ZAM
Con
un’unica vibrazione la spada tranciò di netto il
braccio della
creatura, che abbaiò agonizzante.
-Muori
bestia!- Ma quella invece la bloccò a terra col proprio
corpo,
cercando di strapparle la faccia a morsi; aveva la serie di denti
più
aguzzi che avesse mai visto, e il suo alito era qualcosa di
indescrivibilmente nauseabondo. Piuttosto che provare a difendersi,
le offrì la spalla dove si chiusero le sue fauci, senza
però
penetrare l’armatura; in questo modo riuscì a
rotolare e a
mettersi sopra di lei e quindi, alzando il ferro, a darle il colpo di
grazia. L’obbrobrio si dibatté qualche secondo, e
poi giacque
immobile.
Leona
si rimise dritta e fece per raccogliere lo scudo, quando
sentì un
rantolio provenire poco più in profondità della
caverna, dove
pensava di aver già finito. Lo scudo roteò in
aria come un disco e
spaccò la calotta cranica del mostro sopravvissuto, sancendo
la fine
della battaglia.
L’Incarnazione
del Sole si asciugò la fronte con il polso; odiava
combattere di
notte, quando era più debole, ma non aveva avuto altra
scelta.
Almeno ora il villaggio sarebbe stato al sicuro.
“Ho
già visto questi abomini, nei Sacri Testi. Non immaginavo di
trovarli qui.”.
Sentì
un movimento alle proprie spalle, e per un secondo pensò di
dover
combattere ancora; ma era solo uno dei cittadini che sporgeva la
testa incauta dall’entrata della grotta, balbettando parole
nella
sua lingua.
-Non
ti capisco.- Gli disse in Velariano: -Non dovresti venire qui,
è
pericoloso.- ah, ora che lo guardava meglio era il fratello di una
delle vittime. Fratello o parente, non conosceva bene quella lingua
eretica. Forse in cuor suo aveva covato qualche speranza, e ora le
toccava dargli la triste notizia. Scosse il capo, e quello si
avvilì
e se ne andò correndo.
“Gli
Ioniani sono codardi, abituati a una stolida pace con le forze
maligne a cui soggiaciono.” Pensò tra
sé e sé. Uscita dalla
grotta cavalcò fino al villaggio, dove il capo del luogo e
il
traduttore la aspettavano apprensivi. Spiegò che i mostri
erano
stati uccisi, ma non escludeva che ne sarebbero potuti arrivare
altri. L’anziana annuì gravemente e la
ringraziò di cuore,
offrendole la ricompensa che sin dall’inizio aveva rifiutato.
-Non
sta bene combattere per proprio tornaconto.- Ripeté con
fermezza.
Poi, guardandosi intorno, notò l’assenza del tipo
di prima, e
domandò loro come mai non li avesse già informati
della sua
vittoria; il traduttore le rispose con sgomento che non lo avevano
visto per tutta la sera.
Senza
aggiungere altro Leona tornò nel bosco, trovando a fatica le
tracce
dell’uomo. Le seguì in mezzo alle frasche, fino a
scoprire ciò
che aveva sospettato. Almeno non aveva ancora trovato il coraggio, ed
era fermo in piedi con il cappio intorno al collo. Piangeva, le sue
gambe tremavano, strabuzzava le palpebre. Leona alzò la
spada e con
un raggio solare tagliò la corda, poi colpì
l’uomo con un pugno,
facendolo cadere. Quello la guardò senza capire.
-Disonori
la sua morte con la tua codardia! Guarda cosa ti ha spinto a fare il
dolore!- Stava per aggiungere altro, ma dopo quest’ultima
parte
incespicò. Vide la disperazione e il lutto nel volto
dell’uomo e
lasciò perdere.
-Tornatene
a casa.- Disse in quel poco di Ioniano che aveva deciso di imparare.
Lasciò
quel posto la notte stessa.
Tutto
quel tempo a Ionia e ancora nessun risultato, Diana sembrava lontana
come lo era sempre stata. Ma dappertutto c’era bisogno di
lei, ed
era costretta ad intervenire.
“Questi
popoli vivono nell’eresia, però i mostri che li
minacciano sono
ancora più pericolosi.” Si diceva. Eppure,
nonostante il tempo
passato nelle isole, non si capacitava ancora di come fosse possibile
che esistessero così tante persone in contrasto con le Sacre
Scritture. Un conto era Shurima, ma gli Ioniani? Avrebbe dovuto
eliminarli, come ogni forma di devianza; d’altra parte erano
bisognosi di aiuto, del suo aiuto. Non era forse suo dovere
proteggere i bisognosi? Non era suo dovere guidare il popolo verso la
luce del Sole?
-Ah!-
Spronò il cavallo per allontanare quei pensieri.
Pregò il Sole di
guidarla, e l’essere antico dentro di lei rispose. Il suo
umore
peggiorò.
“Io
sono il Sole che illumina gli innocenti…”.
Un
giorno però, mentre percorreva la strada dentro
l’ennesimo bosco,
senza alcun preavviso, il cavallo rallentò fino a fermarsi;
e non ne
voleva sapere di ripartire, anche se non sembrava stanco o ferito.
Leona scese riflettendo sul da farsi, quando una voce non familiare
la chiamò: -Yo! Leona, giusto?-.
Si
voltò di scatto e vide, appollaiata sul ramo, una ragazza
dal corpo
largamente tatuato e con una bandana verde davanti alla bocca. Le
ricordava vagamente Kayn, probabilmente era una guerriera della sua
stessa risma. Leona sguainò la spada, ma quella
alzò le mani:
-Calma, calma, non serve agitarsi. Se ti avessi voluta morta, avresti
un pugnale in mezzo alle scapole.-.
