Ross,
nel silenzio della stanza intervallato unicamente dal rumore del
placido respiro di Demelza accanto a lui, si sentiva incredulo per
quanto appena successo. Demelza, la bambina selvaggia e sporca
raccolta dalla strada anni prima per senso di pietà e
giustizia, si
era trasformata in una giovane donna affascinante, appassionata e
capace di attrarlo come una calamita. Ciò che c'era appena
stato fra
loro era stata pura elettricità, senza inibizioni,
reticenze, paure.
Lei si era donata a lui, gli aveva donato la sua verginità
senza
remore, con naturalezza. E si era dimostrata una amante passionale,
forse inesperta ma capace di portarlo a un genere di estasi che mai
aveva provato. Era come se il corpo di quella ragazzina fosse stato
creato apposta per fondersi perfettamente con il suo ed ora si
sentiva frastornato, incapace di comprendere i suoi sentimenti e
decidere il da farsi. Questa Demelza sensuale e appassionata
conosciuta nell'intimità come avrebbe potuto conciliarsi con
la
ragazza solare, amante del cinema e degli attori, con cui aveva
condiviso la vita negli ultimi anni?
Si
voltò verso di lei e la trovò stranamente
silenziosa, col viso
rivolto verso il soffitto di legno. Si erano cacciati in grossi guai,
LEI soprattutto. Ciò che c'era stato e che ci sarebbe stato
fra loro
in futuro, per la sua sicurezza, sarebbe dovuto rimanere un segreto.
Il partito nazista vietava ogni rapporto fra ariani ed ebrei e di
certo una giovane tedesca che si donava a 'un impuro' avrebbe potuto
andare incontro a conseguenze pericolose.
Demelza
era bella, affascinante, con un corpo fresco e perfetto. Avrebbe
dovuto uscire con un ragazzo della gioventù hitleriana,
donarsi a
lui, fare figli con lui in nome di Hitler e del partito
ed invece
aveva fatto una scelta diversa, coraggiosa
e
irrevocabile. Le aveva detto che non la amava ma questo non l'aveva
fatta arretrare. Certo, le voleva bene e le era affezionato ed ora si
sentiva pure inebriato per quanto accaduto ma questo bastava per
metterla in pericolo
lanciandosi in quella relazione tanto folle?
"Demelza,
a cosa stai pensando?" - chiese infine, stanco di quel silenzio.
Lei
voltò il viso. "A nulla di particolare, mi sento la mente...
vuota...".
L'uomo
sospirò, in preda agli stessi mille dubbi che l'avevano
frenato
nelle settimane precedenti. "Non avrebbe dovuto succedere".
"Perché?".
Lui
strinse i pugni. "Lo sai bene, ci sono mille ottimi motivi!".
La
ragazza sospirò. "Ma è successo lo stesso e
questo non può
essere cambiato. Lo volevamo, no?".
"Per
i motivi sbagliati!".
Demelza
parve ferita da quelle parole e rimase in silenzio. Lui se ne accorse
e si sedette sul letto, fronteggiandola. "Prima che accadesse,
sono stato chiaro, no? Ero attratto da te, lo sono ancora e se
dipendesse da me ti prenderei di nuovo anche subito. Ma l'amore...
l'amore è altro, dovrebbe includere altro... Meriti di
meglio di me,
meriti di meglio di qualcuno che non sa più amare e che
potrebbe
mettere a rischio la tua vita".
Anche
Demelza si mise a sedere, coprendosi il petto nudo col lenzuolo. "Il
meglio che mi sia capitato da quando sono nata, è stato
oggi. E voi
siete stato la persona che più mi ha avuta a cuore da quando
sono
nata. A parte mia madre, forse... Non sono pentita e non mi sento
sbagliata. So cosa mi avete detto prima, so che non posso essere
neppure lontanamente la donna dei vostri sogni e so bene cosa sto
rischiando ma non mi importa. Io sto bene, BENE. Ed è stato
bello
quanto successo, io nemmeno immaginavo che ci si potesse sentire
così. E se mi volete prendere ancora, anche adesso, io sono
pronta.
