cap.2
The day
after...
Morning
Kakashi
sollevò la palpebra destra un minuto prima che la sveglia iniziasse
a trillare. In realtà non ne aveva mai avuto bisogno: il suo
orologio interno era sempre perfettamente puntuale... che poi lui
decidesse deliberatamente di arrivare in ritardo agli appuntamenti
era un altro paio di maniche.
Allungò
un braccio dietro di sé e afferrò il piccolo congegno,
disinnescando il meccanismo che entro una manciata di secondi
l'avrebbe azionato. Le lancette, che dividevano il quadrante in due
perfette metà, indicavano le 6 in punto.
Il Jonin
rimise la sveglia al suo posto e si stiracchiò, ridacchiando
all'idea dei suoi tre esaminandi che dovevano già trovarsi al campo
di addestramento ad attenderlo da almeno un'ora, rigorosamente a
stomaco vuoto, come si era premurato di raccomandare loro prima di
congedarsi.
Scostò
le coperte e si alzò dal letto, gettando un'occhiata alla finestra.
Il chiarore e le tinte pastello del cielo sereno e sgombro da nubi
promettevano una bella giornata di sole. L'uomo aprì le ante e inalò
la brezza del primo mattino: l'alba portava con sé il profumo
delicato di muschio e resina e la freschezza fragrante dell'umidità
notturna si condensava in lingue di foschia che serpeggiavano tra le
vie del villaggio. Sì, si prospettava davvero una splendida
giornata.
Ma
quelle condizioni climatiche favorevoli non avrebbero certo
facilitato le cose a quei tre, e lui non aveva alcuna intenzione di
andarci piano solo perché si sarebbe trovato davanti dei ragazzini
inesperti. D'altra parte, una delle qualità imprescindibili per uno
shinobi era la determinazione; la perseveranza che spingeva a non
soccombere anche dinanzi alle situazioni più difficili.
Kakashi
si fece una doccia e gustò una colazione leggera, dopodiché si
preparò per raggiungere i ragazzi al luogo dove sarebbe avvenuta la
prova.
Quando
rimosse i due campanellini dal muro scoccò uno sguardo alla
fotografia accanto alla finestra. Obito, Rin, Maestro. Oggi sarà
finalmente la volta buona? Posso permettermi il lusso di sperare?
I volti
sorridenti di Rin e Minato sembravano comunicargli un invito ad
essere fiducioso, mentre l'espressione ostinata di Obito pareva
indirizzargli un messaggio lievemente diverso: forse non sarebbe
stato facile e poteva darsi che, ad una prima impressione, Naruto
Uzumaki, Sasuke Uchiha e Sakura Haruno fossero del tutto inadatti a
diventare Genin e a far parte di un team. I primi due, in
particolare, erano diversi quanto il giorno e la notte e Kakashi era
perfettamente conscio del fatto che non si potessero soffrire. Ma
nonostante l'astio che in principio intercorreva anche fra loro, alla
fine Obito si era dimostrato il compagno e l'amico più leale che
potesse immaginare e Kakashi sapeva che, se fosse stato vivo, avrebbe
pienamente appoggiato il suo metodo di selezione dei giovani Genin.
In fondo, stava applicando ciò che Obito stesso gli aveva insegnato.
Evening
Kakashi entrò nella stanza sfilandosi
la giacca dell'uniforme e appendendo una busta di carta allo
schienale della sedia , poi si gettò sul letto a pancia in su,
sistemando un braccio dietro la testa per maggiore comodità. Sotto
la maschera si sarebbe potuta intravedere l'ombra di un sorriso e il
suo occhio destro brillava di una luce che sembrava scomparsa da
parecchi anni. Intorno a quell'iride grigia aveva ripreso a vibrare
qualcosa di simile ad uno slancio vitale.
Ce l'avevano fatta. Avevano superato
la prova!
L'uomo trasse dalla
tasca i due campanellini e prese a rigirarseli tra le dita, facendoli
tintinnare. Non si aspettava certo che i ragazzi riuscissero a
sottrarglieli come richiesto dalla consegna che aveva fornito (anche
se doveva ammettere di aver sottovalutato il giovane Uchiha) ma
l'esame non era stato proposto allo scopo di capire chi tra loro
fosse lo shinobi migliore. Il fine era testare la loro capacità di
fare gioco di squadra e unire le forze per raggiungere l'obiettivo
comune, e in quella prima parte della prova tutti e tre avevano
fallito miseramente. Ma sperare che Naruto, Sasuke e Sakura
decidessero spontaneamente di lavorare insieme fin dall'inizio
sarebbe stato ottimistico al limite dell'ingenuità. Sapeva fin dal
principio che sarebbe stato necessario il suo intervento per far
comprendere loro l'importanza del lavoro di squadra.