-Parli
con arroganza per essere una che cela la bocca. Chi sei?-.
-Sono
una tua ammiratrice. Sul serio, ho sentito parlare di te, dicono che
hai preso a calci Kayn; eh, mi sarebbe piaciuto vederlo!-.
-Cosa
hai fatto al mio cavallo?- Le chiese senza abbassare la guardia.
-Mh?
Oh che strana coincidenza, una volta era mio, deve essersi fermato
per quello.-.
Già,
strana coincidenza. Quei ninja erano famosi per
essere scaltri
e silenziosi, probabilmente chi gliel’aveva fornito era un
suo
alleato.
-Non
ti preoccupare, sono sicura che con qualche carota tornerà
in
marcia.-.
-Sostieni
di essere nemica di Kayn, ma non mi sembri diversa da lui.-.
-Prego?-.
-Hai
il suo stesso modo di fare. La stessa superbia, la stessa
spudoratezza. Immagino che anche tu sia legata alla magia impura di
questa terra…-.
Quella
girò gli occhi: -Oh, allora sei davvero una fanatica! Mi
ricordi il
mio vecchio maestro! Sono Akali comunque, e sì, sono
un’assassina
nata, e sì, spesso devo fare i conti con la magia di Ionia.
Ma, da
professionista a professionista, lascia che ti dica una cosa: non
è
cattiva, è solo molto selvaggia. Dovresti darle qualche
possibilità.-.
-Da
quello che ho visto tende a fare molti danni.-.
-Dicono
lo stesso di te, per esempio che dove passi il cielo si dimentichi di
piovere per un bel po’.-.
Leona
socchiuse le palpebre: se non fosse stata sola, cosa di cui era
assolutamente sicura, avrebbe pensato che stava cercando di farla
cadere in un’imboscata stuzzicandola.
-Ehi,
non ti giudico mica, dico solo che magari dovresti avere una mente
più aperta. Voglio dire, lottiamo entrambe per il bene di
tutti, è
questo quello che conta no?-.
-Io
sto cercando una persona.-.
-Così
ho sentito, e infatti volevo giusto darti una dritta a riguardo.-.
Gli
occhi di Leona luccicarono: -Parla!-.
Da
sotto la maschera immaginò che Akali stesse sorridendo: -A
sudest
dell’isola su cui ci troviamo ora dicono di aver visto una
guerriera dai capelli d’argento che si muove solo di notte.
Potrebbe essere quella che cerchi…-.
-Grazie
dell’informazione. Ora, se vuoi scusarmi…-.
-Aspetta
un momento. Già che sei lì,
nell’isoletta lì vicino sembra che
ci siano dei problemi. Il mio vecchio maestro ha mandato alcuni dei
suoi uomini a controllare, ma non si sono fatti vedere, e sia io che
lui abbiamo altro per le mani. Forse ti interessa dargli
un’occhiata…-.
-Ti
ho già detto che non sono qui per questo.-.
-Così
hai detto, però mi sembri il genere di persona che non
ignorerà la
mia richiesta. Tanto perché tu lo sappia,
quell’isola è abitata,
e se dovrò andarci io altre persone su Ionia rimarranno
senza
difese. Capisci quello che intendo?-.
-Puoi
farmi il favore di sparire dalla mia vista, Akali?-.
-Certo.-
La donna si mise in piedi sul ramo e mise una mano in tasca: -Ah, ho
qui un piccolo regalino per te.- con un gesto secco piantò
un kunai,
così si chiamavano quegli strani coltelli che aveva visto in
giro,
ai suoi piedi.
-So
che non li usi, ma potrebbe tornarti utile come stuzzicadenti. Dalla
tua fan numero uno!- Detto questo si dileguò tra gli alberi.
Leona
rimase immobile per qualche secondo, poi si piegò e raccolse
l’arma.
I suoi occhi vi si specchiarono, e vide l’ardore del Sole
bruciare
in essi.
-Tsch!-.
Viaggiò
giorno e notte, senza fermarsi se non per il minimo indispensabile.
Alla fine i suoi piedi toccarono la sabbia della spiaggia davanti
l’isola. Vide una barca incrinata poco lontano
dall’acqua e, dato
che gliene serviva una, vi si diresse. Dentro c’era un corpo
martoriato, un giovane uomo.
“Questi
segni… impossibile!”.
Adagiò
il cadavere sulla spiaggia e spinse la barca nel mare; fortunatamente
era ancora integra. Prima di salire, ebbe un attimo di esitazione.
“L’altra
volta avevo i soldati con me, se è quello che penso.
Sarò in grado
di…”.
“No,
non esiterò. Sono il Sole che brucia i malvagi.”
Montò sulla
barca e viaggiò fino all’isola, ritrovandosi
davanti a ciò che
temeva.
-Credevo
di averla uccisa.- Commentò tra sé e
sé: -Invece ha messo radice
qui. Stavolta non fuggirà.-.
Si
mise in marcia, notando subito delle piante sbocciare e rivolgersi
verso di lei. Leona roteò la spada con la mano e si
lanciò
all’attacco, tranciandole con un gesto ciascuno.
“Bene,
uh?” Si mise una mano sulla spalla, estraendo una spina che
aveva
intaccato la maglia.
-Mi
sono fatta colpire.- Constatò; poi si rivolse verso
l’interno
dell’isola.
-Il
suo nucleo deve essere lì in mezzo. Meglio non perdere
tempo.-.