Sarò sempre pronta per voi. Preferisco rischiare ma essere
felice
che vivere come nelle ultime settimane dove sembravate non sopportare
più la mia presenza".
Quelle
parole lo fecero sentire in colpa. "Mi dispiace, cercavo solo un
modo per proteggerti da me. Ma l'ho fatto nel modo sbagliato... Mi
è
mancato non parlarti, non avere a che fare con te, scherzare con
te...".
"Anche
a me"- rispose lei, prendendogli la mano. "Potete riavermi
anche subito, dico sul serio. Ogni volta che volete sarò
pronta per
voi. Ma non dite che non è giusto che succeda
perché io la vedo
diversamente. C'è così poco di cui gioire in
questo mondo, in
questi anni, perché privarci di un momento di piacere e
pace?".
Era
un invito eccitante, se non si fosse sentito così
responsabile per
lei, l'avrebbe spinta sul materasso e l'avrebbe posseduta subito
ancora e ancora. Ma Demelza era giovane, aveva appena conosciuto
intimamente il corpo di un uomo e non era nemmeno certo che stesse
bene. "Non dovresti parlare in modo tanto spudorato, una
ragazzina per bene non parlerebbe così".
"Io
sono abituata a dire ciò che penso, sempre".
Ross
sorrise, suo malgrado. "Sì,
me ne sono accorto. Ma prima di fare qualsiasi cosa, devo
parlarti
Demelza, e devi stare a sentirmi".
"Quali
cose?".
Alzò
la mano ad accarezzarle la guancia. "Puoi darmi del tu quando
siamo da soli, soprattutto a letto. E' piuttosto assurdo che tu dia
del lei a un uomo con cui fai l'amore".
Lei
spalancò gli occhi. "Ma... ma... signore!".
"Chiamami
Ross, è più semplice. Siamo quì, nudi,
abbiamo appena fatto
l'amore e siamo perfettamente sullo stesso livello, solo un uomo e
una donna".
Demelza
sorrise anche se non era certa di riuscirci. "Va bene, ci
proverò".
"Seconda
cosa: la nostra intimità deve rimanere segreta! Se qualche
nazista
zelante ne venisse a conoscenza e lo dicesse a chi di dovere,
potresti essere perseguitata. Sei ariana, nessuno si aspetta o
sospetta che tu venga a letto con un ebreo. Può essere
pericoloso e
basto già io a rischiare la vita, non è
necessario che la rischi
anche tu".
La
ragazza si morse il labbro. "Nemmeno a
Dwight e Caroline?".
Lui
scosse la testa. "Mi fido di loro, so che sarebbero contenti per
noi. Ma sapere e tacere la cosa, diventare parte di questo segreto,
metterebbe a rischio pure loro. Caroline aspetta un bambino, Dwight
è
un dottore da cui dipendono tante vite quì. Devono vivere al
sicuro".
Demelza
ci pensò su e giunse alla conclusione che lui avesse
ragione. "Va
bene".
Ross
sorrise. "Ultima cosa: stai bene? Hai male da qualche parte?".
Lei
si accigliò, poi sorrise dolcemente. "Ho avuto un
pò di male
all'inizio, quando voi...". Si bloccò, arrossendo mentre
ripensava a Ross che entrava dentro di lei. Ma poi riprese coraggio e
capì che doveva rassicurarlo. "E' durato pochi istanti, poi
mi
è piaciuto subito. Sto bene, non ho male da nessuna parte".
Non
mentiva. Non aveva dolore e l'unica cosa che ricordava era la
sensazione di stare fra le sue braccia, coi loro corpi fusi che si
muovevano all'unisono in una sorta di danza dell'amore.
Ross
la osservò, era bellissima con quei lunghi capelli rossi che
le
ricadevano sulle spalle nude. Anche se celata dal lenzuolo, poteva
scorgere sotto di essere quel corpo e quelle curve che lo avevano
fatto sentire in paradiso fino a poco prima. "Ti voglio, ancora!
Adesso".
Lei
annuì. "Anche io, signor... Ross".