Aveva parlato ai
ragazzi del valore della collaborazione, della fiducia, dello spirito
di sacrificio che doveva accomunare i membri di un team e
dell'imprescindibilità dell'aiuto reciproco. Aveva cercato di
infondere alle sue parole quanta più passione riuscisse a richiamare
e alla fine, quando si era sentito piuttosto sicuro che il messaggio
fosse stato recepito da tutti, aveva lanciato l'esca, concedendo ai
ragazzi una seconda chance di superare il test nel pomeriggio e il
permesso di pranzare per recuperare le forze ma mettendo bene in
chiaro che passare anche solo un singolo boccone a Naruto, in
punizione per aver tentato di rubare i bentō,
avrebbe comportato la squalifica immediata di tutto il trio.
Una volta definita
quella condizione si era dileguato tra gli alberi, ben nascosto agli
occhi dei ragazzi ma abbastanza vicino da poterli osservare. Quello
era il momento della verità: in base alla scelta che avrebbero
compiuto, Kakashi avrebbe stabilito se promuoverli a Genin e
accettarli come suoi allievi o bocciarli e rimandarli all'accademia.
Non osava concedere
troppo margine alla speranza. Le probabilità che Sasuke e Sakura
disobbedissero alle sue regole e condividessero i loro bentō
con Naruto erano notevolmente basse, inoltre il profilo che aveva
tracciato di quei due ragazzini non collimava affatto con la
predisposizione a contravvenire a un divieto imposto da un superiore.
Erano entrambi studenti modello, primi della classe, portati in palmo
di mano dai maestri, massimo dei voti in quasi tutte le discipline:
quanto ci si poteva aspettare che rischiassero la bocciatura per il
bene di quella testa quadra del loro compagno?
Si sentiva un po'
ipocrita, in verità. Aveva speso tante belle parole riguardanti la
fiducia tra compagni e adesso era il primo a dubitare del loro
successo. I suoi amici e il suo maestro avevano creduto in lui
all'epoca, quando gli era stata affidata la sua prima missione in
qualità di Jonin in capo e anche se alla fine li aveva delusi,
questo non sminuiva il valore della fede che essi avevano riposto in
lui. Ciononostante, Kakashi si sentiva comunque restio a scommettere
sull'esito positivo di quella giornata. Temeva che lasciarsi
trasportare troppo in alto dalle fragili ali dell'ottimismo avrebbe
reso l'impatto della rovinosa caduta al suolo delle sue illusioni
ancora più devastante.
Obito, Rin, Maestro. Sto forse
sbagliando tutto? Dovrei credere in loro così come voi avete creduto
in me?
E a cosa era valsa
quella fiducia? Ne era stato degno? Era stato in grado di proteggere
le persone care nel momento del pericolo?
La risposta a
quelle domande era incisa sul monumento ai Caduti in missione, eretto
proprio in quello stesso campo di addestramento, e su una pietra
tombale del cimitero di Konoha.
Kakashi si era
lasciato andare contro il tronco dell'albero dietro di lui,
avvertendo la ben nota sensazione di sconfitta e impotenza che lo
coglieva ogniqualvolta rievocava le sue mancanze nei confronti degli
amici. Se solo non fosse stato così cieco... Se solo avesse capito
prima... Se solo avesse agito diversamente...
Ma a un tratto, la
penosa catena di tutti quei “se solo” era stata interrotta dalla
voce di Sasuke: “Su, prendine un po'” e Kakashi aveva creduto che
le sue orecchie lo stessero ingannando. Forse si era trattato solo di
uno scherzo del vento che frusciando tra le foglie e mescolandosi ai
suoi pensieri gli aveva fatto immaginare di aver udito quelle parole.
Ma quando si era voltato per sincerarsene aveva visto molto
chiaramente Sakura e Sasuke allungare bocconi del loro pasto a
Naruto, che mangiava con gratitudine. Kakashi aveva trattenuto il
respiro e si era sentito colmare di una gioia incredula. Stava
succedendo davvero!
Spinto da
quell'impulso, si era arrischiato a sporgersi un po' di più oltre il
suo nascondiglio e aveva sollevato il coprifronte che teneva sempre
calato sull'occhio sinistro, quasi volesse accertarsi tramite lo
Sharingan dell'evento eccezionale che si stava svolgendo davanti a
lui.
Obito, li hai visti?
E in quel momento
gli era parso di sentire le voci dei vecchi compagni e del Maestro
Minato che sussurravano il suo nome e tre paia di mani che premevano
gentilmente ma con decisione sulla sua schiena, spingendolo a uscire
allo scoperto e a raggiungere il trio.
Era stato difficile
piombare sui ragazzi come una furia e fingere di essere adirato con
loro per aver infranto la consegna quando tutto il suo animo era in
preda a un'euforia commossa che lo induceva a scoppiare in una risata
liberatoria.
