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Autore: ___Ace    10/03/2020    3 recensioni
Germania, 1945.
L’M4 Sherman era una specie di leggenda, tanto quanto il Sergente Eustass Capitano Kidd, il genere di americano con i contro coglioni dicevano molti. Aveva combattuto in Africa, in Norvegia e, in quel periodo, in Germania, continuando ad essere un grandissimo stronzo intrattabile e incontentabile, ma sempre un guerriero rispettato.
Ovvio che un giovane intelligente e attento come Trafalgar Law ne avesse sentito parlare, infatti non aveva avuto problemi a trovarlo, obbligandosi ad avanzare passo dopo passo verso la sua rovina.
Lui non si era arruolato per quel genere di cose, dannazione. Aveva fatto domanda ed era stato accettato come medico del campo, invece cosa avevano fatto quei bastardi? Lo avevano scaricato alla prima occasione e solo perché all’Intoccabile Eustass Kidd serviva un altro uomo dal grilletto facile. Lui non aveva mai tenuto in mano una pistola, figuriamoci se sapeva sparare.
“E questa mezza sega chi sarebbe?”
Era solo l’inizio, se lo sentiva nelle viscere.
Genere: Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eustass, Kidd, Killer, Trafalgar, Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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RED FURY
IV.
 
Quelle due settimane, tra assistenza ai feriti, nuove strategie, ordini urlati al vento e riorganizzazione dei battaglioni, erano volate per tutti. In poco tempo si erano ritrovati in piedi di buon ora, a bordo del Red Fury, armati fino ai denti e pronti per l’ultima e decisiva battaglia che li avrebbe spediti dritti all’Inferno, o a casa, privi di un occhio, o di un braccio. In ogni caso, la bara rimaneva l’opzione con probabilità più alte. Andava bene in quella maniera però, ognuno di quei soldati si era arruolato prendendo in considerazione l’opzione di non durare per poter raccontare, in futuro, quegli orrori, e attendevano tutti la Nera Signora col cuore in pace.
All’interno del carro armato non parlava nessuno, eccetto qualche indicazione data dal Sergente Eustass riguardante la strada da seguire.
Nelle settimane passate c’era stato poco tempo per tutti per riposare e chiacchierare, ma la verità era che gli argomenti erano pochi e la voglia di dare aria alla bocca per niente non allettava nessuno.
Wire sussurrava parole a bassissima voce che solo Law poteva udire e riconoscere come i misteri del Santo Rosario ed era talmente svuotato di qualsiasi emozione che, quasi quasi, si sarebbe messo a recitarlo pure lui, in memoria dei vecchi tempi, quando da piccolo andava in chiesa con la sua sorellina per il catechismo. La loro maestra era una suora molto gentile e si domandava spesso se si ricordasse di dire una preghiera per la sua salvezza. Lui, di certo, non ne aveva il tempo.
Killer sembrava irrequieto, come se gli prudessero le mani per la voglia di fare qualcosa e non starsene seduto sul sedile a rigirarsi i pollici, in attesa di uno spiraglio di luce da acchiappare al volo per smuovere un po’ quella situazione piatta, silenziosa e monotona, quasi vuota. Sembrava che tutti avessero perso il loro cameratismo e gli effetti collaterali si sentivano benissimo. Li provavano tutti sulla pelle; era come una sensazione estranea, che non gli apparteneva e che li faceva sentire a disagio l’uno con l’altro, quando erano sempre stati uniti come una famiglia.
Kidd sapeva che le cose non stavano andando bene, ma era determinato a sistemare tutto e a riportare nei suoi uomini la voglia di scaricare i fucili sui tedeschi e la complicità tra compagni d’armi. Fortuna che Ace aveva deciso di partire con loro, non sapeva come avrebbero reagito gli altri altrimenti, sapendolo sostituito da qualcun altro. Già era stato difficile introdurre Trafalgar, figurarsi dargli la notizia che il loro caricatore li avrebbe abbandonati.
Sapeva che per il giovane ragazzo non era stato facile, ma gli era grato per averli affiancati ancora una volta, l’ultima, se Dio lo permetteva, contrariamente a quello che si era aspettato.
Dal canto suo, Ace, forse, era quello più tranquillo e con l’animo in pace.
Aveva avuto modo di riprendersi e riposare, riflettendo su quello che era successo da quando si era arruolato, arrivando in alto e venendo assegnato ad una delle squadre più meritevoli che mai avrebbero potuto capitargli. Aveva ripensato a come era cambiato nel tempo, trasformandosi da ragazzino ribelle e testardo, con la fissa per il suicidio in grande stile, a uomo determinato, pronto a dare la vita per le persone che lo meritavano. Era orgoglioso di se stesso e doveva ringraziare solo il Sergente Eustass se era riuscito ad avere un minimo di autostima, per quel motivo aveva deciso di partire con loro e non abbandonarli sul più bello. Perché non lo meritavano e non poteva voltare le spalle alla sua famiglia, non se lo sarebbe mai perdonato altrimenti.
Aveva parlato per ore con Kidd della questione, scusandosi ad ogni frase per il casino che aveva combinato e per il rischio che aveva fatto correre a tutti, ma il rosso, a parte l’averlo steso quando aveva dato di matto per le condizioni del Sergente Phoenix, non aveva infierito e gli aveva assicurato che per lui ci sarebbe sempre stato posto all’interno del Red Fury.
Perciò non aveva perso il lavoro e non serviva che se ne tornasse a casa a mani vuote.
L’altro problema che lo aveva quasi fatto impazzire, poi, era stato Marco. Ecco, quando era stato il momento di andare a parlargli si era sentito come se il coraggio e la spavalderia della giovane età lo avessero di colpo abbandonato, lasciandolo insicuro e teso. Fortuna che era bastata un’occhiata di Law per costringerlo a muoversi. Non gli era piaciuto per niente il modo in cui Doc. lo aveva guardato e si era sbrigato ad andare a chiarirsi col biondo prima che l’altro potesse spifferare qualcosa in giro.
Non era stato facile ed era rimasto a fissarlo per parecchi minuti, soffermandosi fin troppo sulle ferite, constatando che era stato davvero un miracolo il fatto che fosse ancora vivo. Trafalgar era davvero uno bravo e con le palle.
Era stato Marco a rompere il ghiaccio per primo, così lui si era avvicinato ed era rimasto altre ore a parlare di tutto e di niente in particolare, scusandosi ancora e implorando il biondo affinché gli facesse rapporto e lo facesse congedare con disonore perché, a detta sua, se lo meritava. Si era sentito ancora più un verme quando aveva dato retta all’uomo, avvicinandosi a lui credendo che dovesse dirgli qualcosa di importante, venendo colto invece alla sprovvista e ricevendo un bacio con tanto ardore che Ace si domandò dove l’avesse trovata tutta quell’energia, dato che era moribondo.
Insomma, lui combinava disastri e nessuno lo incolpava, anzi, lo baciavano perfino.
Però si era sentito tanto bene ed era stato così bello che, per quella unica volta, aveva smesso di auto colpevolizzarsi e si era goduto il momento, pensando solo al presente, alla piacevole sensazione di calore e all’affetto che si era reso conto di provare per Marco.
Più complicato era stato spiegargli che aveva deciso di partire per quell’ultima missione, dovendogli mentire spudoratamente sul fatto che sarebbe tornato presto. Sapevano entrambi che, con ogni probabilità, non si sarebbero rivisti, ma lui avrebbe conservato il ricordo di tutte le sere che avevano passato assieme come ultimo pensiero prima di morire. Qualcosa di bello e luminoso nel buio più totale.
“Wire.” disse Eustass ad un tratto, spezzando il silenzio che si era protratto per tutto il tragitto.
“Si,” rispose l’altro, “L’ho visto.”
“Ferma tutto!”
Gli altri si erano tutti guardati domandandosi il motivo di quella tappa non prevista, ma non avevano fatto in tempo a chiedere spiegazione perché il rumore di un’esplosione aveva fatto sobbalzare il carro prima ancora che Wire spegnesse i motori. Allarmati, temendo un attacco come l’ultima volta, erano subito usciti per capire da dove li stessero attaccando, rendendosi conto che si trovavano ad un crocevia dove svettava in bella mostra una baracca grande come un edificio abbandonata e dall’aria di aver subito un incendio su buona parte della facciata frontale. Il botto che avevano sentito da dentro e che aveva fatto saltare un cingolo del Red Fury era stato dovuto da una mina antiuomo fino ad allora inesplosa.
“Maledizione!” aveva sbottato Killer, il quale, di solito, non si lasciava mai tanto prendere la mano, quello, semmai, lo faceva Ace. “Se sono fortunato mi ci vorranno giorni per ripararlo.” Disse sconsolato, con il corvino al suo fianco che controllava il danno, mentre Wire si mordeva le unghie per non essere stato un po’ più a sinistra e Kidd si passava una mano sugli occhi stanchi.
In tutto quello, Law osservava la scena con il corpo esposto solo la metà, rendendosi conto che l’umore di tutti era a terra e che quella sfiga proprio non ci voleva. L’ultima speranza che restava loro era che il Sergente Monkey, che li precedeva di qualche miglio,  avesse dei pezzi di ricambio, ma qualcosa gli diceva che il danno era peggio del previsto e che da lì non si sarebbero schiodati tanto in fretta.
“Che facciamo?” chiese Wire.