Si
addentrò nella foresta. Vi regnava il più
assoluto silenzio, tutto
in quell’isola era stato divorato. Niente uccelli che
cinguettavano, niente scoiattoli sui rami, niente…
-Chi
è là?- Si voltò allarmata: con la coda
dell’occhio aveva visto
una chioma rossa alle sue spalle. Nulla. Ma sapeva di essere stata
individuata; e infatti, dopo qualche secondo, il silenzio si ruppe in
una moltitudine di rumori tutto intorno a lei: fibre vegetali che si
allungavano, zampe felpate tra le foglie, passi molto più
pesanti e
lenti.
-Sentirete
la gloria del Sole!-.
La
battaglia cominciò. Linfa, sangue, carni, Leona
avanzò dipingendo
l’aria con la spada, senza un attimo di tregua. Vide il Sole
tramontare e la Luna sorgere, ma anche se le forze le vennero meno
continuò a combattere, perché l’alba
sarebbe sorta ancora: e così
fu. Un altro zenit, un altro tramonto, un’altra alba e la sua
marcia progrediva con lentezza. Sentiva il fastidio della sete e i
primi morsi della fame, e quelle bestie vegetali non sembravano
commestibili. Le provò comunque.
“…”.
Alla
terza alba in quel luogo, però, fu costretta a fermarsi. I
fiori
erano enormi e le bestie che controllavano si erano ammassati in
amorfi mostruosi.
SBENG
SBENG SBENG Percuotendo lo scudo con l’impugnatura della
spada li
invitò a farsi sotto.
-Non
ci saranno altre albe per voi!- Si batté valorosamente, ma i
nemici
non finivano più. Ad un certo punto, un ramo verde appuntito
come
una lancia le passò vicino al viso, e si rese conto di
averlo visto
arrivare solo all’ultimo secondo.
“La
prossima volta… maledizione!”
Indietreggiò di qualche passo, poi
si voltò e iniziò a correre. Il cuore le
martellava in petto e i
suoi piedi si muovevano da soli, calpestando il terreno senza
criterio di prudenza.
“Cosa?
Questa… questa che sento è paura?”.
“Io
sono spaventata? Io, un guerriero dei Solari?”.
-Ora
hai dei dubbi sul tuo credo?-.
-Mai!-.
Ed
ecco, la vide tra i cespugli. Una giovane donna pallida dalle labbra
nere. Diana?!
Continuò
a correre.
-Per
tutti gli Yordle!-.
Un
attimo, ma quella voce… sbirciò alle proprie
spalle, e al posto di
Diana vide un’altra donna che aveva già
incontrato. E che non
avrebbe voluto rivedere.
-Non
mi aspettavo… di vederti… scappare!- Ora la
inseguiva pure.
“Io
non scappo. Il Sole è con me. Non sto scappando.”.
-È
una ritirata… temporanea! Perché sei…
qui?-.
-Per
il tuo… stesso motivo!-.
-Non
mi serve il tuo- Si interruppe vedendo delle spine sfrecciarle vicino
agli occhi.
-Allora
che ne dici… se al tre… ci giriamo e li
affrontiamo?-.
Se
c’era una cosa che aveva capito di lei, era che una volta che
si
metteva in testa un’idea era impossibile farla desistere.
-Cerca
di non… starmi tra i piedi! Uno…-.
-Due…-
Disse Morgana.
-Tre!-.
Per
quello che poté vedere nei pochi attimi di tregua, e per
quanto le
seccasse ammetterlo, Morgana combatteva più che bene. Le
arti oscure
che padroneggiava erano senza dubbio indegne, ma altamente
efficienti. Se fosse stata anche lei una guerriera
dell’oscurità,
ne sarebbe stata ammirata.
“Ma
che vado dicendo?”.
Sentì
un ginocchio venir meno e dovette appoggiarsi con una mano a terra.
Ecco perché aveva evitato di fermarsi.
-Ti
hanno colpita?- Le domandò Morgana. Perfetto,
l’ultima cosa che
voleva era mostrarsi debole di fronte a lei.
-Sto
bene. Solo un attimo di spossatezza.-.
La
mise al corrente di tutto, e poi proseguirono. La stanchezza doveva
averle sciolto la lingua.
“Non
dovrei abbassare così la guardia con lei.”.
-Hai
fame?-.
-Sto
bene.- Rispose secca. L’altra si mise a mangiare del pane.
Tanto
non aveva fame.
-Gnam.
E hai più trovato… Diana?-.
Il
suo stomaco si stava ritorcendo: -…non ancora.-.
Un
fastidio dentro l’orecchio le diceva di dover rispondere,
come
voleva la cortesia.
-Tu
hai trovato tua sorella?-.
-Non
ho intenzione di incontrarla.- Udì la risposta stizzita.
“Allora
sei più cieca di quanto pensassi.”.
Comunque,
data l’insistenza, mangiò una pagnotta.
Da
qualche parte davanti a loro, qualcosa riprese a muoversi. Leona si
mise in posa d’attacco, ma Morgana le si piazzò
davanti.
-Tu
pensa a riposarti per quando saremo arrivate. Di questi mi occupo
io.-.
-Morgana…-.
L’occhio
con cui la guardò trasudava potere oscuro. Che situazione
paradossale. Ma purtroppo le gambe la imploravano per una tregua.
Si
sedette decisa a tenere lo sguardo fisso su Morgana, ma come chiuse
gli occhi si trovò in un altro luogo.
-Non
tornerò indietro, Leona! Vieni con me! Cerchiamo insieme la
verità!-.
“Diana…”
Era di nuovo sulla cima del Monte Targon. Ricordava quel giorno, e
ricordava quello che sarebbe successo dopo; e per quanto provasse a
muoversi, non controllava il proprio corpo o la propria voce.
-Tornerai
con me e ti sottoporrai al sacro giudizio dei sacerdoti. Abbandonerai
le tue idee eretiche una volta per tutte!-.
