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Autore: Stria93    18/12/2020    1 recensioni
Zoom introspettivo in due parti sui pensieri di Kakashi rispetto alla formazione della nuova Squadra 7.
Dal testo del primo capitolo: "L'indomani li avrebbe messi alla prova e solo a quel punto avrebbe capito se quei tre si sarebbero rivelati l'ennesimo fallimento o piuttosto una preziosa opportunità di tramandare l'eredità del Quarto Hokage e di Obito a una nuova generazione di shinobi.
Il Terzo Hokage gli aveva assegnato quel compito e Kakashi avrebbe fatto il suo dovere, come sempre... ma alle sue condizioni. Non gli importava che gli altri lo considerassero troppo duro con le nuove reclute fresche di diploma, né che i maestri dell'accademia scuotessero la testa ogni volta che gli aspiranti Genin sottoposti al suo giudizio facevano ritorno in aula delusi e imbronciati: non avrebbe mai permesso che qualcuno incapace di collaborare con i propri compagni e di comprendere l'importanza dello spirito di squadra diventasse shinobi. Mai."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kakashi Hatake
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
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cap.2

The day after...




Morning





Kakashi sollevò la palpebra destra un minuto prima che la sveglia iniziasse a trillare. In realtà non ne aveva mai avuto bisogno: il suo orologio interno era sempre perfettamente puntuale... che poi lui decidesse deliberatamente di arrivare in ritardo agli appuntamenti era un altro paio di maniche.
Allungò un braccio dietro di sé e afferrò il piccolo congegno, disinnescando il meccanismo che entro una manciata di secondi l'avrebbe azionato. Le lancette, che dividevano il quadrante in due perfette metà, indicavano le 6 in punto.
Il Jonin rimise la sveglia al suo posto e si stiracchiò, ridacchiando all'idea dei suoi tre esaminandi che dovevano già trovarsi al campo di addestramento ad attenderlo da almeno un'ora, rigorosamente a stomaco vuoto, come si era premurato di raccomandare loro prima di congedarsi.
Scostò le coperte e si alzò dal letto, gettando un'occhiata alla finestra. Il chiarore e le tinte pastello del cielo sereno e sgombro da nubi promettevano una bella giornata di sole. L'uomo aprì le ante e inalò la brezza del primo mattino: l'alba portava con sé il profumo delicato di muschio e resina e la freschezza fragrante dell'umidità notturna si condensava in lingue di foschia che serpeggiavano tra le vie del villaggio. Sì, si prospettava davvero una splendida giornata.
Ma quelle condizioni climatiche favorevoli non avrebbero certo facilitato le cose a quei tre, e lui non aveva alcuna intenzione di andarci piano solo perché si sarebbe trovato davanti dei ragazzini inesperti. D'altra parte, una delle qualità imprescindibili per uno shinobi era la determinazione; la perseveranza che spingeva a non soccombere anche dinanzi alle situazioni più difficili.
Kakashi si fece una doccia e gustò una colazione leggera, dopodiché si preparò per raggiungere i ragazzi al luogo dove sarebbe avvenuta la prova.
Quando rimosse i due campanellini dal muro scoccò uno sguardo alla fotografia accanto alla finestra. Obito, Rin, Maestro. Oggi sarà finalmente la volta buona? Posso permettermi il lusso di sperare?
I volti sorridenti di Rin e Minato sembravano comunicargli un invito ad essere fiducioso, mentre l'espressione ostinata di Obito pareva indirizzargli un messaggio lievemente diverso: forse non sarebbe stato facile e poteva darsi che, ad una prima impressione, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha e Sakura Haruno fossero del tutto inadatti a diventare Genin e a far parte di un team. I primi due, in particolare, erano diversi quanto il giorno e la notte e Kakashi era perfettamente conscio del fatto che non si potessero soffrire. Ma nonostante l'astio che in principio intercorreva anche fra loro, alla fine Obito si era dimostrato il compagno e l'amico più leale che potesse immaginare e Kakashi sapeva che, se fosse stato vivo, avrebbe pienamente appoggiato il suo metodo di selezione dei giovani Genin. In fondo, stava applicando ciò che Obito stesso gli aveva insegnato.