“Passami l’idiota alla radio.” Ordinò Kidd, allungando un braccio verso Law, facendogli intendere di sbrigarsi e porgergli l’apparecchio. Il ragazzo obbedì senza fiatare, non era il momento per gli scherzi, ma si ritrovò ad ascoltare ugualmente le maledizioni del rosso perché la mina aveva fatto saltare pure la ricetrasmittente, lasciandoli isolati e con il culo a terra.
“Ma porca puttana!”
Ecco, Ace era tornato in sé.
“Che cazzo facciamo adesso?” chiese Killer a nessuno in particolare, sfogando la sua frustrazione su un sasso e calciandolo lontano con forza, scompigliandosi i capelli con una mano come a volersi far venire in mente qualche idea geniale per uscire da quel casino.
Kidd scuoteva il capo, non sapendo nemmeno lui se incazzarsi e urlare contro a chiunque o se lasciarsi ormai scivolare tutto addosso, conscio che se la giornata iniziava di merda sarebbe finita allo stesso modo e nulla avrebbe potuto cambiare la situazione. Il gruppo di Monkey era irraggiungibile e anche tutti quelli che avevano lasciato indietro nell’ultimo accampamento al quale si erano fermati per una breve sosta, impossibili da contattare per avvisarli del loro problema. Erano esposti in una zona aperta dove chiunque avrebbe potuto vederli e prenderli di mira se fossero stati nemici, mentre se il Sunny fosse entrato in conflitto con truppe tedesche loro non avrebbero potuto fornire fuoco di copertura e andare in soccorso.
Erano semplicemente fottuti.
Non poteva però non reagire davanti ai suoi uomini; loro contavano su di lui, sapevano che avrebbe trovato un modo per uscirne, perciò doveva fare buon viso a cattivo gioco e spronarli ad andare avanti senza arrendersi anche se le possibilità di riuscita erano basse. Quello faceva un bravo leader e lui era il migliore.
“Wire, vedi cosa riesci a fare con quello che abbiamo,” iniziò senza tentennamenti e con un tono che trasudava autorità e determinazione. “Se ripariamo la radio siamo già a buon punto; Killer, tu controlla nel capanno se trovi qualcosa di interessante, o assicurati semplicemente che sia libero e senza minacce; Ace, voglio che arrivi fino a quella collina e che ti apposti tra le sterpaglie per controllare che non si avvicini nessuno. Il primo movimento che vedi torni volando qui a riferirmelo.”
Il corvino annuì, già con un’aria più tranquilla e partì spedito a compiere il suo dovere come avevano fatto gli altri due.
Law aveva osservato il tutto in silenzio, riflettendo tra sé sul talento che aveva Kidd a prendersi cura degli altri. Certo, non lo faceva nel modo in cui qualunque normale essere umano si sarebbe aspettato, ma non tutti sarebbero riusciti ad arginare così bene un problema del genere. Non avevano ancora avuto delle soluzioni concrete, ma si stavano adoperando per ottenerle, tutti assieme, aiutandosi a vicenda e sostenendosi, consci che Eustass credeva in loro e aveva la massima fiducia nella riuscita grazie alle loro capacità.
Alla fine, Law aveva imparato a conoscerlo e a rispettarlo come suo superiore; lo detestava come persona, era insopportabile e maledettamente bastardo, il peggiore di tutti, ma come capitano non avrebbe potuto chiedere di meglio e in quei momenti lo ammirava, anche se mai in vita glielo avrebbe detto.
“Trafalgar,” iniziò poi il rosso, voltandosi verso di lui che ancora era per metà dentro al carro armato ad attendere di ricevere un compito per rendersi utile e fare la sua parte. “Prendi una pistola, molla il fucile e torna indietro all’accampamento. No, non voglio sentire lamentele, magari sei fortunato e trovi qualcuno che ci sta venendo incontro.”
“Non può andarci Killer?” domandò, scendendo dal Red Fury in velocità e tallonando il rosso che gli aveva voltato le spalle, allontanandosi dal cingolo distrutto.
“Lui mi serve qui.” sentenziò categorico.
“Anche io. Se ci attaccano avrai bisogno di tutti gli uomini e…”
“Siamo comunque in minoranza. Uno in più non farà differenza.”
Law lo superò e si piazzò davanti a lui per fermare la sua avanzata, deciso a non demordere e sentendo lo stomaco attorcigliarsi per il disagio. “Si invece, insieme possiamo farcela.”
Kidd lo guardò dall’alto in basso, sospirando esausto e impegnandosi per non iniziare l’ennesima faida inutile con quel detestabile moccioso. “Sbrigati a partire, stai perdendo tempo prezioso e ci stai anche mettendo a rischio.”
“Oh no.” mormorò il ragazzo, stringendo i pugni. “Non vi lascerò qui, rimarrò con voi.”
“Tu andrai all’accampamento a cercare i rinforzi, discorso chiuso.” digrignò i denti Kidd, già sull’orlo di perdere il controllo.
“Te lo puoi scordare, vi servo…”
“Non abbiamo bisogno di te!” sbottò allora il rosso, superando il limite. “Se ci attaccano so che loro sanno difendersi e contrattaccare a dovere; di te posso fare a meno, perciò vai!”
Law incassò tutte quelle parole senza battere ciglio, immobile davanti al Sergente Eustass senza dare segno di volersi arrendere. Sapeva che non stava dicendo sul serio, era chiaro e anche uno stupido l’avrebbe capito. Non era facile per nessuno e, anche se sapeva che gli altri suoi compagni avevano più esperienza di lui e sapevano cavarsela in ogni situazione estrema, era certo che non avrebbero rinunciato al suo supporto, non dopo tutto quello che avevano passato, non quando ormai lo avevano accettato nel loro nucleo, considerandolo parte integrante del gruppo e un loro compagno a tutti gli effetti.
Ecco perché si avvicinò a Kidd per essere faccia a faccia con lui in modo che nessun altro potesse sentire quelle parole, perché non le avrebbe di certo urlate. Si divertiva a ribattere a tono con il rosso, ma non aveva intenzione di spiattellare al vento i loro affari e c’erano cose che preferiva tenere tra di loro, custodendole gelosamente.
“So cosa stai facendo.” Sussurrò, fissandolo negli occhi. “E se credi di tenermi lontano da questo solo perché hai paura…”
“Io non ho paura.” ribatté Kidd, freddamente e irrigidendosi.
“Si, ne hai. E ce l’ho io. E ce l’ha Wire, Killer, Ace, tutti noi.” ripeté Law, afferrando il viso di Eustass con le mani per obbligarlo a guardarlo, anche se controvoglia, dato che aveva voltato il capo. “Ce la caveremo, resterò qui e risolveremo il problema, ma non mandarmi via. Non farlo.”
‘Ti prego’, pensò, ma non lo disse, non lo avrebbe mai fatto e sarebbe stato troppo anche per lui che non era di certo il tipo di persona che implorava, ma sperava che bastasse comunque per far ragionare quella testa rossa e convincerlo a lasciarlo restare con loro in quel crocevia. Lui non aveva bisogno di venire messo al sicuro, sapeva badare a se stesso e, nonostante nel profondo un pochino avesse apprezzato il fatto che Kidd volesse proteggerlo, non voleva abbandonarli.
Kidd sospirò sconfitto, abbassando la testa e appoggiando la fronte contro quella di Law, chiudendo gli occhi e riflettendo per qualche istante sul da farsi. Quando li riaprì era deciso a mettere fine a quei discorsi e, non lasciandosi ammaliare dall’espressione di pura fiducia che gli occhi del moro gli stavano trasmettendo, fece appello al suo titolo di Sergente per liquidare ogni protesta.
“Torna all’accampamento.” scandì serio, vedendo come le speranze del moro andassero in pezzi. “Questo è un ordine, Trafalgar.”
Così, con un’occhiata omicida, Law gli voltò le spalle per tornare a recuperare l’elmo e la sua pistola che aveva lasciato sul carro, sbrigandosi per non cedere all’istinto di aggredire quello stronzo con i capelli rossi e ucciderlo, incamminandosi subito verso la direzione dalla quale erano venuti e senza salutare né Wire, che aveva cercato di parlargli per rassicurarlo; tantomeno Killer, il quale era uscito dal casolare e lo guardava stranito con il fucile in spalla e i capelli raccolti.
Si incamminò a passo spedito per i primi minuti, poi iniziò a correre come se avesse avuto alle calcagna un plotone di tedeschi e continuò fino a che le gambe non gli cedettero per lo sforzo, obbligandolo a fermarsi ruzzolando a terra nella polvere e tossendo senza fiato. Svuotò per metà la borraccia, respirò a fondo per qualche istante e poi si rialzò rimettendosi in marcia a passo sostenuto senza perdere altro tempo dato che ne aveva sprecato abbastanza col rosso.
Pensarci lo aiutava a non mollare e ripetersi nella mente quelle parole dure era l’unico modo per non fermarsi a causa della stanchezza. Doveva continuare a qualsiasi costo perché sapeva che aveva una possibilità di raggiungere il campo e chiedere aiuto se non avesse rallentato. Magari ci avrebbe messo qualche ora, forse sarebbe arrivato a notte inoltrata, ma ogni minuto era prezioso e lui ce l’avrebbe fatta anche solo per ripicca verso quel bastardo di Kidd. Gli avrebbe dimostrato che aveva portato a termine il suo compito tornando con i rinforzi e obbligandolo a rimangiarsi tutto quello che gli aveva detto a suon di pugni. Solo dopo averlo ridotto a pezzi lo avrebbe baciato, ringraziandolo per tutto, per non averlo mollato lungo la strada quando si era unito a loro; per non averlo ucciso, ma fatto crescere; per avergli mostrato come essere forte e affrontare i propri ostacoli; per averlo considerato un suo sottoposto di cui prendersi cura; per averlo fatto sentire importante come dottore e come uomo.
Lo avrebbe ringraziato per avergli dato un motivo per cui combattere, ovvero la sua squadra.
Si morse un labbro, aumentando la velocita.
A se stesso, almeno, poteva ammettere che avrebbe combattuto anche per Kidd.
 