Lui
la baciò sulle labbra, avidamente. Poi raggiunse il suo
collo, il
petto. Crollarono sul materasso, si stese su di lei ed entrambi
scivolarono gradualmente, di nuovo, verso l'estasi.
Ross
comprese che non c'era nulla da fare, non poteva opporsi a quella
forza che lo attraeva senza possibilità di sottrarsi. Quella
ragazza
lo aveva stregato...
...
Erano
passate sei settimane dalla notte che per Ross e Demelza aveva
segnato l’inizio di qualcosa di nuovo, inizialmente
indecifrabile
ma col tempo sempre più intenso.
Ross
era felice, condizione strana per una persona solitamente cupa e poco
propensa all’ottimismo come lui. Non sapeva se fosse solo per
Demelza, per quelle notti di passione che condividevano o per il
fatto di sentirsi meno solo in quel mondo che stava diventando sempre
più folle e oscuro, però era così. Era
felice e tutto pareva meno
difficile da affrontare, anche la sua condizione di ebreo nella
Germania sempre più nazista. Forse Demelza aveva ragione,
lasciare
la politica e il nazismo fuori dalla porta di casa non era poi una
così cattiva idea…
Demelza,
dal canto suo, rimaneva una creatura indecifrabile ai suoi occhi ma
lo affascinava sempre di più. La vivace ragazzina,
instancabile
lavoratrice, entusiasta della vita e amante di cinema e attori,
sempre sorridente e dotata di un notevole spirito di osservazione
nonché di una maturità sorprendente per la sua
giovane età, era
cresciuta e diventata donna davanti ai suoi occhi. Bella, seducente,
disinibita, passionale, riusciva a confonderlo e a farlo sentire in
paradiso quando erano insieme. Apparentemente lei non era cambiata,
il suo modo di fare non era mutato dopo le loro prime esperienze
intime insieme e rimaneva la stessa fresca, giovane ragazza
entusiasta della vita, un’ottima conversatrice ma anche una
silenziosa ascoltatrice quando si fermavano a parlare di tutto o
niente di importante davanti al fuoco del camino. La passione fra
loro, unita a una conoscenza reciproca che si era consolidata in un
rapporto costruito negli anni aveva prodotto un qualcosa di profondo,
molto più di quanto lui avrebbe potuto immaginare. E se nei
primi
giorni ad unirli era il puro bisogno fisico, man mano si trovava
sempre più spesso a chiedersi cosa fossero diventati
‘insieme’.
Perché la passione, man mano che passavano i giorni, si
stava
mischiando sempre più alla tenerezza e a un rapporto che
stava
diventando ‘altro’ anche se ancora lui non sapeva
definirne la
natura. Eppure era stato chiaro dall’inizio, con lei e con se
stesso: non era più capace di amare e non aveva voglia
né di farlo
né di soffrire di nuovo. Ma cominciava a capire che mente e
cuore
spesso non andavano d’accordo e ognuno prendeva la sua strada
senza
che lui potesse farci niente.
L’estate
era nel pieno del suo splendore e quel pomeriggio aveva lasciato la
miniera piuttosto presto per andare ad acquistare dei libri contabili
per le sue attività.
Era
andato nella piazza di Annaberg-Buchholz di malavoglia, lo faceva
sempre meno da quando il partito nazista aveva preso piede e ad ogni
angolo delle strade si notavano bandiere con la svastica, ma non
poteva farne a meno. Il caro Hitler odiava gli ebrei ma sembrava
gradire particolarmente le esose tasse che questi pagavano allo Stato
e non aveva voglia di avere più grande di quante ne desse la
sua
condizione di ebreo diventando anche evasore.
Dopo
aver preso dei libri contabili nuovi dal cartolaio, ignorato da chi
lo incrociava, lo conosceva da una vita ma non voleva averci a che
fare, a passo spedito si avviò verso il viottolo che dalla
piazza
portava alla periferia e di lì alla campagna e al sentiero
di
montagna che lo avrebbe condotto a casa.