“Non
ti ascolterà mai.”.
Diana
digrignò i denti: -Ti supplico!- disse, e la mano
già premeva sulla
sciabola: -Non costringermi a farlo!-.
-Se
hai intenzione di combattere, sappi che non potrai più
tornare
indietro.-.
Poi
vide degli scatti, come lampi: il volto infuriato di Diana, le due
lame che si scontravano, e infine la sciabola lunare sul suo collo.
Diana
la guardava con occhi imperscrutabili e poi aprì la bocca:
-Ehi.-.
Leona
sbarrò
le palpebre e
Morgana fece un
salto indietro. Tutto intorno a lei c’erano i resti della
battaglia.
Leona
si strinse una mano in fronte: aveva completamente perso conoscenza!
Che… patetica!
-Ah,
allora anche i prodi guerrieri della luce crollano dal sonno!-.
-Non
dire assurdità.
Mh?- Morgana
aveva allungato
con
disinvoltura
una mano sui suoi capelli, estraendone una foglia.
Calò
un silenzio
imbarazzato.
-Stiamo
perdendo tempo.-.
-Già.-.
Il
nucleo era vicino e la strada praticamente spianata; nonostante non
si sentisse particolarmente riposata, arrivarono senza troppi
problemi.
-Ma
questo è…- Morgana era visibilmente senza parole,
non doveva aver
mai visto uno spettacolo simile. Beh, non poteva biasimarla.
Un
intricato reticolo di rovi e fiori dentro a un cratere di una decina
di metri di raggio, da cui traboccavano liane e radici che si
diramavano in tutte le direzioni, come vene. Quasi coperti dalla
vegetazione c’erano dei cadaveri: evidentemente qualcuno
(forse i
compagni di Akali) era riuscito ad arrivare fin lì, ma era
rimasto
sopraffatto a un passo dalla vittoria. O forse era stato manipolato
fin dall’inizio.
-…Mi
ci vorrà del tempo.- Commentò Morgana.
-No,
ci penso io. Avrò bisogno di qualche minuto per richiamare
il potere
del Sole e dovrò colpire lì in mezzo.- Disse
indicando il centro.
Morgana
sembrò voler obbiettare, ma non aveva valide ragioni per
farlo.
-Ah!-.
Qualcosa
si avvinghiò attorno al suo collo, qualcosa di stretto e
pieno di
spine; istintivamente cercò di liberarsi con una mano, ma la
prese
si fece più stretta. Al suo fianco, Morgana stava subendo lo
stretto
trattamento.
-Chi
vaga nel mio giardino?- Chiese una roca voce femminile alle loro
spalle.
“Finalmente
si è fatta vedere!” Mentre si voltava
tagliò la frusta con un
colpo di spada, e poi gliela puntò contro. La donna dalla
chioma
rossa alzò un sopracciglio. Un attimo dopo la sua testa
cadeva al
suolo, ai piedi di Leona.
-Non
si ricordava di me?-.
-Leona!-
Morgana era ancora in trappola.
“Mal-”
Si tuffò all’indietro, evitando per un pelo una
spina diretta al
suo viso. Dal collo mozzato uscì un ramo verde che rimise il
cranio
al suo posto.
-Io
mi ricordo di ogni mia preda.-.
Leona
tagliò anche la frusta di Morgana, la cui
estremità monca guizzò
in aria come un serpente per poi ritirarsi nel polso di Zyra, la Dama
dei Rovi.
-Allora
ti ricordi di come stai per morire.-.
-Oh!
La mia preda si crede-
-Soffri!-
Il terreno sotto i piedi di Zyra avvizzì fino a diventare
viola, ma
lei fu pronta ad allontanarsi; poi mise le mani a terra e: -Fruste
rampicanti!- dei rampicanti strisciarono verso di loro, legando le
gambe di Leona. Di fianco a lei, sentì delle piante
sbocciare, e
sapeva che sarebbero state grandi come quelle di prima.
Una
dopo l’altra, però, sentì le piante
gemere e afflosciarsi.
Morgana, circondata da un’aura oscura, le si avvicinava
tenendo le
braccia spalancate e il mento basso, con un’espressione di
furia in
volto che non le aveva mai visto prima.
-La
terra è pregna del dolore di quelli che hai ucciso! La
pagherai
cara!-.
-Tu
sarai un buon concime.-.
Leona
si liberò dei rampicanti e vide che l’attenzione
di Zyra era
interamente su Morgana. Avrebbe potuto approfittarne ma la
priorità
era distruggere il bulbo. E poi non era più il suo scontro.
Si
posizionò ai margini del cratere e guardò il
cielo. Il Sole era
quasi allo zenit, ma solo in quel preciso momento avrebbe colpito.
Intanto poteva osservare la battaglia.
Morgana
aveva un controllo del territorio impressionante: sembrava sapere in
anticipo dove sarebbero cresciute le piante, e dove mettere i piedi
per non inciampare; non solo, ma la magia con cui rinsecchiva la
terra era particolarmente efficace contro gli
“amici” di Zyra. La
donna-pianta restava impassibile, ma aveva capito di essere davanti
ad un suo nemico naturale.
No,
non era solo quello. Ora che poteva concentrarsi su di lei, Leona non
aveva dubbi: Morgana aveva affrontato molti più scontri di
lei.
Ripensò a quando, ancora convalescente, le aveva detto di
non voler
essere la causa della sua morte; allora l’aveva derisa,
adesso
invece iniziava a dubitare che fosse un bluff.
Il
Sole l’avvertì di essere pronto. Leona
alzò il pungo e poi lo
abbatté a terra; dal cielo un unico, grande raggio solare
investì
il cratere, polverizzando il suo contenuto. Per un secondo le
sembrò
di essere dentro al Sole stesso. Fu magnifico.