*
 
Era ormai quasi l’alba quando li sentirono.
Killer guardò fuori per vedere se riusciva a localizzarli, notando col buio alcune torce e i fari dei tre Tiger in lontananza. Il cielo era ancora scuro, ma poteva notare un lieve chiarore a est e sperò di poter contare almeno in un po’ di luce quando avrebbero iniziato l’attacco.
Dopo che Trafalgar se ne era andato la situazione aveva preso una piega abbastanza sbagliata, ma per sua fortuna erano riusciti verso sera a riprendere il loro equilibrio di un tempo e a mettersi a lavorare tutti quanti senza screzi o malumori.
Wire era riuscito, dopo una crisi di identità e un calo di fede verso il suo Dio, a capire come sistemare la radio che, in quell’istante, stava ultimando, nonostante i tedeschi fossero in arrivo al di là della collina.
Ace aveva fatto un ottimo lavoro e, con una vista da cecchino, era apparso verso l’ora di cena, avvisandoli che, nonostante si fosse appisolato, si era avventurato più avanti del previsto  riuscendo in quel modo ad individuare un convoglio tedesco, uno degli ultimi rimasti dopo lo scioglimento del regime nazista dei giorni precedenti. Erano circa duecento soldati con tre carri armati e stavano puntando proprio al crocevia, forse per rientrare in città, ma non sapevano della presenza dell’M4 Sherman, perciò potevano vantare ancora l’effetto sorpresa.
Trattare con Kidd quel pomeriggio era stato un vero e proprio inferno. Nonostante lui e il rosso fossero cresciuti insieme a volte ancora faticava a conviverci a causa del suo caratteraccio simile ad una mina vagante pronta ad esplodere, proprio come quella che aveva fatto saltare il cingolo del loro carro armato.
Ci era voluto un po’, ore per la precisione, per farlo calmare, visto che non sembrava più sapere dove sbattere la testa, ma era andato tutto bene, alla fine. Si erano urlati contro un po’, era volato qualche pugno, poi Killer era riuscito a mettere a tappeto il rosso e, dopo un faccia a faccia fatto di imprecazioni e verità sbattute sul muso, si era risolto tutto. Avevano aperto le ultime lattine di birra e se le erano scolate; ricordando i vecchi tempi e un paio di aneddoti divertenti e mangiando cibi preconfezionati americani.
Probabilmente il biondo sarebbe morto col sorriso quel giorno, sapendo che aveva con sé compagni che lo consideravano un fratello e quello per lui contava più di qualsiasi cosa al mondo.
Mettere Kidd al tappeto era sempre stato un suo privilegio, ma non se ne era mai vantato e non lo aveva mai fatto davanti a nessuno. Un po’ perché era un segreto, un po’ perché Kidd aveva quell’aria da spaccone e si era fatto il culo nei ranghi dell’esercito meritandosi il titolo di Sergente e la fama di soldato imbattuto e spacca ossa. Nessuno si metteva nella sua strada, nessuno eccetto Killer. E Trafalgar, ma quello era un discorso che non riguardava il biondo.
Kidd non era solamente il suo superiore, era il suo migliore amico, un fratello, la sua persona e lo era sempre stato. Si fidava ciecamente di lui e sapeva benissimo che il rosso si stava impegnando per tirarli fuori da quella merda; capiva il suo stato d’animo, la paura di non riuscire a salvarli, il timore di metterli in pericolo e il dovere di proteggerli a qualunque costo. Killer sapeva che il rosso avrebbe volentieri barattato la sua vita per loro, ma non glielo avrebbe permesso. Ci erano finiti assieme nel casino e assieme ne sarebbero usciti. Sempre.
La scazzottata era servita a far sfogare entrambi, le birre avevano allentato la tensione, Wire aveva recuperato un po’ di buonumore e recitato le ultime preghiere prima di togliersi il rosario e metterselo in tasca. Lo faceva sempre quando doveva sporcarsi le mani e commettere peccati.
Infine era sbucato dal nulla Ace, col fiatone e fremente per l’agitazione, avvisandoli dell’imminente grandissimo problema. Dopo un silenzio che era sembrato interminabile, Kidd aveva preso parola ed era stato solenne come un vero uomo che ama la sua patria e i suoi commilitoni.
Aveva detto loro che li considerava la sua famiglia e che lavorare con loro in quegli anni era stato il più grande onore di sempre. Li aveva ringraziati e, con stupore di tutti, li aveva congedati.
Si, quel coglione aveva veramente pensato che lo avrebbero mollato lì su due piedi, da solo, contro i tedeschi e che se ne sarebbero tornati a casa con la coscienza sporca che hanno i codardi e i traditori.
Sorrise Killer, guardando di sfuggita il rosso accanto a lui, il quale stava fumando l’ultima sigaretta.
Loro non si sarebbero mai voltati le spalle.
 
