lo
scioglimento del regime nazista dei giorni precedenti. Erano circa
duecento
soldati con tre carri armati e stavano puntando proprio al crocevia,
forse per
rientrare in città, ma non sapevano della presenza
dell’M4 Sherman,
perciò potevano vantare ancora l’effetto sorpresa.
Trattare
con Kidd quel pomeriggio era stato un vero e proprio inferno.
Nonostante lui e
il rosso fossero cresciuti insieme a volte ancora faticava a conviverci
a causa
del suo caratteraccio simile ad una mina vagante pronta ad esplodere,
proprio
come quella che aveva fatto saltare il cingolo del loro carro armato.
Ci
era voluto un po’, ore
per la
precisione, per farlo calmare, visto che non sembrava più
sapere dove sbattere
la testa, ma era andato tutto bene, alla fine. Si erano urlati contro
un po’,
era volato qualche pugno, poi Killer era riuscito a mettere a tappeto
il rosso
e, dopo un faccia a faccia fatto di imprecazioni e verità
sbattute sul muso, si
era risolto tutto. Avevano aperto le ultime lattine di birra e se le
erano
scolate; ricordando i vecchi tempi e un paio di aneddoti divertenti e
mangiando
cibi preconfezionati americani.
Probabilmente
il biondo sarebbe morto col sorriso quel giorno, sapendo che aveva con
sé
compagni che lo consideravano un fratello e quello per lui contava
più di
qualsiasi cosa al mondo.
Mettere
Kidd al tappeto era sempre stato un suo privilegio, ma non se ne era
mai
vantato e non lo aveva mai fatto davanti a nessuno. Un po’
perché era un
segreto, un po’ perché Kidd aveva
quell’aria da spaccone e si era fatto il culo
nei ranghi dell’esercito meritandosi il titolo di Sergente e
la fama di soldato
imbattuto e spacca ossa. Nessuno si metteva nella sua strada, nessuno
eccetto
Killer. E Trafalgar, ma quello era un discorso che non riguardava il
biondo.
Kidd
non era solamente il suo superiore, era il suo migliore amico, un
fratello, la
sua persona e lo era sempre stato. Si fidava ciecamente di lui e sapeva
benissimo che il rosso si stava impegnando per tirarli fuori da quella
merda;
capiva il suo stato d’animo, la paura di non riuscire a
salvarli, il timore di
metterli in pericolo e il dovere di proteggerli a qualunque costo.
Killer
sapeva che il rosso avrebbe volentieri barattato la sua vita per loro,
ma non
glielo avrebbe permesso. Ci erano finiti assieme nel casino e assieme
ne
sarebbero usciti. Sempre.
La
scazzottata era servita a far sfogare entrambi, le birre avevano
allentato la
tensione, Wire aveva recuperato un po’ di buonumore e
recitato le ultime
preghiere prima di togliersi il rosario e metterselo in tasca. Lo
faceva sempre
quando doveva sporcarsi le mani e commettere peccati.
Infine
era sbucato dal nulla Ace, col fiatone e fremente per
l’agitazione, avvisandoli
dell’imminente grandissimo problema. Dopo un silenzio che era
sembrato
interminabile, Kidd aveva preso parola ed era stato solenne come un
vero uomo
che ama la sua patria e i suoi commilitoni.
Aveva
detto loro che li considerava la sua famiglia e che lavorare con loro
in quegli
anni era stato il più grande onore di sempre. Li aveva
ringraziati e, con
stupore di tutti, li aveva congedati.
Si,
quel coglione aveva veramente pensato che lo avrebbero mollato
lì su due piedi,
da solo, contro i tedeschi e che se ne sarebbero tornati a casa con la
coscienza sporca che hanno i codardi e i traditori.
Sorrise
Killer, guardando di sfuggita il rosso accanto a lui, il quale stava
fumando
l’ultima sigaretta.
Loro
non si sarebbero mai voltati le spalle.
*
“A
breve ci raggiungeranno.” rese noto Wire, attivando poi un
walkie-talkie e
ripetendo l’annuncio ad Ace, il quale era appostato in
incognito fuori dal carro.
“Sapete
tutti cosa fare.” annuì Kidd, spegnendo il
mozzicone ed espirando il fumo.
Si
era concesso un ultimo vizio e, da bravo egoista mai contento quale
era,
conoscendosi sapeva che, se avesse potuto, se ne sarebbe consessi molti
altri
prima di iniziare quel piano suicida, ma la vita aveva sempre delle
sorprese in
serbo e lui quel giorno era stato preso in contropiede.
‘Fortuna
che fino all’altro giorno è
andata bene’
pensò,
stirando le labbra in un ghigno che sapeva di malinconia e bei ricordi.
Non
era mai stato il tipo da smancerie e cose serie, non facevano per il
suo
spirito libero e per la sua vita da scapolo, ma non poteva negare che
il suo
cervello aveva trovato una valvola di sfogo per non pensare sempre e
costantemente alla guerra.
Certo,
non si dilettava con dolci sogni, bensì con un grosso
enigma, ma lo aiutava a
staccare la spina e a rilassarsi meglio, dormendo la notte.
Trafalgar
non era di certo quello che si poteva definire una persona equilibrata.
Era un
grandissimo saccente pezzo di merda, un dottorino finito per sbaglio
nel campo
di battaglia solo per creare scompiglio dove non serviva e fargli
perdere
tempo. Era stato cosi all’inizio, anche se poi la situazione
era migliorata e
lui era stato addirittura essenziale per il gruppo del Red
Fury. Gli dovevano molto, ma ciò non toglieva che
rimanesse
l’essere più fastidioso sulla terra.
‘Con un
culo pazzesco’ aggiunse
mentalmente il rosso,
fremendo per l’impazienza e rifugiandosi ancora un poco nei
ricordi.
Avevano
fatto sesso, ancora e ancora dopo la prima volta e Dio solo sapeva
quanto gli
era piaciuto, e quanto fosse piaciuto al bastardo, perché
Kidd sapeva, sicuro
come lo era la Morte, che a Trafalgar quelle attenzioni fastidio non
avevano
dato.