Evening




Kakashi entrò nella stanza sfilandosi la giacca dell'uniforme e appendendo una busta di carta allo schienale della sedia , poi si gettò sul letto a pancia in su, sistemando un braccio dietro la testa per maggiore comodità. Sotto la maschera si sarebbe potuta intravedere l'ombra di un sorriso e il suo occhio destro brillava di una luce che sembrava scomparsa da parecchi anni. Intorno a quell'iride grigia aveva ripreso a vibrare qualcosa di simile ad uno slancio vitale.
Ce l'avevano fatta. Avevano superato la prova!
L'uomo trasse dalla tasca i due campanellini e prese a rigirarseli tra le dita, facendoli tintinnare. Non si aspettava certo che i ragazzi riuscissero a sottrarglieli come richiesto dalla consegna che aveva fornito (anche se doveva ammettere di aver sottovalutato il giovane Uchiha) ma l'esame non era stato proposto allo scopo di capire chi tra loro fosse lo shinobi migliore. Il fine era testare la loro capacità di fare gioco di squadra e unire le forze per raggiungere l'obiettivo comune, e in quella prima parte della prova tutti e tre avevano fallito miseramente. Ma sperare che Naruto, Sasuke e Sakura decidessero spontaneamente di lavorare insieme fin dall'inizio sarebbe stato ottimistico al limite dell'ingenuità. Sapeva fin dal principio che sarebbe stato necessario il suo intervento per far comprendere loro l'importanza del lavoro di squadra.
Aveva parlato ai ragazzi del valore della collaborazione, della fiducia, dello spirito di sacrificio che doveva accomunare i membri di un team e dell'imprescindibilità dell'aiuto reciproco. Aveva cercato di infondere alle sue parole quanta più passione riuscisse a richiamare e alla fine, quando si era sentito piuttosto sicuro che il messaggio fosse stato recepito da tutti, aveva lanciato l'esca, concedendo ai ragazzi una seconda chance di superare il test nel pomeriggio e il permesso di pranzare per recuperare le forze ma mettendo bene in chiaro che passare anche solo un singolo boccone a Naruto, in punizione per aver tentato di rubare i bentō, avrebbe comportato la squalifica immediata di tutto il trio.
Una volta definita quella condizione si era dileguato tra gli alberi, ben nascosto agli occhi dei ragazzi ma abbastanza vicino da poterli osservare. Quello era il momento della verità: in base alla scelta che avrebbero compiuto, Kakashi avrebbe stabilito se promuoverli a Genin e accettarli come suoi allievi o bocciarli e rimandarli all'accademia.
Non osava concedere troppo margine alla speranza. Le probabilità che Sasuke e Sakura disobbedissero alle sue regole e condividessero i loro bentō con Naruto erano notevolmente basse, inoltre il profilo che aveva tracciato di quei due ragazzini non collimava affatto con la predisposizione a contravvenire a un divieto imposto da un superiore. Erano entrambi studenti modello, primi della classe, portati in palmo di mano dai maestri, massimo dei voti in quasi tutte le discipline: quanto ci si poteva aspettare che rischiassero la bocciatura per il bene di quella testa quadra del loro compagno?
Si sentiva un po' ipocrita, in verità. Aveva speso tante belle parole riguardanti la fiducia tra compagni e adesso era il primo a dubitare del loro successo. I suoi amici e il suo maestro avevano creduto in lui all'epoca, quando gli era stata affidata la sua prima missione in qualità di Jonin in capo e anche se alla fine li aveva delusi, questo non sminuiva il valore della fede che essi avevano riposto in lui. Ciononostante, Kakashi si sentiva comunque restio a scommettere sull'esito positivo di quella giornata. Temeva che lasciarsi trasportare troppo in alto dalle fragili ali dell'ottimismo avrebbe reso l'impatto della rovinosa caduta al suolo delle sue illusioni ancora più devastante.
Obito, Rin, Maestro. Sto forse sbagliando tutto? Dovrei credere in loro così come voi avete creduto in me?
E a cosa era valsa quella fiducia? Ne era stato degno? Era stato in grado di proteggere le persone care nel momento del pericolo?
La risposta a quelle domande era incisa sul monumento ai Caduti in missione, eretto proprio in quello stesso campo di addestramento, e su una pietra tombale del cimitero di Konoha.
Kakashi si era lasciato andare contro il tronco dell'albero dietro di lui, avvertendo la ben nota sensazione di sconfitta e impotenza che lo coglieva ogniqualvolta rievocava le sue mancanze nei confronti degli amici. Se solo non fosse stato così cieco... Se solo avesse capito prima... Se solo avesse agito diversamente...
Ma a un tratto, la penosa catena di tutti quei “se solo” era stata interrotta dalla voce di Sasuke: “Su, prendine un po'” e Kakashi aveva creduto che le sue orecchie lo stessero ingannando. Forse si era trattato solo di uno scherzo del vento che frusciando tra le foglie e mescolandosi ai suoi pensieri gli aveva fatto immaginare di aver udito quelle parole. Ma quando si era voltato per sincerarsene aveva visto molto chiaramente Sakura e Sasuke allungare bocconi del loro pasto a Naruto, che mangiava con gratitudine. Kakashi aveva trattenuto il respiro e si era sentito colmare di una gioia incredula. Stava succedendo davvero!