-No!!!-
Strillò Zyra, un attimo prima che la catena oscura si
staccasse dal
suo petto e che lei cadesse riversa. Mentre Leona si rialzava,
Morgana si voltò verso di lei, ma non riuscì a
vederla in viso.
Invece, vide il terreno avvicinarsi a gran velocità; chiuse
gli
occhi e non sentì nemmeno l’impatto.
…
Quando
li riaprì, era seduta con le gambe divaricate su qualcosa
che si
alzava e abbassava ritmicamente. Un cavallo. Il suo cavallo. Al suo
fianco ce n’era un altro con sopra un corpo avvolto in un
telo.
Davanti a loro camminava Morgana, tenendo le briglie; per un secondo
non l’aveva riconosciuta, tanto era diversa dalla naufraga
che
aveva incontrato: capelli alla lunghezza delle spalle, abito elegante
con tanto di guanti, perfino la camminata era più elegante.
Aveva
ancora l’armatura addosso, e le armi…
c’erano. Non era legata e
nemmeno ferita.
-Avrei
potuto attaccarti alle spalle.-.
-Sempre
di buon umore vedo.-.
Leona
si guardò intorno senza riconoscere la strada su cui si
trovava,
quindi chissà dove stavano andando con il cadavere. Oh,
ecco,
stavano per entrare in un villaggio.
Una
donna avanti con gli anni andò loro incontro, fermandosi
davanti a
Morgana e parlando in uno Ioniano rapido. Il suo sguardo si spostava
sul corpo, su cui però non osava soffermarsi. Morgana
parlò piano,
con tono afflitto. La donna cadde in ginocchio e scoppiò in
lacrime.
-Aspettami
qui.- Le disse in Velariano con la voce distorta dalla commozione.
Leona guardò intensamente prima lei e poi la donna.
-Va
bene.-.
Il
sole stava tramontando quando entrò nel villaggio, ed era
quasi
sparito dall’orizzonte quando uscì.
-Lei
chi era?-.
-Era
sua madre. La sua…- Morgana rimontò in sella: -Emai.
Lui
era il suo Erzai, suo figlio.-.
-Capisco.-
Non proprio, non le aveva chiesto una lezione di lingua; ma non
volé
sfigurare: -E invece fratello è…-
Ripensò alla parola che aveva
sentito al villaggio dei mostri, cercando di ripeterla. Con scarsi
risultati.
-No,
fratello è Anar. Quello che hai detto
è “marito”.-.
“…”.
-Che
c’è?-.
-Nulla
di importante.-.
Morgana
la guardò come in attesa di qualcosa, poi prese la parola:
-Bene,
allora… alla prossima immagino.-.
-Aspetta.-.
-Perché?-.
“Perché?”.
-Voglio…
dire…- Quello che aveva detto ovviamente. Allora,
arricciando le
labbra: -Devo ancora decidere cosa farne di te, pertanto desidero che
tu mi tenga compagnia stanotte.-.
-Ah…
va bene, non mi lasci molta scelta.- Sogghignò lei, poi
alzò il
braccio verso il villaggio: -Vuoi seguirmi?-.
Poco
dopo, Leona era seduta su un letto, meditando se togliere o meno
l’armatura; davanti a lei, Morgana si sporcava le labbra di
nero
con uno strano bastoncino, e non le sfuggì lo sguardo
stranito con
cui la osservava.
-Non
sei una che si trucca spesso, immagino.-.
-Lascio
che sia il fango a sporcarmi il viso.-.
-E
ti rilassi ancora meno spesso. Mmm… mi chiedo
se…- Si chinò
verso di lei, invadendo il suo spazio.
-Che
stai facendo?- Chiese ritraendosi. Perché la stava puntando
con il
suo bastoncino? Batté la nuca sulla parete, e Morgana
sorrise
malignamente. Sentì una punta fredda schiacciarle le labbra
e
muoversi a cerchio. La Dama Velata si ritrasse, ammirando il suo
capolavoro, e appoggiò il bastoncino sul suo comodino. Leona
si
specchiò sullo scudo.
-Non
è il mio colore.-.
-Quindi
hai un colore!-.
Per
tutta risposta si strofinò il polso sulla bocca, fino a
ripulirla.
Sbuffando, Morgana si sedette sul proprio letto.
-Sei
sempre così occupata a salvare il mondo che non riesci mai a
godertelo.-.
-Se
mi fermo a godermelo non posso proteggerlo.-.
-Uff!
Non proverò nemmeno a dissuaderti dal tuo ego spropositato,
ma
vorrei farti notare che anche se ti sdrai…- Si
sdraiò: -…per un
po’, il mondo non finirà.-.
Leona
non disse nulla, ma la imitò. Ammetteva che avere un cuscino
sotto
la testa avesse i suoi vantaggi.
-Perché
lo fai?-.
-Non
sono una che si dà per vinta.-.
-Intendevo
dire che ho capito che credi di essere nel giusto. Ma cosa ti spinge
a farlo?-.
-Ah…-
Ecco, si era compiaciuta: -Il mondo è pieno di persone come
me:
pensano di fare del bene e invece finiscono solo per combinare
casini. Ma qualche volta qualcosa di buono la facciamo. Non
è un
motivo sufficiente?-.
-Come
pensavo. Sei priva di una guida, brancoli nel buio come una bambina.
Vedi i riflessi delle stelle nello stagno e pensi che siano quelle
vere.-.
-Per
un attimo ho pensato che volessi farmi un complimento, meno male,
iniziavo a preoccuparmi! Non seguo una guida dettata dagli altri,
preferisco essere io a giudicare.-.