Anzi.
Avrebbe
custodito gelosamente il loro ultimo incontro da soli, nella sua tenda,
fuori
dal mondo e lontano dalla Germania, dalla guerra, da tutto.
“Cosa
succederà dopo?” gli aveva
chiesto Law tra un bacio e l’altro, mentre lui lo stava
spogliando senza
fretta.
“Dopo
quando?” aveva finto di non capire.
Il moro
l’aveva guardato con
eloquenza, come a volergli dire che non ci sarebbe cascato e che sapeva
che non
era così stupido.
Kidd aveva
sogghignato, continuando a
spogliarlo per poi dedicarsi ad altro. “Torneremo in America.
A casa.”
“E?”
“E mi
farò congedare con onore
prendendomi una lunghissima vacanza.”
“E?”
“E con
i soldi mi prenderò una casa
sulla costa, con un giardino e un cane. Anzi, due cani.”
Law aveva
sorriso, lasciando che Kidd
lo spingesse sulla branda e lo sovrastasse. “E?”
“Uno lo
chiamerò Boomer, l’altro un
nome ce l’ha già e fa schifo.”
“Ora
sono offeso.”
Il rosso lo aveva
ignorato, le mani
impegnate a fare altro, accarezzandolo e violandolo per cercare il
punto esatto
per far gemere il dottore come solo lui sapeva fare. Quando poi aveva
sentito
Trafalgar sussultare e tremare sapeva di aver fatto un buon lavoro.
“Mi
farò perdonare.” gli aveva
sussurrato, leccandogli il collo e scendendo fino alla spalla.
“Sono
una persona molto esigente.”
aveva messo il chiaro Law, inarcando la schiena sotto i tocchi sapienti
del
rosso.
“Mi
farò perdonare anche a casa.”
Dopo avevano
smesso di usare le parole
per comunicare e avevano lasciato spazio ad altro, al fiato caldo sulla
pelle,
alle spinte, ai gemiti silenziosi di Kidd e a quelli mal trattenuti di
Law,
alla frenesia e alla voglia di non arrivare mai al mattino seguente.
Non
sapeva se ce l’avrebbero fatta quella volta, era una bella
domanda e Kidd era
stanco di porsela, ma il solo fatto che Killer, Ace e Wire fossero con
lui
bastava per tranquillizzarlo e fargli affrontare meglio tutto quanto.
Quando
aveva provato a mandarli via non era ancora certo di come avrebbe
affrontato
tutto in solitudine, ma loro lo avevano guardato e, uno dopo
l’altro si erano
messi a ridere, aggiungendo poi svariate frasi svenevoli e da far
vomitare,
tutte stronzate sul non abbandonarsi mai.
Però
le aveva apprezzate tutte, dalla prima all’ultima e se fosse
morto se ne
sarebbe andato con l’anima in pace.
L’unico
rammarico, forse, era per quello
stronzo di Trafalgar che aveva imbarcato senza troppe cerimonie, ma si
consolava sapendolo lontano dalla zona minata, al sicuro, sano e salvo.
Cacciarlo,
obbligarlo ad andarsene era stata la cosa giusta, quella più
sensata, un modo
per ripagarlo di tutto quello che gli aveva fatto passare e che non
avrebbe mai
dovuto affrontare. Non si era arruolato per fare il soldato o per
combattere in
prima linea, ma per fare il dottore e, anche se aveva comunque operato
in quel
campo, aveva assistito a scene che cambiavano completamente la vita di
un
individuo, rendendolo totalmente un’altra persona e Trafalgar
non sarebbe mai
più stato lo stesso. Forse era un bene, forse no, ma Kidd
aveva voluto dargli
una possibilità di salvarsi, di dimenticare. Era quello che
qualsiasi Sergente
avrebbe fatto e non se ne era pentito.
“Arrivano.”
gracchiò la voce di Ace tramite il walkie-talkie e tutti si
prepararono.
Avevano
organizzato tutto nei minimi particolari, ovvero decretando che la cosa
migliore era far credere ai tedeschi che io loro carro armato fosse
fermo da
molto tempo e che non ci fosse più nessuno.
Nel
casolare Killer aveva scoperto una sezione allestita come un campo
medico,
quindi una stanza era piena di cadaveri di nazisti. Cosi ne avevano
presi alcuni,
avevano messo le loro divise da americani, e li avevano piazzati in
punti
strategici attorno al Red Fury,
facendo in modo che sembrasse il ricordo sbiadito di una catastrofe
avvenuta
tempo addietro.
Ace
avrebbe fornito fuoco di copertura dall’esterno nel tentativo
di fare fuori
almeno le prime file e così fece, riservando per loro
qualche sorpresa.
“Come
li ha fatti quelli?” sbottò entusiasta Wire,
guardando le molotov volare contro
i tedeschi e ascoltando la voce di Ace che, esaltato, scaricava
esplosivi,
pallottole e improperi verso i primi tedeschi che ormai li avevano
raggiunti.
Quello
aveva dato inizio allo scontro.
I
primi a cadere furono a causa delle molotov, poi altri perirono nel
casolare
che avevano cosparso di carburate e al quale Ace riuscì per
miracolo a dare
fuoco.
Un
nazista lo aveva disarmato, ma nel casino Killer era riuscito ad uscire
dall’M4 Sherman per andare
a coprirgli le
spalle, salvando lui e il piano.
Il
capanno era per la maggior parte in legno e i nazisti che erano entrati
a
controllare vennero bruciati vivi. La scia di benzina che avevano fatto
scorrere tra il carro armato e la strada dalla quale provenivano i
tedeschi
offrì loro una tregua, così Killer
riuscì ad appostarsi dietro il Red
Fury ed Ace a tornare di vedetta
dietro il cannone.
Riuscirono
ad ucciderne parecchi grazie anche alla mira di Wire che operava da
dentro e
dalle direttive precise di Eustass che, attento a qualsiasi movimento,
indicava
ogni punto in cui vedeva gente muoversi.
Purtroppo
però arrivarono anche i Tiger
e con
quelli le cose si fecero serie.