Spinto da quell'impulso, si era arrischiato a sporgersi un po' di più oltre il suo nascondiglio e aveva sollevato il coprifronte che teneva sempre calato sull'occhio sinistro, quasi volesse accertarsi tramite lo Sharingan dell'evento eccezionale che si stava svolgendo davanti a lui.
Obito, li hai visti?
E in quel momento gli era parso di sentire le voci dei vecchi compagni e del Maestro Minato che sussurravano il suo nome e tre paia di mani che premevano gentilmente ma con decisione sulla sua schiena, spingendolo a uscire allo scoperto e a raggiungere il trio.
Era stato difficile piombare sui ragazzi come una furia e fingere di essere adirato con loro per aver infranto la consegna quando tutto il suo animo era in preda a un'euforia commossa che lo induceva a scoppiare in una risata liberatoria.
- Vi avevo avvertiti! Sapevate cosa sarebbe successo se non aveste rispettato le mie regole! Avete qualcosa da dire a vostra discolpa? -
Naruto, Sasuke e Sakura erano impalliditi nel trovarsi di fronte il Jonin con quell'aria più minacciosa che mai e ovviamente non avevano fatto caso al sorriso trattenuto a fatica che premeva per affiorare alle sue labbra o al guizzo di orgoglio e soddisfazione che luccicava in un punto imprecisato del suo occhio.
Tuttavia, sebbene impietriti dallo spavento, quei tre avevano trovato la forza e il coraggio per replicare e difendere il loro gesto, ricordandogli come fosse stato proprio lui a invitarli ad unire le forze e ad agire come una squadra piuttosto che individualmente. Avevano sostenuto il suo sguardo con fermezza, pronti ad affrontare la sua collera, insieme.
E allora quella facciata di sdegno si era dissolta e Kakashi aveva potuto finalmente dare voce alla frase che ormai disperava di poter pronunciare: - Siete promossi! -
La voglia di scoppiare a ridere aveva preso ancora più spazio davanti alle espressioni allibite e confuse dei suoi allievi, che lo guardavano come se il loro maestro fosse impazzito... o viceversa.
Kakashi si crogiolò in quel ricordo, accarezzandone la superficie come se temesse di mandarlo in frantumi se vi si fosse soffermato troppo. Una parte di lui, ancora imbrigliata dalla pessimistica rassegnazione nella quale aveva vissuto gli ultimi anni, lo tratteneva dall'esultare; eppure era tutto vero. Non si era trattato di un sogno o un'illusione: era perfettamente sveglio, come gli comunicava il metallo fresco dei campanelli che si stava pian piano scaldando a contatto con le sue mani.
Il tempo della sua vita aveva infine ricominciato a scorrere; il sangue gli pompava nelle vene con maggior vigore, la cortina di nebbia grigia che aveva oppresso la sua mente così a lungo si stava diradando e le catene di piombo che avvolgevano il suo cuore avevano allentato la morsa, ritraendosi in favore di una ritrovata scintilla di speranza, da troppo sopita.
Kakashi espirò lentamente, assaporando quel tumulto di sensazioni vivificanti, poi si alzò dal letto e riappese al muro il laccio con i due campanelli, che tintinnarono un'ultima volta prima di tacere.
Trattenendo il fiato, immerse la mano nella busta che aveva appeso allo schienale della sedia, estraendone l'oggetto che vi era contenuto: si trattava di una semplice cornice in legno all'interno della quale era stata inserita una fotografia dai colori brillanti, scattata poche ore prima. L'immagine ritraeva la formazione della neonata Squadra 7: Sakura sorrideva in primo piano tra Naruto e Sasuke che si guardavano in cagnesco l'un l'altro mentre un soddisfatto Kakashi torreggiava dietro di loro con le mani posate sulle teste dei due ragazzi nel tentativo di fare da paciere e di convincerli a guardare verso l'obbiettivo della macchina fotografica.
Il Jonin sistemò la cornice accanto a quella già presente sulla mensola dietro il letto e il profilo del sorriso nascosto sotto la maschera si fece ancora più marcato: eccole lì, la vecchia e la nuova Squadra 7. Da una parte il passato, ormai scritto nero su bianco e immutabile; dall'altra la pagina bianca del presente che recava in sé il seme del futuro e tutto l'infinito potenziale dell'avvenire. A vederle vicine, chiunque avrebbe potuto notare delle evidenti somiglianze; ma ora il ragazzino che nella prima foto esibiva un atteggiamento annoiato, al limite dell'insofferenza, era l'entusiasta Sensei che posava insieme ai suoi allievi nella seconda.
No, non i suoi allievi. I suoi nuovi compagni. E questa volta non avrebbe fallito. Questa volta li avrebbe protetti ad ogni costo, in qualunque circostanza. Non avrebbe permesso a nessuno di far loro del male. Non avrebbe lasciato che le tragedie del passato si ripetessero.
Sapeva di non essere stato un buon compagno per i suoi amici, ma forse ora gli si presentava l'occasione di essere un buon Sensei per la nuova generazione e di riscattare gli sbagli commessi. Forse il destino gli stava aprendo una nuova strada per proseguire il suo cammino di espiazione.
Sì, quella che gli si stava offrendo era una possibilità insperata di fare ammenda per tutte le volte in cui aveva deluso le persone a cui teneva e rendere migliore il futuro di Konoha.
Kakashi decise che avrebbe fatto di tutto per non sprecarla. Lo doveva a suo padre, a Obito, a Rin, al Maestro Minato, e anche a se stesso.



  
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