-Mmm.
Cerchi risposte complesse perché pensi che il mondo ne abbia
bisogno; però, se perdiamo tempo a giudicare, perdiamo la
capacità
di discernere il bene dal male. Questo mondo ha bisogno di risposte
semplici.-.
Morgana
si appoggiò con il gomito al materasso per alzare la testa:
-Ne sei
davvero convinta?-.
La
domanda era priva di malizia, ciononostante la lasciò
confusa. Lo
dicevano le Scritture, quindi era vero. Si girò sul lato,
dando la
schiena alla compagna: -Certo che sì. In ogni caso, ammetto
che i
tuoi metodi siano tollerabili in talune circostanze.-.
-Ohh!-
Esclamò teatralmente Morgana: -Mi si scioglie il cuore!
Ascolta…-
era diventata improvvisamente seria: -…ho esagerato
l’altra
volta, mi dispiace.-.
Le
sue scuse non erano sincere, non del tutto almeno; come non lo
sarebbero state se le avesse dette lei. Tuttavia Leona ammirava gli
sforzi di umiltà.
-Anch’io
ho lasciato che la rabbia mi dominasse. Dormiamo adesso.- Chiuse il
discorso e gli occhi. Per qualche motivo aveva la sensazione che
Morgana stesse sorridendo.
-Dormi
con l’armatura?-.
-Buonanotte.-.
…
…
…
“Qualcosa
non va.”.
Leona
riaprì le palpebre. Era buio, la candela sul comodino si era
spenta;
e l’altro letto era vuoto. La porta era socchiusa. Si
alzò
silenziosamente, cercando indizi nella stanza. Niente che lasciasse
pensare a un combattimento, quindi o era stato un rapitore esperto o
Morgana se n’era andata da sola. Uscita dalla locanda,
continuò a
cercare delle tracce; dovette usare i poteri del Sole per vedere bene
al buio, ed ecco: segni di tacco che si dirigevano fuori dal
villaggio. Non aveva preso il cavallo.
Era
il caso di sguainare le armi. Seguì con attenzione la pista
fino a
perdersi negli alberi.
“Trovata…
cosa sta facendo?” La sua camminata era strana, non aveva
niente
della classe di qualche ora prima, le ricordava invece Diana in
quelle notti in cui vagava sonnambula nella sua smania di…
insomma,
Morgana non aveva mai camminato nel sonno da quando l’aveva
incontrata. Si acquattò dietro a un albero.
Morgana
si fermò e davanti a lei l’aria tremolò
come se un telo
trasparente fosse calato. Una strana creatura si alzò dalle
quattro
zampe, e la sua pelle nera mutò rapidamente in viola.
Sembrava una
donna, una bella donna, ma chiaramente non lo era. E quelle due code
non le piacevano per niente.
-Ciao
dolcezza, vieni da me.- Disse con voce vellutata accarezzandole la
guancia con degli… artigli; poi li fece scivolare dietro la
nuca,
spingendo il viso verso il suo.
-Ehi!-
Leona si fece avanti con la spada alzata e la
“donna” la puntò
con due occhi giallo fulmine.
-Mmm…-
Miagolò con fare voluttuoso: -Tra poco sarò da
te, zuccherino. Io
sono Evelynn.-.
-Urgh…
cosa…- Biascicò la corvina, forse uscendo dalla
trance.
-Uff!-
Evelynn oltrepassò Morgana girando gli occhi, con Leona che
la
seguiva con la spada.
-Un
animo infranto è così facile da manipolare, ma il
tuo deliro ti
rende così… desiderabile. Voglio così
tanto spezzarti!- Urlò
come ebbra dal vino.
-Fermati
demone!- Non aveva più dubbi, era uno dei diavoli delle
Scritture.
Finalmente qualcosa che avesse un senso, seppur malvagio, in quella
terra di contraddizioni.
-Che
sta succedendo? Kayle… era qui?- Morgana si guardava intorno
confusa, poi realizzata la situazione si mise in guardia.
-Rilassatevi
ragazze.- Disse Evelynn mentre le sue code volteggiavano in aria con
la leggerezza della stoffa: -Ora che sono stata scoperta
sarò docile
come un agnellino.-.
Leona
proiettò l’immagine della sua spada, ma Evelynn
scomparve com’era
apparsa. Da dove avrebbe attaccato?
-La…
mia… testa…- Morgana si copriva il viso con una
mano, era come se
stesse per crollare dal sonno. Leona ricordava a memoria le pagine
delle Scritture, quindi sapeva cosa le stava succedendo.
-Non
ascoltare quello che ti dice!-.
L’istinto
le disse che il suo fianco destro sarebbe stato attaccato,
così
mosse la lama per proteggersi; ma il colpo fu così forte da
strappargliela via. Di fronte a lei c’era Evelynn, piegata in
avanti e con le code ritte. Ebbe la prontezza di alzare lo scudo e la
sferzata la spinse indietro.
-Quanto
chiacchieri! Ti seguo da un bel po’, sai? Ho tenuto duro per
mesi…
ah, quanto mi piace spezzare quelli come te!-.
-Tu
non sai niente di me, mostro!-.
-Davvero?-
Il demone si leccò le labbra con euforia: -Una donna tutta
d’un
pezzo, il faro che mostra agli altri la via. Ma dentro vuoi solo
essere libera… e io posso darti la libertà. Lo
faccio sempre.-.
-Non
osare!- Provò ad attaccarla con lo scudo, ma
diventò di nuovo
invisibile.
-Lei
aveva ragione su di te!- Sentiva le sue parole dentro la
testa:
-E anche tu avevi ragione su di lei! Siete così
adorabili
insieme…-.