I
bombardamenti colpirono il terreno attorno al loro carro, sollevando
polvere e
zolle di terra. Killer lanciò una granata e qualcuno dalle
parti del nemico saltò
in aria; Ace uccise alcuni uomini che avevano aggirato il fuoco che, a
breve,
si sarebbe ugualmente spento.
“Sono
ancora tanti.” li informò il ragazzo, sparando.
Wire
caricò le munizioni, riprendendo subito la sua postazione,
mentre Kidd faceva
altrettanto, pronto a mirare ai Tiger e a tentare il tutto per tutto.
Un
tedesco corse verso il Red Fury con
una granata in mano. Nella corsa venne colpito in testa da Killer, ma
l’aveva già
attivata e lanciata vicino al carro. Il biondo allora era saltato
giù per
raccoglierla e rimandarla indietro ai proprietari. E ci
riuscì pure.
“Ha!
Rognosi figli di puttana!”
Ace
e Wire sorrisero, Kidd stava per farlo, ma non ne ebbe il tempo
perché al di là
della linea nemica qualcuno scaricò una mitragliatrice sul
biondo, troppo
esposto e troppo lontano dalla loro protezione, il quale cadde in
ginocchio a
terra, stendendosi di lato senza muoversi più.
“Devi
essere proprio una grandissima
testa di cazzo per pensare che ti lasceremo qui. Se muori tu, moriamo
anche
noi.”
Il
rosso deglutì, spostando altrove lo sguardo e puntando il
mirino del cannone
verso uno dei Tiger. Prese il
respiro, silenziò la testa, gli spari, il mondo, il suo
cuore spezzato e sparò.
“Si
cazzo!” strillò Ace in tutto quel casino.
“Facciamogli il culo.”
“Bel
colpo Capitano.” si congratulò Wire.
Kidd
non perse tempo e caricò ancora. Non era finita, ne
rimanevano due e altri
svariati crucchi da sterminare prima di cantare vittoria. Nonostante il
successo l’adrenalina era alle stelle, la tensione pure e in
tutta quella merda
lui non poteva nemmeno fermarsi a pensare a Killer steso nel fango e
calpestato
da chissà chi.
Difficilmente
ce l’avrebbero fatta, ma fino a che avrebbe avuto fiato
avrebbe continuato a
sparare e ad uccidere ogni tedesco che gli sarebbe capitato a tiro.
“Mi
sposto a destra, stanno attraversando il fosso!” li
informò Ace, non dando loro
modo di rispondere.
Kidd
stava per sparare un’altra cannonata, ma qualcosa
andò storto e il colpo si inceppò.
Senza il cannone sarebbero di certo morti nel giro di qualche minuto
Wire
ne uccise cinque con la mitraglietta, poi abbandonò la
postazione per aprire lo
sportello sopra le loro teste con l’intenzione di risolvere
il problema al
rosso che, di certo, con la sua poca pazienza non avrebbe ottenuto
nulla se non
una pallottola nel corpo.
“Wire
lascia perdere, ce la faccio lo stesso!” lo frenò
Kidd, non volendo per nessuna
ragione che il compagno uscisse in quell’inferno; qualcosa
gli diceva che se
fosse andato non sarebbe più tornato indietro.
L’altro
però non lo ascoltò e prima di venire fermato era
già all’aperto, con il rumore
del fuoco incrociato dei nazisti e le imprecazioni di Ace che
arrivavano da
chissà dove in mezzo al fumo.
La
torretta era inceppata e con mani tremanti, pregando Dio che nessuno lo
colpisse in quel frangente, la sbloccò nel giro di qualche
minuto. Sospirò,
passandosi le mani sporche sul viso per cercare la forza di non mollare
proprio
allora. C’era tanto, troppo casino e gli stava scoppiando la
testa.
‘Dio,
ti prego, ancora un pò’ pregò,
notando solo allora un paio di
soldati tedeschi avvicinarsi al carro. Prese la pistola e ne
colpì uno, l’altro
lo beccò sul braccio, ma si stava già
arrampicando per salire. Cercò di
fermarlo, ma quello lanciò una granata dentro al Red Fury per poi lasciarsi scivolare a
terra, rotolando per
allontanarsi.
Dentro
udì un distinto “Merda!”
di Kidd,
così lo raggiunse senza rifletterci notando la granata
attiva nella parte bassa
dove c’era la sua postazione, così, dopo essersi
scambiato uno sguardo intenso
con il Sergente, arrivò con un salto sul sedile giusto in
tempo per chinarsi e
fare da scudo con il suo corpo contro l’esplosione che
avvenne giusto in
quell’istante.
Kidd
si coprì il viso con le braccia, voltandosi di lato e
sentendo esplodere il
cervello a causa del rumore della granata. Una volta terminata
l’onda d’urlo si
azzardò a guardare la sagoma accovacciata di Wire che gli
dava le spalle, chino
sulla postazione e fermo. Il rosario trattenuto dalla mano destra che
penzolava
nel vuoto e il suo corpo immobile.
“Dio
aiuta gli audaci. Le sue vie sono
infinite. Ama il prossimo tuo come te stesso. Se non seguo io la parola
del
Signore, chi lo fa di voi idioti?”
Un
altro se ne era andato e lui non aveva potuto fare niente per impedirlo.
Respirò
a fatica, mormorando svariati ‘no’
che divennero poco a poco un mantra. Ace non lo aveva più
contattato, Killer
era morto, Wire anche e lui probabilmente era rimasto
l’ultimo. I tedeschi
erano ancora la fuori, cosi come i due Tiger
dalla mira pessima che non lo avevano ancora beccato, non in maniera
definitiva
almeno.
Si
prese il viso tra le mani, trattenendo un urlo isterico e battendosi un
paio di
pugni in fronte. Doveva restare calmo, ma era sempre stato Killer
quello che
fungeva da balsamo per i suoi nervi, o Wire che lo pregava di non
bestemmiare,
di trattenersi solo per lui, ma loro non c’erano
più, erano morti come la
miriade di persone con cui aveva lavorato in quegli anni, tutti
meritevoli di
farcela e che alla fine erano diventati cenere.