Stava
diventando un lupo solitario – non che fosse mai stato il re
delle
feste nemmeno prima - ma ultimamente gli pesava ancora di
più
frequentare quel paese dove un tempo si recava con piacere per bere
una birra o mangiare qualche salsiccia con i suoi minatori. Ma i
tempi erano cambiati, la gente era cambiata e non era facile per un
ebreo essere in mezzo a persone che conosceva da sempre che per paura
o avversione ora lo trattavano con disprezzo e supponenza e lui era
consapevole di non essere propriamente bravissimo ad ignorare
eventuali provocazioni. Per questo era ormai solo Demelza a scendere
in paese per fare compere e lui si limitava a passare le giornate fra
miniera e casa.
Stava
per lasciare la piazza quando improvvisamente e assolutamente a
sorpresa, si trovò davanti Elizabeth. La donna, vestita con
un
elegante abito verde e con i capelli raccolti sotto a un elegante
cappellino di peltro, spingeva la carrozzina che ospitava il bambino
nato a febbraio di quell’anno dall’unione con
George Warleggan.
Ross
impallidì quando vi si trovò faccia a faccia, lei
impallidì ancora
di più. Erano mesi, forse un anno, che non si vedevano e
Ross si era
sforzato di dimenticarla e non pensare più a lei. Elizabeth
era
ormai parte del suo passato e aveva reso ben chiari quali fossero
ormai i suoi orizzonti e le sue priorità. E lui non ne
faceva parte!
Era
bella come sempre, la gravidanza sembrava non aver lasciato alcun
segno sul suo fisico snello e appariva aggraziata e aristocratica
più
che mai.
Elizabeth
si guardò attorno preoccupata prima di tornare a fissarlo
con aria
grave. “Ross… E’ molto
che…”.
Lui
si accorse del suo disagio e della paura di essere notata mentre
parlava con un ebreo. Aveva sposato il nazista più nazista
del
paese, ne aveva abbracciato le idee – per forza o forse per
piacere, temeva – e ora doveva essere ben difficile trovarsi
in
quella situazione. “E’ molto, sì. Ma
suppongo di non esserti
mancato”.
La
donna osservò il bambino di sei mesi che sgambettava nella
carrozzina. Aveva i suoi stessi capelli neri ma gli occhi erano
piccoli e ravvicinati come quelli del padre e parevano esprimere una
freddezza inconsueta per la sua età. “Beh, ho
avuto molto da fare,
sì”.
Ross
annuì, fissò brevemente il bambino e poi ancora
lei. “E’
grazioso. Come si chiama?”.
Elizabeth
rispose con un sorriso di circostanza. “Valentine
perché è nato
il 14 febbraio. Non sei obbligato ad essere gentile con me e a
chiedermi di mio figlio, comunque”.
Lui
la fissò, serio. “Non me la prendo con un bambino
a causa delle
sue parentele ma hai ragione, non siamo obbligati ad essere cordiali
e a parlarci” – le rispose, a tono, deciso a non
farsi sopraffare
dai ricordi e dai sogni che aveva cullato per lei. Elizabeth si stava
dimostrando molto diversa da come aveva creduto.
Quasi
fosse stata punta sul vivo, consapevole di non essere più il
centro
dell’adulazione dell’uomo che aveva davanti e
irritata per
questo, lei arrossì nervosamente. “Comprendo che
tu possa pensar
male di me e ne hai motivo, ma cerca di capire, sono tempi difficili
per tutti e dobbiamo fare delle scelte…”.
Lui
sorrise, sarcastico. “Oh, lo so bene che sono tempi
difficili, non
c’è bisogno che tu venga a spiegarlo a un
ebreo”.
Elizabeth
tentò un approccio più dolce, avvertendo sarcasmo
e disprezzo in
lui. Amava essere adulata e anche se ora era la signora Warleggan e
Ross rimaneva un ebreo e per questo per legge gli era inferiore,
desiderava sentirsi ancora al centro della vita di quell’uomo
tanto
virile. “Mi dispiace per la tua condizione,
davvero”.