*
 
“A breve ci raggiungeranno.” rese noto Wire, attivando poi un walkie-talkie e ripetendo l’annuncio ad Ace, il quale era appostato in incognito fuori dal carro.
“Sapete tutti cosa fare.” annuì Kidd, spegnendo il mozzicone ed espirando il fumo.
Si era concesso un ultimo vizio e, da bravo egoista mai contento quale era, conoscendosi sapeva che, se avesse potuto, se ne sarebbe consessi molti altri prima di iniziare quel piano suicida, ma la vita aveva sempre delle sorprese in serbo e lui quel giorno era stato preso in contropiede.
‘Fortuna che fino all’altro giorno è andata bene’ pensò, stirando le labbra in un ghigno che sapeva di malinconia e bei ricordi.
Non era mai stato il tipo da smancerie e cose serie, non facevano per il suo spirito libero e per la sua vita da scapolo, ma non poteva negare che il suo cervello aveva trovato una valvola di sfogo per non pensare sempre e costantemente alla guerra.
Certo, non si dilettava con dolci sogni, bensì con un grosso enigma, ma lo aiutava a staccare la spina e a rilassarsi meglio, dormendo la notte.
Trafalgar non era di certo quello che si poteva definire una persona equilibrata. Era un grandissimo saccente pezzo di merda, un dottorino finito per sbaglio nel campo di battaglia solo per creare scompiglio dove non serviva e fargli perdere tempo. Era stato cosi all’inizio, anche se poi la situazione era migliorata e lui era stato addirittura essenziale per il gruppo del Red Fury. Gli dovevano molto, ma ciò non toglieva che rimanesse l’essere più fastidioso sulla terra.
‘Con un culo pazzesco’ aggiunse mentalmente il rosso, fremendo per l’impazienza e rifugiandosi ancora un poco nei ricordi.
Avevano fatto sesso, ancora e ancora dopo la prima volta e Dio solo sapeva quanto gli era piaciuto, e quanto fosse piaciuto al bastardo, perché Kidd sapeva, sicuro come lo era la Morte, che a Trafalgar quelle attenzioni fastidio non avevano dato.
Anzi.
Avrebbe custodito gelosamente il loro ultimo incontro da soli, nella sua tenda, fuori dal mondo e lontano dalla Germania, dalla guerra, da tutto.
 
“Cosa succederà dopo?” gli aveva chiesto Law tra un bacio e l’altro, mentre lui lo stava spogliando senza fretta.
“Dopo quando?” aveva finto di non capire.
Il moro l’aveva guardato con eloquenza, come a volergli dire che non ci sarebbe cascato e che sapeva che non era così stupido.
Kidd aveva sogghignato, continuando a spogliarlo per poi dedicarsi ad altro. “Torneremo in America. A casa.”
“E?”
“E mi farò congedare con onore prendendomi una lunghissima vacanza.”
“E?”
“E con i soldi mi prenderò una casa sulla costa, con un giardino e un cane. Anzi, due cani.”
Law aveva sorriso, lasciando che Kidd lo spingesse sulla branda e lo sovrastasse. “E?”
“Uno lo chiamerò Boomer, l’altro un nome ce l’ha già e fa schifo.”
“Ora sono offeso.”
Il rosso lo aveva ignorato, le mani impegnate a fare altro, accarezzandolo e violandolo per cercare il punto esatto per far gemere il dottore come solo lui sapeva fare. Quando poi aveva sentito Trafalgar sussultare e tremare sapeva di aver fatto un buon lavoro.
“Mi farò perdonare.” gli aveva sussurrato, leccandogli il collo e scendendo fino alla spalla.
“Sono una persona molto esigente.” aveva messo il chiaro Law, inarcando la schiena sotto i tocchi sapienti del rosso.
“Mi farò perdonare anche a casa.”
Dopo avevano smesso di usare le parole per comunicare e avevano lasciato spazio ad altro, al fiato caldo sulla pelle, alle spinte, ai gemiti silenziosi di Kidd e a quelli mal trattenuti di Law, alla frenesia e alla voglia di non arrivare mai al mattino seguente.
 
Non sapeva se ce l’avrebbero fatta quella volta, era una bella domanda e Kidd era stanco di porsela, ma il solo fatto che Killer, Ace e Wire fossero con lui bastava per tranquillizzarlo e fargli affrontare meglio tutto quanto.
Quando aveva provato a mandarli via non era ancora certo di come avrebbe affrontato tutto in solitudine, ma loro lo avevano guardato e, uno dopo l’altro si erano messi a ridere, aggiungendo poi svariate frasi svenevoli e da far vomitare, tutte stronzate sul non abbandonarsi mai.
Però le aveva apprezzate tutte, dalla prima all’ultima e se fosse morto se ne sarebbe andato con l’anima in pace.
L’unico rammarico, forse, era per quello stronzo di Trafalgar che aveva imbarcato senza troppe cerimonie, ma si consolava sapendolo lontano dalla zona minata, al sicuro, sano e salvo.
Cacciarlo, obbligarlo ad andarsene era stata la cosa giusta, quella più sensata, un modo per ripagarlo di tutto quello che gli aveva fatto passare e che non avrebbe mai dovuto affrontare. Non si era arruolato per fare il soldato o per combattere in prima linea, ma per fare il dottore e, anche se aveva comunque operato in quel campo, aveva assistito a scene che cambiavano completamente la vita di un individuo, rendendolo totalmente un’altra persona e Trafalgar non sarebbe mai più stato lo stesso. Forse era un bene, forse no, ma Kidd aveva voluto dargli una possibilità di salvarsi, di dimenticare. Era quello che qualsiasi Sergente avrebbe fatto e non se ne era pentito.
“Arrivano.” gracchiò la voce di Ace tramite il walkie-talkie e tutti si prepararono.
Avevano organizzato tutto nei minimi particolari, ovvero decretando che la cosa migliore era far credere ai tedeschi che io loro carro armato fosse fermo da molto tempo e che non ci fosse più nessuno.
Nel casolare Killer aveva scoperto una sezione allestita come un campo medico, quindi una stanza era piena di cadaveri di nazisti. Cosi ne avevano presi alcuni, avevano messo le loro divise da americani, e li avevano piazzati in punti strategici attorno al Red Fury, facendo in modo che sembrasse il ricordo sbiadito di una catastrofe avvenuta tempo addietro.
Ace avrebbe fornito fuoco di copertura dall’esterno nel tentativo di fare fuori almeno le prime file e così fece, riservando per loro qualche sorpresa.
“Come li ha fatti quelli?” sbottò entusiasta Wire, guardando le molotov volare contro i tedeschi e ascoltando la voce di Ace che, esaltato, scaricava esplosivi, pallottole e improperi verso i primi tedeschi che ormai li avevano raggiunti.
Quello aveva dato inizio allo scontro.
I primi a cadere furono a causa delle molotov, poi altri perirono nel casolare che avevano cosparso di carburate e al quale Ace riuscì per miracolo a dare fuoco.
Un nazista lo aveva disarmato, ma nel casino Killer era riuscito ad uscire dall’M4 Sherman per andare a coprirgli le spalle, salvando lui e il piano.
Il capanno era per la maggior parte in legno e i nazisti che erano entrati a controllare vennero bruciati vivi. La scia di benzina che avevano fatto scorrere tra il carro armato e la strada dalla quale provenivano i tedeschi offrì loro una tregua, così Killer riuscì ad appostarsi dietro il Red Fury ed Ace a tornare di vedetta dietro il cannone.
Riuscirono ad ucciderne parecchi grazie anche alla mira di Wire che operava da dentro e dalle direttive precise di Eustass che, attento a qualsiasi movimento, indicava ogni punto in cui vedeva gente muoversi.
Purtroppo però arrivarono anche i Tiger e con quelli le cose si fecero serie.
I bombardamenti colpirono il terreno attorno al loro carro, sollevando polvere e zolle di terra. Killer lanciò una granata e qualcuno dalle parti del nemico saltò in aria; Ace uccise alcuni uomini che avevano aggirato il fuoco che, a breve, si sarebbe ugualmente spento.
“Sono ancora tanti.” li informò il ragazzo, sparando.
Wire caricò le munizioni, riprendendo subito la sua postazione, mentre Kidd faceva altrettanto, pronto a mirare ai Tiger e a tentare il tutto per tutto.
Un tedesco corse verso il Red Fury con una granata in mano. Nella corsa venne colpito in testa da Killer, ma l’aveva già attivata e lanciata vicino al carro. Il biondo allora era saltato giù per raccoglierla e rimandarla indietro ai proprietari. E ci riuscì pure.
“Ha! Rognosi figli di puttana!”
Ace e Wire sorrisero, Kidd stava per farlo, ma non ne ebbe il tempo perché al di là della linea nemica qualcuno scaricò una mitragliatrice sul biondo, troppo esposto e troppo lontano dalla loro protezione, il quale cadde in ginocchio a terra, stendendosi di lato senza muoversi più.
 