Sapeva
che sarebbe morto quando aveva ideato quel piano per contrastarli e
dimezzare i
loro ranghi in modo da avvantaggiare quelli che sarebbero arrivati dopo
dall’accampamento, perciò doveva a tutti i costi
riprendere il controllo e
andare avanti.
Il
walkie-talkie iniziò a gracchiare, segno che qualcuno stava
cercando di
connettersi, probabilmente Ace e quella minima speranza che fosse
ancora vivo
gli diede la carica per riprendersi completamente e tornare in
sé.
“Flame, mi ricevi?”
domandò, afferrando
il dannato aggeggio e attendendo una risposta. “Riesci a
rientrare nel carro?”
Ma
dall’altro capo venivano solo rumori indistinti e nessuna
voce, magari un
tedesco si era impossessato del trasmettitore di Ace e stava tentando
di capire
come sfruttarlo. Questo pensiero fece infuriare Kidd che, mandando
tutto a
puttane e fregandosene, tanto ormai non aveva niente da perdere,
aprì lo
sportello e uscì con mezzo busto, iniziando a sparare a
vista a tutto quello
che davanti a lui si muoveva.
Ogni
nazista che cadeva era una gioia per lui che rivedeva davanti a
sé i compagni
che aveva appena perso. Non avrebbe avuto tempo di elaborare il dolore
e non
avrebbe sofferto il lutto, ma voleva almeno fare qualcosa per
vendicarli prima
di trapassare. E fanculo anche i tedeschi.
Esaurì
i colpi e si preparò a ricevere quello fatale, urlando a
squarciagola per farsi
sentire bene dai soldati, quando un colpo di cannone sparato a distanza
ravvicinata lo fece sbilanciare in avanti e prendere un duro colpo allo
stomaco
contro il bordo dello sportello di uscita.
Gli
sfuggì un’imprecazione che avrebbe fatto piangere
Wire e con lo sguardo
annebbiato e le orecchie che fischiavano vide un’esplosione
di grosso calibro
oltre la linea di fuoco ormai spenta e facile da oltrepassare. Si
trattava di
uno dei Tiger tedeschi che era
appena
saltato in aria.
Il
walkie-talkie riprese a gracchiare e quella volta Kidd poté
udire la distinta e
fastidiosa voce di Apoo che gli domandava se era ancora tutto intero.
Mai
come in quel momento era stato felice di sentirlo, quel grandissimo
stronzo.
Sorrise
Kidd, rientrando a fatica nel Red Fury
e rispondendogli che per sua sfortuna il numero uno indiscusso dei
battaglioni americani
era ancora vivo e vegeto.
Si
accordarono per coprirsi le spalle; il Sergente Scratchmen aveva un
po’ di
uomini al suo seguito e con due carri contro uno avrebbero avuto una
possibilità
nonostante i nazisti da fare fuori fossero ancora molti per poter
cantare
vittoria. Ad ogni modo, almeno Eustass poteva dire di avere
un’ultima carta
buona da giocare, tentando la fortuna e sperando di venire graziato
ancora una
volta.
“Dimmi
un po’, coglione,” domandò Kidd,
collegandosi con Fox-trot mentre
cercava di ricaricare la mitragliatrice, “Come
sapevi dov’eravamo?”
“Hai
presente quel moccioso che ti avevano affidato? Beh è
arrivato al campo tutto
trafelato, mezzo morto direi, blaterando su un cingolo saltato, un
crocevia e
un casino da evitare; sai no, la solita merda.”
Apoo
continuava a parlare, perché quando iniziava non si fermava
più ed era uno dei
principali motivi per i quali il rosso davvero faticava a sopportarlo,
oltre
alla faccia da schiaffi che si ritrovava, ma in quel momento lo stava
bellamente ignorando perché era chiaro come il sole che si
stava riferendo
senza dubbio a quel grandissimo stronzo di…
“Ehi,
Eustass-ya, pensavo di trovarti morto. Peccato.”
“Trafalgar.” disse Kidd,
guardando il
ragazzo in questione scendere dallo sportello all’interno del
carro con due
occhiaie che toccavano terra, la faccia sporca di terra, due fanali al
posto
degli occhi grigi e un sorriso beffardo da fargli desiderare di poterlo
cancellare con uno o due ganci destri.
Law
prese posto accanto a lui senza smettere di guardarlo. “Il
cannone qui sopra è
andato e fuori sono riusciti a bloccare le mitragliette.” lo
informò, estraendo
la sua pistola e controllando che fosse carica.
“Però possiamo uscire e abbiamo
le spalle coperte.”
Kidd
lo fermò per un braccio per trattenerlo ancora qualche
istante. Aveva un sacco
di domande da fargli e ancora più cose da dirgli, per
esempio che aveva fallito
e che lo aveva deluso come suo superiore. Due, anzi, probabilmente tre
dei suoi
uomini erano morti e non era stato in grado di difenderli e dare la sua
vita
per loro. Voleva sapere come diavolo era riuscito a coprire tutta
quella
distanza a piedi e come faceva ancora a camminare; avrebbe tanto voluto
che
sapesse che nessuno aveva mai eseguito un suo ordine in maniera
così
efficiente, ma in cuor suo sapeva che non aveva il coraggio per esporsi
e, cosa
ancora più importante, non avevano tempo.
Voleva
comunque ringraziarlo, nonostante non sapesse bene come fare o cosa
dire. Stava
pensando di lasciarsi andare ad un semplice ‘grazie’,
quando Law lo precedette cogliendolo di sorpresa e abbassandosi su di
lui per
lasciargli un veloce bacio a fior di labbra.
“Facciamo
a chi ne uccide di più?” chiese poi, voltandogli
le spalle e scomparendo in
pochi secondi dalla sua vista.
Il
rosso scosse il capo non sapendo più che Santi invocare.
‘Pezzo
di merda.’
pensò, ma sorrise e, preparandosi a
tutto, lo seguì fuori dal Red Fury.