Lui
la fissò, non credendo a mezza parola. No, a lei non
dispiaceva, lei
era stata la prima a voltargli le spalle dopo l’emanazione
delle
leggi razziali. Aveva scelto, aveva fatto in fretta a farlo e aveva
intrapreso la strada più comoda e sicura senza preoccuparsi
delle
macerie che lasciava attorno a se. Ci aveva messo molto a comprendere
la natura di quella donna su cui un tempo aveva posato gli occhi ma
alla fine aveva dovuto arrendersi al fatto che lei fosse
così. Non
cattiva ma sicuramente accentrata più su se stessa e la sua
tranquillità che agli altri. “Dubito tu ci perda
il sonno”.
“Dico
davvero!”.
Ross
sorrise ancora, sarcastico. “E allora perché ti
guardi attorno con
paura, come se temessi che qualcuno ti veda parlare con me?”.
Lei
scosse la testa, esasperata. “Te l’ho detto, sono
tempi difficili
e noi non dovremmo…”.
Ross
scosse la testa, strinse a se i registri appena acquistati e poi la
fronteggiò prima di andarsene. “Sono tempi
difficili, sì. Eppure
accanto a me ho persone che non mi hanno voltato le spalle e hanno
continuato ad essermi amiche. Senza di loro sarei completamente solo
al mondo. Loro mi danno speranza che in questa Germania tanto folle e
crudele ci sia ancora posto per l’umanità e ci
siano le basi per
ricostruire tutto un po’ meglio di come è
ora”. Demelza, Dwight,
Caroline, i suoi minatori… Per loro lui continuava ad essere
un
amico, un affetto, come un fratello. Per loro lui era una persona,
non un ebreo di cui vergognarsi se lo si incrociava per strada. Erano
tempi difficili e pericolosi anche per quelle persone ma a differenza
di Elizabeth avevano fatto altri tipi di scelte che li avevano
mantenuti umani e non macchine comandate da un folle coi baffetti.
“Non
tutti siamo coraggiosi, Ross” – mormorò
lei.
Lui
scosse la testa. “Ma tutti dovremmo sforzarci di rimanere
perlomeno
umani”. E detto questo se ne andò senza salutarla
o darle modo di
rispondere, felice di lasciarsela alle spalle. C’era stato un
tempo
in cui sognava di incontrarla ad ogni angolo di strada mentre ora,
mentre parlava con lei, non sentiva che la necessità di
andarsene
verso chi lo attendeva a casa con un sorriso e affetto. Quella bella
ragazza non era mai stata adatta a lui e forse doveva ringraziare il
nazismo per averglielo fatto capire. Non era rancoroso, Elizabeth
seguiva semplicemente la sua natura volubile e delicata. Ed era
questo il problema: in comune non avevano mai avuto nulla e si
sarebbero resi infelici a vicenda.
Riprese
la sua strada verso casa sentendosi leggero, come se
quell’incontro
avesse spezzato l’ultimo velo che ancora non aveva scoperto
ai suoi
occhi la vacuità che lo aveva legato un tempo alla figura di
Elizabeth. Si sentì libero, incredibilmente sereno, come se
quell’incontro fosse l’ultimo tassello mancante per
consentirgli
di andare finalmente avanti con la sua vita.
Quando
arrivò a Nampara, circondata dagli alberi del bosco al pieno
del
loro splendore estivo, trovò Garrick che dormiva nel portico
perfettamente rassettato. Demelza aveva spazzato tutto, sistemato le
piante e i fiori e non c’era nulla fuori posto.
Dalla
finestra aperta che dava sulla cucina usciva un invitante profumo di
stufato di carne e patate che gli risvegliò
l’appetito. Si sentì
a casa, felice di esserlo e in pace col mondo.
Quando
entrò, trovò Demelza seduta al tavolo davanti ai
fornelli, intenta
ad osservare delle stampe tutte sparse davanti a lei. Indossava la
divisa della gioventù hitleriana, quella sera ci sarebbe
stata una
proiezione nel cinematografo del paese e lei era costretta a
parteciparvi. Le sorrise. “Che stai facendo?”.