-Perché
ti stai facendo avanti adesso?- Doveva prendere tempo per capire dove
si trovasse; ma la risposta le arrivò sussurrata
sull’orecchio, e
fu così spiazzante che ci mise un secondo di troppo a
reagire. Si
ritrovò a terra, con il dolore di un graffio sulla faccia.
Evelynn
troneggiava spavalda su di lei con stampato quel ghigno lussurioso
che, ormai era chiaro, la contraddistingueva.
-Andrà
tutto bene, tesoro.-.
Il
sorriso si tramutò in urlo quando la punta di una lama
dorata spuntò
dal suo petto. Evelynn si buttò di lato, coprendosi la
ferita la una
mano; qualunque imitazione di libidine avesse mostrato, era stata
spazzata via dalla furia.
-Tu!!!-.
-Non
dovresti darmi le spalle.- Morgana le porse la mano, aiutandola a
rialzarsi, e le ridiede la sua spada.
-Come
fai a muoverti???-.
-Oh,
tesoro.- In un battito di ciglia gli occhi di
Morgana si erano
accesi di viola: -Mi sa che non hai capito proprio niente di me.-.
-Né
di me.- Aggiunse Leona. Evelynn le guardò rabbiosa, poi fece
quello
che sapeva fare meglio.
-Non
scapperai!-.
-Sì
invece.- La corresse Morgana: -Non riesco più a percepirla.
L’ho
ferita ma…- si interruppe, e Leona si voltò a
guardarla. Con una
falange stava fermando il corso di una lacrima.
-C-Che
strano, ero sicura che…-.
“Pensava
che ci fosse Kayle…” Intuì Leona.
-In
ogni caso non, non avrebbe avuto la meglio su di me se fossi stata
sveglia.- Si affrettò a dire asciugandosi la guancia:
-Continuiamo a
salvarci la vita a vicenda. Bella spada comunque.-.
-I
bisbigli dei demoni scavano nelle nostre debolezze. Persino un
guerriero tenace può essere tratto in inganno da essi.-.
Morgana
la guardò sbigottita, poi abbozzò un timido
sorriso.
-Grazie.
Se non ti avessi sentita parlare non so se mi sarei liberata
così in
fretta. Dai, torniamo indietro.-.
Ma
Leona non si mosse. Guardava il bosco davanti a sé,
ripensando a
quell’ultimo sussurro; forse era l’ennesimo
inganno, tuttavia se
aveva deciso di uscire allo scoperto proprio quella sera…
-Che
c’è, non vieni?-.
-Sì…-.
Ritornarono
sui propri passi. Pochi minuti di cammino, ma furono tra i
più
intensi della sua vita. Sentiva il peso di ogni passo, l’aria
fredda sulla pelle, il sudore sulla fronte; li sentiva come un
memento.
-Lo
sai, mi aspettavo che le dessi la caccia.-.
-Già…-.
Tornate
in camera, Morgana iniziò a percepire che c’era
qualcosa che la
tormentava.
-Tutto
bene?-.
-Sono
solo un po’ stanca.-.
-Ho
capito. Stavo pensando, potrei aver giudicato troppo in fretta i tuoi
testi, magari- Non finì mai la frase. Colpita in viso dallo
scudo,
batté la nuca sul muro e cadde distesa sul letto.
Leona
non si fermò a ragionare sul paradosso della situazione. Si
accomiatò da lei e uscì senza curarsi di non fare
rumore; montò a
cavallo e partì al galoppo, attraversando colonne lignee che
l’addentravano verso il suo scontro finale.
Al
contrario di poco prima, era sorprendentemente calma, avulsa dalla
realtà. Non che non si sentisse pronta, anzi, era
l’apice del suo
viaggio che a lungo aveva agognato; ma aveva previsto agitazione, o
rabbia, o almeno commozione.
Niente
di tutto questo. Il suo animo si levava all’altezza del Sole
e
guardava verso il basso la terra lontana, senza posarvi piede.
Sapeva
di essere diversa da quella che era partita; anzi, era diversa da
quella che aveva incontrato Morgana su quella spiaggia. Lo aveva
sospettato al villaggio dei mostri, e poi ne aveva avuto conferma con
la donna del giorno prima.
L’aveva
persa, la sua umanità: la capacità di guardare
agli umani come suoi
simili, il dolore nel vederli soffrire, la pietà per coloro
che
aveva giurato di proteggere, addirittura l’odio per gli empi.
Ora
erano un eco della sua memoria, un riflesso spontaneo ma vuoto. Era
all’apoteosi della propria abnegazione: non esisteva altro se
non
il suo compito, non pensava ad altro se non al suo mantra; e le
andava bene così.
“Io
sono il Sole che illumina gli innocenti. Sono il Sole che brucia i
malvagi. Sono l’aurora di un giorno senza tramonto. Sono la
prima
lama dei Solari. Non ci saranno altre albe per te.”.
Gli
alberi si interrompevano davanti a lei, rivelando una radura
propizia. Leona tirò le redini e smontò dal
cavallo, legandolo a un
ramo e calmandolo con una mano sul muso. Forse in qualche modo
avvertiva… chissà. Dentro di sé la
creatura ancestrale ribolliva,
e pensò che anche per lei dovesse essere lo stesso. Ormai
erano così
vicine che poteva quasi palpare quell’aura magica che aveva
inseguito tanto a lungo. La freschezza della Luna, il sapore della
Notte. Evelynn non aveva mentito.
Si
rivelò con un passo in avanti. Di fronte a lei, la Luna era
ormai
bassa nel cielo; alle sue spalle, il Sole stava per sorgere. La donna
all’altro lato dello spiazzo si fermò di colpo, e
forse per un
momento fu colta dalla sorpresa.