- Vi avevo
avvertiti! Sapevate cosa sarebbe successo se non aveste rispettato le
mie regole! Avete qualcosa da dire a vostra discolpa? -
Naruto, Sasuke e
Sakura erano impalliditi nel trovarsi di fronte il Jonin con
quell'aria più minacciosa che mai e ovviamente non avevano fatto
caso al sorriso trattenuto a fatica che premeva per affiorare alle
sue labbra o al guizzo di orgoglio e soddisfazione che luccicava in
un punto imprecisato del suo occhio.
Tuttavia, sebbene
impietriti dallo spavento, quei tre avevano trovato la forza e il
coraggio per replicare e difendere il loro gesto, ricordandogli come
fosse stato proprio lui a invitarli ad unire le forze e ad agire come
una squadra piuttosto che individualmente. Avevano sostenuto il suo
sguardo con fermezza, pronti ad affrontare la sua collera, insieme.
E allora quella
facciata di sdegno si era dissolta e Kakashi aveva potuto finalmente
dare voce alla frase che ormai disperava di poter pronunciare: -
Siete promossi! -
La voglia di
scoppiare a ridere aveva preso ancora più spazio davanti alle
espressioni allibite e confuse dei suoi allievi, che lo guardavano
come se il loro maestro fosse impazzito... o viceversa.
Kakashi si crogiolò in quel ricordo,
accarezzandone la superficie come se temesse di mandarlo in frantumi
se vi si fosse soffermato troppo. Una parte di lui, ancora
imbrigliata dalla pessimistica rassegnazione nella quale aveva
vissuto gli ultimi anni, lo tratteneva dall'esultare; eppure era
tutto vero. Non si era trattato di un sogno o un'illusione: era
perfettamente sveglio, come gli comunicava il metallo fresco dei
campanelli che si stava pian piano scaldando a contatto con le sue
mani.
Il tempo della sua vita aveva infine
ricominciato a scorrere; il sangue gli pompava nelle vene con maggior
vigore, la cortina di nebbia grigia che aveva oppresso la sua mente
così a lungo si stava diradando e le catene di piombo che
avvolgevano il suo cuore avevano allentato la morsa, ritraendosi in
favore di una ritrovata scintilla di speranza, da troppo sopita.
Kakashi espirò lentamente, assaporando
quel tumulto di sensazioni vivificanti, poi si alzò dal letto e
riappese al muro il laccio con i due campanelli, che tintinnarono
un'ultima volta prima di tacere.
Trattenendo il fiato, immerse la mano
nella busta che aveva appeso allo schienale della sedia, estraendone
l'oggetto che vi era contenuto: si trattava di una semplice cornice
in legno all'interno della quale era stata inserita una fotografia
dai colori brillanti, scattata poche ore prima. L'immagine ritraeva
la formazione della neonata Squadra 7: Sakura sorrideva in primo
piano tra Naruto e Sasuke che si guardavano in cagnesco l'un l'altro
mentre un soddisfatto Kakashi torreggiava dietro di loro con le mani
posate sulle teste dei due ragazzi nel tentativo di fare da paciere e
di convincerli a guardare verso l'obbiettivo della macchina
fotografica.
Il Jonin sistemò la cornice accanto a
quella già presente sulla mensola dietro il letto e il profilo del
sorriso nascosto sotto la maschera si fece ancora più marcato:
eccole lì, la vecchia e la nuova Squadra 7. Da una parte il passato,
ormai scritto nero su bianco e immutabile; dall'altra la pagina
bianca del presente che recava in sé il seme del futuro e tutto
l'infinito potenziale dell'avvenire. A vederle vicine, chiunque
avrebbe potuto notare delle evidenti somiglianze; ma ora il ragazzino
che nella prima foto esibiva un atteggiamento annoiato, al limite
dell'insofferenza, era l'entusiasta Sensei che posava insieme ai suoi
allievi nella seconda.
No, non i suoi allievi. I suoi nuovi
compagni. E questa volta non avrebbe fallito. Questa volta li avrebbe
protetti ad ogni costo, in qualunque circostanza. Non avrebbe
permesso a nessuno di far loro del male. Non avrebbe lasciato che le
tragedie del passato si ripetessero.
Sapeva di non essere stato un buon
compagno per i suoi amici, ma forse ora gli si presentava l'occasione
di essere un buon Sensei per la nuova generazione e di riscattare gli
sbagli commessi. Forse il destino gli stava aprendo una nuova strada
per proseguire il suo cammino di espiazione.
Sì, quella che gli si stava offrendo
era una possibilità insperata di fare ammenda per tutte le volte in
cui aveva deluso le persone a cui teneva e rendere migliore il futuro
di Konoha.
Kakashi decise che avrebbe fatto di
tutto per non sprecarla. Lo doveva a suo padre, a Obito, a Rin, al
Maestro Minato, e anche a se stesso.
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