Anche
Demelza sorrise, serena. “Mi sono portata avanti, odio fare
le cose
di fretta. Ho messo a cuocere la cena anche se è ancora
presto e ho
già indossato questi dannati vestiti. Mi chiedo che diavolo
avrà da
dirci Goebbels di tanto importante… Con tutti i bei film che
potrebbero trasmettere al cinematografo, è davvero un
delitto che
venga occupato da lui”.
Ross
si sedette accanto a lei, poggiando sul tavolo, accanto alle stampe,
i nuovi registri contabili. Le accarezzò le trecce,
scompigliandole
i capelli con fare affettuoso e scherzoso. “Dovrà
rendervi edotti
di quante volte ieri Hitler sia andato a fare
pipì”.
Demelza
scoppiò a ridere, divertita. “Già,
suppongo che potrebbe trovare
la notizia di estremo interesse per la popolazione. Resta il fatto
che però morirò di noia”.
“Fingi
di ascoltare e pensa ad altro, io facevo così a
scuola”.
La
ragazza rise ancora. “Buona idea!”.
Ross
tornò ad osservare le stampe che Demelza stava spargendo sul
tavolo.
Non che ne capisse molto ma sembrava roba attinente a cinema, attori
eccetera, tutte faccende a lui totalmente sconosciute.
“Cos’è
questa roba?”.
Fiera
di se stessa, felice che glielo avesse chiesto, Demelza si
alzò
dalla sedia indicandogli le stampe una ad una. “Le ho
comprate ieri
dal cartolaio. So che non dovrei spendere denaro per queste cose ma
non ho resistito”.
Lui
osservò le foto. “Sono soldi tuoi che ti guadagni
con fatica, sei
libera di farci ciò che vuoi”.
“Mio
padre non sarebbe d’accordo!”.
“Tuo
padre non è qui e comunque gli verso già parte
del tuo stipendio,
mensilmente. Il resto del denaro è tuo. Chi sarebbero questi
divi?”
– chiese poi, cambiando discorso.
Demelza
prese una stampa raffigurante un uomo e una donna. “Questa
l’ho
presa per Caroline, sono Clarke Gable e Vivien Leigh, i protagonisti
del film che aspetta tanto, Via col vento. E’ follemente
innamorata
di Gable, quasi quanto di Dwight”.
Ross
rise. “Oh, il famoso rivale…”.
Osservò altre stampe, alcune di
Chaplin, grande passione di Demelza. Era il suo, di rivale? Poi lo
sguardo gli cadde su una donna affascinante, dai capelli chiari. Lei
era davvero interessante… “Lei, chi
sarebbe?”.
Demelza
spalancò gli occhi, stupita. “Oh Ross, davvero non
sai chi è?”.
Lui
la guardò storto. “Ti ricordo la mia avversione
per queste
diavolerie moderne…”.
Demelza
sospirò “Già, dimenticavo che sei fermo
all’ottocento… E’
una attrice tedesca, si chiama Marlene Dietrich. E’ quella de
‘L’angelo azzurro’, non ne hai mai
sentito parlare? Un film
così famoso…”.
Ross
si rese conto di avere uno sguardo ebete e di essere effettivamente
fuori dal mondo. Forse troppo…
“Ehm…no!”.
Demelza
sospirò di nuovo. “E’ tedesca, pare che
Hitler ne sia innamorato
e le abbia scritto numerose lettere con offerte amorose a cui lei non
ha risposto”.
Ross
sorrise, sempre più interessante questa Marlene che mandava
in
bianco il tanto osannato Furher. Allora era vero, ce n’erano
tante
di donne che avevano avuto il coraggio di scegliere, dire no e vivere
rimanendo fedeli a loro stesse. Elisabeth diventava una figura sempre
più piccolina… “Oh, questo le
farà guadagnare un posto in
qualche campo di lavoro” – commentò,
sarcastico.
“No,
non credo. Si è trasferita negli Stati Uniti e dubito voglia
tornare
qui. Si dice che sia totalmente contraria all’ideologia
nazista”.
Ross
prese la foto della donna, osservandola con ammirazione.
“Interessante, interessante”.