-Leona.-.
-Diana.-.
La
prima cosa che Morgana sentì da sveglia fu il dolore al
naso.
Istintivamente si portò la mano sul setto, ritraendola per
una fitta
improvvisa e trovandola bagnata di rosso. Spalancò gli occhi
e si
mise seduta, scostando le coperte sotto cui qualcuno l’aveva
messa.
“Cosa
diavolo…”.
Il
suo sguardo si posò sul comodino del letto, dove due oggetti
affiancavano la lanterna: il suo rossetto e un coltello ioniano.
-Leona?-
Domandò nervosa senza aspettarsi una risposta. Il demone era
tornato? No, l’ultima cosa che ricordava era…
era…
Chiuse
gli occhi e si concentrò, scrutando per l’aura
magica della
compagna ovunque potesse essere; non nella locanda, più in
là
allora, non nel villaggio, ancora più in là, non
nel bosco…
aspetta, ecco! Però…
-No.-.
Scattò
in piedi, spalancò la finestra e si gettò fuori,
spiccando le ali e
superando ogni limite che si fosse mai data.
-No
no no!-.
Non
sentiva il vento o gli uccelli sfrecciarle accanto, non sentiva il
freddo della notte appena passata o il tepore del sole che sorgeva.
Anzi, nemmeno sapeva se il cielo fosse limpido o nuvoloso. Malediceva
sé stessa per essere troppo lenta, poco più
veloce di un cavallo in
corsa.
Alla
fine le sue ali si stancarono e la costrinsero ad atterrare, stanche
da mesi di sforzi a cui non erano abituate. Le sue stupide scarpe non
si muovevano bene nel sottobosco, quindi se ne liberò e i
suoi piedi
calpestarono correndo la terra umida e sporca, il suo vestito si
impigliava ma andava avanti, era quasi arrivata, ancora un piccolo
sforzo, oltre quegli alberi, ancora uno sforzo, solo un
altro…
…Passo.
“N…no…”.
Restò
impietrita, come legata dalle sue stesse catene. Il viso di Leona,
appena reclinato all’indietro, era rivolto verso il cielo, ma
non
poteva guardarlo perché teneva gli occhi chiusi. Di lei
vedeva solo
la testa e i piedi, e per qualche strana ragione si accorse solo ora
che anche lei portava i tacchi (li aveva sempre avuti? Che senso
aveva per un guerriero portarli?); il resto del suo corpo era coperto
dall’armatura argentea della donna che, china su di lei, la
teneva
tra le braccia.
“La
uccido.”.
Un
pensiero semplice. Piuttosto facile da eseguire. Non sarebbe neanche
stata la prima volta. Cos’era? Dolore? Giustizia? Giustizia,
sì,
ma non quella della Dama Velata: non voleva quella, no, voleva la
giustizia assoluta di Kayle, voleva vedere la sua spada abbattersi su
di lei e cancellarla dalla realtà. Nessuna redenzione,
niente ultime
parole, sarebbe morta e Leona…
Diana
si accorse di non essere più sola. Appoggiò con
delicatezza il
corpo a terra, si rialzò e si voltò. Era
affranta, inorridita, la
maschera della disperazione: una donna bellissima dall’animo
a
pezzi. Non osava guardarla in faccia. Era oppressa dalla propria
lucidità.
Rimasero
in silenzio a guardarsi, in attesa. Il tempo passava attorno a loro:
la natura si risvegliava, il vento piegava i fili d’erba, il
Sole
si stava mostrando nel suo cieco splendore, presto tutto sarebbe
stato come il giorno prima; ma per loro no, loro restavano immobili.
*
*
*
Tacevano
entrambe.
Diana
le dava le spalle, più vicina di lei alla tomba.
“Tomba”, un
rettangolo di terra scavata con una roccia come lapide, su cui la
Targoniana aveva inciso un Sole. Trovava ingiusto che Leona fosse
seppellita lì, in quella terra che odiava; ma quel terreno
era
intriso di magia positiva, e nessuna delle due poteva riportarla al
Targon. Era il meglio che potevano offrirle, ed era ancora un insulto
per lei.
-Eri
sua amica?- Chiese Diana ad un certo punto. Morgana non le rispose.
Avrebbe
dovuto provare a redimerla, carpire il suo dolore e indurla a
liberarsene; ma non poteva. Non riusciva ancora a liberarsi del suo.
E non voleva farlo: era ancora forte in lei il desiderio di
abbandonarla alla dannazione. Ma il lato di sé che ora
deprecava
avrebbe vinto, alla fine.
-Non
doveva andare così.- Disse invece, caricando la voce di
veleno.
Neanche davvero rivolto a Diana o a qualcuno di preciso, non avrebbe
avuto senso. Era una banale constatazione.
-Non…-
Iniziò l’argentea, ma si interruppe per soffocare
i sentimenti
che le sarebbero sfuggiti dalla gola. E faceva male sentire
l’umanità
nella sua voce.
-Non
ti chiedo di perdonarmi. Non c’è più
speranza per me. Ma se c’è
qualcuno che è per te ciò che lei era per
me…- La guardò con gli
stessi occhi di prima, lucidi da un pianto che si sforzava di
trattenere.
-…trovalo,
ti prego. Prima che non restino che morte e rimpianto.-.
Le
due donne, prima l’una e poi l’altra, se
n’erano andate. Quel
mondo tanto ingiusto e crudele aveva ancora bisogno di entrambe. Il
Sole navigò la propria rotta celeste, all’alba si
susseguì il
mattino, e poi il mezzogiorno.
Quando
raggiunse lo Zenit, i raggi illuminarono a pieno la tomba. Fu allora
che la terra si smosse.
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