*
Fox-trot e il Tiger tedesco avevano fatto piazza pulita
del capanno nel tentativo
di rincorrersi e mettersi nella miglior traiettoria per farsi saltare
in aria a
vicenda; i tedeschi avevano accerchiato l’M4
Sherman di Kidd, ma lui e Trafalgar si erano già
allontanati, perciò
avevano fatto un buco nell’acqua, ma avevano ugualmente reso
irraggiungibile il
carro in quel modo; gli uomini di Apoo più qualche
volontario del battaglione
di Newgate e del Sergente Phoenix stavano dando loro man forte contro
il nemico
in campo aperto e nei dintorni circostanti le macerie e i detriti dai
quali ancora
si alzavano fiamme e nuvole di fumo.
Fu
in mezzo a tutto quello scompiglio che Eustass e Law ritrovarono Ace,
sbucato
come per magia da un fosso con la faccia sporca, i capelli e i vestiti
impiastricciati di sangue e con in mano un fucile e una molotov.
“Cazzo,
state bene!” disse il corvino, incredulo e con il fiatone.
Kidd
gli passò un braccio attorno al collo e lo
abbracciò al volo, ricevendo in
risposta delle lamentele a causa del soffocamento. “Ti
credevo morto.”
Ace
sorrise nella solita maniera e con fare allegro, come se non gli
fregasse
niente del luogo in cui si trovava. “Anche io. Non sono
più riuscito a
ricevervi e mi sono visto la Morte in faccia un paio di volte. So che
la terza
è quella buona, vero?”
“Io
non scherzerei tanto se fossi in te.” mormorò Law
funereo e tetro in volto da
mettere quasi soggezione.
Ace
represse appunto un brivido, cambiando discorso.
“Wire?”
Il
rosso negò con il capo e non rispose, lasciandogli intendere
come erano andate
le cose e il ragazzo capì, annuendo tristemente e
sospirando. Poi si riscosse,
imbracciò l’arma e tenne la molotov tra due dita,
preparandosi a tornare
all’attacco.
“Vado
a finire il lavoro.” dichiarò con determinazione.
“Ci sono ancora un paio di
punti che posso far saltare in aria portandoci in vantaggio.
“Non
rischiare troppo.” lo ammonì Kidd, superandolo per
andare dalla parte opposta,
seguito da Law che non aveva smesso di fissare Ace a causa di una
strana
sensazione allo stomaco.
“Sai
come sono fatto.” ribatté ad alta voce, ormai
già distante da loro due di
qualche passo.
Non
si era mai tirato indietro davanti a niente e le missioni suicida erano
praticamente sempre state le sue preferite, di certo non avrebbe smesso
proprio
allora di essere un ragazzino imprevedibile e irresponsabile,
nonostante le
dritte ricevute nel tempo dal Sergente Eustass.
Kidd
lo sapeva, lo conosceva bene e sperò che quello non fosse il
loro ultimo
incontro.
“Porca
puttana! Con chi credi di avere
a che fare? Io rimango. Restiamo tutti. Insieme ce la faremo,
sempre.”
Si
voltò a cercare Trafalgar, trovandolo accanto a lui con
l’aria di chi stava
provando le stesse identiche sensazioni, così si scambiarono
un cenno di
assenso e continuarono per la loro strada, concentrati sulla loro
missione e
augurando a tutti i loro compagni di avere fortuna e di riuscire
nell’impresa.
Ad
ogni passo c’era sempre un corpo nel loro cammino, tedesco,
americano,
indefinito; ogni istante era buono per schivare colpi, correre,
buttarsi a
terra e fermarsi a sparare; nel giro di una decina di muniti avevano
già
sentito due esplosioni e una riguardava il Tiger
che Apoo e i suoi avevano fatto saltare. Non avevano potuto esultare,
purtroppo, perché poco dopo anche Fox-trot
fu colpito da una granata e messo fuori uso. Entrambi
sapevano che qualcuno
era morto, ma non ne avevano la certezza, sperando che i loro alleati
fossero
riusciti ad uscire indenni dal carro prima dell’esplosione.
Si
ripararono dietro ad alcune travi crollate del capanno, riprendendo
fiato e
riorganizzandosi con le armi che avevano racimolato dai corpi dei
caduti e con
le munizioni rimaste.
“Manca
ancora un’esplosione.” disse Law, combattendo
contro l’angoscia di dover
pronunciare quelle parole.
Kidd
asserì. “Se la sentiamo vuol dire che Ace
è ancora vivo.”
“Quanti
ne saranno rimasti?”
“Dei
nostri o dei loro? In ogni caso non ne ho idea, ma almeno sta
albeggiando e ci
vedo già di più.” constatò,
guardando i fasci di luce luminosi alzarsi da est.
“Fino a che respiriamo, va tutto bene.”
Law
lo osservò mentre caricava una pistola, ripensando alla
corsa del giorno prima.
Alla fine ce l’aveva fatta, era arrivato al campo, aveva
vomitato sugli stivali
di Apoo, e di certo non vedeva l’ora di raccontarlo al rosso,
e poi aveva
intimato a tutti di riorganizzare le squadre e di seguirlo in fretta e
furia
fino al crocevia. Era stata dura, soprattutto correre a rotta di collo
per
quelle strade deserte, esposto a qualsiasi pericolo, ma ne era valsa la
pena.
Aveva cambiato la sorte di quello scontro almeno in parte, rendendolo
ad armi
pari e dando la possibilità di farcela a chi era partito con
zero speranze.
Vedere Kidd così convinto di sé e delle sue
capacità, nonché di quelle dei suoi
uomini, lo faceva sentire fiero di essere lì, nel posto
giusto al momento
giusto e l’errore che avevano commesso all’inizio,
trasferendolo per sbaglio
nel plotone del rosso, era stata la cosa migliore che poteva capitargli
nella
vita.
“Quindi,”
iniziò, schioccandosi le nocche e preparandosi a ripartire.
“Facciamo fuori gli
ultimi tedeschi e abbiamo finito. E poi?”
Kidd
si bloccò giusto l’attimo prima di rialzarsi,
sorridendo come un ragazzino e
facendo una breve risata sguaiata da pazzo esaltato con il cuore e
l’umore meno
pesanti di prima. “Poi, stronzo, andiamo a casa e ti faccio
il culo.”