Demelza
lo osservò assorta e orgogliosa di aver risvegliato in lui
un
qualche tipo di interesse per le sue passioni. Le mostrò
quindi
un’altra stampa, raffigurante una bimbetta paffuta e piena di
boccoli. “Lei invece è Shirley Temple. Piccola ma
famosissima,
negli Stati Uniti la adorano, fa film su film da quando non aveva che
due o tre anni. Per loro è quasi una dea”.
Ross
osservò la graziosa bimbetta vestita di trine e merletti.
Graziosa,
sicuramente con tutte le caratteristiche necessarie per mandare in
visibilio mamme e nonne d’America, ma non condivideva
l’entusiasmo
di Demelza. “Una bambina dovrebbe essere solo una bambina.
Scommetto che preferirebbe passare le giornate a giocare e non sotto
i riflettori. C’è il tempo del lavoro e credo che
non lo sia alla
sua età”. Poi osservò Demelza.
“A proposito…”.
“Cosa?”.
Lui
guardò verso la finestra. “Ho visto il portico,
è più lucido di
uno specchio”.
“L’ho
pulito stamattina”.
Lui
la osservò, preoccupato. “Non dovresti lavorare
troppo e
stancarti, non è necessario tirare a lucido
l’esterno”.
Lei
scosse la testa. “Ma è il mio lavoro!”
– obiettò. “Lo
faccio da sempre”.
Ross
le prese la mano, costringendola ad alzarsi. Si accorse di essere
apprensivo, di preoccuparsi per lei e di volere unicamente il suo
bene. Demelza era ormai troppo preziosa per lui e se la guardava, non
vedeva più la sua domestica ma quanto di più caro
possedesse. Si
trovò a pensare che non avrebbe voluto sentirsi legato
così a
qualcuno, che c’erano mille buone ragioni per non farlo ma al
suo
cuore non poteva comandare e Demelza era entrata dentro di lui troppo
in profondità per poter ignorare i suoi sentimenti.
“Credo di
considerarti ben altro. Non ti vedo affatto come la mia
cameriera”.
Lei
rimase incerta, silenziosa. “Ma… Mi hai
assunta…”.
Le
accarezzò la guancia. “Direi che le cose sono
cambiate, no? Voglio
solo che tu faccia il necessario, non c’è
necessità che Nampara
somigli a un museo”.
“E
cosa dovrei fare tutto il giorno quando non ci sei?”.
Le
sorrise, baciandola sulla fronte. “La signora di questa casa.
Siediti, guardati le tue stampe, porta a spasso Garrick, leggi. Ma
non lavorare troppo duramente, non è necessario”.
“Non
sono affatto la signora di questa casa, Ross”.
La
bloccò, prendendole il viso fra le mani. “Demelza,
ascolta…”.
La
ragazza, col cuore che le martellava in petto, deglutì.
Erano ormai
molto vicini, intimi, eppure percepiva che c’era qualcosa di
diverso fra loro in quel momento, ben più della vicinanza
che
condividevano mentre facevano l’amore.
“Ross…” – mormorò,
incerta.
Lui,
serio come raramente lo aveva visto, la guardò negli occhi.
Non
poteva darle molto se non il suo cuore ed era inutile negarlo o
derubricare il loro rapporto a semplice passione. Demelza era la sua
ragione a tornare a casa di sera, quel qualcosa che ancora gli dava
fiducia nel mondo e negli esseri umani, la donna che condivideva con
lui confidenze, intimità, tenerezza, passione. E nel giro di
poco
era diventata quanto di più caro avesse al mondo.
“Ascolta! Prima
di tornare, in piazza, ho visto Elizabeth per
caso…”. La sentì
irrigidirsi e volle subito tranquillizzarla. “Solo poche
parole,
non vedevo l’ora di andar via perché volevo
tornare da te! L’avevo
davanti e mentre la guardavo sì, notavo che è
ancora bella come
quando me ne ero innamorato ma che mi sbagliavo, lei non
è
affatto adatta a me. Non lo è mai stata! Che vedevo
un’illusione
mentre tu sei la mia realtà adesso”.
“Ross…”.