“Devi essere proprio una grandissima testa di cazzo per pensare che ti lasceremo qui. Se muori tu, moriamo anche noi.”
 
Il rosso deglutì, spostando altrove lo sguardo e puntando il mirino del cannone verso uno dei Tiger. Prese il respiro, silenziò la testa, gli spari, il mondo, il suo cuore spezzato e sparò.
“Si cazzo!” strillò Ace in tutto quel casino. “Facciamogli il culo.”
“Bel colpo Capitano.” si congratulò Wire.
Kidd non perse tempo e caricò ancora. Non era finita, ne rimanevano due e altri svariati crucchi da sterminare prima di cantare vittoria. Nonostante il successo l’adrenalina era alle stelle, la tensione pure e in tutta quella merda lui non poteva nemmeno fermarsi a pensare a Killer steso nel fango e calpestato da chissà chi.
Difficilmente ce l’avrebbero fatta, ma fino a che avrebbe avuto fiato avrebbe continuato a sparare e ad uccidere ogni tedesco che gli sarebbe capitato a tiro.
“Mi sposto a destra, stanno attraversando il fosso!” li informò Ace, non dando loro modo di rispondere.
Kidd stava per sparare un’altra cannonata, ma qualcosa andò storto e il colpo si inceppò. Senza il cannone sarebbero di certo morti nel giro di qualche minuto
Wire ne uccise cinque con la mitraglietta, poi abbandonò la postazione per aprire lo sportello sopra le loro teste con l’intenzione di risolvere il problema al rosso che, di certo, con la sua poca pazienza non avrebbe ottenuto nulla se non una pallottola nel corpo.
“Wire lascia perdere, ce la faccio lo stesso!” lo frenò Kidd, non volendo per nessuna ragione che il compagno uscisse in quell’inferno; qualcosa gli diceva che se fosse andato non sarebbe più tornato indietro.
L’altro però non lo ascoltò e prima di venire fermato era già all’aperto, con il rumore del fuoco incrociato dei nazisti e le imprecazioni di Ace che arrivavano da chissà dove in mezzo al fumo.
La torretta era inceppata e con mani tremanti, pregando Dio che nessuno lo colpisse in quel frangente, la sbloccò nel giro di qualche minuto. Sospirò, passandosi le mani sporche sul viso per cercare la forza di non mollare proprio allora. C’era tanto, troppo casino e gli stava scoppiando la testa.
‘Dio, ti prego, ancora un pò’ pregò, notando solo allora un paio di soldati tedeschi avvicinarsi al carro. Prese la pistola e ne colpì uno, l’altro lo beccò sul braccio, ma si stava già arrampicando per salire. Cercò di fermarlo, ma quello lanciò una granata dentro al Red Fury per poi lasciarsi scivolare a terra, rotolando per allontanarsi.
Dentro udì un distinto “Merda!” di Kidd, così lo raggiunse senza rifletterci notando la granata attiva nella parte bassa dove c’era la sua postazione, così, dopo essersi scambiato uno sguardo intenso con il Sergente, arrivò con un salto sul sedile giusto in tempo per chinarsi e fare da scudo con il suo corpo contro l’esplosione che avvenne giusto in quell’istante.
Kidd si coprì il viso con le braccia, voltandosi di lato e sentendo esplodere il cervello a causa del rumore della granata. Una volta terminata l’onda d’urlo si azzardò a guardare la sagoma accovacciata di Wire che gli dava le spalle, chino sulla postazione e fermo. Il rosario trattenuto dalla mano destra che penzolava nel vuoto e il suo corpo immobile.
 
“Dio aiuta gli audaci. Le sue vie sono infinite. Ama il prossimo tuo come te stesso. Se non seguo io la parola del Signore, chi lo fa di voi idioti?”
 
Un altro se ne era andato e lui non aveva potuto fare niente per impedirlo.
Respirò a fatica, mormorando svariati ‘no’ che divennero poco a poco un mantra. Ace non lo aveva più contattato, Killer era morto, Wire anche e lui probabilmente era rimasto l’ultimo. I tedeschi erano ancora la fuori, cosi come i due Tiger dalla mira pessima che non lo avevano ancora beccato, non in maniera definitiva almeno.
Si prese il viso tra le mani, trattenendo un urlo isterico e battendosi un paio di pugni in fronte. Doveva restare calmo, ma era sempre stato Killer quello che fungeva da balsamo per i suoi nervi, o Wire che lo pregava di non bestemmiare, di trattenersi solo per lui, ma loro non c’erano più, erano morti come la miriade di persone con cui aveva lavorato in quegli anni, tutti meritevoli di farcela e che alla fine erano diventati cenere.
Sapeva che sarebbe morto quando aveva ideato quel piano per contrastarli e dimezzare i loro ranghi in modo da avvantaggiare quelli che sarebbero arrivati dopo dall’accampamento, perciò doveva a tutti i costi riprendere il controllo e andare avanti.
Il walkie-talkie iniziò a gracchiare, segno che qualcuno stava cercando di connettersi, probabilmente Ace e quella minima speranza che fosse ancora vivo gli diede la carica per riprendersi completamente e tornare in sé.
Flame, mi ricevi?” domandò, afferrando il dannato aggeggio e attendendo una risposta. “Riesci a rientrare nel carro?”
Ma dall’altro capo venivano solo rumori indistinti e nessuna voce, magari un tedesco si era impossessato del trasmettitore di Ace e stava tentando di capire come sfruttarlo. Questo pensiero fece infuriare Kidd che, mandando tutto a puttane e fregandosene, tanto ormai non aveva niente da perdere, aprì lo sportello e uscì con mezzo busto, iniziando a sparare a vista a tutto quello che davanti a lui si muoveva.
Ogni nazista che cadeva era una gioia per lui che rivedeva davanti a sé i compagni che aveva appena perso. Non avrebbe avuto tempo di elaborare il dolore e non avrebbe sofferto il lutto, ma voleva almeno fare qualcosa per vendicarli prima di trapassare. E fanculo anche i tedeschi.
Esaurì i colpi e si preparò a ricevere quello fatale, urlando a squarciagola per farsi sentire bene dai soldati, quando un colpo di cannone sparato a distanza ravvicinata lo fece sbilanciare in avanti e prendere un duro colpo allo stomaco contro il bordo dello sportello di uscita.
Gli sfuggì un’imprecazione che avrebbe fatto piangere Wire e con lo sguardo annebbiato e le orecchie che fischiavano vide un’esplosione di grosso calibro oltre la linea di fuoco ormai spenta e facile da oltrepassare. Si trattava di uno dei Tiger tedeschi che era appena saltato in aria.
Il walkie-talkie riprese a gracchiare e quella volta Kidd poté udire la distinta e fastidiosa voce di Apoo che gli domandava se era ancora tutto intero.
Mai come in quel momento era stato felice di sentirlo, quel grandissimo stronzo.
Sorrise Kidd, rientrando a fatica nel Red Fury e rispondendogli che per sua sfortuna il numero uno indiscusso dei battaglioni americani era ancora vivo e vegeto.
Si accordarono per coprirsi le spalle; il Sergente Scratchmen aveva un po’ di uomini al suo seguito e con due carri contro uno avrebbero avuto una possibilità nonostante i nazisti da fare fuori fossero ancora molti per poter cantare vittoria. Ad ogni modo, almeno Eustass poteva dire di avere un’ultima carta buona da giocare, tentando la fortuna e sperando di venire graziato ancora una volta.
“Dimmi un po’, coglione,” domandò Kidd, collegandosi con Fox-trot mentre cercava di ricaricare la mitragliatrice, “Come sapevi dov’eravamo?”
“Hai presente quel moccioso che ti avevano affidato? Beh è arrivato al campo tutto trafelato, mezzo morto direi, blaterando su un cingolo saltato, un crocevia e un casino da evitare; sai no, la solita merda.”
Apoo continuava a parlare, perché quando iniziava non si fermava più ed era uno dei principali motivi per i quali il rosso davvero faticava a sopportarlo, oltre alla faccia da schiaffi che si ritrovava, ma in quel momento lo stava bellamente ignorando perché era chiaro come il sole che si stava riferendo senza dubbio a quel grandissimo stronzo di…
“Ehi, Eustass-ya, pensavo di trovarti morto. Peccato.”
Trafalgar.” disse Kidd, guardando il ragazzo in questione scendere dallo sportello all’interno del carro con due occhiaie che toccavano terra, la faccia sporca di terra, due fanali al posto degli occhi grigi e un sorriso beffardo da fargli desiderare di poterlo cancellare con uno o due ganci destri.
Law prese posto accanto a lui senza smettere di guardarlo. “Il cannone qui sopra è andato e fuori sono riusciti a bloccare le mitragliette.” lo informò, estraendo la sua pistola e controllando che fosse carica. “Però possiamo uscire e abbiamo le spalle coperte.”
Kidd lo fermò per un braccio per trattenerlo ancora qualche istante. Aveva un sacco di domande da fargli e ancora più cose da dirgli, per esempio che aveva fallito e che lo aveva deluso come suo superiore. Due, anzi, probabilmente tre dei suoi uomini erano morti e non era stato in grado di difenderli e dare la sua vita per loro. Voleva sapere come diavolo era riuscito a coprire tutta quella distanza a piedi e come faceva ancora a camminare; avrebbe tanto voluto che sapesse che nessuno aveva mai eseguito un suo ordine in maniera così efficiente, ma in cuor suo sapeva che non aveva il coraggio per esporsi e, cosa ancora più importante, non avevano tempo.
Voleva comunque ringraziarlo, nonostante non sapesse bene come fare o cosa dire. Stava pensando di lasciarsi andare ad un semplice ‘grazie’, quando Law lo precedette cogliendolo di sorpresa e abbassandosi su di lui per lasciargli un veloce bacio a fior di labbra.
“Facciamo a chi ne uccide di più?” chiese poi, voltandogli le spalle e scomparendo in pochi secondi dalla sua vista.
Il rosso scosse il capo non sapendo più che Santi invocare.
‘Pezzo di merda.’ pensò, ma sorrise e, preparandosi a tutto, lo seguì fuori dal Red Fury.
 