Trafalgar
ghignò e il rosso ricordò le prime volte che il
moro si azzardava a sfotterlo e
a rivolgersi a lui senza rispetto, ridendo dei suoi tentativi di
addestrarlo e
di renderlo un soldato devoto, fregandosene dei doveri e trattandoli
tutti come
degli stupidi. Forse lui era davvero migliore di loro, di certo
più
intelligente, ma rivedere quell’espressione priva di paura
gli diede un altro
valido motivo per combattere.
Così
uscirono allo scoperto mentre alle loro spalle il sole sorgeva,
unendosi ai
restanti compagni che ancora tenevano testa ai colpi dei tedeschi
appostati
dall’altro lato del casolare. Tutti i carri erano fuori uso;
la polvere feriva
gli occhi e complicava la visuale; il fumo non aiutava e rendeva
l’aria in
certi punti irrespirabile; tra i cadaveri potevano nascondersi mani
pronte ad
afferrare le caviglie degli incauti per trascinarli giù e
finirli con un colpo
di lama alla gola; gli spari coprivano qualsiasi altro rumore
accompagnati
dalle grida americane e naziste; il freddo rendeva il sudore ghiacciato
lungo
il collo e dentro il corpo; ovunque guardassero trovavano solo altri
tedeschi
da abbattere. Ogni movimento sembrava dover essere fatto
all’infinito e quegli
attimi sembrarono interminabili.
*
Trafalgar
non sapeva bene quando e come era successo, ma ad un certo punto si era
ritrovato sotto al Red Fury, un
tutt’uno col fango e col fiato sospeso per non farsi trovare
da tre soldati
nemici che stavano aggirando il carro per superare le linee americane e
fuggire.
Aveva
perso Kidd nella mischia senza accorgersene, ma non poteva lasciarsi
prendere
dal panico perché non era più il moccioso
impaurito e incapace di sparare a
vista; era un’altra persona, aveva più controllo
di sé e sangue freddo, perciò
rimase immobile, stringendo nella mano destra la sua pistola in caso
uno di
loro si fosse avvicinato troppo per curiosare o per nascondersi da un
possibile
attacco.
Lasciò
che i primi due passassero, poi toccò al terzo, il quale
sembrava intenzionato
a fare in fretta, ma nel tentativo di sbrigarsi scivolò nel
terreno bagnato ritrovandosi
faccia a faccia con lui.
Law
lo fissò con gli occhi sbarrati e la bocca chiusa in una
linea sottile e tesa;
le dita pronte a premere il grilletto in qualsiasi momento e il corpo
teso come
un violino tanto da fargli dolere i muscoli per lo sforzo e la tensione.
Il
tedesco lo guardò di rimando, venendo richiamato nella sua
lingua e rispondendo
sommessamente con parole che il moro non capì, non essendo
pratico. Poteva
avergli risposto chissà cosa, poteva anche aver spifferato
ai compagni che lui
era lì, solo e vulnerabile, ma quando lo vide alzarsi senza
fare o aggiungere
altro, andandosene semplicemente per la sua strada, si
lasciò scappare un
respiro strozzato e si morse il labbro per non singhiozzare, stringendo
gli
occhi e concentrandosi per evitare quella scarica di adrenalina che
stava già
iniziando ad impossessarsi di lui per poi lasciarlo svuotato e senza
forze.
Gli
spari erano diminuiti, le urla anche e il giorno si faceva sempre
più chiaro.
Il fango si stava seccando sulle sue mani e sui suoi vestiti e la luce
del sole
aveva quasi raggiunto il profilo del Red
Fury. Law poteva vederla avanzare lentamente da sotto il
carro, allungando
a fatica un braccio per esporne una parte e godere di
quell’innocuo, quanto
piacevole calore.
Vide il viso di
Kidd sopra il suo e
quegli occhi impossibili lo guardavano intensamente come al solito,
scavandogli
nell’amina e facendolo sentire troppo esposto. Con una mano
gli schiaffeggiò il
viso, intimandogli di alzare il culo e darsi una mossa, ma la sua voce
era
lontana, tanto che faticava a capire quello che gli stava dicendo.
“Ehi,
Trafalgar!”
“Ehi?”
mormorò.
“Ehi,
tu! Andiamo ragazzo, vieni fuori di lì.”
Law
si sentì afferrare le braccia e trascinare al sole,
rendendosi conto di essersi
appisolato sotto al carro armato e di essersi perso molto probabilmente
il
finale della battaglia. Guardò con occhi stralunati il volto
dall’aria
famigliare che gli stava versando dell’acqua in faccia senza
tante cerimonie,
incitandolo a riprendersi e a respirare profondamente per non farsi
andare di
traverso la saliva.
Una
volta ripresosi, Law ebbe la forza di chiedergli cosa era successo.
“Abbiamo
vinto!” fu la prima cosa che gli disse Thatch, il braccio
destro del Sergente
Phoenix, fresco come una rosa, ma non sorridente e affascinante come al
solito.
“Li abbiamo fatti fuori tutti e il resto del plotone
è arrivato in tempo per
dare il colpo di grazia.”
Law
lo ascoltò senza fare altre domande, ascoltandolo
attentamente nonostante i
giramenti di testa. Apprese che il convoglio di Monkey era tornato
indietro e
aveva sbarrato la strada ai tedeschi che si erano ritirati, mentre
quelli
dell’accampamento avevano chiuso il cerchio, mettendo la
parola fine allo
scontro e alla guerra stessa. A quanto pareva, quello era stato
l’ultimo colpo
al regime nazista dopo la dipartita dei principali ministri e di Hitler
stesso.
Nessuno aveva più voglia di seguire gli ideali discutibili
di uno che alla
prima occasione si era suicidato per non affrontare le conseguenze
delle
proprie azioni, così tutto l’esercito della
Germania aveva gettato la spugna e
chiesto la resa.