Demelza tremava, non riusciva a credere a quanto lui stava dicendo.
Cosa intendeva, cosa stava cercando di farle capire?
La
baciò sulle labbra, un bacio lungo, dolce e gentile. Poi
appoggiò
la fronte contro la sua, sospirando. “Demelza, quello che
voglio
dirti è che ti amo, che non sei la mia domestica ma la donna
che
desidero al mio fianco. E non è solo perché
facciamo l’amore
insieme ed ogni volta è fantastico, è che tu mi
completi e sento –
spero – di completare a mia volta te! Se ti ho fatto dei
torti in
passato, perdonami! Non posso prometterti nulla, né che
sarà facile
ma sei parte di me e non voglio rinunciarci. Sei settimane fa mi hai
detto che siamo vivi e che dobbiamo assaporare al meglio ciò
che le
nostre esistenze ci danno e il meglio non è più
solo la passione
che condividiamo a letto ma tutto. Io voglio tutto di te! Sono un
uomo complicato, a volte difficile e con una vita difficile. Ma tu mi
rendi felice e credo non mi sia mai successo davvero”.
Demelza
si sentì senza fiato. Aveva davvero sentito bene? Davvero
lui aveva
usato la parola ‘amore’? Per lei, lei???
“Ross, caro Ross… Io
vivo per te, da sempre. E ti amo forse da prima di capire il
significato di questa parola” – disse, con gli
occhi lucidi. Come
avrebbe anche solo potuto sperare in qualcosa di tanto bello lei, una
piccola stracciona raccolta anni prima forse per pietà da un
giovane
che le era apparso bello ed irraggiungibile?
Lui
le sorrise dolcemente, come percependo il suo stupore e i suoi
pensieri, prima di baciarla di nuovo per riaffermare quanto appena
detto. “Allora siamo d’accordo”.
La
prese per la vita, la sollevò e la mise sul tavolo,
scostando le
stampe degli attori. Poi la baciò ancora, mai sazio di lei,
scompigliandole i capelli con le mani mentre cresceva il desiderio di
amarla.
Lei
rise contro le sue labbra. “Stai scompigliando le mie
bellissime
trecce da brava ragazza ariana. E la mia bella e amatissima
divisa” – sussurrò, sentendo le mani di
lui sotto la sua gonna.
Ross
rise, rideva sempre quando era con lei, sentendosi stranamente
leggero. “Immagino tu sia disperata per questo”.
Lei
per risposta lo baciò.
“Parecchio…” –
sussurrò, ironica.
Ross
si staccò lievemente. “Fra quanto devi andare alla
proiezione?”.
“Fra
tre ore”.
Lui
sorrise. “Abbiamo tutto il tempo per darti qualcosa a cui
pensare
mentre Goebbels parlerà di sciocchezze!”. Era
fantastico, con lei
riusciva a scherzare anche di cose così drammatiche come il
nazismo
e l’impatto sulle loro vite senza provare ansie e paure. Non
era
forse questo l’amore? Amare, essere riamato e condividere
tutto
fino all’anima con la persona che scegli di avere accanto?
Demelza
si trovò d’accordo. “Ottima idea.
Penserò a questo e a quello
che mi aspetterà quando tornerò a
casa”.
Lui
la baciò, lei sapeva diventare così attraente e
seducente quando
erano vicini... Erano stesi su un tavolo e si sentivano lo stesso
assolutamente comodi. “Torna a casa subito, appena finita la
proiezione!”.
Demelza
rise, maliziosa. “Sembri mio padre però, se parli
così”.
Di
tutta risposta lui la baciò con passione, tornando ad
alzarle la
gonna. “No, non sono tuo padre, decisamente no!”.
La
amava, la desiderava e lei amava e desiderava lui. Forse sul letto
sarebbero stati più comodi ma non riuscivano nemmeno a
pensare di
riuscire ad arrivarci.
La
passione, fra due anime gemelle che avevano ormai ben chiaro di
esserlo l’uno per l’altra, esplose. Avevano scelto,
si erano
scelti e avevano avuto il coraggio di farlo! E questo era tutto
quello che contava.
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