*
 
Fox-trot e il Tiger tedesco avevano fatto piazza pulita del capanno nel tentativo di rincorrersi e mettersi nella miglior traiettoria per farsi saltare in aria a vicenda; i tedeschi avevano accerchiato l’M4 Sherman di Kidd, ma lui e Trafalgar si erano già allontanati, perciò avevano fatto un buco nell’acqua, ma avevano ugualmente reso irraggiungibile il carro in quel modo; gli uomini di Apoo più qualche volontario del battaglione di Newgate e del Sergente Phoenix stavano dando loro man forte contro il nemico in campo aperto e nei dintorni circostanti le macerie e i detriti dai quali ancora si alzavano fiamme e nuvole di fumo.
Fu in mezzo a tutto quello scompiglio che Eustass e Law ritrovarono Ace, sbucato come per magia da un fosso con la faccia sporca, i capelli e i vestiti impiastricciati di sangue e con in mano un fucile e una molotov.
“Cazzo, state bene!” disse il corvino, incredulo e con il fiatone.
Kidd gli passò un braccio attorno al collo e lo abbracciò al volo, ricevendo in risposta delle lamentele a causa del soffocamento. “Ti credevo morto.”
Ace sorrise nella solita maniera e con fare allegro, come se non gli fregasse niente del luogo in cui si trovava. “Anche io. Non sono più riuscito a ricevervi e mi sono visto la Morte in faccia un paio di volte. So che la terza è quella buona, vero?”
“Io non scherzerei tanto se fossi in te.” mormorò Law funereo e tetro in volto da mettere quasi soggezione.
Ace represse appunto un brivido, cambiando discorso. “Wire?”
Il rosso negò con il capo e non rispose, lasciandogli intendere come erano andate le cose e il ragazzo capì, annuendo tristemente e sospirando. Poi si riscosse, imbracciò l’arma e tenne la molotov tra due dita, preparandosi a tornare all’attacco.
“Vado a finire il lavoro.” dichiarò con determinazione. “Ci sono ancora un paio di punti che posso far saltare in aria portandoci in vantaggio.
“Non rischiare troppo.” lo ammonì Kidd, superandolo per andare dalla parte opposta, seguito da Law che non aveva smesso di fissare Ace a causa di una strana sensazione allo stomaco.
“Sai come sono fatto.” ribatté ad alta voce, ormai già distante da loro due di qualche passo.
Non si era mai tirato indietro davanti a niente e le missioni suicida erano praticamente sempre state le sue preferite, di certo non avrebbe smesso proprio allora di essere un ragazzino imprevedibile e irresponsabile, nonostante le dritte ricevute nel tempo dal Sergente Eustass.
Kidd lo sapeva, lo conosceva bene e sperò che quello non fosse il loro ultimo incontro.
 
“Porca puttana! Con chi credi di avere a che fare? Io rimango. Restiamo tutti. Insieme ce la faremo, sempre.”
 
Si voltò a cercare Trafalgar, trovandolo accanto a lui con l’aria di chi stava provando le stesse identiche sensazioni, così si scambiarono un cenno di assenso e continuarono per la loro strada, concentrati sulla loro missione e augurando a tutti i loro compagni di avere fortuna e di riuscire nell’impresa.
Ad ogni passo c’era sempre un corpo nel loro cammino, tedesco, americano, indefinito; ogni istante era buono per schivare colpi, correre, buttarsi a terra e fermarsi a sparare; nel giro di una decina di muniti avevano già sentito due esplosioni e una riguardava il Tiger che Apoo e i suoi avevano fatto saltare. Non avevano potuto esultare, purtroppo, perché poco dopo anche Fox-trot fu colpito da una granata e messo fuori uso. Entrambi sapevano che qualcuno era morto, ma non ne avevano la certezza, sperando che i loro alleati fossero riusciti ad uscire indenni dal carro prima dell’esplosione.
Si ripararono dietro ad alcune travi crollate del capanno, riprendendo fiato e riorganizzandosi con le armi che avevano racimolato dai corpi dei caduti e con le munizioni rimaste.
“Manca ancora un’esplosione.” disse Law, combattendo contro l’angoscia di dover pronunciare quelle parole.
Kidd asserì. “Se la sentiamo vuol dire che Ace è ancora vivo.”
“Quanti ne saranno rimasti?”
“Dei nostri o dei loro? In ogni caso non ne ho idea, ma almeno sta albeggiando e ci vedo già di più.” constatò, guardando i fasci di luce luminosi alzarsi da est. “Fino a che respiriamo, va tutto bene.”
Law lo osservò mentre caricava una pistola, ripensando alla corsa del giorno prima. Alla fine ce l’aveva fatta, era arrivato al campo, aveva vomitato sugli stivali di Apoo, e di certo non vedeva l’ora di raccontarlo al rosso, e poi aveva intimato a tutti di riorganizzare le squadre e di seguirlo in fretta e furia fino al crocevia. Era stata dura, soprattutto correre a rotta di collo per quelle strade deserte, esposto a qualsiasi pericolo, ma ne era valsa la pena. Aveva cambiato la sorte di quello scontro almeno in parte, rendendolo ad armi pari e dando la possibilità di farcela a chi era partito con zero speranze. Vedere Kidd così convinto di sé e delle sue capacità, nonché di quelle dei suoi uomini, lo faceva sentire fiero di essere lì, nel posto giusto al momento giusto e l’errore che avevano commesso all’inizio, trasferendolo per sbaglio nel plotone del rosso, era stata la cosa migliore che poteva capitargli nella vita.
“Quindi,” iniziò, schioccandosi le nocche e preparandosi a ripartire. “Facciamo fuori gli ultimi tedeschi e abbiamo finito. E poi?
Kidd si bloccò giusto l’attimo prima di rialzarsi, sorridendo come un ragazzino e facendo una breve risata sguaiata da pazzo esaltato con il cuore e l’umore meno pesanti di prima. “Poi, stronzo, andiamo a casa e ti faccio il culo.”
Trafalgar ghignò e il rosso ricordò le prime volte che il moro si azzardava a sfotterlo e a rivolgersi a lui senza rispetto, ridendo dei suoi tentativi di addestrarlo e di renderlo un soldato devoto, fregandosene dei doveri e trattandoli tutti come degli stupidi. Forse lui era davvero migliore di loro, di certo più intelligente, ma rivedere quell’espressione priva di paura gli diede un altro valido motivo per combattere.
Così uscirono allo scoperto mentre alle loro spalle il sole sorgeva, unendosi ai restanti compagni che ancora tenevano testa ai colpi dei tedeschi appostati dall’altro lato del casolare. Tutti i carri erano fuori uso; la polvere feriva gli occhi e complicava la visuale; il fumo non aiutava e rendeva l’aria in certi punti irrespirabile; tra i cadaveri potevano nascondersi mani pronte ad afferrare le caviglie degli incauti per trascinarli giù e finirli con un colpo di lama alla gola; gli spari coprivano qualsiasi altro rumore accompagnati dalle grida americane e naziste; il freddo rendeva il sudore ghiacciato lungo il collo e dentro il corpo; ovunque guardassero trovavano solo altri tedeschi da abbattere. Ogni movimento sembrava dover essere fatto all’infinito e quegli attimi sembrarono interminabili.
 