Thatch
stava ancora parlando quando Law decise che aveva capito abbastanza
della
situazione corrente. Si alzò barcollante, ignorando il
consiglio di non
affaticarsi e di andare a farsi controllare dai medici del campo,
guardandosi
attorno e appoggiandosi al Red Fury
per avere un sostegno. Si guardò attorno, cercando con
smania le uniche persone
di cui gli importava. I corpi dei tedeschi erano già stati
raggruppati, mentre
quelli dei caduti americani avevano un lenzuolo bianco che li copriva.
Erano
stati adagiati con rispetto e ordine e attendevano di essere caricati
nei
camion per essere trasportati nella base principale e poi spediti in
patria
dove sarebbero stati seppelliti con tutti gli onori. Gli unici posti
dove
poteva trovarli erano quella o l’infermeria.
Deglutendo
il groppo di angoscia che sentiva in gola, Law si fece forza e si
avviò verso
la seconda, osando avere una minima speranza di trovarli entrambi
lì, magari in
condizioni gravi alle quali avrebbe potuto prestare assistenza, ma vivi.
Sotto
alle tende fu sollevato di riconoscere parecchie facce amiche, come
Apoo e
alcuni dei suoi; il Sergente Monkey con Roronoa Zoro e un paio di
ufficiali del
plotone di Newgate assieme ad altri valorosi americani.
Cercò
di apparire integro e pacato di fronte a tutti, rispondendo in maniera
breve e
concisa alle domande che chi lo conosceva gli poneva, continuando a
guardarsi
attorno e a controllare ogni branda, persino andando a vedere in faccia
quelli
che erano sotto ai ferri in quegli istanti.
Quando
uscì si fece violenza per mettere un piede davanti
all’altro e raggiungere i
mucchi di lenzuola stesi a terra alcuni metri più avanti. Ad
ogni passo il peso
nello stomaco aumentava e quando arrivò non aveva
più fiato ed energie.
Una
donna dai capelli neri in divisa lo affiancò. Gli disse di
chiamarsi Robin e
gli chiese se poteva aiutarlo nel fornirgli la risposta esatta alle sue
domande.
Lui
non la guardò nemmeno, ma capì di avere accanto
una persona di tatto che aveva intuito
immediatamente in che stato si trovava ed aveva evitato di tartassarlo
con
frasi e questioni inutili che avrebbero solo peggiorato la
già tragica
situazione.
“Portgas
D. Ace.” mormorò controvoglia, sentendosi mancare
quando la vide con la coda
dell’occhio dirigersi a passo sicuro verso il fondo della
fila e fermarsi poi
davanti ad un corpo.
Law
deglutì, percependo le labbra umide e rendendosi conto di
avere gli occhi e le
guance bagnati. Rimase un attimo immobile per realizzare la cosa,
passandosi poi
una mano sul viso per asciugarlo e seguendo Robin, la quale lo stava
aspettando
con pazienza e comprensione, spostando il lenzuolo per lui e
allontanandosi di
qualche passo per lasciargli il tempo necessario di reagire con la sua
privacy.
Ace,
Flame, il suo compagno, stava
lì,
davanti a lui e sembrava dormire tanto era rilassata la sua
espressione. Gli
avevano pulito il viso con un panno e poteva vedere chiaramente le
lentiggini
sul naso e sugli zigomi abbronzati. I capelli gli incorniciavano il
volto, la
collana con le piastrine spiccava luminosa attorno al collo e sulle
labbra
poteva notare l’ombra di un sorriso appena accennato. Si
concentrò su quello
con tutte le sue forze per non fissare nuovamente lo squarcio che
appariva nitido
sul suo petto, ovvero la causa della sua morte.
Si
voltò con il viso nuovamente stravolto dopo essersi
inginocchiato accanto a lui
per recuperare la collana, mettendosela in tasca e coprendolo
nuovamente per
lasciarlo, finalmente, dormire in pace.
La
donna lo osservava con educazione, silenziosa e in attesa nel caso ci
fosse
stato dell’altro.
E
ce n’era, Trafalgar lo sapeva, ma temeva di dover dare aria
alla bocca per
pronunciare quel nome, consapevole che una volta fatto non avrebbe
più potuto
tornare indietro. Dentro di sé, però, conosceva
già la risposta, doveva solo
trovare il coraggio di averne la conferma definitiva per andare avanti
anche
se, in cuor suo, sapeva bene che da quell’inferno non sarebbe
più tornato
indietro.
Infine
lo fece, disse quel nome, vide l’espressione stranita sul
volto giovane e
maturo di Robin, la guardò cercare il suo Sergente nella
lista e la attese
mentre chiedeva informazioni sugli ultimi aggiornamenti dei caduti per
poi
ascoltare la risposta decretata con tono di scuse.
“Non
è qui.”
*
Five years later
Law
stava passeggiando sulla spiaggia quella mattina, camminando
tranquillamente
dentro e fuori dall’acqua e godendosi quella meritata pausa
che aveva tanto
agognato. Adorava lavorare, il mestiere che faceva era ciò
per cui era nato e
quando si trattava di aiutare reduci di guerra a fare riabilitazione o
a
reintegrarsi nel mondo reale era sempre il primo ad offrirsi per dare
una mano.
A
tutti, persino a lui, però serviva di staccare la spina e
quindi si stava
rilassando come non gli capitava da molto.
Il
sole era ormai alto, l’aria fresca del mattino stava
lasciando posto al calore
del nuovo giorno e il rumore delle onde fungeva quasi da sonnifero. Se
non
fosse stato in piedi probabilmente si sarebbe appisolato come ogni
volta quando
si stendeva in riva al mare.
Assurdo
come una situazione così idilliaca fosse simile a quel
giorno ormai lontano, in
un'altra terra, distante da lì e in mezzo a morte e
distruzione.
D’istinto
si portò una mano al petto, sentendo sotto la stoffa della
maglia la forma
distinta delle due piastrine.
Quella
più sottile era di Ace e ce l’aveva
perché alla fine era stato egoista e non
era riuscito a darle entrambe a Marco, quando gli aveva dovuto
comunicare la
notizia. Ne aveva tenuta una e il biondo non aveva avuto da ridire,
perciò
ancora la portava con sé, dopo tutti quegli anni, per
ricordarsi nei momenti
bui delle eroiche persone che non ce l’avevano fatta e per le
quali doveva
ancora lottare.