*
 
Trafalgar non sapeva bene quando e come era successo, ma ad un certo punto si era ritrovato sotto al Red Fury, un tutt’uno col fango e col fiato sospeso per non farsi trovare da tre soldati nemici che stavano aggirando il carro per superare le linee americane e fuggire.
Aveva perso Kidd nella mischia senza accorgersene, ma non poteva lasciarsi prendere dal panico perché non era più il moccioso impaurito e incapace di sparare a vista; era un’altra persona, aveva più controllo di sé e sangue freddo, perciò rimase immobile, stringendo nella mano destra la sua pistola in caso uno di loro si fosse avvicinato troppo per curiosare o per nascondersi da un possibile attacco.
Lasciò che i primi due passassero, poi toccò al terzo, il quale sembrava intenzionato a fare in fretta, ma nel tentativo di sbrigarsi scivolò nel terreno bagnato ritrovandosi faccia a faccia con lui.
Law lo fissò con gli occhi sbarrati e la bocca chiusa in una linea sottile e tesa; le dita pronte a premere il grilletto in qualsiasi momento e il corpo teso come un violino tanto da fargli dolere i muscoli per lo sforzo e la tensione.
Il tedesco lo guardò di rimando, venendo richiamato nella sua lingua e rispondendo sommessamente con parole che il moro non capì, non essendo pratico. Poteva avergli risposto chissà cosa, poteva anche aver spifferato ai compagni che lui era lì, solo e vulnerabile, ma quando lo vide alzarsi senza fare o aggiungere altro, andandosene semplicemente per la sua strada, si lasciò scappare un respiro strozzato e si morse il labbro per non singhiozzare, stringendo gli occhi e concentrandosi per evitare quella scarica di adrenalina che stava già iniziando ad impossessarsi di lui per poi lasciarlo svuotato e senza forze.
Gli spari erano diminuiti, le urla anche e il giorno si faceva sempre più chiaro. Il fango si stava seccando sulle sue mani e sui suoi vestiti e la luce del sole aveva quasi raggiunto il profilo del Red Fury. Law poteva vederla avanzare lentamente da sotto il carro, allungando a fatica un braccio per esporne una parte e godere di quell’innocuo, quanto piacevole calore.
Vide il viso di Kidd sopra il suo e quegli occhi impossibili lo guardavano intensamente come al solito, scavandogli nell’amina e facendolo sentire troppo esposto. Con una mano gli schiaffeggiò il viso, intimandogli di alzare il culo e darsi una mossa, ma la sua voce era lontana, tanto che faticava a capire quello che gli stava dicendo.
“Ehi, Trafalgar!”
“Ehi?” mormorò.
“Ehi, tu! Andiamo ragazzo, vieni fuori di lì.”
Law si sentì afferrare le braccia e trascinare al sole, rendendosi conto di essersi appisolato sotto al carro armato e di essersi perso molto probabilmente il finale della battaglia. Guardò con occhi stralunati il volto dall’aria famigliare che gli stava versando dell’acqua in faccia senza tante cerimonie, incitandolo a riprendersi e a respirare profondamente per non farsi andare di traverso la saliva.
Una volta ripresosi, Law ebbe la forza di chiedergli cosa era successo.
“Abbiamo vinto!” fu la prima cosa che gli disse Thatch, il braccio destro del Sergente Phoenix, fresco come una rosa, ma non sorridente e affascinante come al solito. “Li abbiamo fatti fuori tutti e il resto del plotone è arrivato in tempo per dare il colpo di grazia.”
Law lo ascoltò senza fare altre domande, ascoltandolo attentamente nonostante i giramenti di testa. Apprese che il convoglio di Monkey era tornato indietro e aveva sbarrato la strada ai tedeschi che si erano ritirati, mentre quelli dell’accampamento avevano chiuso il cerchio, mettendo la parola fine allo scontro e alla guerra stessa. A quanto pareva, quello era stato l’ultimo colpo al regime nazista dopo la dipartita dei principali ministri e di Hitler stesso. Nessuno aveva più voglia di seguire gli ideali discutibili di uno che alla prima occasione si era suicidato per non affrontare le conseguenze delle proprie azioni, così tutto l’esercito della Germania aveva gettato la spugna e chiesto la resa.
Thatch stava ancora parlando quando Law decise che aveva capito abbastanza della situazione corrente. Si alzò barcollante, ignorando il consiglio di non affaticarsi e di andare a farsi controllare dai medici del campo, guardandosi attorno e appoggiandosi al Red Fury per avere un sostegno. Si guardò attorno, cercando con smania le uniche persone di cui gli importava. I corpi dei tedeschi erano già stati raggruppati, mentre quelli dei caduti americani avevano un lenzuolo bianco che li copriva. Erano stati adagiati con rispetto e ordine e attendevano di essere caricati nei camion per essere trasportati nella base principale e poi spediti in patria dove sarebbero stati seppelliti con tutti gli onori. Gli unici posti dove poteva trovarli erano quella o l’infermeria.
Deglutendo il groppo di angoscia che sentiva in gola, Law si fece forza e si avviò verso la seconda, osando avere una minima speranza di trovarli entrambi lì, magari in condizioni gravi alle quali avrebbe potuto prestare assistenza, ma vivi.
Sotto alle tende fu sollevato di riconoscere parecchie facce amiche, come Apoo e alcuni dei suoi; il Sergente Monkey con Roronoa Zoro e un paio di ufficiali del plotone di Newgate assieme ad altri valorosi americani.
Cercò di apparire integro e pacato di fronte a tutti, rispondendo in maniera breve e concisa alle domande che chi lo conosceva gli poneva, continuando a guardarsi attorno e a controllare ogni branda, persino andando a vedere in faccia quelli che erano sotto ai ferri in quegli istanti.
Quando uscì si fece violenza per mettere un piede davanti all’altro e raggiungere i mucchi di lenzuola stesi a terra alcuni metri più avanti. Ad ogni passo il peso nello stomaco aumentava e quando arrivò non aveva più fiato ed energie.
Una donna dai capelli neri in divisa lo affiancò. Gli disse di chiamarsi Robin e gli chiese se poteva aiutarlo nel fornirgli la risposta esatta alle sue domande.
Lui non la guardò nemmeno, ma capì di avere accanto una persona di tatto che aveva intuito immediatamente in che stato si trovava ed aveva evitato di tartassarlo con frasi e questioni inutili che avrebbero solo peggiorato la già tragica situazione.
“Portgas D. Ace.” mormorò controvoglia, sentendosi mancare quando la vide con la coda dell’occhio dirigersi a passo sicuro verso il fondo della fila e fermarsi poi davanti ad un corpo.
Law deglutì, percependo le labbra umide e rendendosi conto di avere gli occhi e le guance bagnati. Rimase un attimo immobile per realizzare la cosa, passandosi poi una mano sul viso per asciugarlo e seguendo Robin, la quale lo stava aspettando con pazienza e comprensione, spostando il lenzuolo per lui e allontanandosi di qualche passo per lasciargli il tempo necessario di reagire con la sua privacy.
Ace, Flame, il suo compagno, stava lì, davanti a lui e sembrava dormire tanto era rilassata la sua espressione. Gli avevano pulito il viso con un panno e poteva vedere chiaramente le lentiggini sul naso e sugli zigomi abbronzati. I capelli gli incorniciavano il volto, la collana con le piastrine spiccava luminosa attorno al collo e sulle labbra poteva notare l’ombra di un sorriso appena accennato. Si concentrò su quello con tutte le sue forze per non fissare nuovamente lo squarcio che appariva nitido sul suo petto, ovvero la causa della sua morte.
Si voltò con il viso nuovamente stravolto dopo essersi inginocchiato accanto a lui per recuperare la collana, mettendosela in tasca e coprendolo nuovamente per lasciarlo, finalmente, dormire in pace.
La donna lo osservava con educazione, silenziosa e in attesa nel caso ci fosse stato dell’altro.
E ce n’era, Trafalgar lo sapeva, ma temeva di dover dare aria alla bocca per pronunciare quel nome, consapevole che una volta fatto non avrebbe più potuto tornare indietro. Dentro di sé, però, conosceva già la risposta, doveva solo trovare il coraggio di averne la conferma definitiva per andare avanti anche se, in cuor suo, sapeva bene che da quell’inferno non sarebbe più tornato indietro.
Infine lo fece, disse quel nome, vide l’espressione stranita sul volto giovane e maturo di Robin, la guardò cercare il suo Sergente nella lista e la attese mentre chiedeva informazioni sugli ultimi aggiornamenti dei caduti per poi ascoltare la risposta decretata con tono di scuse.
“Non è qui.”
 