L’altra
era più pesante e più spessa, ma quella
l’aveva rubata alla prima occasione più
per mero piacere che per ricordo.
I
suoi pensieri furono interrotti dal rumore di latrati che arrivarono
alle sue
spalle senza dargli il tempo di reagire e scansarsi, venendo investito
dalle
zampe e dal corpo pesante di un, ironia della sorte, pastore tedesco
grosso
quanto un lupo.
“Boomer,
stai giù bestiaccia!” imprecò, cercando
di togliersi di dosso il cane che,
senza ascoltarlo, gli camminò sopra per poi zampettare
soddisfatto verso
l’acqua, scodinzolando per giocare.
“Indisciplinato.”
borbottò Law, mettendosi seduto e spolverandosi i pantaloni.
“Maledetta quella
volta che…”
“Stai
offendendo il mio cane, stronzo?” gli chiese una voce alle
sue spalle,
intrappolandolo con un braccio contro un petto ampio e facendogli fare
un
secondo tuffo nel passato, quando lui e quell’impiastro
trovavano ogni scusa
per suonarsele di santa ragione, incuranti dei compagni
d’armi e della guerra.
Law
alzò gli occhi al cielo, lasciandosi comunque scappare un
sorrisetto beffardo.
“Non è colpa dell’animale se il padrone
è una testa di cazzo.”
Lo
stesso braccio che lo teneva imprigionato lo fece voltare per
ritrovarsi faccia
a faccia con un sorridente e borioso Eustass Kidd, in salute, con i
capelli
rossi raccolti da un elastico e un mosaico di cicatrici che gli
decorava la
parte sinistra del volto rendendolo la cosa in assoluto più
sexy per il moro
sulla faccia della terra. Non si stancava mai di far scorrere le dita
su quei
solchi, felice che ci fossero e che non avessero sconfitto il Sergente
Eustass.
“Hai
ragione, non c’entro niente io se tu non sai comportarti
bene.” lo apostrofò
l’ex militare, gongolando come un bambino che aveva appena
mangiato una torta.
“Che
diavolo stai dicendo?”
“Che
non si rubano le cose degli altri.” specificò
allora Kidd, indicando le
piastrine al collo del moro con un cenno del capo. “Sapevo
che avevi preso tu
la mia. Cos’è, la stringi al petto ogni volta che
non siamo assieme?” lo
schernì, evitando miracolosamente un pugno che avrebbe
sicuramente fatto male,
dato che il bastardo lo aveva allenato lui stesso.
“Finiscila
con le stronzate Eustass-ya, o ti faccio perdere anche
l’altro braccio.”
Kidd
scoppiò a ridere, mantenendo l’equilibrio con la
mano destra appoggiata a terra
e guardandosi distrattamente la spalla sinistra alla quale mancava una
determinata parte del corpo.
“Ops.”
ridacchiò, come se ormai ci avesse messo una pietra sopra e
sapendo quanto a Law
desse fastidio.
Il
braccio lo aveva perso in quell’ultima battaglia, mentre
cercava in tutti i
modi di recuperarlo dopo che si erano accidentalmente separati e, come gli
aveva
promesso che sarebbero tornati a casa, aveva promesso anche a se stesso
che lo
avrebbe ritrovato a qualsiasi costo.
Law
sospirò con esasperazione, fissandolo torvo e con
l’aria di chi avrebbe tanto
voluto commettere un omicidio, mentre Kidd si strinse nelle spalle con
il suo
solito fare da menefreghista, inclinandosi verso di lui per passargli
la mano
attorno al collo e avvicinarlo a sé in modo da averlo a
postata di labbra.
“Non
vorrai baciarmi in riva al mare e con un così bel panorama
spero.” lo avvisò il
moro, ghignando soddisfatto.
Per
tutta risposta, il rosso lo morse contro ogni sua aspettativa.
“Per
quello che voglio fare adesso è meglio se andiamo a casa, Trafalgar.”
The Fucking End.
Angolo
Autrice.
Sono
una persona che con gli anni ha fatto un cambiamento davvero
drastico nel carattere, perciò posso affermare di avere la
grandissima faccia tosta di
ripresentarmi qui, con l’ultimo capitolo, dopo cinque
anni di silenzio.
Sono
cambiate molte cose, forse ci saranno differenze pure nel mio modo di
esprimermi
e magari ho anche perso un po’ la mano, ma voglio comunque
pubblicarlo e
concluderlo per fare un favore a me stessa in primis, ricordandomi che
scrivere
stronzate mi piace troppo ed è ancora il mio hobby preferito
per evadere dalla
realtà.
Spendo
un paio di parole, importantissime,
per ringraziare di cuore le povere
anime che hanno letto questa mini-long dall’inizio e che,
anche se se la sono
dimenticata, sorrideranno nel vederla conclusa. Vi chiedo scusa, ma
quando
dicono che più cresci, più la vita si complica
diventando frenetica non vi
raccontano stupidaggini, vi assicuro che è tutto vero.
Spero
con questo ultimo capitolo di farmi perdonare e di farvi felici.
Finirlo mi ha
dato una bella sensazione che non sentivo da molto e spero che possa
essere l’inizio
per andare avanti con altre cose, nuove e vecchie.
Ringrazio
in particolar modo una persona che leggendo questi capitoli giusto il
mese
scorso mi ha dato la scossa per muovere
il culo, come direbbe Kidd, e mettere un punto a Red Fury.
Vi
saluto e vi auguro di stare bene nonostante il periodo, magari in
questo modo
avrò tempo di dedicarmi a quello che mi piace visto che
dobbiamo rimanere a
casa.
Non
vi dirò ‘a
presto’, ma spero con
tutto il cuore che possa essere così invece.
Un
abbraccio e ancora grazie a chi è rimasto con il plotone del
Sergente Eustass
fino alla fine.
(Che sviolinata,
eh?)
Ace.
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