*
 
Five years later
 
Law stava passeggiando sulla spiaggia quella mattina, camminando tranquillamente dentro e fuori dall’acqua e godendosi quella meritata pausa che aveva tanto agognato. Adorava lavorare, il mestiere che faceva era ciò per cui era nato e quando si trattava di aiutare reduci di guerra a fare riabilitazione o a reintegrarsi nel mondo reale era sempre il primo ad offrirsi per dare una mano.
A tutti, persino a lui, però serviva di staccare la spina e quindi si stava rilassando come non gli capitava da molto.
Il sole era ormai alto, l’aria fresca del mattino stava lasciando posto al calore del nuovo giorno e il rumore delle onde fungeva quasi da sonnifero. Se non fosse stato in piedi probabilmente si sarebbe appisolato come ogni volta quando si stendeva in riva al mare.
Assurdo come una situazione così idilliaca fosse simile a quel giorno ormai lontano, in un'altra terra, distante da lì e in mezzo a morte e distruzione.
D’istinto si portò una mano al petto, sentendo sotto la stoffa della maglia la forma distinta delle due piastrine.
Quella più sottile era di Ace e ce l’aveva perché alla fine era stato egoista e non era riuscito a darle entrambe a Marco, quando gli aveva dovuto comunicare la notizia. Ne aveva tenuta una e il biondo non aveva avuto da ridire, perciò ancora la portava con sé, dopo tutti quegli anni, per ricordarsi nei momenti bui delle eroiche persone che non ce l’avevano fatta e per le quali doveva ancora lottare.
L’altra era più pesante e più spessa, ma quella l’aveva rubata alla prima occasione più per mero piacere che per ricordo.
I suoi pensieri furono interrotti dal rumore di latrati che arrivarono alle sue spalle senza dargli il tempo di reagire e scansarsi, venendo investito dalle zampe e dal corpo pesante di un, ironia della sorte, pastore tedesco grosso quanto un lupo.
“Boomer, stai giù bestiaccia!” imprecò, cercando di togliersi di dosso il cane che, senza ascoltarlo, gli camminò sopra per poi zampettare soddisfatto verso l’acqua, scodinzolando per giocare.
“Indisciplinato.” borbottò Law, mettendosi seduto e spolverandosi i pantaloni. “Maledetta quella volta che…”
“Stai offendendo il mio cane, stronzo?” gli chiese una voce alle sue spalle, intrappolandolo con un braccio contro un petto ampio e facendogli fare un secondo tuffo nel passato, quando lui e quell’impiastro trovavano ogni scusa per suonarsele di santa ragione, incuranti dei compagni d’armi e della guerra.
Law alzò gli occhi al cielo, lasciandosi comunque scappare un sorrisetto beffardo. “Non è colpa dell’animale se il padrone è una testa di cazzo.”
Lo stesso braccio che lo teneva imprigionato lo fece voltare per ritrovarsi faccia a faccia con un sorridente e borioso Eustass Kidd, in salute, con i capelli rossi raccolti da un elastico e un mosaico di cicatrici che gli decorava la parte sinistra del volto rendendolo la cosa in assoluto più sexy per il moro sulla faccia della terra. Non si stancava mai di far scorrere le dita su quei solchi, felice che ci fossero e che non avessero sconfitto il Sergente Eustass.
“Hai ragione, non c’entro niente io se tu non sai comportarti bene.” lo apostrofò l’ex militare, gongolando come un bambino che aveva appena mangiato una torta.
“Che diavolo stai dicendo?”
“Che non si rubano le cose degli altri.” specificò allora Kidd, indicando le piastrine al collo del moro con un cenno del capo. “Sapevo che avevi preso tu la mia. Cos’è, la stringi al petto ogni volta che non siamo assieme?” lo schernì, evitando miracolosamente un pugno che avrebbe sicuramente fatto male, dato che il bastardo lo aveva allenato lui stesso.
“Finiscila con le stronzate Eustass-ya, o ti faccio perdere anche l’altro braccio.”
Kidd scoppiò a ridere, mantenendo l’equilibrio con la mano destra appoggiata a terra e guardandosi distrattamente la spalla sinistra alla quale mancava una determinata parte del corpo.
“Ops.” ridacchiò, come se ormai ci avesse messo una pietra sopra e sapendo quanto a Law desse fastidio.
Il braccio lo aveva perso in quell’ultima battaglia, mentre cercava in tutti i modi di recuperarlo dopo che si erano accidentalmente separati e, come gli aveva promesso che sarebbero tornati a casa, aveva promesso anche a se stesso che lo avrebbe ritrovato a qualsiasi costo.
Law sospirò con esasperazione, fissandolo torvo e con l’aria di chi avrebbe tanto voluto commettere un omicidio, mentre Kidd si strinse nelle spalle con il suo solito fare da menefreghista, inclinandosi verso di lui per passargli la mano attorno al collo e avvicinarlo a sé in modo da averlo a postata di labbra.
“Non vorrai baciarmi in riva al mare e con un così bel panorama spero.” lo avvisò il moro, ghignando soddisfatto.
Per tutta risposta, il rosso lo morse contro ogni sua aspettativa.
“Per quello che voglio fare adesso è meglio se andiamo a casa, Trafalgar.”
 
 
 
 
 
 
 
 
The Fucking End.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice.
Sono una persona che con gli anni ha fatto un cambiamento davvero drastico nel carattere, perciò posso affermare di avere la grandissima faccia tosta di ripresentarmi qui, con l’ultimo capitolo, dopo cinque anni di silenzio.
Sono cambiate molte cose, forse ci saranno differenze pure nel mio modo di esprimermi e magari ho anche perso un po’ la mano, ma voglio comunque pubblicarlo e concluderlo per fare un favore a me stessa in primis, ricordandomi che scrivere stronzate mi piace troppo ed è ancora il mio hobby preferito per evadere dalla realtà.
Spendo un paio di parole, importantissime, per ringraziare di cuore le povere anime che hanno letto questa mini-long dall’inizio e che, anche se se la sono dimenticata, sorrideranno nel vederla conclusa. Vi chiedo scusa, ma quando dicono che più cresci, più la vita si complica diventando frenetica non vi raccontano stupidaggini, vi assicuro che è tutto vero.
Spero con questo ultimo capitolo di farmi perdonare e di farvi felici. Finirlo mi ha dato una bella sensazione che non sentivo da molto e spero che possa essere l’inizio per andare avanti con altre cose, nuove e vecchie.
Ringrazio in particolar modo una persona che leggendo questi capitoli giusto il mese scorso mi ha dato la scossa per muovere il culo, come direbbe Kidd, e mettere un punto a Red Fury.
Vi saluto e vi auguro di stare bene nonostante il periodo, magari in questo modo avrò tempo di dedicarmi a quello che mi piace visto che dobbiamo rimanere a casa.
Non vi dirò ‘a presto’, ma spero con tutto il cuore che possa essere così invece.
 
Un abbraccio e ancora grazie a chi è rimasto con il plotone del Sergente Eustass fino alla fine.
(Che sviolinata, eh?)
 
Ace.
  
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